Costantino e Costantinopoli sotto Mehmed II
L’eredità costantiniana dopo la conquista ottomana di Costantinopoli
Il 29 maggio 1453 segna la caduta di un impero e l’atto di fondazione di un altro. Solo a partire da questa data infatti si usa definire l’emirato ottomano un impero, dopo oltre un secolo e mezzo di convivenza con Bisanzio, con cui non erano mancati gli scambi e gli scontri oltre ai conflitti. Mehmed II Fatih compie con la conquista di Costantinopoli – capitale imperiale par excellence – un passo decisivo nel processo di centralizzazione del potere in atto da un cinquantennio nell’emirato ottomano. Inoltre, a partire da questa data il sultano è legittimato a considerarsi erede per conquista dell’autorità imperiale bizantina e dunque a reclamare i territori appartenuti all’impero caduto. Sotto Mehmed II si afferma così un’ideologia imperiale che incontra non pochi nemici all’interno del mondo ottomano e che trova espressione in una nuova rappresentazione del sovrano e della capitale. Tale progetto imperiale è influenzato anche, ma non solo, dal modello bizantino e dalla figura di Costantino1.
Sin dalle sue origini, l’emirato ottomano ha frequenti contatti con il mondo bizantino, collocato com’è vicino al cuore dell’impero, in Bitinia. Le relazioni diplomatiche e le ambascerie con gli imperatori di Bisanzio sono invariabilmente descritte nelle fonti bizantine come relazioni asimmetriche, in cui l’emiro ottomano è figlio e subordinato al padre, il basileus, secondo una terminologia già adottata dai selgiuchidi nelle relazioni con Bisanzio. Una rottura di questo ‘equilibrio asimmetrico’ si ha con Beyazid I (1389-1402), il primo sovrano ottomano ad assumere il titolo di ‘sultano di Rum’, nonché il primo a elaborare un disegno centralizzatore e un’ambizione imperiale, culminati nell’assedio di Costantinopoli del 1399. Il progetto di Beyazid è bruscamente interrotto dalla rovinosa sconfitta subita ad Ankara nel 1402 per opera delle forze mongole di Timur Leng (Tamerlano). Al ritratto negativo di Beyazid nelle fonti bizantine e ottomane si aggiunge una critica specifica, mossagli in particolare da Ahmedi, autore del primo specchio per principi della letteratura ottomana, l’Iskendernāme2. Il sultano è additato come un esempio negativo e la sconfitta di Ankara rappresenta anche la sconfitta di un modello politico. Beyazid è infatti accusato di aver abbandonato l’ethos della ghaza – la guerra in nome della fede – avendo adottato ambizioni imperiali sul modello bizantino e selgiuchide e avendo osato combattere gli altri emirati anatolici di fede islamica con l’aiuto di truppe cristiane3.
Il modello propugnato da Beyazid viene ripreso cinquant’anni dopo da Mehmed II, il quale considera la conquista di Costantinopoli un passaggio essenziale per l’affermazione del progetto imperiale ottomano. L’ideologia politica bizantina si era sempre retta sul primato indiscusso di Costantinopoli4, centro politico e spirituale di un impero universale ed eterno, esso stesso percepito come centro del mondo. Mehmed si rifà al modello imperiale bizantino – ma senza che ciò risulti in un’ideologia ufficialmente codificata – eleggendo Costantinopoli makarr-ı saltanat («sede del sultanato») dopo Bursa e Edirne, la città dei ‘signori della frontiera’, i ghazi. Come vedremo, tale scelta non è accettata pacificamente nell’impero ed è messa in discussione fino alla fine del regno di Mehmed.
Un preciso segno di continuità si osserva nel fatto che la capitale conserva l’antico nome: nei documenti ottomani ufficiali più antichi incontriamo sempre Kostantiniyye, affiancato da Istanbul, termine greco anch’esso. Secondo una tradizione armena riportata da Abraham di Ankara, Mehmed avrebbe deformato il nome della città in Islambol (‘abbondante di islam’), utilizzando l’assonanza con l’espressione eis tin polin5. Come per Costantino, anche per Mehmed la translatio imperii coincide con lo spostamento del centro dell’impero e con la rifondazione di Costantinopoli, rifondata in quanto eletta nuova capitale dell’impero. E come per Costantino anche per Mehmed la rifondazione della Polis – Costantinopoli, la ‘città’ per antonomasia – coincide con una conversione, dal paganesimo al cristianesimo per il primo, e dal cristianesimo all’islam per il secondo. Infine, come per Costantino, la conversione è seguita da un provvedimento (ferman) che assicura la libertà di culto ai cristiani di Galata e poi dal ristabilimento del patriarcato ortodosso sotto la guida di Giorgio Gennadio Scolario.
Le connotazioni religiose dalla conquista di Costantinopoli sono innegabili: la città era stata ambita e concupita per secoli da molte potenze; inoltre, la sua conquista per mano islamica è frequentemente preconizzata nelle fonti arabe ed è già annunciata in ḥadît attribuiti al Profeta: «Conquisterete Costantinopoli, poi farete un’incursione contro Roma e Dio vi darà la vittoria, perché se ciò non fosse vero io sarei presso di Lui tra coloro che dicono menzogne» e ancora: «Certo conquisteranno Costantinopoli e il suo principe sarà un principe fortunato e l’esercito che la conquisterà un esercito eccellente»6.
Secondo la consuetudine islamica, Costantinopoli viene saccheggiata per tre giorni in quanto non ha accettato la resa ed è stata conquistata con la forza. Per giustificare il fatto che molti luoghi fossero stati risparmiati durante il sacco, era dunque necessario agli storici ottomani elaborare una versione dei fatti alternativa, secondo cui un soldato bizantino durante l’assedio avrebbe proditoriamente consegnato Costantinopoli agli assedianti aprendo un varco lungo le mura. Questa tradizione sarà poi riutilizzata dal patriarcato nel XVI secolo affinché le chiese cristiane della capitale non vengano espropriate e trasformate in moschee.
Tuttavia, Mehmed non può dirsi pienamente erede dell’autorità religiosa islamica. Avendo conquistato la capitale di un impero cristiano assurge al rango di ‘campione dei ghazi’; è però solo con la conquista del sultanato mamelucco sotto Selim I (1517) e con il conseguente arrivo a Istanbul di reliquie islamiche – ma anche cristiane – che il sultano ottomano potrà dichiararsi ‘Servitore dei due nobili santuari’ (Mecca e Medina). Dopo la conquista di Baghdad nel 1534 sotto Süleyman (1520-1566), il sultano diventerà anche ‘califfo di tutti i musulmani’, legittimando così la superiorità sulle altre terre del dār al-Islām («casa dell’Islam»). La conquista di Costantinopoli permette invece a Mehmed II di giustificare il proprio potere temporale sui territori non islamici inclusi nei domini ottomani, Memâlik-i Mahrûse-i Osmanî («le terre ben protette degli ottomani»), in quanto erede per conquista dell’impero bizantino. Il sultano raccoglie quindi l’eredità politica della Nuova Roma, ma non quella religiosa della Nuova Gerusalemme.
In questo contesto, è molto significativo l’utilizzo di titoli bizantini nei documenti sultaniali redatti nella cancelleria imperiale, che per tutto il regno di Mehmed utilizza il greco nella corrispondenza diplomatica con le potenze occidentali e nei rapporti con le comunità latine e ortodosse dell’impero. Quella di usare il greco negli scambi con ortodossi e latini è una pratica in uso da tempo anche in altre cancellerie islamiche, ma solo con Mehmed essa si attesta con regolarità ed è sostenuta da un preciso richiamo all’eredità bizantina nelle titolature7. Se infatti fino a Mehmed II l’unico titolo di origine greca in uso è authentes, signore, (da cui il turco efendi), a partire dal 1453 il sultano si definisce anche basileus e autokrator. Nei documenti ottomani il titulus di Mehmed è ulṭān al-barrayn wa-al-baḥrayn, («sultano dei due continenti e dei due mari», rispettivamente Rumelia e Anatolia, cioè Europa e Asia, e Mar Nero e Mar Bianco, cioè il Mediterraneo); ṣāḥib-i Ḳırān («Signore della fortunata congiunzione»), titolo di origine timuride utilizzato per esprimere la sovranità universale e l’invincibilità in battaglia; hünkâr, ovvero imperatore8; infine, kayser-i Rum9, letteralmente «Cesare dei Romei», titolo che Mehmed non riconosce all’ultimo imperatore di Bisanzio, Costantino XI Paleologo, e arroga a sé. Kayser-i Rum è l’epiteto generalmente adottato dalle fonti arabe per indicare gli imperatori bizantini e sarà utilizzato nelle titolature dei sultani ottomani fino alla fine dell’impero. Critobulo di Imbro, nell’epistola dedicatoria della sua narrazione storica che copre il regno di Mehmed II, si rivolge al sultano come a un αὐτοκράτωρι μεγίστῳ, βασιλεῖ βασιλέων Μεχμέτει, εὐτυχεῖ, νικητῇ, τροπαιούχῳ, θριαμβευτῇ, ἀηττήτῳ, κυρίῳ γῆς καὶ θαλάσσης θεοῦ θελήματι («grandissimo imperatore, re dei re Mehmed, fortunato, vincitore, portatore di trofei, trionfatore, invincibile, signore della terra e del mare per volere divino»)10. Si osservi la compresenza di una formula di ascendenza persiana, e cioè ‘re dei re’ (in persiano şahinşah, titolo ufficialmente adottato a partire dal 1514 dopo la vittoria sui Safavidi) e di titoli imperiali romani di età costantiniana, equivalenti degli epiteti felix, victor, triumphator, invictus, che manifestano le ambizioni ecumeniche del neonato impero. Pur segnando una discontinuità dal punto di vista religioso rispetto all’Impero romano cristiano d’Oriente, basileia Rhōmaiōn, l’impero ottomano vi si richiama rispetto alla ‘romanità’, considerandosene legittimo erede politico.
Sarebbe tuttavia fuorviante considerare il modello imperiale ottomano come esclusivamente influenzato da quello bizantino. Esso ne riprende anzi alcuni aspetti e per breve tempo, rimanendo circoscritto al regno di Mehmed II. Osservata sul lungo periodo, la sovranità ottomana si configura come una particolare sintesi del fondo turco centro-asiatico, evidente per esempio nel principio di successione dinastica ottomano, in cui è assente la pratica di designare un erede mentre il sultano è ancora in vita; dell’identità musulmana, mediata dalla cultura arabo-persiana; infine dell’elemento bizantino, ravvisabile per esempio nella nozione di unicità e universalità dell’impero11. Tuttavia, restano con quest’ultimo alcune differenze fondamentali: se l’ecumene bizantina era sempre stata regolata dal diritto romano, all’interno di un unico ordine giuridico fondante l’unità imperiale, l’Impero ottomano lascia ampia autonomia legislativa alle comunità confessionali. Inoltre, mentre il basileus era il legislatore par excellence e incarnazione della legge (nomos empsychos), il sultano ottomano è ben più limitato nell’azione legislativa dalla presenza dei millet, le comunità confessionali incluse all’interno dell’impero. Per alcuni istituti ottomani sono state avanzate possibili analogie con equivalenti bizantini, come per esempio per il timar ottomano, il sistema di concessione di terre alle aristocrazie in cambio di servizi militari, pratica che riprende l’istituto della pronoia bizantina. Un altro fenomeno degno di rilievo è la presenza di molti membri discendenti dalle élites bizantine nell’amministrazione ottomana, almeno fino alla metà del XVI secolo, tanto che quasi tutti i visir e i gran visir di Mehmed II e Beyazid II sono cristiani rinnegati o convertiti di origine greca e balcanica.
Dietro questi provvedimenti si intravedono motivazioni di tipo sia pragmatico sia ideologico. Poiché fino al regno di Selim I l’impero ottomano comprende terre prevalentemente non islamiche, l’integrazione dell’elemento cristiano nel palazzo ottomano appare come una necessità ineludibile. D’altro canto, l’inclusione dell’elemento bizantino nell’apparato amministrativo ottomano ha certamente anche una connotazione ideologica nel segno della continuità con l’impero caduto, seppur limitatamente al regno di Mehmed II. Il dibattito storiografico novecentesco sulla minore o maggiore influenza delle istituzioni bizantine su quelle ottomane non è mai stato scevro da implicazioni politiche e si è polarizzato in direzione o di una recisa negazione di tali influenze o al contrario di un acritico continuismo12.
I richiami al passato romano-bizantino rientrano in un progetto di legittimazione politica, ma non fanno di Mehmed – come è stato a volte detto – una sorta di principe ‘rinascimentale’13. Una delle prime scelte compiute dopo il 29 maggio 1453 dal sultano, ormai basileus a tutti gli effetti, è quella di eliminare il visir Çandarlı Halil, sostenitore del partito filo-bizantino e potenziale concorrente nella costruzione di una nuova immagine imperiale per la città e il suo sultano. Il progetto imperiale tuttavia non incontra fortuna né tra i contemporanei né tra i discendenti di Mehmed, con poche eccezioni. Le tensioni anti-centralistiche espresse nelle fonti ottomane attraverso critiche più o meno velate al sultano, che abbiamo già osservato nel caso di Beyazid I, attraversano infatti l’impero alla morte del Conquistatore nel 1481. In quell’occasione la lotta tra i due rivali al trono, Cem e Beyazid, si gioca ancora una volta sul problematico ruolo svolto da Costantinopoli/Kostantiniyye. Non casualmente alcune fonti ottomane – per esempio il Ṣaltuḳnāme di Ebū’l-ḫayr-i Rūmī – raccontano come Cem intendesse restituire il ruolo di capitale a Edirne, l’antica città dei ghazi e capitale di frontiera, recidendo così la prossimità, sia fisica sia simbolica, con la città di Costantino. Ad avere la meglio tra i due è Beyazid II, il quale invece prosegue il processo di centralizzazione e sacralizzazione del potere ottomano, riducendo però sensibilmente la partecipazione delle élites greco-bizantine alla gestione del potere14.
Del resto, tra le potenze del dār al-Islām non sono esclusivamente gli ottomani a reclamare il legame con il passato bizantino. Tra XV e XVI secolo si affacciano sulla scena due temibili sfidanti dell’Impero ottomano, Uzun Hasan e suo nipote Ismail, i quali dichiarano entrambi una parentela con i sovrani bizantini. Uzun Hasan, capo della confederazione turcomanna degli akkoyunlu («quelli del montone bianco»), è genero dell’imperatore di Trebisonda Giovanni IV Comneno, avendone sposato nel 1458 la figlia Teodora Comnena, nota anche come Despina Hatun. Dall’unione nasce colei che avrebbe sposato lo şah di Persia Haydar e da cui sarebbe nato Ismail, fondatore della dinastia safavide. La lotta degli ottomani contro gli akkoyunlu e poi contro i safavidi coinvolge dunque le rispettive ambizioni imperiali e prende le forme di una competizione tra rivali per legittimarsi come eredi del Kayser-i Rum.
Nell’ideologia bizantina l’impero è pensato come unico, universale e perenne15. La caduta della Polis e di fatto la fine dell’Impero dei romei sono quindi percepite come eventi ‘inimmaginabili’, o perlomeno difficili da giustificare. Nelle fonti bizantine di XV secolo sono individuabili tre atteggiamenti di fondo nei confronti della caduta dell’impero. Il primo nega ogni legittimità al nuovo dominatore, considerato come un usurpatore e un tyrannos; un altro atteggiamento cerca un accomodamento con il nuovo potere, spiegando la fine dell’impero, e l’imminente fine del mondo, come punizione per i peccati e le divisioni interne al mondo cristiano. Infine, una terza posizione è quella legittimista, che presenta Mehmed come naturale erede dell’autorità imperiale bizantina.
A sostenere la prima visione è lo storico Ducas, secondo cui Mehmed II non sarebbe un basileus ma un usurpatore, un tyrannos, sovrano di un regime illegittimo e tirannico. Condividono tale concezione anche un buon numero di umanisti italiani e intellettuali greci emigrati in Italia che sostengono la crociata anti-turca: ricordiamo gli italiani Lauro Quirini e Francesco Filelfo, e tra i greci Bessarione in primis, ma anche Michele Apostolis, il quale lancia un appello contro il Turco in un’epistola a Federico III16. In queste testimonianze la figura di Costantino Magno è collegata al suo sfortunato omonimo Costantino XI, ultimo imperatore dei romei. La città di Costantino è perduta da un altro Costantino e come riportano molte tradizioni greche essa potrà essere recuperata solo da un altro Costantino. Mehmed è completamente escluso da questa linea di successione e si configura piuttosto come un anti-Costantino, non rifondatore della Polis e di un impero millenario, ma barbarico e ferino distruttore, degno rappresentante della stirpe turca.
Una posizione sostanzialmente diversa è quella adottata da Gennadio Scolario, primo patriarca ortodosso della Turcocrazia, e dalla cerchia di intellettuali bizantini che rimangono a Costantinopoli dopo il 1453, accomunati dall’antilatinismo e dalla vicinanza al patriarcato ortodosso. Gennadio attribuisce la responsabilità ultima della fine dell’impero non ai turchi, ma alle divisioni interne e ai peccati in cui è caduto il mondo cristiano. La fine di Bisanzio annuncia la fine del mondo e a rinsaldare questa proiezione escatologica contribuisce anche l’imminenza dell’anno 7000 dell’era bizantina, che secondo alcune tradizioni apocalittiche avrebbe appunto coinciso con la fine dei tempi. Quella di Gennadio è una posizione conciliante che, pur non approvando apertamente la dominazione ottomana, la legittima implicitamente e giustifica quindi anche la posizione del patriarcato ecumenico, ormai divenuto ‘una Chiesa senza Impero’. Ritroviamo questo atteggiamento pragmatico anche in alcune cronache prodotte in ambiente patriarcale nella seconda metà del XVI secolo: l’Ekthesis Chronika, l’Historia Politica e l’ Historia Patriarchica.
Le attese millenaristiche e i discorsi apocalittici sono ricorrenti nella sensibilità bizantina del Quattrocento. Secondo Isidoro di Kiev per esempio, la vittoria di Mehmed equivale alla venuta dell’Anticristo. In alcuni casi però, sempre nell’ambiente patriarcale, si afferma la fiduciosa sicurezza nella restaurazione dell’impero. È il topos del ritorno del re, diffusosi ampiamente anche nella tradizione popolare greca. Nel Povest’ o Car’grade (Racconto di Costantinopoli) di Nestor Iskender, autore russo che partecipa all’assedio del 1453 nei ranghi dell’esercito turco, si incontra una sezione sulla fondazione di Costantinopoli, quasi certamente interpolata nel XVI secolo. Secondo la leggenda, al momento della fondazione della città Costantino vede un’aquila afferrare un serpente, che però la ferisce. Caduti al suolo entrambi, alcuni uomini liberano l’aquila e uccidono il serpente. Interrogati i saggi, Costantino apprende che i cristiani, simboleggiati dall’aquila, avrebbero un giorno definitivamente sconfitto gli infedeli nella nuova città da lui fondata, dopo un lungo periodo di sottomissione. Tuttavia un altro autore russo, Ivan Peresvetov, scriverà nel 1547 una biografia di Mehmed II dedicata al giovane czar Ivan IV ‘il Terribile’, in cui il sultano è presentato come un modello di giustizia e magnanimità da emulare17.
Un terzo giudizio riguardo alla ‘romanità’ dell’Impero ottomano è la posizione legittimista degli storici Michele Critobulo e Laonico Calcondila, l’unica che istituisca un nesso diretto tra Costantino e Mehmed II. Per Laonico Calcondila, legato al circolo di Mistrà animato dall’insegnamento di Giorgio Gemisto Pletone, la conquista ottomana di Costantinopoli non è una ‘seconda morte di Omero e Platone’, ma al contrario è la possibilità di una rinascita dell’Ellenismo. La fine di Bisanzio è riscattata dalla superiorità della cultura greca che avrebbe conquistato anche gli ottomani, come un tempo la Grecia aveva saputo civilizzare Roma. Bisanzio stessa viene presentata da Calcondila come il risultato della definitiva ellenizzazione dell’Impero romano tramite lo spostamento della capitale a Costantinopoli, suggerendo quindi un’analogia tra l’età di Costantino e gli eventi contemporanei18. Anche Michele Critobulo legittima la translatio imperii operata dal sultano sostenendola con motivazioni ulteriori19. Mehmed è basileus per diritto di conquista e per la superiorità dimostrata sui bizantini in termini di organizzazione militare e politica. Per Critobulo inoltre, la stirpe ottomana è naturale erede dell’Impero bizantino: richiamandosi alla tradizionale equivalenza tra turchi e persiani, comune nelle fonti bizantine, fa discendere i primi dagli achemenidi, il cui capostipite fu il greco Perseo. I turchi sarebbero quindi di origine greca, degni eredi della grecità classica e bizantina; Mehmed in particolare è da Critobulo spesso accostato ad Alessandro Magno, massimo modello di regalità nella tradizione letteraria turco-persiana. Del resto anche lo pseudo-Sfrantze, pur certamente non attestandosi su posizioni filoturche, rintraccia una discendenza comnena per gli ottomani20. Infine Giorgio Amirutze, uno dei maggiori intellettuali rimasti a Costantinopoli dopo la caduta, in alcuni poemetti panegirici e in un’orazione funebre per Mehmed II sottolinea il tema della κληρονομία, ovvero della legittimità del sultano come erede degli imperatori di Bisanzio, definendolo tra l’altro ἄναξ, βασιλεὺς τρισαριστεὺς μέγας, ῾Ελλήνων κύριος καὶ βασιλεύς, ‛Ρωμαίων ἀρχηγός («Signore, grande re tre volte eccellente, signore re dei Greci, re dei Romani»)21. Abbandonando la concezione dell’eternità dell’impero, Amirutze ammette che nel quadro della naturale successione degli imperi, Mehmed è in quel momento il migliore e il più potente dei sovrani, un’idea che ritornerà anche in un’epistola del filosofo trapezuntino a Bessarione22.
Le fonti ottomane sono generalmente silenziose riguardo alla storia bizantina e i rari accenni che ne fanno riprendono solo sporadicamente e non fedelmente le fonti arabe, le quali al contrario guardano spesso a Costantinopoli e alle sue origini. Nelle fonti ottomane posteriori al 1453 assistiamo a un’invenzione del passato bizantino, totalmente riplasmato e adattato alle necessità del dibattito interno sulla natura dell’impero, una questione assai problematica nella società ottomana della seconda metà del XV secolo. Nel Dürr-i meknun23 di Ahmed Bıcan Yazıcıoğlu di Gelibolu (Gallipoli), opera cosmografica in prosa della metà del XV secolo, sono menzionati per la prima volta Yanko bin Madyan, il quale nelle fonti arabe è il primo leggendario fondatore di Costantinopoli24, e la maledizione che graverebbe sulla città. Il Dürr-i meknun fu sicuramente una delle fonti di una cronaca anonima ottomana che si arresta nel 1491, la quale riporta tradizioni leggendarie sulla fondazione di Costantinopoli in chiave anti-imperiale, conservata in una sessantina di manoscritti turchi e in più redazioni. In risposta a questa visione negativa di Mehmed II e dell’eredità bizantina – non a caso la cronaca rimarrà sempre anonima – negli stessi anni nella corte ottomana viene tradotta dal greco e adattata in chiave filo-imperiale la ‘Narrazione della costruzione di Santa Sofia’, componimento incluso nei Patria bizantini, raccolta stratificata di storie e tradizioni su Costantinopoli. In entrambe le tradizioni, che si confronteranno e scontreranno fino alla fine del XVI secolo, non sono pochi i riferimenti a Costantino, in quanto rifondatore di Costantinopoli e per alcuni committente della Santa Sofia25.
Nella cronaca anonima anti-imperiale, la vicenda di Qostantin bin Alaniye («Costantino figlio di Elena») si svolge al tempo di Gesù. Figlio di Buzantin, re maledetto sotto il cui regno scoppia un’epidemia che annienta la popolazione di Costantinopoli, Costantino progetta la ricostruzione della città, progetto che incontra però l’opposizione di Eraclio, Cesare di Roma. Dopo essersi rifugiato in Egitto e aver sconfitto Eraclio, Costantino ne sposa la figlia, Asafiya (conflazione di Ayasofya – denominazione turca di Santa Sofia – e Asaf bin Barahiya – che nella tradizione islamica è il visir di Salomone ed è reputato il fondatore della Santa Sofia) e rifonda con lei la città, costruendo tra l’altro la colonna serpentina, talismano e oggetto apotropaico venerato dagli ottomani. Alla morte di Asafiya Costantino ordina la costruzione della chiesa di Santa Sofia, la quale però non sarà mai completata a causa della misteriosa sparizione dell’architetto incaricato del progetto. Quando finalmente la chiesa viene terminata con enorme dispendio di risorse, Costantino perde il senno, costruisce una statua equestre (la statua di Giustiniano dell’Augustaion) e una colonna crucifera, e dopo averla issata muore, precipitando nel fuoco infernale. Secondo questa tradizione anti-costantiniana non solo Yanko bin Madyan è di origine ungherese, ma lo è anche il successore Buzantin, padre di Costantino, anch’egli dunque non romano. Nella seconda metà del XV secolo il regno d’Ungheria retto da Mattia Corvino è tra i nemici più temibili degli ottomani, per cui non appare casuale la scelta di associarvi un personaggio connotato così negativamente come Costantino. In ogni caso, viene recisamente negata l’origine romana di Costantino e il binomio Roma-Costantinopoli, rifiutando quindi la continuità tra i due Imperi e le due città. Costantino è l’ultimo di una serie di re maledetti, dopo Yanko bin Madyan e il padre Buzantin, e capostipite degli imperatori di Bisanzio, anch’essi non immuni dalla maledizione. In queste tradizioni anonime anti-imperiali infatti la rifondazione costantiniana è segnata da elementi sinistri, tanto da potersi leggere come un anti-modello per la rifondazione ottomana della città in corso in quegli anni. Le difficoltà nella costruzione di Santa Sofia; le enormi ricchezze investite; l’introduzione di statue antropomorfe, paganeggianti e idolatre; infine la morte tragica di Costantino potevano, e dovevano, suonare come un severo monito per il sultano a non seguire il modello della regalità costantiniana. Proprio in quegli anni invece, Mehmed si muove in quella direzione, costruendo un’immagine imperiale e allontanandosi dallo spirito della ghaza che aveva animato le prime conquiste di un emirato policentrico e ancora in via di sedentarizzazione. Nella cronaca anonima infatti la renovatio imperiale operata da Mehmed è spesso oggetto di critica ed è equiparata – in senso negativo – a quella di Costantino, non certo a quella di un campione della fede islamica.
Se alcuni storici dell’epoca adottano la stessa voce critica espressa nelle cronache anonime – è il caso di Āşıḳpaşazāde e di Oruç bey – altri invece sostengono l’operato di Mehmed II e il recupero dell’eredità bizantina. Nel 1479 il sultano ordina al derviscio Ak Şemsüddin un adattamento dal greco in persiano del ‘Racconto sulla costruzione della grande Chiesa di Dio, chiamata Santa Sofia’, contenuta nei Patria costantinopolitani26. Ak Şemsüddin aggiunge un preambolo sulla fondazione di Costantinopoli alla traduzione e la adatta alle esigenze del sultano. Mentre la costruzione dell’ippodromo è attribuita a Costantino, non c’è traccia della tradizione, pure presente in alcune fonti bizantine, di una fondazione originaria di Santa Sofia a opera di Costantino, tradizione sviluppatasi a partire dalla presenza di una basilica costantiniana che sorgeva dove poi sarebbe sorta Santa Sofia. Ak Şemsüddin fa confluire l’incendio della basilica costantiniana a opera degli ariani sotto Teodosio (379-395 d.C.) e la rivolta di Nika sotto Giustiniano (532 d.C.) in un unico evento, facendo apparire la fondazione di Santa Sofia come la vittoria sull’eresia e il paganesimo e il simbolo della potenza universale dell’Impero bizantino, che il sultano-basileus è pronto a raccogliere. Gli şehnāmeci («storici di corte») di Mehmed e Beyazid II, Tursun bey, Kemālpaşazāde e Idris-i Bitlisi, inseriranno tutti nelle loro narrazioni storiche questa versione filo-imperiale ispirata dai Patria, in cui Costantino, non più imperatore ungherese ma romano, è con Giustiniano un modello del tutto positivo per il sultano. Celebrando le gesta di Mehmed in un fethnāme, lo storico Kıvami arriva a dichiarare che lo stesso Costantino sarebbe stato musulmano: un’equivalenza perfetta quindi con il nuovo Costantino27. Mehmed supera tutti i predecessori in quanto restauratore della vera fede (islamica) a Costantinopoli, fede che aveva abitato la città sin dagli inizi, attraverso due personaggi ben noti, Eyüp e Maslama. Nella narrazione filo-imperiale infatti ampio spazio è dedicato al ritrovamento nel 1458 della sepoltura di Abu Eyüb al-Ansâri, compagno di Maometto nel primo assedio di Costantinopoli (668-669), e alla storia di Maslama, che aveva guidato il grande assedio del 715-717 e che in quell’occasione avrebbe fondato una moschea, ancora esistente in epoca paleologa28.
Sia le cronache anonime sia le storie ufficiali associano, come abbiamo visto, la fondazione di Costantinopoli alla figura di Costantino. La provenienza di quest’ultimo è collocata dalle fonti filo-imperiali a Roma, allo scopo di sottolineare la continuità tra la prima e la seconda capitale e quindi indirettamente anche tra la prima Roma e la Istanbul ottomana. Le tradizioni anti-imperiali invece indicano come terra di origine di Costantino l’Ungheria, all’epoca principale nemica degli ottomani, negando i legami tra Bisanzio e Roma e quindi escludendo una legittimità imperiale per Mehmed, il quale siede sul trono fondato da un imperatore maledetto e da una gente nemica. La disputata origine di Costantino si riflette nella fortunata leggenda turca della mela rossa, kızıl elma29, immagine – e miraggio – di un’indeterminata città imperiale non musulmana da conquistare, che nel profetismo turco segna al tempo stesso l’apogeo dell’impero e l’inizio del declino. Nei cortei imperiali le truppe salutano il sultano con l’augurio di ‘ritrovarsi alla mela rossa’. L’identità della ‘mela’ è disputata soprattutto tra Roma, Costantinopoli, Buda e Vienna. L’origine stessa di questo tema è assai dibattuta: alcuni ne sostengono una provenienza iranica30; altri propendono per una derivazione da Occidente31; altri infine sostengono il riferimento a Roma e Costantinopoli, confortati peraltro dai già menzionati ḥadît coranici che annunciavano la conquista delle due città.
Se riferita a Costantinopoli, l’espressione concreta del pomo andrebbe identificata nel globo aureo, simbolo del potere universale, retto da Giustiniano nella statua equestre dell’Augustaion, distrutta dopo la conquista ottomana32. Con un abile rimaneggiamento nella tradizione greca kokkine melia diventa il Paese del melo rosso, noto anche come Monodendron, da cui hanno origine i turchi e dove essi saranno scacciati per sempre, nel momento in cui si risveglierà Costantino XI Paleologo, ultimo imperatore bizantino, trasformatosi in statua di marmo il giorno della caduta della città. Alternativamente, i turchi saranno scacciati quando il nuovo erede dei basileis, descritto nelle fonti come un uomo misero e semplice, comparirà sulla Terra. Secondo un’altra tradizione diffusasi dopo il 1453, sul sepolcro di porfido di Costantino era scolpita una profezia, decifrata da Giorgio Gennadio Scolario: essa annunciava la fine dell’Impero bizantino e la disfatta ottomana a opera di una ‘razza gialla’ che avrebbe restituito la città ai cristiani. Secondo altre profezie la riconquista della città sarebbe partita un giorno dalla colonna di Costantino nel Foro, quando un angelo avrebbe dato una spada al nuovo basileus33. Se la tradizione greca connota positivamente le statue imperiali legate alla figura di Costantino, quella ottomana ha un atteggiamento ambiguo nei confronti della statuaria bizantina. Ne è un esempio il diverso destino riservato a due emblematici monumenti, entrambi attribuiti nella cronaca anonima anti-imperiale a Costantino: da un lato la statua equestre dell’Augustaion, che viene rimossa e in seguito distrutta; dall’altro la colonna serpentiforme, che diventa un potente talismano apotropaico a difesa della sicurezza della città. In generale, le tradizioni turche sono piuttosto sospettose nei confronti della statuaria antropomorfa, mentre alle colonne aniconiche sono spesso attribuiti poteri talismanici, come accadeva anche in epoca bizantina34. Nella cronaca anonima il modello imperiale costantinopolitano è inficiato anche perché nasce da un atto idolatra, e cioè dalla fondazione impura di Yanko, antenato mitico di Costantino (ma in alcune versioni Yanko è sostituito da Salomone) il quale fonda Costantinopoli dopo aver trovato un idolo pagano a Gerusalemme35. Tra le colonne ereditate dal millennio bizantino e venerate in epoca ottomana, ricordiamo la già menzionata colonna serpentina; la colonna istoriata di Arcadio sullo Xerolophos (nota in epoca ottomana come Dikilitaş o ‘pietra conficcata’), che per Evliya Çelebi viene costruita ai tempi Yanko bin Madyan; la colonna di Marciano, nota altresì come colonna della Fanciulla (Kıztaşı); o ancora la colonna di san Gregorio il Taumaturgo nella Santa Sofia, oggetto di devozione anche in epoca ottomana.
L’atteggiamento umanistico davanti all’ascesa ottomana oscilla tra timore e curiosità. Da un lato c’è chi sostiene un’origine barbara e più precisamente scitica dei turchi, utilizzando l’assonanza tra turci e truci per motivarne la natura ferina; costoro esortano alla crociata anti-turca in nome di una condanna dottrinale dell’islam. D’altro canto, alcuni umanisti accreditano una discendenza troiana ai turci, non più truci ma teucri; discendenza sostenuta anche da Critobulo, il quale descrive il pellegrinaggio di Mehmed a Troia nel 146336. Costoro sono i fautori di un irenismo conciliante e pragmatico, volto alla convivenza col Turco e possibilmente alla sua conversione. Il mito genealogico che associa i turchi a Troia implica indirettamente la legittimità del dominio turco non solo in Oriente, come successore dell’impero bizantino-greco, ma anche in Occidente, e a doppio titolo: per la continuità tra l’impero romano e bizantino e per l’origine troiana (e quindi turca) dei romani37.
L’immagine umanistica di Mehmed II si intravede con chiarezza nelle uniche due testimonianze che elaborano esplicitamente e coscientemente il ruolo del sultano come nuovo Costantino: quella di Giorgio di Trebisonda e di papa Pio II, al secolo Enea Silvio Piccolomini. Giorgio di Trebisonda, cretese di origine ma vissuto per lo più in Italia, è tra i primi a interessarsi alle implicazioni dell’avanzata turca, dapprima esortando sovrani e pontefici alla crociata e poi, tramontata ogni speranza di salvezza per l’impero, cercando un accomodamento con il Conquistatore. Egli dedica a Mehmed un trattatello composto nel 1453, il Περὶ τῆς ἀλήθειας τῆς τῶν χριστιανῶν πίστεως (Sulla verità della fede dei cristiani) e poi invia al sultano due lettere nel 1466, accompagnate da un esemplare del trattato in cui confrontava Aristotele e Platone a vantaggio del primo, e da un opuscolo composto probabilmente nel 1466, il Περὶ τῆς αἰδίας τοῦ αὐτοκράτορος δόξης καὶ τῆς κοσμοκρατορίας αὐτοῦ (Sulla gloria eterna dell’imperatore e sul suo governo del mondo). Nel trattato sulla fede cristiana Giorgio di Trebisonda instaura una comparazione tra Costantino e Mehmed che si risolve decisamente a sfavore del primo: Mehmed, imperatore dei romani e dell’intero orbe, a differenza di Costantino discende da una stirpe di re e dominatori, è descritto come un re-filosofo, è superiore al predecessore per forza fisica, morale, e per il fatto di aver compiuto le sue conquiste in giovanissima età. Non gli rimane che imitare Costantino abbracciando il cristianesimo per superare tutti gli imperatori e i potenti che la Terra abbia mai accolto38. Nella visione utopica e conciliatrice di Giorgio di Trebisonda la legittimità imperiale e universale di Mehmed precede e non segue la sua conversione al cristianesimo, a differenza di quanto sostiene il pontefice Pio II nell’epistola fittizia al sultano, composta nel 1461 e mai inviata.
Pio II, divenuto papa tre anni prima, subordina il riconoscimento della legittima autorità imperiale ottomana alla conversione al cristianesimo di Mehmed, che avrebbe avviato poi quella del suo popolo. Come Giorgio di Trebisonda, anche Pio instaura un diretto parallelismo tra Mehmed e Costantino e tra sé e Silvestro, senza che però il confronto si risolva in favore di Mehmed. Nell’epistola di Pio convivono l’atteggiamento dottrinale della Chiesa che condanna l’islam come eresia (spesso percepito come una forma deviata di cristianesimo), quello irenista che propone una conversione pacifica al cristianesimo e infine quello pragmatico, che accetta l’islam come legge positiva e legittima39. Quest’ultima posizione nell’Italia del secondo Quattrocento prende in alcuni casi le forme di una più o meno scoperta turcofilia politica, spesso non disgiunta da anticlericalismo. Una breve rassegna include l’Hecatelegium, epigramma inviato dal poeta ascolano Panfilo Sassi a Ferrante d’Aragona in cui esorta il Gran Turco a venire in Italia contro la Chiesa romana; la vita e l’opera dell’umanista Filippo Bonaccorsi noto anche come Callimaco Esperiente, il quale dopo la congiura fallita contro Paolo II (1468) si rifugia a Istanbul e poi dagli Jagelloni in Polonia, dove compone la Vita di Gregorio di Sanok arcivescovo di Leopoli, in cui teorizza la pari dignità di cristiani e musulmani in quanto soggetti politici; l’orazione apocrifa in risposta all’epistola di Pio II dell’ ‘ottomano’ Morbisano, che esorta la Santa Sede a non allearsi con Venezia contro gli ottomani; infine, i Commentarii del greco Teodoro Spandugino Cantacuzeno, ‘patrizio costantinopolitano’, nei quali l’autore loda la devozione islamica e l’amicizia tra cristiani e musulmani40.
L’esaltazione delle doti del sultano ottomano nella letteratura umanistica evoca gli elogi per i generali dell’antichità classica. Secondo queste voci turcofile le imprese militari di Mehmed e la rinascita di un impero forte sono la condizione del ritorno di una pace almeno temporanea in Europa. Benedetto Dei, commerciante e spia fiorentina al servizio degli ottomani tra 1460 e 1472, riferisce dell’intenzione di Mehmed di superare le gesta di Alessandro Magno e Cesare e di voler sbarcare in Italia. Jacopo Languschi, nell’Excidio e presa di Costantinopoli, parlando degli exploits militari del sultano, suggerisce un parallelismo tra le ambizioni di Mehmed e quelle dei grandi generali e imperatori dell’antichità, incluso Costantino: «Hora dice esser mutato le saxon di tempi, sì che de Oriente el passi in Occidente, come gli occidentali in oriente sono andati: uno dice dover esser lo imperio del mundo, una fide, una monarchia»41. Anche il celebre umanista Francesco Filelfo chiude un’ode dedicata al sultano sottolineando la grandezza di Mehmed, macchiata solo dalla fede nell’islam, ma altrove invita i principi occidentali alla crociata42. Suo figlio Gian Mario adotta la medesima attitudine sul modello della disputatio in utramque partem: celebra il sultano in un poemetto incompiuto a lui dedicato, l’Amyris, composto su richiesta del mercante anconitano Othman Lillo Ferducci, concludendolo però con un appello a Galeazzo Sforza a muovere guerra contro i turchi.
La superiorità militare di Mehmed evoca il precedente costantiniano nel binomio Roma-Costantinopoli in un’orazione del veneziano Niccolò Sagundino, autore tra l’altro del De familia Autumanorum, primo tentativo occidentale di una storia della dinastia ottomana: «(Mehmed) dice che la sede di Costantino gli è concessa dal cielo e che questa sede sembra esser in verità Roma, non Costantinopoli, e ciò esser giusto e corrispondere bene come se, presa la figlia con la forza, possa prendersi anche la madre». Conquistata Costantinopoli, tocca a Roma. Un esempio del fortunato tema umanistico-rinascimentale del ‘Turco in Italia’ si legge già in Enrico di Soemmern, ufficiale del palazzo pontificio: «Va dicendo, vantandosi pubblicamente, che la prossima estate verrà a Roma, sottometterà l’Italia e distruggerà la fede cristiana, e si ritiene quasi sicuro dell’impresa»43.
A testimonianza degli interessi geografici e militari di Mehmed, probabilmente funzionali al suo progetto di espansione verso Occidente, abbiamo alcuni manoscritti ancora conservati nella biblioteca del Topkapı a Istanbul: ricordiamo in particolare la traduzione araba della Geografia di Tolomeo del figlio del già ricordato Giorgio Amirutze, il quale a sua volta realizza per il sultano una mappa dell’ecumene e un trattatello su Tolomeo; una versione breve in greco, senza mappe e disegni, del Liber insularum archipelagi di Cristoforo Buondelmonti44; una traduzione italiana della Geografia tolemaica dedicata nel 1482 a ‘Mehmed III’ (cioè Beyazid II) e originariamente indirizzata a Mehmed II, opera del geografo fiorentino Francesco Berlinghieri. Inoltre, lo scultore Matteo de’ Pasti nel 1461 è incaricato di consegnare al sultano una mappa dell’Italia e dell’Adriatico e il De re militari di Francesco Valturio, accompagnato da una lettera di Sigismondo Pandolfo Malatesta. Matteo de’ Pasti è intercettato e arrestato dai Veneziani, i quali hanno ben donde di temere un’alleanza tra Sigismondo e Mehmed II ai loro danni. Nel Topkapı c’è ancora oggi un incunabolo dell’opera di Valturio stampato a Verona nel 1472, forse giunto a Istanbul mentre Mehmed era ancora in vita45.
Come a Istanbul così anche in Italia dunque l’immagine di Mehmed evoca i modelli della classicità ed è spesso avvicinata a quella di Costantino. Talvolta, senza essere esplicitamente collegato alla figura del sultano, il nome di Costantino è comunque associato alla caduta di Costantinopoli. Il celebre umanista Biondo Flavio e il meno noto Andrea Biglia sono entrambi critici nei confronti di Costantino poiché, separando la sede imperiale (Costantinopoli) dalla sede ecclesiastica (Roma), egli avrebbe avviato il declino di entrambe le istituzioni, Chiesa e Impero, esponendole a minacce esterne e interne46. A Costantino vengono attribuite nell’Umanesimo alcune profezie relative alla caduta di Costantinopoli, per esempio nella già citata cronaca di Nestor Iskender e nel diario del medico veneziano Niccolò Barbaro, presente all’assedio a bordo di una galera veneziana. Tre sarebbero stati gli omina profetizzati da Costantino a proposito della caduta di Costantinopoli: un’eclissi parziale di luna; il nome dell’ultimo imperatore bizantino, suo omonimo; infine, secondo una tradizione presente anche nelle fonti arabe, la provenienza dei conquistatori della città, indicata dalla mano della statua dell’Augustaion, protesa verso Oriente.
Il millenarismo e il profetismo sono tipici della mentalità del secondo Quattrocento tanto a Bisanzio, come si è detto a proposito dell’imminenza dell’anno 7000, quanto in Occidente, dove a volte le visioni apocalittiche piuttosto che riferirsi alla caduta di Costantinopoli bizantina annunciano la fine imminente dell’Impero ottomano. La tradizione dei pronostici e delle profezie relativi alle sorti dell’Impero ottomano si svilupperà in particolar modo nella prima metà del Cinquecento, nel quadro della rivalità tra Carlo V e Solimano il Magnifico. Uno degli esempi più noti è l’opera di Antonio Arquato ferrarese De eversione Europae Prognosticon, dedicata nel 1481 al re d’Ungheria Mattia Corvino. Qui la fine della dinastia ottomana è pronosticata per il 1507: per qualcuno dunque, la caduta di Costantinopoli non inaugura l’impero del sultano-basileus, ma è preludio della sua fine imminente47.
Oltre ai richiami al passato costantiniano evidenti nella riformulazione dello spazio urbano di Costantinopoli, è la figura stessa di Mehmed a essere associata al basileus bizantino. In questo senso un elemento importante è l’interesse di Mehmed per il collezionismo di reliquie non solo islamiche ma anche cristiane, che dopo la conquista vengono collocate nella chiesa di Santa Irene, inglobata nella prima corte del Topkapı e trasformata in armeria imperiale (Cebhane-i Amire). Beyazid II, successore di Mehmed, se ne disfarà offrendo una reliquia di san Giovanni Battista agli Ospedalieri di Rodi nel 1484 e poi inviando nel 1489 a Luigi XI di Francia un elenco in cui sono menzionate ventiquattro venerabili reliquie in vendita48. Entrambe le offerte riguardano i tentativi di Beyazid di neutralizzare il rivale al trono, il principe Cem, prigioniero presso la corte francese. Se Mehmed collezionasse reliquie cristiane per fini pragmatici o per motivi devozionali non è chiaro. Ma sommando gli elementi fin qui considerati, è ragionevole pensare che il collezionismo di reliquie e di regalia imperiali (per esempio i sarcofagi porfiretici e le lastre marmoree rinvenute nelle corti del Topkapı), lungi da indicare un improbabile cripto-cristianesimo del sultano, rientrino piuttosto nella rappresentazione della Istanbul ottomana come continuazione della Costantinopoli bizantina nei due aspetti di Nuova Roma e Nuova Gerusalemme. Tra le reliquie possedute da Mehmed ricordiamo le reliquie della passione e la pietra della deposizione, fino ad allora conservata nel Pantokrator accanto alla tomba di Manuele I Comneno49, che nella lista del 1489 è però confusa con la «petra dove nacque nostro Signor Jesu Christo»50; le reliquie di san Giovanni Elemosinario, poi cedute a Mattia Corvino re d’Ungheria; un’immagine della Madonna dipinta su richiesta personale del sultano da Gentile Bellini; infine, le reliquie del braccio di san Giovanni Battista, giunte a Costantinopoli nel 956 d.C. e custodite per secoli nella cappella della Vergine di Pharos. Queste ultime sono ancora nel Topkapı e in epoca ottomana erano tra le reliquie islamiche più preziose del Tesoro imperiale (Emanet Hazine), venerate anche dai musulmani in quanto il Battista (Yahya) è considerato il profeta che precede Gesù (Isa)51.
La ‘seconda morte di Omero e Platone’ è un motivo ricorrente tra gli umanisti che assistono alla caduta di Costantinopoli nel 145452. Innumerevoli manoscritti vanno distrutti o sono svenduti; molti vengono messi in salvo e arrivano in Occidente; tuttavia, qualcosa si salva dal naufragio anche a Costantinopoli. Nonostante il fiorire delle leggende sulla biblioteca degli ultimi Paleologi, in cui secondo alcuni si sarebbero trovati addirittura codici dell’età di Costantino Magno, è stato dimostrato che buona parte dei manoscritti greci del Topkapı non proviene dalla biblioteca dell’ultimo imperatore bizantino bensì da quella del conquistatore di Costantinopoli. La maggior parte dei manoscritti ivi contenuti sono cioè stati copiati nella seconda metà del XV secolo e sono sia testi d’apparato sia di uso pratico, probabilmente ad appannaggio della cancelleria ottomana all’epoca ancora ellenofona. Un’eccezione è costituita da alcuni manoscritti di epoche precedenti, spesso provenienti da biblioteche monastiche, per i quali è meno agevole stabilire come e quando giunsero nella biblioteca del palazzo53.
L’immagine di Mehmed II come legittimo erede dell’autorità imperiale romana si riflette anche nella rappresentazione del sovrano nell’arte italiana del secondo Quattrocento. Fondamentale è la figura di Gentile Bellini, che alla fine della prima guerra veneziano-ottomana (1463-1479) è inviato su richiesta del sultano a Istanbul, dove si ferma per poco più di un anno (fine 1479-inizio 1481). La più celebre opera belliniana direttamente riconducibile al soggiorno istanbuliota è il realistico ritratto di Mehmed II54, eseguito negli ultimi mesi di vita del sultano, modello della maggior parte dei ritratti conosciuti del Conquistatore. Sotto il parapetto entro cui è inserita la figura del sultano, ripresa di tre quarti, ci sono due iscrizioni, in una delle quali si legge victor orbis («conquistatore del mondo»). Su ognuno dei due lati del parapetto spiccano tre corone, che probabilmente alludono alla triplice conquista di Grecia, Trebisonda e Asia; la corona raffigurata sulla decorazione del parapetto può riferirsi invece alla regalità ottomana di Mehmed, settimo sultano della casa di Osman oltre che imperatore universale. Al prototipo belliniano si richiamano altri ritratti di Mehmed, realizzati a Istanbul da allievi del Bellini la cui identità è però ignota55. Un esperimento precedente è costituito da El Gran Turco, un’incisione che sopravvive in soli due esemplari, attribuita al Maestro della Passione di Vienna. È un capriccio che offre un’immagine allegorica del sultano, parzialmente ispirata al ritratto del basileus Giovanni VIII Paleologo, quale è raffigurato nella celebre medaglia di Pisanello realizzata in occasione del concilio di Ferrara-Firenze del 1437-1439. Probabilmente l’iconografia della medaglia di Pisanello, la quale influenza molte rappresentazioni successive di imperatori d’Oriente e sultani, si ispira a sua volta a due medaglie di Costantino e Eraclio – entrambi rappresentati in trionfo dopo, rispettivamente, il ritrovamento e il recupero della vera croce – realizzate in Francia nel 1402 in concomitanza con la visita parigina dell’imperatore bizantino Manuele II Paleologo56. L’incisione El Gran Turco è realizzata intorno al 1461 e celebra le virtù guerriere del sultano-basileus, che indossa un elmo riccamente decorato da cui si protende un drago, spesso associato al Turco in rappresentazioni coeve in ragione del suo statuto ‘demoniaco’. Uno dei due esemplari fu offerto al sultano ed è ancora oggi conservato in un manoscritto del Topkapı conosciuto come l’‘album del Fatih’, che raccoglie altre quattordici incisioni prodotte nel palazzo ottomano nel regno del Conquistatore. Oltre al ‘Gran Turco’, altri due ritratti di Mehmed compaiono nell’album del Topkapı: uno è il celebre ‘ritratto di Sinan’, in cui il sultano è ripreso a figura intera, seduto, mentre annusa una rosa, in una felice sintesi dell’iconografia turco-timuride e occidentale nella rappresentazione della regalità57.
Le medaglie di produzione occidentale sono sicuramente il mezzo espressivo in cui più è esaltata l’ambizione imperiale di Mehmed II. Esse risalgono tutte agli anni Settanta e Ottanta del Quattrocento, tranne un esemplare realizzato da un seguace di Pisanello, forse Marco Guidizani, attivo a Venezia tra 1460 e 1470 circa. Quest’ultima medaglia è quella che meno riflette le fattezze reali del sultano; nella legenda si legge: Magnus et admiratus soldanus Macomet Bei («Grande emiro, sultano Mehmed bey»), mentre nel verso il sultano è celebrato come sovrano universale attraverso l’immagine di un giovane nudo reclinato sulle rocce con una torcia nella sinistra, rappresentazione generalmente associata ad Alessandro Magno58. Le più celebri medaglie di Mehmed II, tutte databili al 1480 circa, sono riconducibili a Gentile Bellini, Costanzo di Moysis (detto da Ferrara) e Bertoldo di Giovanni. Il prototipo belliniano, realizzato dopo il ritorno di Gentile da Istanbul, si caratterizza per la semplicità del ritratto di Mehmed e per le tre corone sul verso della medaglia, a indicare come nel celebre dipinto la triplice conquista di Asia, Grecia e Trebisonda. Nella legenda Mehmed è definito imperatore oltre che sultano: Magni Sultani Mohameti imperatoris Gentilis Bellinus Venetus eques auratus comesq(ue) palatinus fecit («Gentile Bellini veneziano, cavaliere dello Speron d’Oro e conte palatino fece il ritratto del gran sultano imperatore Mehmed»)59. Un altro famoso ritratto del sultano compare nella medaglia di Costanzo di Moysis, detto anche da Ferrara, il quale – come nel caso di Bellini – arriva a Istanbul tra 1467 e 1478 su richiesta del sultano, inviato da Ferrante d’Aragona. I due prototipi di medaglia verosimilmente disegnati e firmati da Costanzo tra 1478 e 1481, mostrano entrambi un profilo naturalistico di Mehmed sul recto e il sultano a cavallo sul verso; nella legenda del primo prototipo, forse prodotto a Istanbul quando il sultano era ancora in vita, leggiamo: Sultanus Mohameth Othomanus Turcorum imperator / hic belli fulmen populos prostravit et urbes, («Sultano Mehmed ottomano, imperatore dei Turchi, fulmine di guerra, piegò popoli e città»). Ancora più significativamente, l’altra legenda esalta il potere universale di Mehmed, erede per conquista dell’autorità imperiale bizantina oltre che della dinastia ottomana: Sultani Mohammeth Octhomani Uguli Bizantii inperatoris 1481 / Mohameth Asie et Gretie inperatoris ymago equestris in exercitus («Del sultano Mehmed erede di Osman, imperatore bizantino, 1481 / Ritratto equestre di Mehmed, imperatore di Asia e Grecia, in campagna militare»)60. L’ultima celebre medaglia di Mehmed II è realizzata a Firenze da Bertoldo di Giovanni sotto gli auspici di Lorenzo de’ Medici negli anni Ottanta del Quattrocento ed è stata a volte letta come un omaggio della corte medicea alla conquista ottomana di Otranto del 1480. Nel recto c’è l’usuale ritratto di profilo del sultano ammantato di regalia, mentre nel verso compare un’immagine classicheggiante debitrice della già menzionata medaglia di Eraclio del 1402, con Marte che guida un carro trionfale su cui si erge il sovrano vincitore. Quest’ultimo regge nella sinistra una statuina le cui fattezze ricordano quelle dell’Apollo Helios che sormontava la colonna di Costantino a Costantinopoli; nella destra invece tiene legate a sé tre giovani figure femminili nude – Grecia, Trebisonda e Asia – sottomesse in quegli anni all’imperator ottomano61.
Per le ragioni e nei modi finora evidenziati, nessun sultano come Mehmed II riesce a costruire un’immagine imperiale anche attraverso il recupero dell’eredità bizantina e costantiniana. Un’eccezione può individuarsi nella figura di Süleyman Kanuni («legislatore»), le cui aspirazioni imperiali vanno inserite nell’ambito della competizione tra le potenze rivali della prima età moderna per l’impero universale. Soprattutto durante il visirato del rinnegato di origine greca Ibrahim Paşa (1523-1536), la rivalità ottomano-asburgica si esprime anche attraverso un serrato duello a distanza tra due iconografie imperiali distinte, ma entrambe reclamanti l’eredità dell’Impero romano.
Ne è testimonianza un sontuoso elmo-corona, realizzato su committenza di Ibrahim Paşa a Venezia, che si presenta come un prezioso strumento di propaganda dello statuto ‘imperiale’ del potere ottomano. Lo storico e cancelliere di palazzo Celalzāde (1490-1567) schernisce le ambizioni di Carlo V (1519-1556), che nel 1530 era stato incoronato a Bologna imperatore e Cesare del Sacro Romano Impero62. Nel primo trattato di pace ottomano-asburgico, segnato nel 1547, Süleyman si rivolge al rivale Carlo V attribuendogli solo il titolo di ‘re di Spagna’ e non di Cesare o imperatore. Il sultano si considera erede unico dell’Impero romano, oltre che detentore del titolo califfale, e in nome della discendenza ‘romana’ legittima anche l’espansione ottomana a Occidente63, come spiega bene Giovio: «Ho inteso da huomini degni di fede, che spesso dice, che à lui tocca di ragione l’imperio di Roma et di tutto Ponente per esser legittimo successore di Constantino imperatore qual transfere l’imperio in Constantinopoli»64. La rivalità ottomano-asburgica per il titulus imperiale è ben rappresentata in una medaglia anonima in cui una figura alata, probabile personificazione della Vittoria, assiste Carlo V, ritratto in primo piano; sullo sfondo però, incombe minaccioso il profilo del Gran Turco con i tratti del sultano Süleyman. Ulteriore espressione dell’ambizione imperiale ottomana è una magniloquente iscrizione sulla fortezza di Bender in Moldavia, conquistata nel 1538, in cui Süleyman si autocelebra: «A Baghdad sono lo şah, nelle terre bizantine il Cesare e in Egitto il sultano»65.
La concorrenza per la translatio imperii coinvolge sincronicamente le maggiori potenze eurasiatiche nel corso del XVI secolo. Oltre a Süleyman I e Carlo V, due figure complementari e quasi ‘gemellari’66, anche l’Impero safavide dello şah Tahmasp e quello moghul ambiscono a una legittimazione imperiale del proprio potere, richiamandosi entrambi alla figura di Alessandro Magno; sarà poi la Russia a reclamare l’eredità romano-bizantina e lo statuto di Mosca come Terza Roma. Non è casuale perciò che come sotto Mehmed II, anche nel regno di Süleyman ci sia una ripresa del dibattito fra tradizioni pro-imperiali e anti-imperiali in cui ricompare la figura di Costantino. Per lo storico di corte Latifi (1490-1582), autore dell’Evsaf-i Istanbul («Elogio di Istanbul»), Costantinopoli fu fondata da Yanko bin Madyan e uno dei suoi successori fu Alessandro Magno, il cui generale era Costantino67. Per Lütfi Paşa (morto nel 1564) invece, Costantino era cristiano e fu il terzo fondatore di Costantinopoli68; anche il grande storico Mustafa Ali (1541-1599), che si distingue per lo spirito critico e il vaglio delle fonti, mostra molta confusione quando si occupa di Costantino: in una prima versione quest’ultimo è considerato il fondatore di Santa Sofia ed è contemporaneo di Eraclio, con cui si batte per il trono; nella seconda versione invece Costantino vive al tempo di Augusto, di cui è il successore. Nel Seicento anche Evliya Çelebi (1611-1682) e Hezarfen (morto nel 1691) inseriscono Costantino nella storia di Costantinopoli. Per Evliya, il cui Seyahatnāme («Libro dei viaggi») ha per fonti Agapios e le cronache anonime ottomane, Costantino è il nono re di Costantinopoli, il primo a convertirsi e costruttore delle mura della città. Hezarfen invece è il primo storico ottomano a ricostruire criticamente il passato della città, mettendo in dubbio la storicità di Yanko bin Madyan e ‘riabilitando’ la figura di Costantino69. Oltre agli storici filo-imperiali tuttavia, sotto il regno di Süleyman riprendono a circolare storie sulla fondazione di Costantinopoli assai critiche nei confronti dell’ideologia imperiale. In alcuni casi queste voci contrarie arrivano a sviluppare versioni millenaristiche – una tendenza, quest’ultima, diffusa ben al di là dei confini dell’impero ottomano nel XVI secolo – secondo cui l’ambizione al dominio universale è il preludio della fine, o almeno del declino degli imperi70.
Lo Zweikaiserproblem, la competizione ottomano-asburgica per la disputata eredità imperiale, si esprime sotto Süleyman anche attraverso fastose cerimonie pubbliche e grandiose iniziative architettoniche, prima tra tutte la realizzazione della moschea Süleymaniye, che nelle fonti ottomane è spesso vista come un superamento dell’ineguagliato modello della Santa Sofia. Tra i tanti spolia romano-bizantini inclusi nella moschea, si segnala la Kıztaşı (colonna della Vergine), eretta da Giustino nel VI secolo, che dopo essere stata smantellata e sezionata in tre parti viene collocata nella Süleymaniye71.
Il progetto imperiale ottomano inizia a tramontare dalla fine del Cinquecento, ostacolato da fattori esterni (l’arretramento dell’espansione a Occidente) e interni (il maggior controllo della religione sull’apparecchio statale). Un inatteso revival della figura di Costantino si avrà infine negli anni delle riforme, il Tanzimat (1839-1876), nel contesto della riscoperta del passato bizantino di Istanbul e dei primi passi verso la musealizzazione del patrimonio custodito dalla città. Rientra in questa temperie il ritrovamento fortuito di un’epigrafe bizantina da parte del sultano Abdülmecid (1839-1861): durante una battuta di caccia nei dintorni di Istanbul, il cavallo del sultano inciampa in un’antica iscrizione, che poi si scopre appartenere a Costantino Magno72 e che il sultano ordina di collocare con i più grandi onori nel palazzo imperiale.
Critobulo e Tursun bey descrivono dettagliatamente l’ingresso di Mehmed a Costantinopoli il 29 maggio del 1453 e il suo primo incontro con i luoghi della tanto agognata città ormai ridotta in rovina. Le fonti sottolineano concordi le precauzioni prese dal sultano per evitare che la città venga distrutta e riportano il suo ordine alle truppe di non toccare edifici e monumenti73. Da subito, per Mehmed Costantinopoli appare come l’unico luogo adatto ad accogliere la sede imperiale e tale scelta implica lo spostamento della capitale da Edirne. Una scelta che, come si è detto, incontra la strenua opposizione di una parte della società ottomana rappresentata dai ghazi, danneggiati dalla centralizzazione del potere nella nuova capitale, che si avvia a diventare il magniloquente riflesso della gloria del sultano. In realtà, almeno nei primissimi anni dopo la conquista, Mehmed risiede spesso a Edirne e avvia la ricostruzione di un’immagine imperiale di Costantinopoli solo verso la fine degli anni Cinquanta del Quattrocento, con un richiamo all’eredità bizantina ma con sostanziali trasformazioni che coinvolgono l’urbanistica costantinopolitana sul piano politico, religioso, sociale ed economico.
La fisionomia di Costantinopoli nella prima metà del Quattrocento, alla vigilia della caduta, è nota soprattutto attraverso le testimonianze di viaggiatori, ambasciatori e pellegrini occidentali e russi, nonché tramite qualche voce bizantina74. Tra gli occidentali, ricordiamo l’ambasciatore castigliano Ruy Gonzalez de Clavijo, inviato in ambasciata presso Tamerlano e sostato a Costantinopoli nel 1403; Bertrandon de la Broquière (1400-1459), autore del Voyage d’Outremer, scritto dopo un lungo pellegrinaggio in Terrasanta negli anni Trenta del Quattrocento; il catalano Pero Tafur (1410-1484), il quale tra 1437 e 1439 soggiornò per due volte a Costantinopoli e visitò la corte ottomana a Edirne. Una preziosa testimonianza è fornita inoltre dal fiorentino Cristoforo Buondelmonti, autore del Liber insularum archipelagi75, scritto intorno al 1418 dopo lunghe peregrinazioni nell’Egeo e a Costantinopoli.
L’originale del Liber non ci è pervenuto, ma molte copie della seconda metà del secolo testimoniano l’immagine di una Costantinopoli nostalgicamente pensata come Nuova Roma e Nuova Gerusalemme, nonostante l’avvenuta conquista ottomana. Le mappe del Liber non rappresentano quindi con fedeltà la realtà costantinopolitana nei primi anni della dominazione ottomana, ma una sua proiezione idealizzata. Eppure una di queste delle mappe, oggi a Düsseldorf, presenta numerose tracce degli interventi ottomani sull’urbanistica cittadina, assenti nelle altre rappresentazioni di Costantinopoli: compaiono moschee, in particolare quella di Mahmud Paşa, il santuario di Eyüp, la moschea di Rum Mehmed Paşa a Üsküdar, quella di Fatih («del Conquistatore») e la Santa Sofia sormontata da un minareto; il Vecchio Bedestan (mercato coperto); le tre fortezze di Yedikule, Rumeli Hisarı sulla sponda europea del Bosforo e Anadolu Hisarı sulla sponda asiatica; l’arsenale (tersane-i amire); i cantieri navali sul Mar di Marmara (kadırga limanı); il vecchio palazzo ottomano nel Forum Tauri e quello più recente, costruito dove sorgeva l’acropoli bizantina. La mappa del Liber di Buondelmonti da Düsseldorf è dunque un unicum straordinario che permette di visualizzare la transizione dalla Costantinopoli bizantina alla Istanbul ottomana e la coesistenza di monumenti e linguaggi figurativi differenti sotto Mehmed II. A disegnarla fu probabilmente un occidentale vicino a Gentile Bellini, il quale tra il 1479 e il 1481 soggiorna a Istanbul, ma le cui opere relative al periodo trascorso preso la Porta sono quasi tutte perdute.
Le prime iniziative intraprese da Mehmed II dopo la conquista hanno come scopo precipuo il ripopolamento della città, a Sud del Corno d’Oro – essendo Galata considerata ‘città dei franchi’ – e la conversione in senso islamico di alcuni suoi foci fondamentali. Secondo le stime più attendibili, nella prima metà del Quattrocento Costantinopoli non conta più di 50.000 abitanti, a fronte dei 400.000 del XII secolo, picco massimo nella densità abitativa della città. Molti luoghi di età costantiniana sono in decadenza, in particolare la chiesa dei Santi Apostoli e l’ippodromo76. Il ripopolamento della città appare da subito strettamente legato alla sua ricostruzione. Nei primi anni dopo la conquista, il sultano ordina infatti numerosi sürgün (deportazioni) di greci, ebrei, armeni e musulmani, in particolare nel 1459, dalle regioni recentemente conquistate77. Dai tahrir defterleri («registri dei censimenti catastali») ottomani apprendiamo che già nel 1477 la popolazione della città è raddoppiata e che la minoranza più numerosa è quella greco-ortodossa, inserita nel Rum milleti e guidata dal patriarca, che ha la precedenza sulle autorità religiose delle altre minoranze dell’impero. Dal punto di vista economico, molti commercianti greci traggono vantaggio dalla conquista ottomana, a giudicare dai numerosi contratti di iltizam (appalti di beni pubblici in cambio di una tassa) stipulati da greci. In generale, i mercanti italiani e latini vengono rapidamente sostituiti da quelli greci nel controllo dei commerci sul Bosforo78. Nei primi anni dopo la conquista nascono le nahiye o grandi circoscrizioni, ciascuna delle quali si compone di mahalle (quartieri), in cui sorgono imaret (cucine pubbliche), moschee, medrese (scuole coraniche), hamam (bagni pubblici), han, ospizi e ospedali, bedestan (mercati coperti o semi-coperti)79. Queste strutture spesso afferiscono a evkaf (singolare vakıf), fondazioni pie inalienabili fondate da privati per la pubblica utilità; tra i primi evkaf ricordiamo quello di Mahmud Paşa, gran visir di Mehmed II di origine greco-serba, e quello di Has Murad Paşa, un Paleologo convertitosi all’islam, la cui moschea sorge su strutture situate in prossimità del Forum Bovis e dell’Amastrianum. Anche nel XVI la tendenza sarà quella di costruire complessi religiosi lungo l’antica Mese e sui Fora della Costantinopoli bizantina.
Già convertita in moschea da Eyüp nel VII secolo secondo le fonti turche, Santa Sofia è la prima chiesa a essere ‘riconvertita’ e al suo vakıf vengono associati tutti i beni delle chiese non trasformate in moschee. La novità maggiore della prima fase degli interventi ottomani sull’architettura religiosa della città è la creazione di un nuovo complesso architettonico e abitativo extra muros a Eyüp. Qui vengono trasferite molte famiglie musulmane intorno al santuario omonimo (külliyat), costruito dopo l’inventio del derviscio Ak Şemsüddin delle reliquie del santo-guerriero Abu Eyüb al-Ansâri80. Il santuario, che secondo alcune fonti era un luogo di culto già in epoca bizantina e nei cui pressi sorgeva la chiesa dei Santi Cosma e Damiano, si compone di un mausoleo o türbe, una moschea, un hamam e una scuola coranica. Il sito, che diventa anche meta di pellegrinaggio e luogo della continuità dinastica ottomana, assume un valore fondamentale nella rifondazione islamica della città. Vi si arriva attraverso la porta di Edirne (Edirne kapı), che il sultano attraversa prima di partire per ogni campagna militare. A Eyüp ha poi luogo la cerimonia di intronizzazione (cülûs) del sultano il quale, dopo aver preso possesso della spada di Eyüp, prende parte al corteo imperiale che, come nelle cerimonie bizantine, attraversa la via imperiale, in epoca ottomana nota come Divan Yolu.
Oltre alla rifondazione religiosa, nei primi anni dopo la conquista Mehmed riformula lo spazio della città di Costantino anche in termini militari e politici. Nel quadro del progetto di rafforzamento delle mura lungo il Mar di Marmara e del consolidamento del porto, Mehmed ordina la costruzione della fortezza intra muros di Yedikule. Essa fungerà da Tesoro imperiale prima di diventare prigione e sorge alla fine del braccio meridionale della Mese e all’inizio della Via Egnatia. Munita di sette torri e di forma pentagonale, la fortezza, conclusa nel 1458 circa, ingloba in un lato l’imponente Porta d’Oro e presenta numerosi esempi di reimpiego di spolia proto e medio-bizantini81. Almeno fino al XVII secolo sul lato esterno delle mura di Yedikule sono inseriti dodici rilievi marmorei rappresentanti le fatiche di Eracle, ultima traccia della grecità classica a Costantinopoli oltre alla colonna serpentina. Sir Thomas Roe, ambasciatore inglese presso la Porta, tenta invano di acquistarli tra il 1621 e il 1628; i rilievi andranno poi distrutti entro la fine del Settecento82.
Nella scelta del centro politico del nuovo impero, Mehmed marca una discontinuità con l’eredità bizantina. Il palazzo della Blacherne in cui risiedevano gli ultimi basileis era infatti troppo decentrato per la capitale ottomana, che rispetto alla Costantinopoli di età paleologa si proietta maggiormente verso il Bosforo e il Mar di Marmara. L’antico palazzo bizantino è abbandonato da tempo e ai primi del XVII secolo sulle sue rovine sarà costruita l’imponente moschea di Ahmet I (Sultanahmet Camii). Mehmed decide in un primo momento di edificare il palazzo (Eski Saray) nel Forum Tauri, inglobando nella costruzione la colonna di Teodosio, poi distrutta da Beyazid II per fare spazio a un complesso termale. Successivamente, nel 1458, iniziano i lavori di costruzione del nuovo palazzo, laddove sorgeva l’acropoli bizantina, in posizione sopraelevata e dominante i tre specchi d’acqua del Corno d’Oro, Bosforo e Mar di Marmara. La portata simbolica di tale scelta è eccezionale: oltre a segnare una maggior separazione della cittadella sultaniale dal resto della città, essa ribadisce l’autorappresentazione del sultano non più come ghazi ma come basileus e ‘sultano dei due continenti e imperatore dei due mari’, come si legge nell’iscrizione all’ingresso del palazzo. Il Topkapı, termine correntemente utilizzato per definire il palazzo solo a partire dal XVII secolo, è un palinsesto architettonico, felice sintesi di elementi provenienti da tradizioni differenti, in cui rientrano anche alcuni reimpieghi di spolia bizantini83. Si pensi per esempio alle lastre marmoree con embricazioni semicircolari utilizzate nella pavimentazione della porta d’ingresso della terza corte del palazzo, la Babı Saadet («porta della felicità»), e ai tondi porfiretici inseriti nella adiacente facciata dell’Arz Odası («stanza delle petizioni»). Nelle prime due delle quattro corti di cui si compone il palazzo sono stati ritrovati tamburi di marmo e capitelli di colonne bizantine, nove gradini marmorei e due basamenti di un monumento dell’ippodromo, oltre a cinque sarcofagi imperiali in porfido, spostati dai Santi Apostoli.
Come si è detto, uno dei primi gesti tradizionalmente associati a Mehmed II dopo la conquista è la trasformazione di Santa Sofia in moschea. Ciò avviene senza stravolgimenti della struttura, in cui si produce una sostanziale coesistenza del linguaggio figurativo bizantino con quello ottomano. Santa Sofia resterà per l’architettura ottomana un costante modello con cui confrontarsi, e da sfidare. Ciò è evidente nella moschea di Fatih, che però viene completamente ricostruita nel Settecento, in quella di Rum Mehmed Paşa a Üsküdar, che risente anche dell’influenza dell’architettura tardo-bizantina, ma soprattutto nelle grandi realizzazioni posteriori della Beyazidiye (1501-06) e della Süleymaniye (1550-1558)84.
Di particolare valore simbolico è la costruzione nel 1461 della moschea di Fatih, oggi visibile nel rifacimento settecentesco, primo edificio religioso ottomano costruito intra muros, nei pressi della demolita chiesa dei Santi Apostoli85. Fatiscente all’epoca della conquista, la chiesa, di fondazione costantiniana, sorgeva in uno dei punti più elevati della città, ed è inizialmente scelta da Mehmed come sede del patriarcato ortodosso, poi spostato nella chiesa della Pammakaristos, che nel 1591 sarà a sua volta trasformata nella Fethiye Camii. L’unica struttura di età costantiniana ancora esistente nella chiesa dei Santi Apostoli all’epoca della conquista ottomana è il mausoleo circolare86 a est dell’abside, destinato a conservare le reliquie degli apostoli e le sepolture degli imperatori bizantini a partire da quella di Costantino, isapostolos e isochristos. I sarcofagi erano già stati profanati durante il sacco latino del 120487, ma a differenza del sepolcro di Sant’Elena, le cui reliquie furono portate a Venezia nel monastero omonimo, la sepoltura di Costantino era rimasta intatta. Nel 1453 essa ha una sorte diversa ed è profanata, come testimoniano tra gli altri un’orazione di Giacomo Campora vescovo di Caffa e una lettera del vescovo greco Samuele88. Alcuni sarcofagi vengono spostati nel nuovo palazzo ottomano e collocati davanti alla chiesa di Santa Irene, a sottolineare la continuità tra gli antichi e i nuovi dominatori. Il sarcofago di Costantino giace oggi integro all’esterno del Museo Archeologico, dopo il dissotterramento del coperchio, individuato nel 1916 sotto un platano secolare nella seconda corte del palazzo89. La collocazione del sarcofago costantiniano dal Quattrocento in poi non è individuabile con certezza. La maggioranza dei testimoni indica la chiesa dei Santi Apostoli, ma Bertrandon de la Broquière situa il sepolcro di Costantino nel Pantokrator, mausoleo dei Comneni. Alcuni testimoni del XVI secolo riportano di aver visto il presunto sepolcro di Costantino al centro di una strada nei pressi della Fatih Camii. Nel XIX secolo i sarcofagi imperiali ancora esistenti in città erano tutti invariabilmente attribuiti a Costantino, e infatti le fonti collocano variabilmente la sepoltura costantiniana tra nella moschea di Beyazid II, la Nuruosmaniye Camii o ancora la Zeyrek Camii (ex-Pantokrator)90.
Alla morte di Mehmed, nell’aprile-maggio del 1481, il figlio e successore Beyazid II costruisce un mausoleo (türbe) nel complesso della Fatih Camii, secondo alcuni nel punto stesso in cui era collocato il sepolcro costantiniano. Prima di Mehmed, tutti i sultani ottomani erano stati sepolti a Bursa, l’antica capitale dell’emirato: per la prima volta con Mehmed II un sultano viene sepolto a Istanbul, nello stesso luogo in cui erano stati sepolti gli imperatori bizantini dal IV all’XI secolo. Significative sono inoltre le analogie spaziali tra le fonti sulla cerimonia funebre tributata a Mehmed II e le esequie di Costantino91: in entrambi i casi, il feretro del sovrano è esposto nel palazzo per poi essere trasportato verso i Santi Apostoli o la Fatih Camii con una processione che attraversa la via imperiale.
Un altro dei foci del potere su cui Mehmed II interviene è l’Augustaion, su cui si affacciavano in epoca bizantina il palazzo imperiale con i propilei, la Chalke (porta di bronzo), il Senato e Santa Sofia. Al centro troneggiava la colossale statua equestre di Giustiniano, le cui fattezze ci sono note anche grazie a un bozzetto attribuito a Ciriaco d’Ancona92. Un gruppo di mappe del Liber insularum di Buondelmonti identificano cavaliere con Teodosio. Questo ha portato a ipotizzare che lo stesso Giustiniano avesse reimpiegato una statua equestre di Teodosio nella costruzione del colosso93. La statua, che spesso nelle fonti ottomane è attribuita a Costantino ed è circondata da un’aura sinistra, viene distrutta poco dopo la conquista. Il globo crucigero stretto nella sinistra dell’imperatore era infatti un’immagine del potere universale del basileus, mentre il braccio destro teso verso est avrebbe tenuto lontani i nemici di Bisanzio in arrivo da Oriente. Le cronache anonime ottomane riportano i tentativi di impedire la rimozione della statua compiuti dai cristiani di Istanbul, i quali sostenevano che essa avrebbe protetto la città dalla peste. Ma alla fine prevalse il partito contrario. Molto probabilmente la statua viene rimossa poco dopo la conquista ed è poi fusa in un secondo momento, o nel 1456 in occasione dell’assedio di Belgrado o nel XVI secolo, secondo la testimonianza di Pierre Gilles, grande conoscitore della topografia e delle antichità costantinopolitane94. Non sembra comunque che il colosso giustinianeo sia stato rimosso per una generica campagna iconoclasta contro le antichità costantinopolitane ma piuttosto per i poteri taumaturgici di segno negativo che gli vengono attribuiti, come riporta Angiolello: «(la statua) fu levata via dal Gran Turcho perché dicevano li suoi astrologhi ed indovini che, insino che la detta statua di Sant’Agostino (sic) starà sopra la detta colona, le cristiani averanno possanza contra macometani»95.
Un ruolo centrale nella capitale ottomana è ricoperto dal glorioso ippodromo (Atmeydanı), in decadenza da alcuni secoli e nel 1453 ormai in rovina. Mehmed II distribuisce alcune terre adiacenti con l’intenzione di ripopolarle; l’ippodromo ottomano diviene così una cava a cielo aperto di materiali utilizzati per la costruzione di nuove strutture, in particolare il prospiciente palazzo di Ibrahim Paşa, la moschea di Süleyman e quella di Sultanahmet, nella cui corte si vedono infatti numerose colonne provenienti dal peripatos, il portico trabeato i cui resti si osservano ancora ergersi in raffigurazioni cinquecentesche dell’ippodromo96. La presenza del monumentale palazzo di Ibrahim Paşa indica una riappropriazione dello spazio da parte dell’entourage sultaniale, e alcune miniature ottomane mostrano l’Atmeydanı come luogo di incontro tra il palazzo e la città, nell’amministrazione della giustizia, nel cerimoniale imperiale, nella celebrazione delle festività e nell’espressione del dissenso97. Qui rimangono per secoli l’obelisco di Tutmosi III con il basamento marmoreo teodosiano, l’obelisco di Costantino VII Porfirogenito e la colonna serpentina.
Quest’ultimo è un tripode bronzeo anguiforme, trofeo votivo offerto al santuario di Delfi dai Greci confederati dopo la vittoria nella battaglia di Platea (479 a.C.). Costantino aveva collocato il tripode nell’ippodromo, di cui oggi resta solo la base, costituita dalle spire di tre serpenti intrecciati, e un frammento della testa di uno dei tre serpenti che supportavano il tripode98. Per molto tempo si è creduto che a deturpare la scultura fossero stati gli ottomani, subito dopo la conquista. La cronaca anonima del 1491 presenta una descrizione molto accurata della scultura, in relazione ai suoi poteri taumaturgici, ma senza alcun riferimento a mutilazioni e sfregi. Kemālpaşazāde, che scrive negli ultimi anni di regno di Beyazid II (1481-1512), raccontando che fu lo stesso Costantino a ordinare la costruzione del tripode, i cui poteri avrebbero tenuto i serpenti lontano dalla città fino a quando la colonna fosse rimasta integra, ci informa che già ai primi del Cinquecento la mascella di un serpente era mutila, anche se non ne viene specificato il motivo e Mehmed non è menzionato come possibile autore della mutilazione. La tradizione secondo cui sarebbe stato Mehmed a sfigurare uno dei tre serpenti poco dopo la conquista di Costantinopoli risale solo a un periodo successivo, almeno alla metà del XVI secolo. Essa è però contraddetta da fonti contemporanee di Mehmed: Angiolello, il quale racconta della decisione del sultano di abbattere un gelso nei pressi della colonna al fine di proteggerla, in quanto prezioso talismano posto a difesa della città99, e Bonsignore Bonsignori, che accenna a un’esedra colonnata posta nell’ippodromo di cui i turchi erano molto gelosi, al punto che non permettevano agli stranieri di avvicinarvisi100. La definitiva scomparsa del tripode e delle tre teste dei serpenti va ascritta invece con sicurezza all’anno 1700, come testimoniano un passo delle relazioni dell’ambasciatore polacco De la Motraye e una cronaca ottomana, il Nusretnāme di Fındıklı Mehmed Silahdar101. Il tripode, lungi dall’essere distrutto dal furore iconoclasta dei turchi, i quali peraltro gli avevano da sempre attribuito poteri talismanici, sarebbe invece caduto per cause naturali dopo aver resistito al tempo per oltre due millenni.
Un monumento direttamente legato alla figura di Costantino giunto fino a noi è la colonna nota come Çemberlitaş («colonna cerchiata») o colonna bruciata, eretta da Costantino nel foro a lui dedicato e notevolmente danneggiata. All’origine alta 37 metri circa e costituita da sette rocchi di porfido con i giunti mascherati da corone di alloro, la colonna ha il basamento originario inglobato in un consolidamento turco settecentesco. La colonna era sormontata da una statua di Costantino raffigurato come Apollo-Helios, caduta nel 1106 e sostituita da Manuele I Comneno con una croce, anch’essa perduta. Nulla rimane delle mirabilia del foro costantiniano, ma sappiamo che alcune colonne furono reimpiegate nel palazzo di Hadem Ali Paşa e attraverso le testimonianze di Buondelmonti, Pierre Gilles e di due acquerelli settecenteschi anonimi possiamo ricavarne un’immagine parziale102. Molto poco si conosce anche del reliquiario della cappella di Costantino, collocato alla base della colonna103, in cui sarebbe stato collocato anche il Palladio, la statua di Atena portata da Troia a Roma, e di qui a Costantinopoli. Nonostante il comune riferimento a Troia nell’immagine imperiale bizantina e ottomana, le fonti ottomane sembrano ignorare la tradizione del Palladio. Evliya Çelebi collega invece alla Çemberlitaş la leggenda dello stornello che, poggiato sulla sommità della colonna, una volta all’anno chiama a raccolta tutti gli uccelli del cielo; una leggenda questa, che nelle fonti arabe è associata a Roma e che richiama le descrizioni bizantine degli automata cantanti posti su un albero metallico presso il Trono di Salomone nel palazzo della Magnaura104.
1 Bibliografia generale: W. Goez, Translatio imperii. Ein Beitrag zur Geschichte des Geschichtsdenkens und der politischen Theorien im Mittelalter und in der frühen Neuzeit, Tübingen 1958; F. Babinger, Maometto il Conquistatore e il suo tempo, Torino 19702; J. Raby, El Gran Turco. Mehmed as Patron of the Arts of Christendom, 3 voll., Oxford 1980; S. Vryonis, Byzantine Constantinople and Ottoman Istanbul. Evolution in a Millennial Imperial Iconography, in The Ottoman City and its Parts. Urban Structure and Social Order, ed. by I. Bierman, New Rochelle (NY) 1991, pp. 13-52; Constantinople. De Byzance à Istanbul (catal.), éd. par S. Yerasimos, Paris 2000; P. Bádenas de la Peña, I. Pérez Martín, Constantinopla 1453. Mitos y realidades, Madrid 2003; R. Ousterhout, The East, the West and the Appropriation of the Past in Early Ottoman Architecture, in Gesta, 43,2 (2004), pp. 165-176; C. Kafescioğlu, La capitale dell’impero ottomano. Istanbul tra XV e XVIII secolo, in Bisanzio, Costantinopoli, Istanbul, a cura di T. Velmans, Milano 2008, pp. 251-320; Id., Constantinopolis/Istanbul. Cultural Encounter, Imperial Vision, and the Construction of the Ottoman Capital, University Park (PA) 2009; Sultan Mehmed II. Eroberer Konstantinopels-Patron der Künste, hrsg. von N. Asutay-Effenberger, U. Rehm, Köln 2009; De Byzance à Istanbul. Un port pour deux continents (catal.), éd. par E. Eldem, Paris 2009; G. Necipoğlu, From Byzantine Constantinople to Ottoman Kostantiniyye. Creation of a Cosmopolitan Capital and Visual Culture under Sultan Mehmed II, in From Byzantion to Istanbul. 8000 Years of a Capital (catal.), ed. by N. Ölçer, Istanbul 2010, pp. 262-277.
2 P. Fodor, Ahmedi’s Dasitan as a Source of Early Ottoman History, in Acta Orientalia Academiae Scientiarum Hungaricae, 38 (1984), pp. 41-54; D.J. Kastritsis, The Sons of Bayazid. Empire Building and Representation in the Ottoman Civil War of 1402-13, Leiden 2007, pp. 33-36; H. Lowry, The Nature of Early Ottoman State, New York 2003, pp. 15-45.
3 Manuele II Paleologo per esempio partecipa alla campagna militare di Beyazid I contro Filadelfia (Alaşehir) nel 1390.
4 Non a caso la fine dell’occupazione latina di Costantinopoli nel 1261 fu celebrata come una rifondazione dell’impero da parte di un nuovo Costantino, si veda R.J. Macrides, From the Komnenoi to the Palaiologoi: imperial models in decline and exile, in New Constantines. The Rhythm of Imperial Renewal in Byzantium, 4th-13th Centuries, Papers from the Twenty-Sixth Spring Symposium of Byzantine Studies (St. Andrews march 1992) ed. by P. Magdalino, Cambridge 1994, pp. 269-282.
5 I bizantini si riferivano a Costantinopoli con ῾Ηπόλη, da cui εἰς τὴν πόλη. Si veda H. Inalcık, Istanbul, in Encyclopédie de l’Islam (EI2), Leiden 1960-2005; D.J. Georgacas, The Names of Constantinople, in Transaction and Proceedings of the American Philological Association, 78 (1947), pp. 366-367; A. Pertusi, La caduta di Costantinopoli, Milano 1976, II, p. 416.
6 M. Canard, Les expéditions des Arabes contre Constantinople dans l’histoire et dans la légende, in Journal Asiatique, 208 (1926), pp. 105-111.
7 Si veda F. Babinger, F. Dölger, Mehmed’s II. Frühester Staatsvertrag, in Orientalia Christiana Periodica 15 (1949), pp. 225-258; A. Bombaci, Nuovi firmani greci di Maometto II, in Byzantinische Zeitschrift, 47 (1954), pp. 298-319; A. Calia, Il Liber Graecus dell’Archivio di Stato di Venezia e la diplomazia veneziano-ottomana in lingua greca tra XV e XVI secolo, in Byzantion, 82 (2012), pp. 17-55
8 G.T. Zoras, Χρονικὸν περὶ τῶν τούρκων σουλτάνων, Athina 1958, p. 94; L. Bassano, I costumi, et i modi particolari de la vita de’ Turchi, Roma, Antonio Blado 1545, 26v.
9 J. Koder, Romaioi and Teukroi, Hellenes and Barbaroi, Europe and Asia. Mehmed the Conqueror Kayser-i Rum and Sultan al-Barrayn wa-l Bahrayn, in The Athens Dialogues. Stories and History (Athens 24-27 november 2010), pp. 1-29. Per gli slittamenti semantici subiti dal termine Rum in arabo e turco, indicante prima romani e bizantini, in seguito i selgiuchidi d’Anatolia – che occupavano territori un tempo bizantini – infine gli abitanti della parte occidentale dell’Impero ottomano, si veda N. Serikoff, Rūmī and Yūnānī. Towards the Understanding of the Greek Language in the Medieval Muslim World, in East and West in the Crusader States. Contexts – Contacts – Confrontations, Acts of the Congress (Hernen Castle May 1993), ed. by K.N. Ciggaar, A. Davids, H.G.B. Teule, Leuven 1996, pp. 169-194.
10 Critobuli Imbriotae Historiae, ed. D.R. Reinsch, Berlin 1983, p. 3; si veda G. Rösch, Onoma basileias. Studien zum offiziellen Gebrauch der Kaisertitel in spätantiker und frühbyzantinischer Zeit, Wien 1978, pp. 43-47, 168-171.
11 Da ultimo R. Murphey, Exploring Ottoman Sovereignty. Tradition, Image and Practice in the Ottoman Imperial Household, 1400-1800, London 2008, pp. 19-98.
12 Per la cesura propende M.F. Köprülü, Bizans Müesseselerinin Osmanlı Müesseselerine Tesiri hakkında bazı mülahazalar (Alcune considerazioni sull’influenza delle istituzioni bizantine sulle istituzioni ottomane) Ankara 1931; diversamente S. Vryonis, The Byzantine Legacy and Ottoman Forms, in Dumbarton Oaks Papers, 23-24 (1969-1970), pp. 251-308.
13 Un ritratto idealizzato di Mehmed in E. Jacobs, Mehmed II, der Eroberer, seine Beziehungen zur Renaissance und seine Büchersammlung, in Oriens, 2 (1949), pp. 6-30.
14 S. Yerasimos, La fondation de Constantinople et de Sainte Sophie dans les traditions turques, Istanbul-Paris 1990, pp. 207-210; C. Kafadar, Between Two Worlds. The construction of the Ottoman State, Berkeley 1995, pp. 146-150.
15 D.R. Reinsch, Il Conquistatore di Costantinopoli nel 1453: Erede legittimo dell’imperatore di Bisanzio o temporaneo usurpatore? Alle origini della questione: appartiene la Turchia all’Europa?, in Medioevo Greco, 3 (2003), pp. 313-23; K. Moustakas, Byzantine ‘Visions’ of the Ottoman Empire. Theories of Ottoman Legitimacy by Byzantine Scholars after the Fall of Constantinople, in Images of the Byzantine World. Studies Presented to Leslie Brubaker, ed. by A. Lymberopoulou, Aldershot 2011, pp. 215-230.
16 Ducas, Historia Turco-Bizantina, ed. by V. Grecu, Bucarest 1958; B. Laourdas, ῾H πρὸς τὸν αὐτοκράτορα Φρειδερῖκον τὸν Τρίτον ἐπίκλησις τοῦ Μιχαὴλ ᾿Aποστόλη (L’appello di Michele Apostolis all’imperatore Federico III), in Γέρας Α. Κεραμοπούλου, Athina 1953, pp. 516-527.
17 A. Pertusi, La caduta, cit., I, pp. 82, 277, 293; Id., Fine di Bisanzio e fine del mondo: significato e ruolo storico delle profezie sulla caduta di Costantinopoli in Oriente e in Occidente, a cura di E. Morini, Roma 1988, pp. 25-33; M.-H. Congourdeau, Byzance et la fin du monde. Courants de pensée apocalyptiques sous les Paléologues, in Les traditions apocalyptiques au tournant de la chute de Constantinople, Actes de la Table Ronde d’Istanbul (13-14 avril 1996), éd. par B. Lellouch, S. Yerasimos, Paris 2000, pp. 59-73. Su Peresvetov, si veda A. Aykut, Ivan Peresvetov ve Sultan Mehmet Menkıbesi, in Belleten, 46 (1982), pp. 861-882.
18 J. Harris, Laonikos Chalkokondyles and the Rise of the Ottoman Turks, in Byzantine and Modern Greek Studies, 27 (2003), pp. 153-170.
19 D.R. Reinsch, Kritoboulos of Imbros – Learned Historian, Ottoman Raya and Byzantine Patriot, in Zbornik Radova Vizantoloskog Instituta, 40 (2003), pp. 297-311.
20 Sphrantzes, Memorii 1401-77. In Anexă Pseudo-Phrantzes. Macarie Melissenos Cronica 1258-1481, ed. de V. Grecu, Bucarest 1966, 210,7-212,4; anche Theodore Spandounes. On the Origins of the Ottoman Emperors, ed. by D.M. Nicol, Cambridge 1997, p. 11.
21 Sui poemetti encomiastici per Mehmed: B. Janssens, P. Van Deun, George Amiroutzes and his Poetical Oeuvre, in Philomathestatos: Studies in Greek Patristic and Byzantine Texts presented to Jacques Noret for his Sixty-Fifth Birthday, ed. by B. Janssens, B. Roosens, P. Van Deun, Leuven 2004, pp. 314-323. Sull’orazione funebre per Mehmed: D.R. Reinsch, Byzantinisches Herrscherlob für den türkischen Sultan, in Cupido legum, hrsg. von L. Burgmann, Frankfurt 1985, pp. 195-210. Epistola a Bessarione: PG 161, pp. 723-728; S. Lampros, ῾H περὶ ἁλώσεως Τραπεζοῦντος ἐπιστολὴ τοῦ ᾿Aμηρούτζη (L’epistola di Amirutze sulla presa di Trebisonda), in Nέος ῾Eλληνομνήμων, 12 (1915), pp. 476-478.
22 Ibidem.
23 Yazıcıoğlu Ahmed Bican, Dürr-i Meknun, Saklı İnciler, ed. N. Sakaoğlu, Istanbul 1999.
24 V.S. Yerasimos, Enquête sur un héros: Yanko bin Madyan, le fondateur mythique de Constantinople, in Mélanges offerts à Louis Bazin, éd. par J.L. Bacqué-Grammont, R. Dor, Paris 1992, pp. 213-217.
25 Yerasimos, La fondation de Constantinople, cit., passim; Id., Byzance dans les chroniques ottomanes (XIV-XVIème siècle), in Byzance en Europe, éd. par M.F. Auzépy, Paris 2004, p. 19; C. Kafadar, Between two worlds, cit., pp. 90-109, 138 segg.
26 Sui Patria si veda G. Dagron, Constantinople imaginaire. Étude sur le recueil des ‘Patria’, Paris 1984; Oruç bey, Die Frühosmanischen Jahrbücher des Urudsch, hrsg. von F. Babinger, Hannover 1925; ‘Āşıḳpaşazāde, Die altosmanische Chronik des Āşıḳpaşazāde, hrsg. von F. Giese, Leipzig 1929; Ak Şemsüddin, Tarih-i bina-i Ayasofya, éd. par F. Tauer, Les versions persanes de la légende sur la construction d’Aya Sofya, in Byzantinoslavica, 15 (1954), pp. 1-20.
27 Tursun bey, The History of Mehmed the Conqueror, ed. by H. Inalcık, R. Murphey, Chicago 1978; Kemālpaşazāde, Tevārīḫ-i Āl-i ‘Osmān, ed. by Ş. Turan, Ankara 1970; Idris-i Bitlisi, Osmanlı Devleti’nin Kuruluşu, Bitlisli Idris’in ‘Heşt Behişt’ Adlı Eserine göre (La costruzione dello stato ottomano secondo l’opera chiamata ‘Heşt Behişt’ di Idris di Bitlis), ed. by M. Şükrü, Ankara 1934; Kıvami, Fetihnāme-i Sultan Mehmed, hrsg. von F. Babinger, Istanbul 1955, p. 46.
28 G. Veinstein, Le rôle des tombes sacrées dans la conquête ottomane, in Revue d’Histoire des religions, 4 (2005), pp. 509-528.
29 G. Mandalà, Tra mito e realtà: l’immagine di Roma nella letteratura araba e turca di età ottomana (secoli XV-XVI), in Italien und das osmanische Reich, hrsg. von F. Meier, Herne 2010, pp. 43-54.
30 A.M. Piemontese, Il Pomo Aureo del Paradiso persiano, in Rivista degli Studi Orientali, 71 (1997), pp. 147 segg.
31 Y. Miyamoto, The Influence of Medieval Prophecies on Views of the Turks, Islam and Apocalypticism, in Journal of Turkish Studies, 17 (1993), pp. 125-145; S. Yerasimos, De l’arbre à la pomme. La généalogie d’un theme apocalyptique, in Les Traditions apocalyptiques, cit., pp. 170-84.
32 A. Fischer, Qızıl elma, die Stadt (das Land) der Sehnsucht der Osmanen, in Zeitschrift der Deutsches Morgenlandischen Gesellschaft, 74 (1920), pp. 170-174; E. Rossi, La leggenda turco-bizantina del pomo rosso, in Atti del V Congresso Internazionale di Studi Bizantini (Roma, settembre 1936), Roma 1939, pp. 542-553; K. Teply, Kızıl elma. Die grosse turkische Geschichtssage im Licht der Geschichte und Volkskunde, in Südost-Forschungen, 36 (1977), pp. 78-108; P. Fodor, The view of Turk in Hungary. the Apocalyptic Tradition and the Legend of the Red Apple in Ottoman-Hungarian Context, in Les Traditions apocalyptiques, cit., pp. 99-131.
33 M. Philippides, W.K. Hanak, The Siege and the Fall of Constantinople in 1453, Farnham-Burlington 2011, pp. 193-288.
34 G. Dagron, Constantinople imaginaire, cit., pp. 150-156.
35 V.S. Yerasimos, La fondation de Constantinople, cit., pp. 125-127.
36 Critobuli Imbriotae Historiae, cit., p. 170.
37 A. Pertusi, I primi studi in Occidente sull’origine e la potenza dei Turchi, in Studi Veneziani, 12 (1972), pp. 465-552; M. Soykut, Image of the ‘Turk’ in Italy: A History of the ‘other’ in Early Modern Europe 1453-1683, Berlin 2001; N. Bisaha, Creating East and West. Renaissance Humanists and the Ottoman Turks, Philadelphia 2004; M. Meserve, Empires of Islam in Renaissance historical Thought, Cambridge (MA) 2008.
38 V.J. Monfasani, George of Trebizond: a Biography and a Study of his Rhetoric and Logic, Leiden 1976, pp. 131-36, 188-95; Id., Collectanea Trapezuntiana. Texts, Documents and Bibliographies of George of Trebizond, Binghamton (NY) 1984, pp. 493-496, 528-531; P. Bádenas de la Peña, Corrientes conciliadoras de intelectuales griegos en la corte del Gran Turco, in Erytheia, 20 (1999), pp. 197-208.
39 L. D’Ascia, Il Corano e la Tiara. L’epistola a Maometto II di Enea Silvio Piccolomini (papa Pio II), Bologna 2001, pp. 136-143, 163, 241; N. Bisaha, Letter by Pius II to Mehmed II, in Crusades, 1 (2002), pp. 183-200.
40 L. D’Ascia, Il Corano e la Tiara, cit., pp. 128-34; I Commentari di Theodoro Spandugino Cantacuscino Gentilhuomo Costantinopolitano dell’origine de’ principi Turchi et de’ costumi di quella natione, Firenze, Torrentino 1551, p. 182: «Perciocché essi affermano che dopo la religione Maumetana, la quale eglino et per bontà et per utilità stimano eccellentissima, la cristiana avanzi l’ebrea e tutte l’altre».
41 A. Pertusi, La caduta, cit., II, p. 70; J. Raby, Cyriacus of Ancona and the Ottoman Sultan Mehmed II, in Journal of the Warburg and the Courtauld Institutes, 43 (1980), pp. 242-246.
42 «Almeno Cristo, lui, figlio del Dio altissimo che è anche Dio padre, avesse dato a te Mehmed, monarca tanto grande, l’occhio della sua fede; tu saresti certo il re di tutta la terra», in E. Legrand, Cent-dix lettres grecques de François Filelfe, Paris 1892, p. 214.
43 A. Pertusi, La caduta, cit., II, pp. 92, 132.
44 Topkapı Sarayı Kütüphanesi, ms. Gayri Islami 24, Christoforo Buondelmonti: Description des îles de l’Archipel. Version grecque par un anonyme, éd. par E. Legrand, Paris 1897.
45 Su Berlinghieri: Topkapı Sarayı Kütüphanesi, ms. Gayri Islami 84, si veda J. Brotton, Trading Territories. Mapping the Early Modern World, London 1997, pp. 87-103. Su mappe e trattati dedicati a Mehmed II, si veda F. Babinger, An Italian Map of the Balkans, Presumably Owned by Mehmed II the Conqueror (1452-3), in Imago Mundi, 8 (1951), pp. 8-15.
46 M. Meserve, Empires of Islam, cit., pp. 169-176.
47 D. Cantimori, Umanesimo e religione nel Rinascimento, Torino 1975, pp. 164 segg.
48 F. Babinger, Reliquienschacher am Osmanenhof im XV. Jahrhundert, in Sitzungsberichte der Bayerischen Akademie der Wissenschaften, Philos.-hist. Klasse, 1956, n. 2, pp. 1-47.
49 P. Magdalino, L’église du Phare et le reliques de la Passion du Christ, in Byzance et les reliques du Christ, XXe Congrès international des études byzantines (Paris 19-25 août 2001), éd. par B. Flusin, J. Durand, Paris 2004, pp. 15-30.
50 F. Babinger, Reliquienschacher, cit., p. 19.
51 Sulla reliquia del Battista, si veda N. Bayraktar, Topkapı Sarayı Müzesinde Hagios Ioannes Prodomos’a Ait Rölikler, in Topkapi Sarayi Muzesi, 1 (1985), pp. 9-20; I. Kalavrezou, Helping Hands for the Empire: Imperial Ceremonies and the Cult of Relics at the Byzantine Court, in Byzantine Court Culture from 829 to 1204, ed. by H. Maguire, Washington 1997, pp. 67-70; sulla Madonna belliniana, si veda J. Raby, El Gran Turco, cit., pp. 94-5, 342-350; C. Campbell, A. Chong, Bellini and the East (catal.), London 2005, p. 111-113.
52 A. Pertusi, La caduta, cit., I, p. 46 (Enea Silvio Piccolomini, epistola a papa Niccolò V: «Secunda mors ista Homero est, secundus Platonis obitus […] Extinctus est fons Musarum»).
53 J. Raby, Mehmed the Conqueror’s Greek Scriptorium, in Dumbarton Oaks Papers, 37 (1983), pp. 15-35; Id., East and West in Mehmed the Conqueror’s Library, in Bulletin du Bibliophile, 3 (1987), pp. 297-321.
54 E. Atıl, Ottoman Miniature Painting under Sultan Mehmed II, in Ars Orientalis, 9 (1973), pp. 103-120; J. Meyer zur Capellen, Gentile Bellini, Stuttgart 1985, pp. 128-131; Id., Gentile Bellini als Bildnismaler am Hofe Mehmets II, in Sultan Mehmed II: Eroberer Konstantinopels, cit., pp. 139-160; J. Raby, A Sultan of Paradox: Mehmed the Conqueror as a Patron of the Arts, in Oxford Art Journal, 5 (1982), pp. 3-8.
55 Non solo Mehmed II, ma anche alcuni personaggi del palazzo ottomano furono ritratti da Bellini e dai suoi allievi; il ritratto più interessante è quello dello ‘scriba seduto’, variabilmente attribuito a Gentile Bellini e a Costanzo da Ferrara, si veda J. Meyer zur Capellen, Gentile Bellini, cit., pp. 125-126, 167-171; C. Campbell, A. Chong, Bellini and the East, cit., pp. 98-105, 122-125.
56 British Museum, Coins & Medals, M. 0268 e M. 0269, si veda S.K. Scher, The Currency of Fame: Portrait Medals of the Renaissance, Washington 1994, pp. 32-37. British Museum, Coins & Medals, M. 0268 e M. 0269.
57 Topkapı Sarayı Kütüphanesi, ms. H2153, ff. 101r, 144r, f. 145v; si veda J. Raby, Mehmed II Fatih and the Fatih Album, in Colloquies in Art and Archaeology in Asia, 10 (1985), pp. 42-49.
58 C. Campbell, A. Chong, Bellini and the East, cit., p. 70.
59 J. Raby, Pride and Prejudice: Mehmed II and Italian Portrait Medals, in Studies in the History of Art, 21 (1987), pp. 171-196; C. Campbell, A. Chong, Bellini and the East, cit., pp. 74-75.
60 M. Andaloro, Costanzo da Ferrara. Gli anni a Costantinopoli alla corte di Maometto II, in Storia dell’Arte, 38 (1980), pp. 185-212; C. Campbell, A. Chong, Bellini and the East, cit., pp. 71-73.
61 Ivi, pp. 76-77.
62 Geschichte Sultan Süleyman Kānūnis von 1520 bis 1557, oder Tabakat ül-Memalik ve Derecat ül-Mesalik von Celalzade Mustafa genannt Koca Nisancı, hrsg. von P. Kappert, Wiesbaden 1981, ff. 209v-210r.
63 G. Necipoğlu, Süleyman the Magnificent and the Representation of Power in the Context of Ottoman-Habsburg-Papal Rivalry, in Süleyman the Second and His Time, ed. by H. Inalcık, C. Kafadar, Istanbul 1993, pp. 163-191; Id., The Age of Sinan. Architectural Culture in the Ottoman Empire, Princeton 2005, pp. 27-46; G. Veinstein, Charles Quint et Soliman le Magnifique: le grand défi, in Carlos V. Europeísmo y universalidad, Congreso internacional (Granada 1-5 de mayo 2000), 5 voll., ed. por J.L. Castellano Castellano, F. Sánchez-Montes González, Madrid 2001: III, Los escenarios del Imperio, pp. 519-529.
64 Commentarii delle cose de’ Turchi, di Paulo Giovio, et Andrea Gambini, con gli fatti, et la vita di Scanderberg, in Vinegia: in casa de’ figliuoli di Aldo, 1541, f. 30r.
65 M. Guboğlu, L’inscription turque de Bender relative à l’expedition de Soliman le Magnifique en Moldavie, in Studia et Acta Orientalia, 1 (1958), pp. 175-187.
66 Per esempio gli oroscopi di Süleyman e Carlo V di Antonio Cardano, si veda A. Grafton, Cardano’s Cosmos: the Worlds and Works of a Renaissance Astrologer, Cambridge (MA) 1999, pp. 68-9.
67 Latifi, Evsāf-ı İstanbul, ed. N. Suner Pekin, Istanbul 1977, p. 11.
68 Lütfi Paşa ve Tevârih-i Al-i Osman, ed. K. Atık, Ankara 2001, p. 185.
69 Mustafa Ali, Künhü’l-Ahbar: II.Rüknü: Fatih Sultan Mehmed Devri, ed. by H. Şentürk, Ankara 2003, p. 28; Evliya Çelebi Seyahatnāmesi 1.Kitap, Topkapı Sarayı Kütüphanesi, ms. Bağdat 304, ed. R. Dankoff, S.A. Kahraman, Y. Dağlı, Ankara 2006, I, p. 76; Hezarfen Hüseyin Efendi, Tenkihü’t- Tevarih-i Müluk, Süleymaniye Kütüphanesi, ms. Hekimoğlu 732, f. 191v.
70 S. Subrahmanyam, Connected Histories: Notes towards a reconfiguration of Early Modern Eurasia, in Modern Asian Studies, 31 (1997), pp. 735-762.
71 Petri Gyllii de topographia Constantinopoleos et de illius antiquitatibus libri quattuor, Lugduni, apud Guilielmum Rovilium 1562, pp. 86, 181; G. Necipoğlu, The Süleymaniye Complex in Istanbul: An Interpretation, in Muqarnas, 3 (1985), pp. 92-117; N. Asutay-Effenberger, A. Effenberger, Die ‘columna virginea’ und ihre Wiederverwendung in der Süleymaniye Camii, in Millennium, 1 (2004), pp. 369-407.
72 Servet-i Fünun 984, 1 Nisan 1326 (= 1908), 347; si veda W.M.K. Shaw, Possessors and Possessed. Museums, Archaeology and the Visualization of History in the late Ottoman Empire, Berkeley-Los Angeles-London 2003, p. 76.
73 Tursun bey, cit., ff. 51r-52v; Critobuli Imbriotae Historiae, cit., pp. 83 segg.
74 G.P. Majeska, Russian Travelers to Constantinople in the XIVth and XVth Centuries, Washington 1984; S. Yerasimos, Les voyageurs dans l’Empire ottoman, XIV-XVI siècles, Ankara 1991; M. Crisolora, Roma parte del cielo. Confronto tra l’Antica e la Nuova Roma, a cura di E.V. Maltese, Torino 2000.
75 I.R. Manners, Constructing the Image of a City. The Representation of Constantinople in Christopher Buondelmonti’s Liber insularum archipelagi, in Annals of the Association of American Geographers, 87 (1997), pp. 72-102; C. Barsanti, Costantinopoli e l’Egeo nei primi decenni del XV secolo. La testimonianza di Cristoforo Buondelmonti, in Rivista dell’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte, 56 (2001), pp. 83-253.
76 M. Balard, Constantinople vue par les témoins du siège de 1453, in G. Dagron, C. Mango, Constantinople and its Hinterland, Papers from the Twenty-Seventh Spring Symposium of Byzantine Studies (Oxford april 1993), Aldershot 1995, pp. 169-180; N. Necipoğlu, Constantinople à la veille de la conquête, in De Byzance à Istanbul, cit., pp. 163-173.
77 H. Inalcık, The policy of Mehmed II towards the Greek population of Istanbul and the Byzantine buildings of the city, in Dumbarton Oaks Papers, 23-24 (1969-1970), pp. 229-249; Id., Istanbul, in EI2; E. Zachariadou, Constantinople se repeuple, in Η ἀλώση της Κωνσταντινούπολης καὶ η μετάβαση από τους μεσαιωνικούς στους νεωτέρους χρόνους, ekd. T. Kiousopoulou, Heraklion 2005, pp. 47-59.
78 H. Inalcık, Greeks in the Ottoman Economy and Finances, in To Hellenikon. Studies on Honour of S. Vryonis, ed. by M. Anastos, New York 1993, pp. 307-319.
79 Id., The Hub of the City: the Bedestan of Istanbul, in International Journal of Turkish Studies, 1 (1980), pp. 1-17.
80 Id., Istanbul. An Islamic City, in Journal of Islamic Studies, 1 (1990) 2-4; N. Vatin, Aux origines du pèlerinage à Eyüp des sultans ottomans, in Turcica, 27 (1995), 91-99; G. Necipoğlu, Dynastic Imprintings on the Cityscape: the Collective Message of Imperial Funerary Mosque Complexes in Istanbul, in Cimetières et traditions funéraires dans le monde islamique, Actes du colloque international du Centre National de la Recherce Scientifique organisé par l’Université Mimar Sinan (Istanbul 28-30 Septembre 1991), éd. par J.L. Bacqué-Grammont, Paris 1996, pp. 23-36.
81 C. Mango, The Triumphal Way of Constantinople and the Golden Gate, in Dumbarton Oaks Papers, 54 (2000), pp. 173-188; A. Bilban Yalçın, Constantinople after the Fall: the Use of Byzantine Spolia Sculpture in Early Ottoman Buildings (1453-1500), in Constantinopla. 550 años de su caída, 3 voll., ed. por E. Motos Guirão, M. Morfakidis Filaktòs, Granada 2006: III, Constantinopla Otomana, pp. 67-77.
82 C. Mango, The Triumphal Way, pp. 183-184; si veda The Negotiations of Sir Thomas Roe in His Embassy to the Ottoman Porte, London, 1740, pp. 386-387.
83 G. Necipoğlu, Architecture, Ceremonial and Power: the Topkapı Palace in the Fifteenth and Sixteenth Centuries, New York-Cambridge (MA) 1991, pp. 4-21, 242-252.
84 M. Ahunbay, Z. Ahunbay, Structural Influence of Hagia Sophia on Ottoman Mosque, in Hagia Sophia from the Age of Justinian to the Present, ed. by R. Mark, A. Çakmak, Cambridge 1992, pp. 179-194; G. Necipoğlu, The Life of an Imperial Monument: Hagia Sophia after Byzantium, pp. 195-225.
85 I richiami tra la moschea di Fatih e l’Ospedale Maggiore di Milano del Filarete sono evidenziati da M. Restle, Bauplannung und Baugesinnung unter Mehmed II Fatih, in Pantheon, 39 (1981), pp. 361-367; si veda G. Necipoğlu, Plans and Models in 15th and 16th Century Ottoman Architectural Practice, in Journal of the Society of Architectural Historians, 45,3 (1986), pp. 224-243.
86 Diversamente G. Downey, The Builder of the Original Church of the Apostles at Constantinople. A Contribution to the Criticism of the ‘Vita Constantini’ attributed to Eusebius, in Dumbarton Oaks Papers, 6 (1951), pp. 51-80, secondo cui chiesa e mausoleo furono costruiti da Costanzo, successore di Costantino.
87 Nicetae Choniatae Historia, hrsg. von J. Van Dieten, Berlin-New York 1975, pp. 647-648.
88 A. Pertusi, La caduta, cit., I, pp. 194, 229.
89 P. Grierson, The Tombs and Obits of the Byzantine Emperors (337-1042), in Dumbarton Oaks Papers, 16 (1962), pp. 1-62; N. Asutay-Effenberger, Die Porpbyrsarkophage der oströmischen Kaiser, Wiesbaden 2006, tavv. 8 e 13.
90 S. Ronchey, T. Braccini, Il Romanzo di Costantinopoli. Guida letteraria alla Roma d’Oriente, Torino 2010, pp. 561-568.
91 A.S. Ünver, Fatih Sultan Mehmed’in ölümü ve hadiseleri üzerine bir vesika (Un documento sulla morte e gli eventi del sultano Mehmed il Conquistatore), Istanbul 1952; G. Necipoğlu, Dynastic Imprintings, cit., p. 27; G. Veinstein, N. Vatin, La mort de Mehmed II, in Les Ottomans et la mort. Permanences et Mutations, éd. par G. Veinstein, Leiden 1996, pp. 207-244.
92 Budapest, Università Eötvös Loránd, Biblioteca universitaria ms. Ital. 35, f. 144v.
93 C. Mango, Justinian’s Equestrian Statue, in The Art Bulletin, 41 (1959), pp. 1-16; Id., The Columns of Justinian and his Successors, in Id., Studies on Constantinople, X, Aldershot 1993, pp. 1-20.
94 J. Raby, Mehmed and the Equestrian Statue, in Illinois Classical Studies, 12 (1987), pp. 305-13; si veda Petri Gyllii de topographia Constantinopoleos, cit., pp. 104-105, 111-112.
95 G.M. Angiolello, Il sultano e il profeta: memorie di uno schiavo vicentino divenuto tesoriere di Maometto II il Conquistatore, a cura di J. Guérin Dalle Mese, Milano 1985, p. 99.
96 Sull’ippodromo si veda R. Janin, Constantinople byzantine, Paris 19642, pp. 183-194; C. Barsanti, Costantinopoli: testimonianze archeologiche di età costantiniana, in Costantino il Grande. Dall’Antichità all’Umanesimo, Colloquio sul Cristianesimo nel mondo antico, Atti del convegno (Macerata 18-20 dicembre 1990), a cura di G. Bonamente, F. Fusco, Macerata 1992, I, pp. 123-125.
97 C. Kafescioğlu, Reckoning with an Imperial Legacy. Ottoman and Byzantine Constantinople, in Η ἀλώση, cit., pp. 38-39.
98 P. Devambez, Grandes bronzes du Musée de Stamboul, Paris 1937, pp. 9-12, tav. 2.
99 G.M. Angiolello, Il sultano, cit., pp. 100-101.
100 E. Borsook, The Travels of Bernardo Michelozzi and Bonsignore Bonsignori in the Levant (1497-98), in Journal of the Warburg and the Cortauld Institutes, 36 (1973), p. 160, note 87 e 89.
101 V.L. Ménage, The Serpent Column in Ottoman Sources, in Anatolian Studies, 14 (1964), pp. 169-173.
102 Sulla colonna, si veda C. Mango, Constantine’s Column, in Id., Studies on Constantinople, Aldershot 1993, III, pp. 1-6; C. Barsanti, Costantinopoli: testimonianze archeologiche, cit., pp. 131-139, 148-149.
103 C. Mango, Constantine’s Porphyry Column and the Chapel of St. Constantine, in Δελτίον τῆς Χριστιανικῆς ἀρχαιολογικῆς ἑταιρείας, s. 4, 10 (1981), pp. 103-110; Id., Constantine’s Mausoleum and the Translation of Relics, in Byzantinische Zeitschrift, 83 (1990), pp. 51-62.
104 V.G. Brett, The Automata in the Byzantine ‘Throne of Salomon’, in Speculum, 29, 3 (1954), pp. 477-487; G. Scarcia, Çemberlitaş, Monodendron, Şanoubar, in Gururâjamañjarikâ. Studi in onore di G. Tucci, I, Napoli 1974, pp. 305-311.