COSTANTINO da Orvieto (Costantino dei Medici di Bisenzio)
Nonostante la notorietà raggiunta per i meriti letterari e le funzioni esercitate nell'ambito del governo ecclesiastico e della diplomazia pontificia, le vicende personali di C. sono documentate dalle fonti diplomatiche e storiche in nostro possesso esclusivamente per gli anni dal 1246 al 1257, nel cui spazio rientrano le tappe più rilevanti della sua esistenza: la compilazione della biografia e dell'ufficiatura di s. Domenico (1246-47), la nomina a vescovo di Orvieto (1250), la missione diplomatica e la morte in Oriente (1256), la traslazione della salma a Perugia (1257).
Tali notizie ci sono giunte per il tramite d'alcuni documenti - degli anni tra il 1251 e il 1255 - relativi al suo ufficio di vescovo e grazie alle testimonianze di cronisti, in genere attendibili, attivi tra lo scorcio del sec. XIII e la prima metà del successivo, lontani perciò dagli eventi narrati soltanto poco più di mezzo secolo. Nei dati così trasmessi si avverte la provenienza da due filoni distinti, costituiti il primo dalla storia dell'Ordine domenicano - iniziata da Bernardo di Guido (morto nel 1331) - e il secondo dalla tradizione locale, in primo luogo gli Annales Urbevetani (terminati nel 1313) e la cronaca dei convento di S. Domenico di Orvieto, opera di fra' Giovanni di Matteo del Caccia (conclusa circa nel 1348). La loro sostanziale differenza consiste nella definizione delle linee essenziali della personalità di C. - pur nel concorde riconoscimento della sua appartenenza alla "provincia romana" domenicana, ancora estesa in quel tempo dall'Italia centrale al Regno di Napoli - sotto il profilo più consono alle proprie specifiche esigenze: agli storici dell'Ordine interessa il personaggio in se stesso, ai cronisti locali il suo inserimento nel contesto della particolare congiuntura politico-storica. Restano così separati in due compartimenti (quello del letterato vescovo e quello del vescovo diplomatico) gli aspetti che caratterizzano C., i quali non vengono fusi neanche dal cronista orvietano Luca Manenti, il quale integra, a circa un secolo di distanza, le scarne note dei suoi predecessori indicando, non senza probabilità, il padre di C. in Faffuccio di Marino dei Medici di Bisenzio (camerlengo del Comune di Orvieto nel 1212, secondo le fonti diplomatiche) ed attribuendogli una dignità cardinalizia, notizia, quest'ultima, sulla cui falsità non sussistono dubbi.
Mentre la diversificazione dei due filoni durò per tutto il '500, agl'inizi del secolo successivo comparve, in ambito senese (Lombardelli, p. 7), una versione secondo la quale C., nato a Siena ed entrato nel locale convento dei domenicani - dove avrebbe avuto funzioni direttive ed esercitato l'attività letteraria -, ne sarebbe uscito più tardi, chiamato alla cattedra episcopale di Orvieto. Le smentite giunsero presto, da parte sia degli storici orvietani (Marabottini, p. 14) sia di quelli dell'Ordine (Altamura, p. 22) che giudicarono inattendibile la tradizione a causa dell'origine tarda e della mancanza d'una documentazione, se non contemporanea, almeno non molto lontana dai fatti: tali argomenti sono stati ripresi e criticamente approfonditi dal Kaeppeli (1940, pp. 288 s.) allo scopo di confutare una recente proposta di rivalutazione (Scheeben, in Mon. Ord. preaed. hist., XVI [1935], pp. 263 s.).
Nell'ultimo trentennio del sec. XVII (Fontana, p. 336) si arrivò alla ricostruzione - mediante il superamento della dicotomia iniziale - della figura di C. nel suo triplice aspetto di scrittore, vescovo e diplomatico per giungere poi, ad un secolo di distanza (Mamachi, p. 42), all'esatta comprensione della qualifica di Urbevetanus, da intendere - una volta accertata l'attendibilità di fra' Giovanni del Caccia - come derivata non dall'ufficio esercitato da C. ma dalla sua appartenenza al locale convento di S. Domenico. In base a tali progressi critici tornarono in primo piano alcuni spunti trascurati in precedenza o presi in considerazione solo marginalmente: innanzi tutto il legame, testimoniato dal Vanenti, di C. con il ramo orvietano dei Medici di Firenze, stabilitosi in città e nei dintorni (Bisenzio) almeno dal sec. XII. Per quanto le notizie date da questa fonte non siano sempre attendibili, la connessione testimoniata appare abbastanza probabile se considerata alla luce d'alcuni dati significativi, quali l'inserimento di C. nella locale comunità domenicana, non vincolante ma ovvio per un orvietano di nascita, e la congruenza della cronologia: la nomina a vescovo, nel 1250, di C. presumibilmente intorno ai 35 anni - era quindi nato intorno al 1215 - non contrasta con la possibilità che egli sia figlio di Faffuccio dei Medici, il camerlengo del 1212. Né può essere determinante per una smentita categorica il silenzio di Giovanni del Caccia, imputabile piuttosto allo stato delle fonti, tanto più disorganiche e lacunose quanto più antiche, dal momento che egli fornisce dati completi solo per personaggi vissuti all'epoca della composizione dell'opera o poco prima. Non c'è quindi ragione di non accogliere, sia pure con la dovuta prudenza (Kaeppeli, S. O. P. Medii Aevi, I, p. 292) la notizia che il Manenti può aver rinvenuto in tradizioni documenti locali, piuttosto che inventato manipolato fantasiosamente.
Si potrebbe così tracciare uno schema meno incompleto delle vicende biografiche di C., nato ad Orvieto da Faffuccio dei Medici intorno al 1215, morto a Salonicco sullo scorcio del 1256, traslato a Perugia nel 1257. Fra i termini estremi della sua breve esistenza si collocherebbero, così la precoce esperienza religiosa - probabilmente iniziata sui vent'anni, verso il 1235 - con la contemporanea attività letteraria, come la rapida carriera ecclesiastica: a quattro anni dalla nomina a vescovo, Innocenzo IV lo designò (1254) suo legato presso l'imperatore di Nicea Teodoro II relativamente ai problemi dell'unione delle Chiese, progetto avviato alla realizzazione soltanto nella primavera del 1256, dopo la conferma del mandato da parte del nuovo papa Alessandro IV, ma non portato a termine per l'immatura morte di C., sopravvenuta per cause a noi ignote, dopo tre mesi di soggiorno a Salonicco, prima tappa del viaggio - quindi nel tardo autunno. Tuttavia la parte di primo piano avuta da C. nell'iniziativa è un'ulteriore conferma del riconoscimento delle sue capacità, data la delicatezza della missione da svolgere nel complesso groviglio della situazione politica, caratterizzata dal lacerante contrasto fra la nuova istituzione dell'Impero latino (Costantinopoli) e la continuazione della linea tradizionale (Nicea).
Gli interessi letterari di C. rientrano sia nell'ambito storico sia in quello dell'approfondimento dei testi scritturistici, base e sostegno dell'attività tipica dell'Ordine, la predicazione, con tutte le sue implicazioni, dall'insegnamento teologico-filosofico alla polemica dottrinale. In tale ambito si colloca il commento al terzo Vangelo (Postilla super Lucam:1-22), concepito come sussidio per la predicazione e connesso con l'attività didattica anteriore alla nomina a vescovo. Il lavoro non manca di tratti originali nell'impostazione, né di aderenza alla realtà, pur nella sua dipendenza dall'analoga opera di Ugo di Saint-Cher (1234-39).D'estremo interesse l'inserimento, nella trattazione, di brani d'altri scritti affini di C., i Sermones dominicales et quadragesimales (prediche svolte per intero) e i Processus dominicales (semplici schemi), questi ultimi finora del tutto sconosciuti.
Più vasta e duratura, per motivi ben comprensibili, fu la fortuna della Legenda beati Dominici (1246-47:contemporanea alla seconda redazione della biografia francescana di Tommaso da Celano), scritta su invito di Giovanni di Wildeshausen, quarto maestro generale dell'Ordine. Nella lettera prefatoria a lui indirizzata, C. delinea le caratteristiche del lavoro compiuto: innanzi tutto la revisione del materiale raccolto, ivi compresa una seconda legenda (poi identificata con quella scritta nel 1234-39 dallo spagnolo Pietro Ferrandi) integrativa della prima biografia tracciata nel 1231 da Giordano di Sassonia. Il suo contributo consiste in una nuova sistemazione del materiale, sotto il profilo del contenuto - col ricorso a tagli e complementi - e dell'unità stilistica. Siccome gli ampliamenti consistono essenzialmente nell'introduzione di racconti di miracoli, è ovvio che il loro inserimento abbia determinato inevitabilmente il distacco di C. - nonostante le ripetute dichiarazioni circa la critica esercitata sulle testimonianze raccolte - dalla linea di obiettività tenuta presente nell'elaborazione del nucleo originario della legenda. D'altra parte, gl'interessi storici erano secondari in un lavoro destinato ad usi liturgici per la prevalenza d'altri momenti, quali l'edificazione dei lettori e la glorificazione di Dio attraverso la dimensione del "meraviglioso" vissuta dal santo.
Contemporanea e connessa con l'attività d'agiografo di C. fu quella di liturgista, autore dei testi, in versi ritmici, dell'ufficiatura per la festa di S. Domenico (antifone, responsori ed inni), lasciata incompiuta ai primi inizi (1239) dal francescano Giuliano da Spira. In essi C. presenta, nella loro realtà storica e simbolica, i tratti più caratteristici della personalità e dell'opera del fondatore, innanzi tutto la "novità" dell'impostazione pastorale della lotta contro gli eretici nonché dell'esperienza "mendicante" vissuta nell'ortodossia.
Di carattere pastorale è l'ultimo scritto (1253), la lettera che promulga un'indulgenza per le celebrazioni - in S. Domenico d'Orvieto - del martire domenicano Pietro da Verona, canonizzato ad un anno dalla sua morte violenta (1252).
Come scrittore, C. si segnala per coerenza di pensiero e chiarezza espositiva più che per un vero e proprio talento letterario. La sua espressione misurata e corretta, in genere aliena da compiacimenti retorici, avrebbe assicurato all'opera agiografica una fortuna ancor più stabile, se non fosse intervenuta la riforma liturgica del 1259 con la conseguente introduzione d'un testo nuovamente rimaneggiato (operazione attribuita al promotore, il quinto maestro generale Umberto di Romans). Così il momento più importante - anche se non sottolineato finora - della fortuna di C., unico italiano fra i biografi antichi di s. Domenico, finisce per essere l'attenzione rivoltagli da Dante, che attinse ai suoi testi liturgici alcune immagini inserite nel panegirico domenicano del XII del Paradiso, fra cui quelle dell'atleta (v. 56) che lotta con le armi dello spirito e del torrente (v. 99) suscitatore di vita nuova.
L'ed. critica della Legenda beati Dominici, a cura di H. C. Scheeben è in Mon. Ord. praed. hist., XVI (1935), pp. 261-352 (ripresa, nell'introduzione, pp. 264 s., della tesi dell'origine senese); l'analisi sistematica in F. Van Ortroy, Pierre Ferrand et les premiers biographes de Saint-Dominique…, in Anal. Bollandiana, XXX (1911), pp. 27-30; B. Altaner, Der hl. Dominikus..., pp. 56-73.
La lettera pastorale (Litterae indulgentiarum pro eccl. S. Dominici de Urbeveteri in festo S. Petri mart.) è stata edita criticamente da Th. Kaeppeli, Kurze Mitteilungen..., pp. 291 s.
Una ricca scelta - finalizzata a darne una visione esauriente - di estratti dell'inedito commento al Vangelo di Luca è stata pubblicata da C. Cenci, Il Commento... di fr. C. da O. O. P., fonte di s. Bernardino da Siena, in Arch. Franc. hist., LXXIV (1981), pp. 104-143; nella puntuale analisi si presentano inoltre le linee caratteristiche degli altri inediti i Sermones dominicales et quadragesimales (pp. 107, 111, 115) e i Processus dominicales (pp. 130 s., 143 ss.).
Ufficio ritmico:antifone e responsori, a cura di C. Blume, in Analecta hymnica, XXV, Leipzig 1897, n. 85, pp. 239-242; inni, ibid., LII (1909), n. 171, pp. 158 s.; n. 172, p. 159; n. 171, p. 160; F. Van Ortroy, Julien de Spire…, in Anal. Bollandiana, XIX(1900), pp. 328-339; K. Langosch, Julian von Speyer, in Verfasserlexikon, V, Berlin 1955, Pp. 487; C. A. Morberg, Die liturg. Hymnen..., I, Kopenhagen 1947, p. 22; J. Szövérffy, Die Annalen d. lat. Hymnendichtung, II, Berlin 1965, pp. 234 ss.
Fonti e Bibl.: I documenti relativi all'episcopato di C. sono conservati ad Orvieto, nell'Archivio comunale (Gall. c. 57, a. 1251; Dipl., ad annum 1255) ed in quello vescovile (B. c. 13, a. 1255), e nell'Archivio di Stato di Siena (Dipl. S. Salv., ad annum 1254): ed. a cura di L. Fumi, Codice diplomatico della città d'Orvieto, Firenze 1884, n. 301, p. 196; n. 320, p. 203; n. 324, p. 206; n. 326, p. 207. Per le fonti storiche d'ispirazione domenicana cfr. Stephanus de Saloniaco et Bernardus Guidonis, De quatuor in quibus Deus praedicatorum Ordinem insignivit, a cura di Th. Kaeppeli, in Mon. Ord. Praed. hist., XXII (1949), pp. 86 s.; Bernardus Guidonis, Tractatus de tribus gradibus…, in Veterum scriptorum... collectio, a cura di E. Martène-U. Durand, VI, Parisiis 1729, coll. 404 s.; per quelle di deriv. orvietana: Annales Urbev. Cronica antiqua (1161-1313), in Rer. Ital. Script., 2 ed., XV, 5, 2, a cura di L. Fumi, p. 128; Fratris Iohannis dicti Caccia Urbevetani Cronica, a cura di A. M. Viel-P. M. Girardin, Roma-Viterbo 1907, p. 52; Luca di Domenico Manenti, Cronaca (1174-1413), in Rer. Ital. Script., XV, 5, 3, a cura di L. Fumi, p. 304. Sulla linea domenicana si muove ancora S. Razzi, Istoriade gli huomini illustri... de gli predicatori, Lucca 1596, p. 82; poco dopo compare la tradizione dell'origine senese (G. Lombardelli, Commentarius de origine conventus... in urbe Senarum Ord. Praedicatorum, Senae 1607, p. 7; I. Ugurgieri Azzolini, Le pompe sanesi, I, Pistoia 1649, p. 156) presto contestata: F. Marabottini, Catal. episcoporum Urbisveteris..., Urbeveteri 1667, pp. 14 s.; A. Altamura, Bibliothecae Dominicanae incrementum ac prosecutio…, Romae 1677, pp. 2 s.; per la sistemazione definitiva cfr. V. M. Fontana, De Romana Provincia O. P., Romae 1670, p. 336; F. Zazzera, Della nobiltà d'Italia, I, Napoli 161 s, p. 197; F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, I, Venetiis 1717, col. 1470; J. Quétif-J. Echard, Script. Ord. praedicatorum, I, Parisiis 1719, pp. 153 s. (C. discenderebbe dai Medici di Firenze, secondo una notizia falsamente attribuita allo Zazzera); T. M. Marnachi, Annalium Ordinis Praedicatorum volumen primum.... Roma 1765, pp. 37, 42; G. Della Valle, Storia del duomo di Orvieto, Roma 1791, pp. 29 ss.; P. Mothon, Monumenta, in Annal. Ord. praed., IV (1899-1900), pp. 184-191; B. Altaner, Der hl. Dominicus, Breslau 1922, pp. 74-79; Th. Kaeppeli, Kurze Mitteilungen..., in Arch. Fr. praed., X (1940), pp. 288-291; G. Buccolini, Serie critica dei vescovi... di Orvieto, in Bollettino della Deputazione di storia patria per l'Umbria, XXXVIII (1941), pp. 49 s.; Th. Kaeppeli, Scriptores Ord. praed. Medii Aevi, I, Romae 1970, pp. 292-94. Precisazioni sulla missione diplom. in A. Dondaine, "Contra Graecos...", in Arch. Fr. praed., XXI (1951), pp. 385 s.; sono scomparse le tracce del sepolcro perugino e del ritratto settecentesco, con iscrizione, di Siena (Mothon, pp. 184 s.), privo di valore documentario al pari di quello, coevo, di Orvieto, restaurato: C. A. Calistri, La serie dei vescovi orvietani già dipinta..., in Boll. d. Ist. storico-artistico orv., XXII (1966), pp. 62 s., 71. Più in generale: T. Masetti, Monumenta et antiquitates... Ordinis Praedicatorum..., I, Roma 1862, pp. 181 ss.; R. F. Bennet, The early Dominicans, Cambridge 1937, pp. 19, 47; A. Walz, Compendium historiae Ord. praedicatorum, Roma 1947, pp. 139, 141, 164, 205, 247; D. Waley, Medieval Orvieto, Cambridge 1952, p. 93; M. H. Vicaire, Histoire de saint Dominique, I, Paris 1957, pp. 7 s., 89-194; M. Petrocchi, Correnti e linee della spiritualità umbra e ital. del Duecento, in Filosofia e cultura..., Atti d. IV Conv. di studi umbri - Gubbio... 1966, Perugia 1967, p. 167; G. R. Sarolli, Domenico, santo, in Enc. Dantesca, II, Roma 1970, p. 548.