DORIA, Costantino
Nacque a Trieste il 16 ott. 1862 da cospicua famiglia d'origine veneta, trapiantatasi nel sec. XVIII in Istria e poi a Trieste, figlio di Matteo e di Anna Papadopulo. Fin dagli anni dell'adolescenza fece parte di associazioni e di gruppi irredentistici, ebbe rapporti d'amicizia con G. Oberdan, e a Graz fu al centro del movimento degli studenti universitari italiani. Nel 1882 venne eletto presidente del Gabinetto di lettura, frequentato appunto da studenti, e in occasione d'una manifestazione tenuta per la morte di Garibaldi, subì il suo primo processo politico.
Compiuti gli studi al politecnico di Graz nell'84, entrò nello Stabilimento tecnico triestino per un biennio di tirocinio, quindi passò a dirigere la fabbrica di caldaie dell'inglese T. Holt, mostrandosi valente tecnico e amministratore. Fu insegnante di meccanica all'istituto industriale, poi con l'ing. E. Oblach costituì un'impresa di costruzioni ferroviarie, portuali e industriali. Progettò edifici per banche a Trieste, Monfalcone e Postumia, poi assunse importanti responsabilità politiche e amministrative. Dapprima fu tra i fondatori della Società alpina delle Giulie, dell'Associazione ginnastica triestina e presidente della Società delle regate, diventò stretto collaboratore di F. Venezian ed entrò a far parte della direzione del Partito liberale nazionale, contribuendo in modo decisivo alla sua schiacciante affermazione nelle elezioni per il Consiglio comunale nel 1886.
Ebbe qualche parte nella cospirazione clandestina del Comitato dell'Alpe Giulia, ma si batté apertamente per l'affermazione della scuola italiana con la Lega nazionale, sorta dopo lo scioglimento imposto dalle autorità alla Pro Patria. Nel novembre 1894 fu l'anima del grande raduno dei podestà dell'Istria, che a Trieste protestarono contro l'imposizione di tabelle bilingui agli uffici governativi e contro l'intervento militare effettuato a Pirano. Da poco, nello stesso anno, s'era unito in matrimonio con Nella Cambon, donna colta e sensibile, animatrice del salotto Doria, dove convennero per anni gli intellettuali più in vista, le personalità di passaggio, politici e artisti, ospitati in un ambiente pregno di patriottismo.
Fu rieletto costantemente al Consiglio comunale; nel 1900, candidato del Partito del progresso, veniva presentato agli elettori da F. Venezian come "l'uomo che nel momento solenne del pericolo sa tenere con energia e con fede il bastone del comando, per tornare modesto ed umile gregario appena il pericolo è scomparso". Fu eletto allora, secondo dopo C. Combi, con 259 Voti su 298 votanti nel I collegio. Favorì l'istituzione dei ricreatori comunali e di palestre, realizzò il grande ospedale psichiatrico, promosse pure l'esplorazione delle grotte carsiche e perciò la Stazione metereologica sotterranea della grotta Gigante porta ora il suo nome. Alla morte di F. Venezian (settembre 1908), egli ebbe l'autorizzazione a coprirne la salma col tricolore; segui un imponente corteo che attraversò tutta la città.
Fallirono i tentativi messi in atto dal luogotenente Hohenlohe di attirare nell'orbita governativa alcuni esponenti liberali, fra i quali il D. che godeva della sua stima. Eletto nel '13 podestà A. Valerio, il D. e I. Brocchi furono vicepodestà; insieme si adoperarono per frenare l'invadenza slovena e difendere gli interessi degli Italiani allo scoppio della guerra.
All'inizio del conflitto il D. creò prima il corpo volontario dei vigili del fuoco, poi il Comitato di assistenza pubblica, e favori pure il passaggio della frontiera da parte di giovani che intendevano arruolarsi come volontari nell'esercito italiano. Ma il Consiglio comunale fu sciolto e il Comune sottoposto all'autorità militare; il D., già tenuto sotto controllo poliziesco, fu inviato al confino con la famiglia, dapprima nel campo di Wagna, poi a Vienna.
Fin dall'anteguerra, egli non aveva esitato a svolgere attività di spionaggio a favore dell'Italia, inviando notizie sui sommergibili germanici montati a Pola e su movimenti di truppe, e nell'aprile 1915 aveva accompagnato un ufficiale italiano da Plezzo a Pola e a Fiume, nell'intento di raccogliere notizie militari. A Vienna, con crescente rischio, egli continuò a raccogliere informazioni, anche attraverso il dalmata M. Baylon medico di corte e, con l'aiuto del figlio e della nunziatura apostolica, fece giungere utili notizie all'Ufficio operazioni del comando supremo italiano. Venne sospettato dalla polizia e subì qualche controllo, ma evitò peggiori conseguenze per la benevolenza del principe K. Hohenlohe-Schillingsfürst e del barone von Höfft; gli fu però impedito di recarsi a Trieste, dove sua madre era morente. Con la salita al trono di Carlo I (novembre 1916) vennero mitigate le inisure a carico dei sospettati politici, e nel 1918 la casa viennese del D. divenne luogo d'incontro dei deputati italiani al Parlamento. Qui Gasser, Rizzi, Malfatti, Ussai e Conci stilarono la dichiarazione letta da quest'ultimo alla Camera austriaca il 26 ott. 1918, con la quale si considerava decaduta la sovranità degli Asburgo sul Trentino e la Venezia Giulia.
Ritornato a Trieste alla fine del conflitto e riportato al Comune col podestà A. Valerio, egli assistette alla fuga delle autorità austriache, ricevette al suo arrivo il gen. I. Petitti di Roreto, partecipò al rito dell'offerta delle armi vittoriose davanti a S. Giusto, commemorò per primo i volontari caduti, accompagnò il re e il duca d'Aosta nelle prime visite a Trieste e col Valerio ricevette le insegne di commendatore dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro.
Nel dopoguerra promosse la ricostituzione della società Ginnastica triestina e organizzò nel '19 le onoranze al fante. Svolse intensa attività per mantenere la flotta mercantile giuliana all'Italia, contribuì alla ripresa edilizia, all'attivazione del Cantiere navale Scoglio Olivi di Pola e dello Stabilimento Adria-Solvay di Monfalcone, e fu nominato direttore dello Stabilimento tecnico triestino. Offrì ancora la sua opera al Comune, alle organizzazioni sportive e restò nel consiglio della Lega nazionale. Al declino delle forze fisiche, seguì una lunga malattia che lo trasse a morte a Trieste il 6 nov. 1930.
Fonti e Bibl.: S. Benco, Gli ultimi anni della dominazione austriaca a Trieste, Milano 1919, II, pp. 48 ss., 76; III, pp. 81-99 passim; A. Tamaro, Storia di Trieste, Roma 1924, II, pp. 292-305, 324, 341; E. Marcuzzi, Un capo dell'irredentismo giuliano: C. D., Trieste 1933; G. Pitacco, Avvenimenti di vita triestina (1925-1933), Roma 1936, pp. 218 s. (parole del podestà ai funerali del D.); M. Alberti, Irredentismo senza romanticismi, Como 1936, pp. 124 ss.; R. Alessi, Trieste viva, fatti - uomini - pensieri, Roma 1954, pp. 141-146; C. Pagnini-M. Cecovini, I cent'anni della società Ginnastica triestina, V, Trieste 1963, pp. 87, 151 s., 157, 165; M. Nordio, C. D., in Porta orientale, n. s., IV (1968), pp. 290-299; G. Baroni, Trieste exit, irredentismo consentimento, Trieste 1979, pp. 187, 275, 334 s., 351, 393, 411, 429, 434 ss., 479.