Costantino e il Sol Invictus
La rappresentazione monarchica del primo imperatore cristiano è intimamente legata alla divinità solare pagana del Sol Invictus e, nel contempo, il commiato da essa segna un mutamento profondo nell’autorappresentazione imperiale di Costantino.
In questo contributo si prende in esame come la divinità solare sia impiegata nell’autorappresentazione costantiniana e come il significato di Sol Invictus si sviluppi nel corso del tempo; in che rapporto stia questa divinità con le altre, specialmente con quella dei cristiani; e quali conseguenze abbiano riferimenti diretti alla divinità solare per la rappresentazione che Costantino offre della propria sovranità.
Per fare luce su tali questioni, si considerano, primariamente ma non esclusivamente, i coevi testi della letteratura panegiristica (ossia i panegirici latini d’epoca costantiniana, i carmina del poeta romano Optaziano Porfirio e il discorso per il trentennale del vescovo Eusebio di Cesarea) e la coniazione di monete e medaglie, poiché in quest’ultima è possibile ravvisare, in modo particolarmente chiaro, il significato della divinità solare per la rappresentazione monarchica di Costantino.
Con il Sol Invictus, Costantino assume una divinità, la cui attitudine come divino comes («compagno», «accompagnatore») è già da lungo tempo dimostrata1. Nel primo principato, la divinità solare è impiegata come autorappresentazione imperiale e, precisamente, nel I e nel II secolo ancora prevalentemente per i riferimenti semantici all’aureum saeculum e all’aeternitas, mentre nel III sempre più in relazione all’aspetto militare. Nell’età severiana e sotto gli imperatori illirici sono individuabili le fasi di un chiaro dinamismo. Aureliano amplia nettamente i riferimenti semantici al Sol Invictus nella fase di dissoluzione dell’Impero delle Gallie rendendo manifesto il suo rapporto di prossimità con la divinità solare, e ciò non solo nei programmi iconografici imperiali, ma anche mediante la fondazione in ogni parte dell’Impero di templi, la costituzione di classi sacerdotali per il Sol Invictus, l’introduzione di pubblici spettacoli e giochi, nonché di festività relative. I riferimenti semantici al carattere trionfale dell’imperatore diventano, al più tardi in quest’epoca, una componente decisiva della divinità solare. Costantino può quindi ricorrere a un ampio spettro di collaudati topoi, immagini e metafore per dare espressione alla sua relazione con il Sol Invictus. L’impiego di tale divinità sotto Costantino costituisce tuttavia solo in parte la continuazione di un’antica tradizione, come risulta dal ruolo meramente secondario del Sol Invictus nella tetrarchia2, mentre i peculiari riferimenti semantici del ricorso imperiale a questa divinità discendono specialmente dalle condizioni politiche complessive della sovranità costantiniana. Per poter comprendere la genesi e lo sviluppo del divino comes sotto Costantino, occorre pertanto considerare i riferimenti al Sol Invictus ciascuno nel proprio contesto concreto e specifico. È necessario pertanto esaminare innanzitutto come la divinità solare sia stata introdotta nella rappresentazione della sovranità costantiniana3.
Quando Costantino nel 310, dunque dopo il fallito tentativo di usurpazione di Massimiano, si distacca definitivamente dall’edificio della sovranità tetrarchica, trova nella divinità solare per la prima volta un punto di riferimento religioso indipendente per la fondazione della propria rivendicazione di supremazia. L’introduzione del comes divino può essere dettagliatamente ripercorsa nella storia della monetazione costantiniana. Nel contesto dei quinquennali costantiniani si istituisce, nell’estate del 310, in tutte e tre le zecche costantiniane (Londra, Lione e Treviri) l’emissione di numerose coniazioni in bronzo, i cui rovesci raffigurano il Sol Invictus rivestito di una chlamys e col capo cinto d’una corona radiata. La divinità solare è rivolta (o incede) verso sinistra, ha la destra alzata il gesto benedicente e nella sinistra porta il globo o una frusta4. In quantità minore, ed esclusivamente a Treviri, sono emessi anche nummi, i cui rovesci mostrano il busto del Sol Invictus oppure della divinità guerresca Marte (figg. II 8, 9)5. Le effigi del rovescio della divinità solare, nell’atto di incedere, recano la legenda soli invicto comiti, ma a Londra in taluni casi anche quella comiti avgg nn. In tutte e tre le zecche, la monetazione con il Sol Invictus ha avvio in forma chiaramente monotona e immediatamente secondo rilevanti quantità, mentre al contempo la varietà dei tipi della monetazione costantiniana in generale si riduce con evidenza. A buon diritto Stephan Berrens sottolinea la ‘spietata monotonia’ con cui le monetazioni con il Sol Invictus sono coniate, in misura notevolissima e pressoché senza alcuna variante6. L’iconografia solare non rimane, tuttavia, limitata al rovescio, ma opera anche sul ritratto e la titolatura dell’imperatore. Con l’avvio della monetazione con il Sol Invictus, il ritratto di Costantino è raffigurato, nelle zecche di Londra e Treviri, per la prima volta con la corona radiata propria della divinità solare7. Tale corona resta riservata al ritratto del sovrano, nel senso che non si conia per i coreggenti riconosciuti da Costantino: Massimino Daia e Licinio. Il nuovo comes dell’imperatore trasmette anche i suoi appellativi a quest’ultimo: la titolatura di Costantino si arricchisce, con l’introduzione della monetazione dedicata al Sol, dell’epiteto invictus, ed ecco allora trovarsi scritto, ad esempio su un multiplum in oro coniato dalla zecca di Treviri, imp constantinvs p f invict avg8. Con ciò non si dà solo espressione a una particolare relazione di prossimità fra Costantino e la sua divinità protettrice, ma si mostra anche da dove derivi la asserita invincibilità del sovrano: questi è il favorito di una divinità che si fa garante delle vittorie vigilando sulle attività militari dell’imperatore, che lo accompagna in guerra, lo protegge e lo aiuta a ottenere il trionfo.
L’introduzione della coniazione dedicata al Sol Invictus rappresenta l’aspetto centrale di una fondamentale riformulazione della rappresentazione della sovranità costantiniana, divenuta necessaria dopo il fallito tentativo d’usurpazione operato da Massimiano9. Solo poco tempo prima delle solennità dei quinquennali, questi riesce a portare una parte non insignificante delle truppe imperiali a rinnegare il proprio comandante supremo. La tentata usurpazione finisce indenne per Costantino, in quanto Massimiano, non cercando il confronto diretto con Costantino, ripara nella parte opposta, in direzione della costa mediterranea, con l’idea di tentare eventualmente ancora la fortuna in Italia, da dove solo due anni prima, dopo un fallito tentativo di presa del potere contro Massenzio, era fuggito alla volta della corte di Costantino. Questa volta l’imperatore, con i contingenti rimastigli fedeli, può inseguire Massimiano e soffocarne l’usurpazione a Marsiglia. Nondimeno, gli avvenimenti hanno ormai manifestato con drastica evidenza la fragilità della sovranità costantiniana e la insufficiente lealtà persino di taluni dei suoi più stretti collaboratori militari. Al tempo stesso, il fallito tentativo d’usurpazione porta con sé prima la disfatta e poi il declino di Massimiano. L’auctor imperii, il suocero di Costantino, il garante del successo politico di quest’ultimo nel suo prendere le distanze e infine divenire politicamente autonomo da Galerio, muore. Viene meno dunque, al contempo, anche uno dei più importanti punti di riferimento della legittimazione della sovranità costantiniana, il cui detentore perviene ora al livello più basso mai in precedenza toccato e insieme a un drammatico punto di svolta nella sua carriera di governante.
Con la morte disonorevole di Massimiano diviene problematica anche la posizione del divo Costanzo quale principale punto di riferimento della legittimità dinastica di Costantino, in quanto Massimiano è auctor imperii non solo di Costantino, ma anche del padre dell’imperatore, un membro devoto della prima e della seconda tetrarchia10. Le infauste conseguenze che il tentativo d’usurpazione di Massimiano porta con sé nell’ottica dell’affermazione di un glorioso lignaggio di Costantino non possono infine essere contrastate nemmeno dalla costruzione di una genealogia fittizia, con cui Costantino cerca ora di ricondurre a Claudio il Gotico il suo diritto di sovranità. Il panegirico del 310, unitamente ai nuovi schemi di coniazione della monetazione costantiniana che sono introdotti nell’estate del 310, mostra comunque che riferimenti alla discendenza di Costantino da suo padre Costanzo I sono inseriti solo in modo assai circoscritto, mentre la nuova divinità protettrice deve plasmare in misura sostanzialmente più incisiva alla rappresentazione monarchica dell’imperatore. Con l’integrazione della divinità solare nell’autorappresentazione costantiniana va di pari passo una certa presa di distanza dalle preoccupazioni costantiniane di legittimazione dinastica del proprio diritto di sovranità, sino ad ora sostanzialmente maggiori. Nella coniazione di monete, il Sol Invictus ha il ruolo di nuova divinità protettrice, mentre al contrario il panegirico parla di Apollo. Nella ricerca costantiniana si delinea un certo consenso ad ascrivere a entrambe le divinità una semantica unitaria, per cui è importante analizzare in questa sede più accuratamente il passo del panegirico in questione, in quanto solo ciò può consentire di trarre delle adeguate conclusioni anche sul ruolo della divinità solare11.
In un passaggio famoso e assai discusso del panegirico, si riferisce di un incontro fra Costantino e Apollo verificatosi nell’estate del 310, in occasione del ritorno dell’esercito imperiale da Marsiglia, dove Costantino aveva appena represso l’usurpazione di Massimiano:
[…] ipsa hoc sic ordinante Fortuna ut te ibi rerum tuarum felicitas admoneret dis immortalibus ferre quae voveras, ubi deflexisses ad templum toto orbe pulcherrimum, immo ad praesentem, ut vidisti, deum. Vidisti enim, credo, Constantine, Apollinem tuum comitante Victoria coronas tibi laureas offerentem, quae tricenum singulae ferunt omen annorum. Hic est enim humanarum numerus aetatum, quae tibi utique debentur ultra Pyliam senectutem. Et – immo quid dico “credo”? – vidisti teque in illius specie recognovisti, cui totius mundi regna deberi vatum carmina divina cecinerunt. Quod ego nunc demum arbitror contingisse, cum tu sis, ut ille, iuvenis et laetus et salutifer et pulcherrimus, imperator12.
Camille Jullian identifica persuasivamente il luogo sacro in cui questo evento deve essere accaduto con il templum di Apollo Grannus, presso Grand, in Lorena13. Costantino sembra collocare la cerimonia nel santuario gallico di Apollo per rappresentare la sua pietas e quale formulazione coerente della sua nuova nozione di sovranità. Egli porta la propria pretesa di dominio a esprimersi in eguale misura tanto nella sua attitudine al trionfo, simboleggiata da Vittoria, quanto attraverso il suo rapporto di prossimità con la potenza protettrice divina, simboleggiata da Apollo, che gli annuncia al contempo la sovranità sull’intero orbe terrestre («vidisti teque in illius specie recognovisti, cui totius mundi regna deberi») mediante una profezia, come si nota, diretta esplicitamente contro ogni forma di divisione collegiale della sovranità14. Con ciò, al tempo stesso, si tratteggia una particolare prossimità dell’imperatore con la sfera del divino. L’oratore ribadisce a più riprese che Costantino «ha visto il suo Apollo» («immo ad praesentem ut vidisti deum»; «vidisti enim, credo, Costantine, Apollinem tuum»; «et – immo quid dico “credo”? – vidisti teque in illius specie recognovisti»). È qui evocata l’idea di una relazione di prossimità, fra Costantino e Apollo, che non teme concorrenza: una prossimità con la potenza protettrice divina che è, per di più, chiaramente superiore al concetto tetrarchico dell’esaltazione cosmica degli imperatori. Costantino è qui posto (quasi) al livello di una divinità che gli si rivela in modo esclusivo, che anzitutto lo protegge e con cui egli condivide proprietà e capacità decisive. Come più tardi Costantino sarà equiparato al Sol Invictus su un medaglione di valore proveniente da Pavia – la romana Ticinum – , analogamente anche qui si ha fra il sovrano e la sua divinità protettrice un accostamento fisionomico, attraverso cui si esprimono sul piano simbolico le qualità ultraterrene dell’imperatore15: come Apollo, così anche Costantino è «giovane», «felice», «salutare» e «bellissimo» («tu sis, ut ille, iuvenis et laetus et salutifer et pulcherrimus, imperator»). L’imperatore e il suo comes divino lottano dunque da pari, fianco a fianco, per il benessere dell’Impero. Mentre nel discorso del 307 l’idoneità militare di Costantino si evince ancora dalla sua discendenza genealogica dal divo Costanzo, ora occorre che il suo successo sia reso plausibile in virtù delle caratteristiche quasi divine che gli sono proprie e dell’ineguagliata prossimità con Apollo.
Quanto affermato nel panegirico a riguardo di Apollo può essere letto, almeno in alcune parti, come un commento alla monetazione con tema solare. L’analogia acquista maggiore plausibilità anche in considerazione del fatto che Apollo e la divinità solare sempre nella tradizione grecoromana sono comunque posti in stretto rapporto fra loro. Una riorganizzazione generale della rappresentazione sovrana di Costantino, in particolar modo negli ambiti religioso e dinastico, diviene pertanto immediatamente comprensibile in rapporto con il fallito tentativo d’usurpazione di Massimiano e insieme nel contesto dei quinquennali. Nelle testimonianze sia panegiristiche sia numismatiche si delineano dunque i contorni di una nuova collocazione dell’autorappresentazione imperiale, la cui dimensione oltrepassa di gran lunga i precedenti adattamenti della rappresentazione monarchica sotto Costantino. Lo si nota bene, ad esempio, nella stipula dell’alleanza con Massimiano: col suo nuovo programma, Costantino prende le distanze dalle premesse diocleziane di un esercito poliarchico del potere imperiale in modo talmente manifesto, da fare ciò che nessun sovrano, riconosciuto come tale dai coreggenti rimasti, aveva mai osato compiere negli ultimi 25 anni.
La demarcazione si manifesta anzitutto nel fatto che Costantino adesso punta in misura nettamente inferiore sulla discendenza da Costanzo, la cui legittimità è stata travolta vigorosamente nella caduta di Massimiano, e accetta, in mancanza di meglio, di fondare il proprio potere sulla discendenza da Claudio il Gotico, la quale risulta facilmente, a ben vedere, smascherabile come fittizia. Con Apollo e il Sol Invictus, l’imperatore si avvia invece ora a dare forma a una divinità protettrice personale in grado di mettersi in diretta concorrenza con la cosmologia tetrarchica, basata su Giove ed Ercole. La decisione di collocare il Sol Invictus in una posizione tanto eminente della rappresentazione sovrana è sicuramente nata in certa misura dalla necessità. Nondimeno essa è stata successivamente sviluppata e trasformata in maniera così congrua da mostrare di essere una solida base nella caratterizzazione dell’autorappresentazione costantiniana, ben al di là del decennio successivo: e ciò malgrado alcune difficoltà di avvio, particolarmente nella coniazione in oro e in quella, in bronzo, di monete divisionali, che sono condizionate a un nuovo standard di peso, nelle confuse nuove circostanze rappresentate in special modo dal ristretto lasso di tempo richiesto per la conversione e la contemporanea introduzione del cambio16.
Subito dopo la vittoria di ponte Milvio, nelle zecche costantiniane si amplia chiaramente il numero dei tipi di coniazione solare, istituiti dal sovrano nel 310 con un modello vistosamente monotono del rovescio (il Sol Invictus con la destra sollevata e nella sinistra il globo o la frusta). A partire dalla monetazione costantiniana – non solo nei solidi, ma anche nelle medaglie di pregio, nei donativi e nelle elargizioni introdotte a titolo di regalo dell’imperatore – sono stabilite per il Sol Invictus anche coniazioni in metalli nobili. Due tipi vanno particolarmente sottolineati: sempre nell’autunno o nell’inverno del 312-313 è emessa una coniazione celebrativa (soli invicto comiti) del valore di due scrupula, che mostra sul rovescio la divinità solare nella tipica posa17. Poco più tardi, a Pavia, quindi in stretta connessione con l’incontro fra Costantino e Licinio a Milano nella primavera del 313, è emesso un solidus che reca come legenda soli invicto aeterno avg, con la divinità solare con frusta e destra alzata accanto a una Vittoria con un ramo di palma e corona trionfale su una quadriga adatta all’occasione18. La più spettacolare coniazione celebrativa per il Sol Invictus dopo la vittoria di ponte Milvio è, tuttavia, costituita da una medaglia d’oro, anch’essa battuta nel 313 nella zecca di Pavia, il cui programma iconografico intensifica ancora una volta sensibilmente l’iconografia solare19.
Il recto di questo prezioso pezzo reca come legenda invictvs constantinvs max avg, e presenta Costantino ritratto di profilo sinistro, con il busto corazzato e una corona d’alloro in testa. Con la destra l’imperatore regge sulla spalla una hasta, nella sinistra tiene uno scudo rotondo riccamente adornato. Il rilievo dello scudo mostra una quadriga con il Sol Invictus in primo piano, affiancato in alto da una stella e una falce di luna. In basso vi sono a sinistra Tellus, a destra Oceanus. Dietro il busto di Costantino è visibile il busto del Sol Invictus con la corona radiata. Costantino e il Sol Invictus sono assai prossimi l’uno all’altro per fisionomia e postura, e sembrano originare da un medesimo tronco. Come ha ben scritto Thomas Grünewald, «la relazione di prossimità fra la divinità e l’imperatore affidato alla sua protezione avrebbe difficilmente potuto essere mostrata con maggior forza espressiva»20. Raffigurazioni sul recto paragonabili a questa ora descritta sono coniate già prima di Costantino – specialmente sotto Probo, al cui modello si orientano in larga misura le zecche costantiniane nell’emissione di monete e medaglie – e saranno nuovamente emesse per i decennali costantiniani. Le illustrazioni del recto mostrano Costantino con la legenda comis constantini avg, che ha la destra alzata e nella sinistra un globo; dietro di lui appare il busto del Sol Invictus con la corona radiata. Le illustrazioni corrispondenti sul rovescio lodano la liberalitas del sovrano e gli rendono omaggio in quanto restitvtori libertatis21.
Accanto al doppio busto, di Costantino e del Sol Invictus, compaiono, al più tardi nel 315, caratteristici ritratti dell’imperatore con il nimbo, che lo ritraggono ora di fronte, ora di mezzo profilo, ora di tre quarti. Si individuano tre tipi fondamentali: a) busto semplice con nimbo; b) busto di Costantino nimbato mentre fa il gesto del Sol Invictus, ossia mentre ha la destra alzata e nella sinistra il globo; c) busto di Costantino nimbato con Victoriola e scettro22. Come ha giudicato Pierre Bastien, il nimbo dell’imperatore, simbolo del disco solare, è già prima di Costantino segno di una stretta relazione con il Sol Invictus, e «les nimbes monétaires de 315 prouvent que le Soleil est plus que jamais lié à l’empereur à qui il transmet le pouvoir universel que traduisent le sceptre, le globe, le globe nicéphore et le geste protecteur de la main levée»23. Nel periodo successivo al 315 si aggiungono altri due tipi per il rovescio: a) l’incoronazione di Costantino da parte del Sol Invictus; b) la consegna del globo con la Vittoria all’imperatore da parte del Sol Invictus24. Secondo i programmi iconografici, Costantino quindi deve l’elemento del trionfo anche in seguito direttamente alla divinità solare, suo accompagnatore costante, suo apportatore di vittoria e suo garante di sovranità. Ora l’imperatore non è più solamente accompagnato dal Sol Invictus, ma è equiparato a tale divinità nella titolatura e nella fisionomia, per esprimere la relazione d’immediata prossimità che corre fra l’invictus Augustus e il suo accompagnatore divino25.
L’infittirsi dei riferimenti al Sol Invictus negli anni successivi alla battaglia di ponte Milvio non si constata solo nella coniazione costantiniana di monete e medaglie. Anche l’arco di trionfo di Costantino – ufficialmente offerto dal Senato e dal popolo romano, e solennemente inaugurato nell’anno 315 alla presenza del sovrano – presenta una tale stratificazione di reminiscenze della tradizionale iconografia solare, da essere persino definito come «il grande monumento del culto solare di Stato»26: ad esempio, nel fregio della battaglia sono effigiati, fra i soldati di Costantino, anche portatori di statuette del Sol Invictus, e in un tondo, sul lato orientale dell’arco, si trova la raffigurazione della divinità solare in quadriga; inoltre, chiaramente l’arco si allinea di proposito alla colossale statua di Nerone, che già nell’età Flavia è trasformata in una monumentale rappresentazione scultorea della divinità solare27.
La lenta dissoluzione della simbologia pagana, che ci si potrebbe ragionevolmente attendere come chiaro riconoscimento del cristianesimo, per il momento non si avverte28. L’intensificarsi del programma solare dopo il 312, specialmente in connessione con i decennali del 315, mostra ben più chiaramente che della «messa alla prova del Dio dei cristiani» (Girardet) nella battaglia di ponte Milvio poteva profittare non solo la religione cristiana, ma anche quella connessa con il Sol Invictus29. La conservazione dei riferimenti alla divinità solare, così come li si constata dopo la battaglia di ponte Milvio nei programmi iconografici e testuali costantiniani, non può essere compresa pertanto meramente come «the dead weight of iconographic tradition»30. Espressione di segno contrario è già che l’iconografia solare raggiunga il culmine della propria visibilità solo dopo lo scontro con Massenzio. Non è questione solo di rappresentazione iconografica, ma anche di culto solare, come mostra bene pure la rapida carriera del sacerdote del Sol Invictus, il senatore Gaio Vettio Cossinio Rufino. Costantino, infatti, lo nomina prima, nel 315, praefectus urbi, e poi, nel 316, console, affidandogli entrambe le massime cariche che un membro del Senato romano possa ricoprire31. Manifestamente, il Sol Invictus conosce in questo modo anche un ultimo grande accrescimento sul piano della rappresentazione iconografica, e lo stesso culto cittadino romano della divinità solare sembra ricevere, negli anni successivi alla vittoria di Costantino a ponte Milvio, un chiaro impulso dal sostegno imperiale. D’altro canto l’imperatore, fra il 311 e il 312, è ben lungi dal rifiutare la divinità pagana del Sol Invictus32 in maniera esplicita e personale, in ispecie prima del 318. Sino a questa data, infatti, non si sedimentano trasformazioni cristiane di alcun genere della tradizionale simbologia solare, sia per ciò che concerne la rappresentazione iconografica del Sol Invictus sia per quel che riguarda gli epiteti che qualificano la divinità33. Che la divinità pagana da un lato e Cristo, o il Dio dei cristiani, dall’altro, si trovino in un primo momento, dopo la battaglia di ponte Milvio, direttamente l’una accanto all’altro nella rappresentazione della sovranità costantiniana non va valutato, sotto gli auspici di concezioni antiche della religione, in linea di massima come contraddittorio. Certo, se è fuori questione che un’interpretazione in senso cristiano della rappresentazione della sovranità costantiniana possa essersi ormai strutturata dopo il 312, non va invece assunto come sicuro che Costantino già miri in quest’epoca a un sincretismo (nel senso più classico del termine) delle due divinità, Sol Invictus e Cristo. La chiave per la comprensione della simultaneità di entrambe nell’autorappresentazione costantiniana dopo il 312 è fornita da un’indicazione del panegirico del 313, secondo cui nella divinità protettrice dell’imperatore si manifesta ciascuna delle più alte divinità delle gentes: i nomi dell’entità divina sono dunque numerosi come le lingue del mondo, le denominazioni per la summa divinitas sono nei diversi popoli meramente nomi differenti per indicare tuttavia un’unica e medesima suprema divinità34.
Pertanto, anche dopo la battaglia di ponte Milvio, il Sol Invictus continua a essere senza dubbio la divinità protettrice del sovrano35. Tuttavia, ora questa divinità si colloca accanto ad un’altra, nuovissima sul piano della monarchia romana, con la quale in misura crescente si pone in un rapporto fatto insieme di tensione e interazione: Cristo, ossia il Dio dei cristiani. Del resto, nell’epoca immediatamente successiva alla battaglia di ponte Milvio anche la nozione stessa di divinità va in Costantino lentamente ma inesorabilmente mutando, come si delinea, se pur solo in modo indistinto, anche nell’ambito della rappresentazione di corte: nella coniazione di monete e medaglie costantiniane, assieme alla diffusione dell’iconografia solare si constata un graduale cambiamento nell’ambito del linguaggio, relativamente alla nozione imperiale di divinità nelle fonti letterarie. In modo particolarmente chiaro risalta lo sviluppo che interessa la nozione di summa divinitas nella letteratura panegiristica, specialmente nel discorso d’elogio del 31336. È ancora evidente, in questo testo, che la divinità suprema rimane nominalmente, almeno in un primo momento, indeterminata. È, infatti, definita da termini o locuzioni piuttosto generiche, quali deus (2,4; 13,2), maiestas (2,4), mens divina (2,5; 16,2), divinum numen (4,1), numen (5,5), divinum consilium (4,5), divinus instinctus (11,4), creator (13,2) e divinitas (22,1; 25,4). Quando l’oratore, tuttavia, definisce più da vicino le sue qualità, ecco che l’entità è qualificata come «vis mensque divina» e «supra omne caelum potestas»37; come forza divina e spirito divino, la summa divinitas è insita in tutto il mondo e si mescola con tutti gli elementi38. Questa Grundverständnis panteistica è legata a una concezione enoteistica del cosmo. In quanto entità suprema, la divinità non dipende da alcuna potenza esteriore39, ed è quindi una sorta di motore immobile, e pertanto anche punto di origine delle potenze effettive di tutti gli altri esseri divini che sono subordinati («dii minores») alla summa divinitas. Ciò è espresso nella formula del «summum rerum sator», oppure del «mundi creator et dominus», con cui ci si rivolge all’essere divino come divinità suprema e autore delle cose40. In qualità di sator o creator egli ha creato il mondo («hoc opus tuum […] despicias»), in qualità di dominus mundi lo regge come Giove, con il fulmen41. La divinità dimora al di fuori delle sfere celesti («supra omne caelum potestas») e trascende i confini dei processi naturali («ex altiore naturae arce»)42. L’oratore le attribuisce «summa bonitas […] et potestas», quindi la volontà e la forza di realizzare il giusto e il buono43. L’azione della divinità è dunque direttamente riferita al benessere pubblico, da lei garantito attraverso il sostegno offerto a Costantino. Ciò che è giusto, si manifesta nell’azione dell’imperatore. Il suo intento è giusto, le sue vittorie corrispondono dunque al volere divino.
Il panegirico chiarisce al tempo stesso che il sostegno divino, che l’imperatore riceve, non proviene dal caso, ma dalla disposizione cosmica: non dalla speciale cura con cui egli compie il culto attraverso i suoi funzionari, ma solo dalla speciale elezione di cui è fatto oggetto. Questa elezione si manifesta nella particolare capacità di Costantino di comunicare con il divino. Né gli aruspici, né i generali, né i vari consiglieri di cui si circonda sono in grado di comprendere i piani divini nel dettaglio e di agire di conseguenza. Solo l’imperatore è iniziato ai divini misteri («habes profecto aliquod cum illa mente divina […] secretum»), e solo a lui si è rivelata la divinità suprema («uni se tibi dignatur ostendere»)44, in quanto possiede la summa divinitas quasi in consilio45. La capacità di Costantino di ricevere il consiglio divino acuisce la providentia dell’imperatore e in tal modo contribuisce in maniera essenziale al dispiegamento della sua efficienza militare. Le errate valutazioni di aruspici, generali e consiglieri non fanno altro che evidenziare l’elezione divina dell’imperatore e rinviare immancabilmente alla differenza di status fra il monarca e i funzionari a lui subordinati46.
La nozione di divinità che è propria dell’oratore non avrebbe potuto essere compresa da un contemporaneo cristiano come cristiana, in quanto la summa divinitas ammette pur sempre ed esplicitamente dii menores, per i quali nel cosmo cristiano non v’è posto. Tuttavia, le argomentazioni dell’encomiatore paiono riflettere un significativo mutamento della nozione costantiniana di divinità, che da questo momento è condizionata da contenuti di senso cristiano. La divinità cristiana è tuttavia pensata – analogamente al Sol Invictus – nei termini di una divinità protettrice dell’imperatore, nel senso che anzitutto ne assiste le imprese militari. Si tratta di un’idea che emerge con chiarezza anche dagli scritti di Lattanzio ed Eusebio: il segno salvifico, che campeggia a simbolo dell’accoglimento del Dio dei cristiani da parte dell’imperatore e spicca, anche presso autori cristiani, sulle armi, le armature e le insegne degli eserciti, rimanda concettualmente, entro un quadro piuttosto tradizionale, alla funzione della protezione militare47. Nell’autorappresentazione imperiale, questo tratto si coglie per la prima volta con immediatezza sul cosiddetto medaglione di Ticinum emesso nel 315 in occasione delle festività del decennale di Costantino, la quale presenta il monogramma di Cristo sull’elmo dell’imperatore48.
Se l’innovazione più significativa, nell’ambito della nozione costantiniana di Dio dopo la battaglia di ponte Milvio, è certo l’introduzione, nella storia dell’Impero romano, a partire da questo momento, del Dio cristiano per la rappresentazione militare del sovrano, occorre tuttavia tenere anche presente sia come d’ora in avanti la nozione di summa divinitas, subendo pure influssi teologici di matrice neoplatonica, acquisisca in certo modo via via sempre maggiore profondità, sia come la relazione di prossimità fra l’imperatore e la sua divinità protettrice s’intensifichi ulteriormente. Questo sviluppo riguarda non solo la relazione fra Costantino e il Dio cristiano, ma anche quella fra Costantino e il Sol Invictus: due divinità che, nella rappresentazione della sovranità costantiniana nei primi anni successivi alla vittoria del 312, possono evidentemente sussistere senza problemi l’una con l’altra e l’una accanto all’altra49. Una svolta significativa, come si vedrà, si constata a partire dal periodo successivo alla vittoria di Costantino contro Licinio nella guerra civile del 316-317 d.C.
Il 1° marzo del 317 la situazione politica nell’Impero cambia radicalmente, e con essa anche la relazione fra Costantino e il Sol Invictus: dopo la sua prima vittoria su Licinio, Costantino detta ai suoi avversari nella guerra civile un accordo di tregua. La cosiddetta pace di Serdica definisce i confini territoriali delle zone d’influenza di entrambi i regnanti e stabilisce le basi formali per una nuova alleanza fra di loro50. Licinio deve cedere gran parte delle sue province nell’Illirico e in Pannonia, ritirandosi da pressoché tutta l’Europa: solamente le province del Mar Nero della diocesi di Tracia rimangono sotto il suo controllo. Il riordino territoriale che ne consegue comporta un evidente spostamento del peso politico e militare a favore di Costantino, cui tocca un’ulteriore porzione della frontiera danubiana con il corrispondente contingente militare51. Inoltre, Costantino e Licinio si riconoscono di nuovo reciprocamente come Augusti e i loro figli – Crispo, Licinio II e Costantino II – sono elevati al rango di Cesari. A entrambi i sovrani preme trarre ulteriori conseguenze dall’esito della guerra ai fini della propria rappresentazione imperiale, ragion per cui fanno introdurre nelle loro zecche nuovi schemi di coniazione.
I riferimenti costantiniani al Sol Invictus si concretizzano a partire da questo momento sotto un triplice profilo: 1) sono limitati, in maniera relativamente coerente, alla parte costantiniana della nuova alleanza; ciò vale per ogni coniazione aurea, senza limitazioni: soltanto nella coniazione in bronzo sono documentati alcuni tipi monetari in cui il programma solare è esteso anche a Licinio e Licinio II; 2) la rappresentazione sovrana costantiniana s’incentra sul Sol Invictus tanto più estesamente, quanto più definito e circoscritto diviene il contesto in cui sono presentate altre divinità: Marte solo in connessione con i donativi per l’insediamento di Crispo, Giove unicamente per gli avversari Licinio e Licinio II (solamente a Tessalonica, per un breve periodo, anche per Costantino); 3) la sfera d’impiego del Sol Invictus d’ora in avanti si allarga, più diffusamente che in precedenza, anche ai temi civili: la divinità compare adesso pure su un tipo monetario in oro che reca come legenda felicitas perpetua saeculi, coniato, dopo il primo marzo del 317, anche in una serie in bronzo di larga diffusione che riporta pure l’iscrizione claritas rei publicae, prioritariamente per il Cesare Costantino II.
Patrick Bruun chiama il tipo monetario della claritas «a somewhat non-committal reflection of Constantine’s own Sol type», intendendo con ciò che «the imagery of soli comiti constantini aug was watered down by the new legend felicitas perpetua saeculi»52. Le nuove legende non oscurano, tuttavia, il significato proprio della divinità solare per la rappresentazione della sovranità costantiniana, ma semmai allargano il campo semantico entro cui si trova collocata: su di essa si estende di conseguenza la potenza effettiva del comes imperiale. È dunque in errore chi pensa che il Sol Invictus, con l’introduzione di queste legende, sia «degradato a spirito asservito al bene comune»53. Mai prima d’allora la coniazione imperiale di monete si era così fortemente orientata verso una sola divinità, nella fattispecie il Sol Invictus, come negli anni 317-318. In seguito alla prima vittoria contro Licinio, dunque, i segni di un così tanto spesso asserito ‘enoteismo solare’ di Costantino si intensificano effettivamente e si estendono sul piano semantico, specialmente nella coniazione di monete, e ciò accade immediatamente prima che la svolta probabilmente più radicale nella politica della rappresentazione della sovranità costantiniana – la cessazione della coniazione solare in bronzo - muti di colpo l’autorappresentazione dell’imperatore.
Tra il 318 e il 325 Costantino fa cessare gradualmente l’emissione di monete e medaglie che nelle loro legende rimandano al Sol Invictus o rappresentano figurativamente tale divinità54. La fine della coniazione a tema solare è di regola interpretata come logica conseguenza della conversio Constantini. Considerato che la profonda adesione alla fede cristiana del sovrano e l’iconografia solare pagana presentano, come si è visto, entrambe aspetti contraddittori, quel che va spiegato è, piuttosto che la cessazione in sé, perché essa avvenga così tardi. Certo è che la divinità solare appare per più di un decennio ancora, anche a seguito dell’introduzione di una simbologia cristiana in posizione preminente nella rappresentazione della sovranità costantiniana. Da parte degli studiosi, alternativamente o lo si attribuisce al protrarsi delle tradizioni iconografiche o lo si considera prova di una possibilità interpretativa della divinità solare in senso cristiano o, infine, lo si comprende quale concessione all’ambiente pagano, accordata suo malgrado da un sovrano cristiano55.
I risultati di dettagliate ricerche numismatiche alimentano i dubbi circa questi modelli interpretativi: le coniazioni in bronzo per il Sol Invictus cessano sicuramente prima di quelle auree e in modo considerevolmente più repentino. Inoltre, la congiuntura vera e propria delle corrispondenti coniazioni auree ha avvio solo a partire dal periodo successivo alla fine delle coniazioni solari in bronzo. Per di più, parallelamente all’abbandono di riferimenti espliciti al Sol Invictus, si accresce il carico di attributi propri della divinità solare sul ritratto imperiale, facendo sì che, anche al di là dei diretti riferimenti a essa, la tradizionale iconografia della divinità solare romana si rifletta visibilmente sull’immagine del sovrano. Singoli aspetti della simbologia solare possono così sopravvivere all’impiego delle coniazioni solari costantiniane. Ci si propone nelle pagine che seguono sia di ricostruire le linee generali di tale sviluppo sia di fornire un’interpretazione che permetta di comprendere meglio il durevole significato della simbologia solare nella rappresentazione della sovranità di Costantino.
La fine delle coniazioni solari è in strettissima relazione con una riforma delle coniazioni di monete in bronzo unitaria, generale e condotta contemporaneamente in tutte le zecche costantiniane, collocabile nella seconda metà del 318 e definita giustamente da Depeyrot «un véritable changement de système monétaire»56. Con questa riforma cessa in tutta la zona di sovranità costantiniana la produzione delle serie in bronzo emesse in massa fino a tale data e recanti sul rovescio la divinità solare nella classica posa con corona radiata, leggermente vestita con una chlamys, mentre tiene nella destra il globo oppure la frusta e ha la sinistra sollevata. Per le monete bronzee si stabiliscono nuovi schemi di coniazione, che sostituiscono le coniazioni solari con talune serie della victoriae laetae princ perp e altri programmi iconografici e testuali. Il Sol Invictus appare dunque su monete in bronzo successive alla riforma – diversamente da quanto mostrato ancora in RIC VII – solo in un’enigmatica immagine sul rovescio di una serie della virt exerc breve, limitata a pochi tipi monetari ed emessa a Tessalonica nel 319, e nella forma di una piccola statuetta della divinità solare su di un globo nell’immagine sul recto di una variante della serie della beata tranqvillitas per Crispo e Costantino II emessa nel 321 e negli anni 322-323 in edizione limitata dalla zecca di Treviri57. Ci si propone di discutere dettagliatamente entrambe le coniazioni più avanti. Tanto il tipo della virt exerc quanto quelli della beata tranqvillitas sono coniazioni celebrative di breve durata, con tiratura e portata molto limitate, di certo non idonee a compensare la scomparsa della divinità solare dalle coniazioni in massa.
Dato che le monete, una volta messe in circolazione, possono in via di principio circolare molto tempo dopo la fine della fase di coniazione, la mera fine nel 318 della produzione di monete in bronzo con esplicita iconografia solare è meno significativa della circostanza che la riforma affretti il ritiro dalla circolazione delle vecchie monete bronzee nel più breve tempo, vale a dire che nel corso della riforma la parte di gran lunga maggiore delle coniazioni solari in bronzo già emesse scompaia dal flusso monetario generale. La sostituzione delle vecchie monete risulta dalla effettiva svalutazione delle più vecchie coniazioni che la riforma determina. Il valore nominale delle monete di bronzo infatti si raddoppia, senza che esse cambino peso e diametro. Per non compromettere la fiducia nel valore delle monete, si accresce temporaneamente la componente d’argento nel metallo della moneta58. Ciò produce l’effetto di ridurre il margine di utile che teoricamente si può ricavare dalla riforma monetaria. In concreto, tuttavia, da questo provvedimento le casse dello Stato, anche tenendo conto dei costi della logistica e del dispendio di lavoro, traggono un profitto finanziario non indifferente. La riforma monetaria, infatti, malgrado l’innalzamento della componente d’argento di circa il 250% del valore iniziale, conduce a un innalzamento del valore intrinseco della lega dei metalli nella sua totalità di circa il 160% del valore originario. Il raddoppiamento del valore nominale comporta di fatto una svalutazione di circa il 20%, corrispondente all’ordine di grandezza delle quattro precedenti riforme monetarie costantiniane. Il contenuto d’argento negli anni successivi alla riforma è gradualmente riabbassato (vale a dire che si opera ciò ogni volta che la nuova moneta dà buona prova di accettazione nella concreta vita economica), consentendo un rialzo di guadagno finanziario per le casse imperiali. In accordo con la legge di Grisham, per cui «bad money drives out good», una siffatta svalutazione conduce necessariamente a mettere fuori corso coniazioni di maggiore valore – nella fattispecie, le vecchie monete in bronzo costantiniane, quelle della tetrarchia e quelle di Licinio –, e nel novero di queste rientrano anche, non ultime, le vecchie coniazioni a tema solare. Con la riforma monetaria, dunque, scompaiono rapidamente dalla circolazione le monete bronzee con il Sol Invictus. Sul piano empirico, ciò risulta chiaramente dalla composizione dei caveau costantiniani di monete tesaurizzate nonché dalle sovraconiazioni dell’epoca, che interessano, a partire dal 318, vecchie monete in bronzo per renderle conformi al nuovo sistema59.
Nonostante che le coniazioni solari in bronzo, emesse in precedenza in modo massiccio, siano messe fuori corso, si verificano nondimeno, come si è già anticipato, due eccezioni. Si tratta di due tipi monetari molto speciali di coniazione bronzea costantiniana raffiguranti il Sol Invictus. A Tessalonica nel 319 è emessa, per tutti e cinque i sovrani dell’Impero, la serie in bronzo, comprendente pochi tipi, che reca la legenda virt exerc e ritrae sull’immagine del rovescio la divinità solare60. Considerato che nel 319 non è direttamente attestata una permanenza di Costantino a Tessalonica, resta assai poco chiaro come le monete possano essere state introdotte. L’interpretazione di ciò è complicata da un enigmatico programma iconografico: la rappresentazione sul rovescio mostra un grafico lineare a forma di x, sul cui punto centrale di intersezione è collocata una piccola figura del Sol Invictus nel tipico modo di rappresentazione. Da Jules Maurice, Henry Cohen e Patrick Bruun la figura è interpretata – in maniera sicuramente inesatta – come «plan d’un camp» o «plan of a Roman camp»61, mentre da Peter Weiß – in modo altrettanto problematico – quale rappresentazione di un alone solare62. Se Weiß confuta persuasivamente l’interpretazione della rappresentazione del rovescio come pianta schematica di un campo militare romano, la sua interpretazione della rappresentazione come alone solare non può tuttavia spiegare perché la serie appaia unicamente a Tessalonica e solo nel 319. Tale interpretazione rimane comunque meramente ‘associativa’: il «caeleste signum dei» è stato introdotto già in precedenza su monete costantiniane nella forma di cristogramma o staurogramma, e dunque non vi è alcun motivo per una sperimentazione di breve durata, con una maniera di rappresentazione assolutamente distinta, e molti anni dopo che il racconto della visione celeste ha cominciato a diffondersi. Se per spiegare la cessazione delle coniazioni solari in bronzo nel 318 si intende tenere conto della crescente consapevolezza di Costantino nei riguardi delle implicazioni del monoteismo cristiano, appare allora contraddittoria l’associazione della divinità solare con il simbolo di una visione compresa come cristiana. Se la figura è riferita concretamente alla visione di Costantino, rimane ancora da chiarire perché la rappresentazione del rovescio sia emessa anche per Licinio e Licinio II. L’analogia più evidente per l’epoca è stata individuata finora solo da Marie-Odile Bruhat63, per la quale un modello comparabile con l’immagine del rovescio è costituito dai versus intexti del carmen 10 di Optaziano, composto negli anni 320-321. Il poeta in quel lasso di tempo soggiorna nelle vicinanze di Costantino nell’Illirico, e pertanto a questo parallelo dev’essere attribuito un notevole significato64. La forma grafica di versus intexti non è effettivamente tematizzata da Optaziano, come invece accade in altri carmina, quando il percorso dei versus intexti contenga un significato simbolico che supera il mero ornato geometrico. Nondimeno il carmen presenta riferimenti semantici solari particolarmente chiari e a tale riguardo concorda con l’immagine della moneta. Resta pur sempre vero, tuttavia, che, senza una conoscenza più approfondita della situazione locale e senza ulteriori punti di riferimento relativi al contesto di distribuzione, il carmen 10 rappresenta solo un ausilio limitato per l’individuazione del contenuto semantico della coniazione del tipo vita exerc.
Il secondo tipo di moneta che, dopo la riforma del 318, rimanda ancora esplicitamente al Sol Invictus è particolarmente illuminante per una valutazione delle coniazioni solari tarde. Della serie del nummo della beata tranqvillitas, emesso fra il 321 e il 323, sono noti tre tipi, con un’impostazione ritrattistica fuori del comune per Crispo e Costantino II65: il profilo del capo coronato d’alloro di ciascuno dei due imperatori volge verso destra; nella mano destra tengono uno scettro, mentre in quella sinistra un globo con la statuetta del Sol Invictus. Dieter Alten ha spiegato che la veste raffigurata non è la trabea consolare: la toga consolare si porta panneggiata sul braccio, mentre l’abito qui riprodotto mostra delle maniche. Anche la datazione di questi due ultimi pezzi corrobora l’impressione che non possa trattarsi di un consueto busto consolare: negli anni 322-323, data d’emissione delle monete, né Crispo né Costantino ricoprono la carica di console.
Sempre Alten ritiene che l’abito dalle lunghe maniche raffigurato sia una veste sacerdotale: considerato che i Cesari portano la statuetta del Sol Invictus, egli interpreta i ritratti come rappresentazione dei Cesari in qualità di sacerdoti della divinità solare. Pertanto Costantino II risulterebbe rappresentato come sacerdote del Sol Invictus nel 321, Crispo e Costantino come sacerdoti di tale divinità nell’inverno 322-32366. Alten ne evince «che Costantino I in questo periodo [scil. nel 321] abbia trasmesso, per motivi politico-religiosi, l’incarico di sommo sacerdote del culto di Sol al suo secondo figlio»67. L’interpretazione è in effetti suffragata dall’osservazione che circa nello stesso periodo, con la produzione del programma iconografico in questione, una relazione di prossimità fra Crispo e il Sol Invictus sembra attestata pure dal formulario di due pietre miliari ritrovate fra Treviri e Langres, che menziona il Cesare Flavius Crispus Invictus68. A riguardo di queste testimonianze, già Hans Pohlsander rileva che «this is quite remarkable since Invictus is not normally among the titles claimed by Caesars. […] It would evoke associations with the cult of Sol Invictus»69. La congruenza delle coniazioni e dei formulari delle iscrizioni e la prossimità sul piano cronologico della rivalutazione del dies Solis a opera di una riforma costantiniana del culto (v.i.) sono due elementi che portano a pensare che l’iconografia solare dei rovesci con i Cesari non sia un semplice residuo di formule classiche di rappresentazione monarchica. Deve infine restare una questione aperta, in mancanza di ulteriore documentazione: quella se i ritratti sulle monete effettivamente rimandino o no a un’assunzione del sacerdozio solare da parte dei Cesari. La loro rappresentazione nelle effigi monetarie che recano chiari riferimenti al Sol Invictus può eventualmente essere valutata come il riflesso, quantunque debole, di un impegno imperiale meno concreto a concedere alla divinità solare, ancora, un certo status cerimoniale.
I tipi commentati della serie della beata tranqvillitas, in cui i Cesari portano nella mano sinistra un globo con la statuetta del Sol Invictus, costituiscono le ultime coniazioni in bronzo conosciute in cui si rappresenti iconograficamente la divinità solare. Ma, anche dopo la riforma monetaria del 318 e la fine delle coniazioni della beata traqvillitas, si prosegue a emetterne ancora numerosi tipi in oro. Se certo si riduce il numero delle zecche abilitate a raffigurare la divinità solare sulle proprie monete e medaglie, nondimeno, anche dopo la riforma costantiniana, importanti zecche quali Pavia, Aquileia e Sirmio battono coniazioni solari in oro. Sia la distribuzione geografica dei rimanenti istituti di conio sia la varietà dei tipi di monete e medaglie emessi consentono, dunque, di comprendere che alla divinità solare si attribuisce anche dopo il 318 un significato non irrilevante in tutte le regioni poste sotto la sovranità di Costantino. In queste coniazioni auree tarde, la divinità solare è ancora rappresentata come divino comes che incorona l’imperatore o gli consegna la Victoriola quale segno della legittima sovranità sul mondo (figg. II 25, 26). La stretta associazione tra l’imperatore e il suo accompagnatore è sottolineata da somiglianze fra la figura del Sol Invictus e quella di Costantino, concernenti anzitutto la postura e talune affinità fisionomiche.
In questo contesto risulta particolarmente interessante che Costantino diffonda in maniera mirata la fama del suo comes anche nella parte orientale dell’Impero, che egli ha riconquistato solo nel 324, dopo il definitivo trionfo su Licinio. Così come è conosciuto un tipo con la legenda soli comiti avg n, prodotto nella zecca di Antiochia, che mostra sul rovescio l’imperatore, cui la divinità solare porge la Victoriola quale segno della sovranità sul mondo70. Occorre attendere il 325 – tredici anni dopo la battaglia di ponte Milvio – perché cessi completamente la produzione di coniazioni solari costantiniane. Per la prima volta, in occasione dei festeggiamenti per il ventennale di governo, celebrato con gran pompa negli anni 325-326 in tutto l’Impero, non sono emesse monete o medaglie con espliciti riferimenti alla divinità solare.
Gran parte delle tarde coniazioni solari in oro è sotto forma di multipli da un solido e mezzo, che, poche eccezioni a parte, è il conio più prezioso di questo periodo. I pezzi corrispondenti, prodotti in occasione di numerose coniazioni celebrative – avvio del consolato, giubilei del sovrano, cerimonie di adventus e celebrazioni di vittorie –, presentano dunque un carattere cerimoniale, che fa sì che il loro impiego si raccomandi nell’ambito di doni imperiali offerti ai ceti dirigenti di alto rango. Consegne di regali imperiali hanno luogo di regola in un quadro cerimoniale che rende possibile, diversamente da quel che accade nelle consuete distribuzioni (specie se si tratta di coniazioni in bronzo e ancor più se si tratta di pagamenti regolari nell’esercito) una precisa differenziazione dei destinatari71. È quindi ipotizzabile che nell’assegnazione delle coniazioni di maggior valore si faccia attenzione anche alla scelta delle immagini e dei programmi dei testi, e che si tenga conto delle preferenze religiose delle personalità di corte fatte segno di tali elargizioni. Costantino sembra riconoscere che una propagazione indifferenziata della divinità solare è contraria alla propria politica d’integrazione religiosa: rimandi espliciti alla divinità pagana sono in grado di provocare un senso di straniamento nei sudditi cristiani, e non ultimi tra questi i soldati o il ceto amministrativo civile e militare. In ogni caso, occorre presupporre una crescente attenzione dell’imperatore nei confronti delle sensibilità religiose dei propri sudditi per poter ragionevolmente spiegare come mai espliciti riferimenti al Sol Invictus, venuti meno nella coniazione in bronzo, siano al contrario conservati, per oltre sette anni, in quella aurea.
È in ogni caso indubbio che la vittoria contro Licinio nel 324 rappresenti una fondamentale cesura per la divinità solare. Le promesse dell’invictus comes si adempiono finalmente: Costantino da nobile e coraggioso combattente all’interno di un sistema di divisione della sovranità assai conflittuale diviene ora vincitore splendido e sovrano unico. Il primo imperatore cristiano non è più quindi semplicemente un generale imbattibile, ma un vincitore definitivo, quasi universale, cui riesce di chiudere un’epoca di guerre e ora di governare in modo mite e giusto un impero unito e in pace. Questa svolta non viene a manifestarsi solamente nel fatto che Costantino può rinunciare al suo compagno divino, finora così importante: la coniazione del Sol Invictus cessa definitivamente, senza che ciò possa essere modificato neanche dall’ultima emissione relativa alla divinità solare, battuta ad Antiochia negli anni 324-325. L’innovazione nella rappresentazione sovrana costantiniana si rende palese nel fatto che Costantino depone l’epiteto invictus, preso da Sol, a vantaggio del titolo di victor, come mostra assai bene la documentazione epigrafica72.
Mentre il Sol Invictus di colpo scompare dalle monete in bronzo e gradualmente pure da quelle in oro, il ritratto di Costantino è via via caricato degli attributi propri della sua precedente e più importante divinità protettrice. Prima della riforma monetaria, la corona radiata e il gesto solare appaiono solo sporadicamente, mentre dopo di essa prendono chiaramente a fare parte dell’immagine dell’imperatore nella valuta aurea, compensando la perdita di esplicite rappresentazioni del Sol Invictus anche nella comune valuta in circolazione. La corona radiata compare sul capo dell’imperatore fino al 326, sopravvivendo dunque ampiamente alle coniazioni massive del Sol Invictus. Quando anche la corona scompare come insegna sovrana dalla monetazione, è sostituita da diademi di differente grandezza e tipologia, e in particolare dal nimbo: fatto, quest’ultimo, molto significativo, nella prospettiva della sublimazione dei riferimenti semantici alla divinità solare. Il rovescio di medaglie di estremo valore (fino a nove volte quello di un solidus) riccamente effigiato, presenta – negli anni 324-326, 330 e 335-336 – il capo dell’imperatore incorniciato dal disco solare. I fedeli del Sol Invictus possono riconoscere in un’immagine di sovranità caricata in misura così forte di riferimenti semantici solari forse addirittura un’intensificazione del culto cui aderiscono, mentre la rappresentazione imperiale diviene sempre più accettabile per i cristiani con il netto rigetto delle stratificazioni semantiche pagane. Può forse contribuire a determinare tale situazione anche una parallela, sempre più intensa simbologia cristiana nella rappresentazione monarchica.
I segnali di una «riformulazione mite»73 della rappresentazione della sovranità costantiniana, specialmente negli anni 317-326, non si percepiscono solo attraverso la coniazione di monete e medaglie. Anche la riforma dei culti militari, che Costantino conduce nel 321, è testimonianza di un adeguamento dell’autorappresentazione della sovranità orientato al compromesso. Per come è possibile ricostruirlo a partire da un passo della Vita di Costantino di Eusebio, il nuovo rituale è realizzato nel dies Solis, il giorno del sole, ossia l’odierna domenica74. I soldati sollevano le mani e lo sguardo verso il cielo (forse in direzione del sole) e pronunciano assieme una preghiera, che ha il senso di una professione di fede, con cui una divinità non meglio definita è implorata per la concessione della vittoria militare e la conservazione della dinastia costantiniana. Questo nuovo rito mira apertamente a un appianamento fra le pretese pagane e quelle cristiane nel compimento dei culti nell’esercito: la preghiera, rinunciando a nominare la divinità invocata, può dunque essere compresa sia dai soldati non cristiani, come preghiera enoteistica indirizzata a una summa divinitas, sia dai soldati cristiani, quale preghiera monoteistica rivolta al dio abramitico. Se resta vero che i riferimenti semantici solari danno in grande misura forma al rituale, essi tuttavia non presentano più espliciti rimandi alla divinità solare pagana.
Anche nei carmina di Optaziano, scritti per la maggior parte negli anni 317-326, si coglie chiaramente un cambiamento nella rappresentazione religiosa del sovrano, divisa fra aspetti tradizionali e aspetti innovativi. I calligrammi mostrano bene i segni della nuova epoca: in quattro di questi componimenti, i versus intexti, evidenziati con diverso colore, giungono persino a rappresentare il cristogramma, vale a dire il segno salvifico, celeste, dell’epoca costantiniana. Inoltre, un’intensa simbologia della luce permea quasi tutti i carmina: Costantino è qualificato con epiteti come iustitiae lumen (carm. 12,15), lux alma (7,13), lux aurea mundi (8,1), lux aurea Romae (15,14), lux aurea saecli (19,2), lux clemens (9,32), lux pia terrarum (14,2), lux unica mundi (11,13) e Romula lux (19,12). In carm. 18,7, che Optaziano presumibilmente scrive alla fine degli anni Venti del IV secolo, Costantino è persino denominato Sol. Il poeta pretende addirittura che l’imperatore, nella luce della sua porpora, sia venerato allo stesso modo del Sol Invictus75. Non si è dinanzi, si badi bene, a una qualche gaffe commessa nei riguardi del primo imperatore cristiano, ma, viceversa, quello dell’autore sembra essere un intenzionale orientamento verso la comprensione che della propria sovranità ha l’imperatore stesso. Come già si è visto per la coniazione di monete e medaglie, Costantino è ora sempre più rappresentato con gli attributi della sua divinità protettrice. Così, mentre la divinità solare del Sol Invictus perde gradualmente di significato come figura autonoma, le sue proprietà, invece, specialmente la forza cosmica e l’imbattibilità, si trasmettono all’imperatore. Due monumenti dell’epoca dell’autocrazia costantiniana mostrano in maniera particolarmente chiara questa traslazione delle caratteristiche della divinità solare sull’imperatore: una statua imperiale munita d’iscrizione nella città piside di Termessos e una statua imperiale a Costantinopoli.
Una statua, oggi perduta, raffigurante l’imperatore con attributi manifestamente solari è consacrata dai cittadini di Termessos a Costantino poco dopo la sua vittoria contro Licinio. L’iscrizione, che si è conservata e recita: «Κωνσταντείνῳ Σεβ[αστῷ] ᾿Ἡλίῳ Παντεπόπτῃ ὁ δῆμος», pone dunque l’imperatore in rapporto diretto con Helios, il corrispondente greco della divinità solare latina Sol76. Garth Fowden argomenta in maniera convincente che la base della statua non offre spazio sufficiente per due statue e che dunque per l’effige di Costantino in piedi si sia ricorsi ai modelli correnti di rappresentazione, realizzati evidentemente secondo le presunte fattezze della divinità solare77. Il fatto che l’imperatore sia onorato in tale modo mostra chiaramente che ancora dopo il 324 le qualità del sovrano trovano espressione riferendosi alla sua prossimità con le sfere divine in cui prima era collocato il Sol Invictus. Persino dopo la vittoria su Licinio ancora si avverte quanto la scelta di comunicare alla popolazione della parte orientale dello Stato romano un’immagine del sovrano rivestita di un linguaggio iconografico solare possa rappresentare un mezzo di provata efficacia per venire a contatto con l’imperatore. L’iconografia solare di quest’epoca non dovrebbe dunque essere compresa come questione di mere tradizioni iconografiche, con il rischio di sottovalutare il significato che essa riveste, dopo la sconfitta di Licinio, sia per la costituzione dell’autorappresentazione della sovranità di Costantino sia per la comunicazione e l’interazione fra l’imperatore e la popolazione imperiale.
Anche nella città del suo trionfo, Costantinopoli, che Costantino fonda in seguito alla vittoria su Licinio e inaugura nel 330, il primo imperatore cristiano si fa rappresentare quasi come nuova divinità solare: al centro del suo nuovo foro, nel cuore di Costantinopoli, egli fa erigere una colonna in porfido con in cima una statua che lo effigia. Non diversamente dal suo ex comes, l’imperatore è qui raffigurato nudo, con il globo e la corona radiata78. L’ambientazione architettonica del monumento non è irrilevante per coglierne il reale significato: a motivo della sua forma insolita, circolare, il foro deve essere posto in analogia con il santuario di Apollo Grannus in Gallia, che è a propria volta cinto da un muro circolare con cui è racchiuso il templum del dio79. In quel santuario, nel 310, esattamente vent’anni prima dell’inaugurazione del suo nuovo foro a Costantinopoli, Costantino aveva segnato l’inizio della sua relazione con il Sol Invictus, formulando al tempo stesso in modo inequivocabile la definitiva separazione dalla tetrarchia e la sua rivendicazione di sovranità assoluta. Nel suo nuovo foro è ora l’imperatore, asceso alla sovranità assoluta, che prende il posto della divinità solare.
Nello sviluppo tratteggiato, singoli aspetti del tradizionale culto solare possono anche conservare il loro significato per la rappresentazione romana della sovranità: è un aspetto, questo, certo problematico per taluni osservatori cristiani, come si evince dal Discorso per il trentennale di Eusebio – un panegirico tenuto di fronte a Costantino, nel palazzo imperiale di Costantinopoli, in occasione del trentennale del suo regno. Nell’elogio, Eusebio affronta in maniera enfatica, elaborando una compiuta teologia solare, il problema del significato persistente del culto solare nella rappresentazione della sovranità costantiniana. In tal modo è fondamentalmente mantenuto il rapporto fra Costantino e Sol. Entrambi – Sol e il sovrano eguale al sole – sono tuttavia sottomessi, in una cosmologia concepita come gerarchica e piramidale, al Dio cristiano, autore unico della potenza cosmica e terrena80. In numerosi luoghi del discorso, il vescovo di Cesarea giunge a esprimere il fatto che le potenze divine hanno la loro origine non in ῾Ήλιος/Sol, bensì in un supremo centro di forza divino cui sia l’imperatore, sia la divinità solare sono subordinati: l’imperatore, amico del Logos, è permeato di dignità regale dal cielo e rafforzato nella propria sovranità da una vocazione celeste81, così come anche Helios, splendente di luce, conosce solo il Dio cristiano come signore e, obbediente al suo cenno, non osa andare al di fuori dei confini impostigli82.
Eusebio conseguentemente riconduce la simbologia della luce e del sole proiettata su Costantino alla loro origine cosmica nella divinità cristiana, che definisce esplicitamente come «dispensatore di luce», e «luce di tutte le luci»83. Già nel passo del Discorso per il trentennale in cui Eusebio si serve per la prima volta della simbologia della luce come topos panegiristico, paradigmaticamente la metafora del sole entra nel modo più stretto in connessione con il μέγας βασιλεύς. Il Dio cristiano è definito mediante parafrasi, secondo un metodo direttamente desueto dalle forme tradizionali del culto solare e del sulto del sovrano: la luce che promana dal μέγας βασιλεύς e che si diffonde tutta intorno a lui protegge la sua divinità dagli sguardi terreni84; la corte celeste, composta di un infinito numero di angeli, arcangeli, cori di anime sante, guarda la presenza raggiante del Dio, quasi essa tragga alimento dalle sorgenti eterne della luce, e ogni luce, anche la categoria divina e spirituale della luce immateriale, celebra il μέγας βασιλεύς con il canto degli inni più alti e più graditi al Dio85. Nel regno celeste, schiere della luce eterna danzano attorno all’onnipotente: una luce – ribadisce Eusebio – che non è luce solare, ma luce che rifulge con lo splendore sfavillante e luccicante proprio dell’origine eterna di ogni luce86.
Dopo che, proprio al principio del Discorso, Eusebio ha descritto in tal misura la sorgente della luce ponendola nel Dio cristiano come astro centrale soteriologico, il vescovo di Cesarea elabora una ulteriore differenziazione, identificando il Logos, seconda realtà divina, con la funzione di mediatore della luce fra Dio e cosmo. Il Logos sarebbe la luce attraverso cui l’Eterno è separato dal creato, ma anche attraverso cui si media fra queste due parti, e quella che inoltre emana incessantemente dalla divinità eterna e che si diffonde, con raggi di sapienza che splendono più chiari della luce di ῾Ήλιος, su tutto il cosmo87. Con enfasi, il vescovo applica poi la metafora solare anche alla descrizione di Costantino, e mira con ciò chiaramente all’implicita attestazione che ῾Ήλιος/Sol non solo avrebbe mantenuto il suo significato per l’autorappresentazione imperiale anche in una concezione cristiana della monarchia romana, ma che l’avrebbe addirittura potuta anche ampliare. La metafora solare eusebiana raggiunge il culmine dell’enfasi nell’immagine dell’imperatore che percorre tutto il suo regno in lungo e in largo nel carro solare: come ῾Ήλιος attraversa la volta celeste e così come con ciò la luce da lui trasmessa si estende alle più remote regioni, così Costantino attraversa, in una quadriga regale (βασιλικὸς τεθρίππος) tirata dai quattro cesari, il suo regno, dominando tutto con lo sguardo ed essendo presente ovunque allo stesso momento. Eusebio paragona così l’imperatore stesso con la luce del sole, la cui aura si estende su tutto l’Impero: l’imperatore illuminerebbe gli abitanti dei luoghi più remoti come la luce del sole con i suoi raggi trasmessi in grande lontananza; i cesari apparirebbero dunque come i raggianti dispensatori della luce che promana dall’imperatore stesso88.
La descrizione di Costantino con aspetti del linguaggio iconografico solare viene rielaborata più chiaramente e più esplicitamente nel Discorso per il trentennale rispetto ai panegirici latini d’epoca costantiniana trasmessici o ai Carmina di Optaziano. Ciò è dovuto sicuramente al fatto che la simbologia della luce e del sole rappresentava, verso la fine del regno di Costantino, ancora una parte integrante della concezione della sovranità costantiniana. Dire che Eusebio ha dovuto in tal modo adeguarsi e integrare nel suo panegirico gli aspetti caratteristici, riferiti a Sol, della stessa traviserebbe tuttavia il carattere della riflessione eusebiana su questo aspetto dell’autorappresentazione imperiale e non chiarirebbe neppure perché Eusebio abbia attribuito un così elevato valore al nesso imperatore-luce. Eusebio evidentemente si era posto come fine molto più la cristianizzazione dei riferimenti semantici solari al di là della misura riposta nell’autorappresentazione imperiale, cioè aveva cercato di inglobarla nel suo modello cristianamente ispirato dello Stato romano, per ottenere così l’egemonia interpretativa circa il ruolo del sole nel rappresentare la sovranità costantiniana. Così Eusebio poteva depotenziare la metafora solare dell’autorappresentazione imperiale destinandola a un pubblico cristiano, nella misura in cui la adattava alle idee cristiane di una divinità altissima e un Logos/Cristo, collocava l’origine delle potenze divine nella divinità cristiana e subordinava anche i contesti semantici solari allo stesso centro di forza.
Con tutto ciò, anche Eusebio ha rappresentato l’imperatore non propriamente come Cristo, ma come parte integrante del cosmo cristiano e come mediatore delle potenze divine tra la sfera celeste e quella terrena. Sotto questo riguardo Eusebio si allontana appena dall’autorappresentazione costantiniana. Così, se Costantino già nel discorso del 310 appariva ai suoi sudditi come praesens deus, mentre Apollo era un praesens deus per Costantino89, nel Discorso per il trentennale di Eusebio l’imperatore assume un’analoga funzione strutturale di mediatore – certo non esplicitamente come deus/θεός, ma piuttosto come φίλος τῷ θεῷ, in una posizione intermedia, chiaramente affrancata da parametri terreni, fra il piano divino e quello terreno, dal punto di vista funzionale equivalente a quella del Logos e di Cristo.
Il primo imperatore cristiano compì l’ascesa alla sfera del divino, concretamente, dopo la propria morte, nemmeno un anno dopo che Eusebio aveva tenuto il suo panegirico al sovrano: Costantino venne consacrato e ammesso nella serie degli imperatori divinizzati, subì cioè una vera e propria apoteosi. Se e in che misura Costantino stesso abbia potuto stabilire o influire sul programma iconografico e testuale delle coniazioni per la propria consacrazione, emesse postume, non è chiaro. A prescindere da chi sia il responsabile dell’allestimento, quest’ultimo realizza in modo sorprendentemente esatto la rappresentazione della sovranità costantiniana degli ultimi anni di regno. Di particolare significato è un tipo monetario che rappresenta sul rovescio Costantino capite velato, nell’ascensione al cielo in una quadriga. Qui l’iconografia del Sol Invictus ed Elia si confonde con la concezione tradizionale della divinizzazione dell’imperatore. Ricompare anche la mano di Dio, che già nel 330 incoronava Costantino su un pesante medaglione in oro, e che ora riceve l’imperatore divinizzato nelle sfere ultraterrene90.
Per riassumere si può dire che, attraverso i processi di reciproca ricezione e adattamento, nell’epoca costantiniana si è sviluppato un nuovo amalgama di riferimenti semantici religiosi nella rappresentazione della sovranità imperiale, in cui forme tradizionali del culto solare poterono associarsi a modelli interpretativi cristiani. Non da ultimo attraverso il confronto cristiano con i riferimenti costantiniani al sole e alla luce, riuscì un’opera di appropriazione concettuale che poté dare chiaramente forma alla monarchia cristiana del IV secolo, e che in forme rappresentative della politica cristiana dura fino a oggi. L’associazione all’imperatore di attributi che erano strettamente legati a Sol sul piano semantico, o che per lo meno possono essere tranquillamente rapportati alle classiche forme del culto solare, era divenuta comune persino nei circoli cristiani verso la metà del IV secolo91. I costi dovuti all’appropriazione di Sol non furono trascurabili, poiché nel contempo riferimenti semantici originariamente pagani venivano in tal modo implementati nella concezione cristiana del mondo, e potevano manifestarsi come tali persino in contesti comunicativi genuinamente cristiani. Persino Agostino si vede ancora obbligato a contrastare fedeli della divinità solare all’interno delle comunità cristiane92. Ciò lascia intuire quanto efficace, ma anche quanto problematico sia stato lo sforzo del primo imperatore cristiano di accorpare il tradizionale culto solare e la religione cristiana sul piano dell’autorappresentazione imperiale.
1 Per il significato della divinità solare per la monarchia romana si vedano G.H. Halsberghe, The Cult of Sol Invictus, Leiden 1972; M. Wallraff, Christus verus Sol. Sonnenverehrung und Christentum in der Spätantike, Münster 2001; S. Berrens, Sonnenkult und Kaisertum von den Severern bis zu Constantin I. (193-337 n. Chr.), Stuttgart 2004; M. Bergmann, Konstantin und der Sonnengott. Die Aussagen der Bildzeugnisse, in Konstantin der Große. Geschichte, Archäologie, Rezeption, Internationales Kolloquium (Trier, 10.-15. Oktober 2005), hrsg. von A. Demandt, J. Engemann, Trier 2006, pp. 143-161; H. Drake, Solar Power in Late Antiquity, in The Power of Religion in Late Antiquity. Selected Papers From the Seventh Biennial Shifting Frontiers in Late Antiquity Conference, ed. by A. Cain, N. Lenski, Ashgate 2009, pp. 215-226.
2 È peraltro di tutta evidenza che proprio il padre di Costantino, Costanzo I, venisse messo palesemente in relazione in modo particolare con il Sol, per esempio in Paneg. 8(5)2,2, 8(5)4,2, 8(5)19,2. Costanzo in questo discorso viene anche manifestamente designato come invictus, epiteto della divinità solare (Paneg. 8[5]13,4, 8[5]14,3, 8[5]17,1, 8[5]17,3, 8[5]17,4); cfr. anche il famoso medaglione di Arras che celebrava Costanzo I come redditor lucis aeternae: RIC VI Treveri 34. A Thamugadi, le consacrazioni offerte dal governatore della provincia di Numidia, l’eques Valerio Floro, ascrivono agli Augusti Diocleziano e Massimiano rispettivamente gli dei Giove ed Ercole, a Galerio invece il dio protettore Marte e a Costanzo I presumibilmente il Sol Invictus – tuttavia proprio l’iscrizione per Costanzo non si è conservata: CIL VIII 2345-2347, su cui si veda W. Kuhoff, Diokletian und die Epoche der Tetrarchie. Das römische Reich zwischen Krisenbewältigung und Neuaufbau (284-313 n. Chr.), Frankfurt a.M., 2001, p. 135 e p. 49 nota 125. Le testimonianze non permettono tuttavia di concludere che il Sol fosse stato nel periodo della prima e seconda tetrarchia una divinità protettrice personale esclusiva di Costanzo; si veda sul punto anche H. Brandt, Kostantin der Große. Der erste christliche Kaiser. Eine Biographie, München 20072, p. 22, e W. Löhr, Konstantin und Sol Invictus in Rom, in Jahrbuch für Antike und Christentum, 50 (2007), pp. 102-110, in partic. 102.
3 Cfr. nel prosieguo anche le relative osservazioni in J. Wienand, Der Kaiser als Sieger. Metamorphosen triumphaler Herrschaft unter Constantin I., Berlin 2012, cap. 2.
4 Si vedano le coniazioni corrispondenti in RIC VI Londinium, Lugdunum e Treveri. I tipi e le varianti sono troppo numerosi per essere qui menzionati singolarmente.
5 Sole: RIC VI Treveri 886-895; Marte: RIC VI Treveri 877-885.
6 S. Berrens, Sonnenkult und Kaisertum, cit., p. 153. Nel periodo fra l’inizio della monetazione dedicata al Sol e il trionfo di Costantino su Massenzio nell’ottobre del 312 vi furono accanto al menzionato tipo solare a malapena tre differenti programmi per il rovescio: genio pop rom con l’immagine, sul rovescio, del Genio romano, marti conservatori con Marte e principi ivventvtis con Costantino, in abiti militari, che regge una lancia e un globo, oppure due stendardi. Dall’introduzione della monetazione dedicata al Sol fino al trionfo di Costantino sul ponte Milvio vi fu un programma di coniazione relativamente unitario, ridotto a pochi tipi fondamentali.
7 RIC VI Londinium 156, 168, 134, 145, 198, 204; Treveri 796, 802, 803 e 807.
8 RIC VI Londinium 120 (soli invicto comiti), 264 (principi ivventvtis); Treveri 806 (principi ivventvtis). Precedentemente, in primo luogo Massimiano e Massenzio utilizzarono l’epiteto invictus, sebbene le monete per Massimiano vennero emesse da Costantino o Massenzio, poiché Massimiano dopo il suo ritiro il 1° maggio del 305 non aveva più accesso diretto alla zecca. Massimiano: RIC VI Londinium 83; Aquileia 105. Massenzio: RIC VI Aquileia 101-104, 106; Roma 135, 138, 140, 143-144, 147-148, 152-153; Ostia 7; Carthago 53. Contemporanemente a Costantino, anche Massimino Daia cominciò a inserire l’epiteto invictus: RIC VI Heraclea 47, 49a, 52, 54a, 55, 57-58, 60a, 61, 64, 66, 69a. Inoltre Massimino Daia fece coniare il titolo invictus per Costantino: RIC VI Heraclea 49B, 54B, 60B, 67, 71-72; Costantino non fece però lo stesso per Massimino Daia. L’epiteto invictus venne utilizzato per Costantino anche dai panegirici dell’anno 310: Paneg. 6(7)8,4, 6(7)12,1.
9 Per la storia di questi eventi si veda Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus. Herrschaftspropaganda in der zeitgenössischen Überlieferung, Stuttgart 1990, pp. 46-61.
10 In merito alla rappresentazione dinastica di Costantino si veda il contributo relativo, nel presente volume (J. Wienand, Costantino e il Sol Invictus).
11 Si è sempre ritenuto che bisognasse spiegare il fatto che i riferimenti ad Apollo non fossero stati esplicitamente mantenuti nella rappresentazione costantiniana. La propagazione, che si stava viceversa affermando, della divinità solare del Sol Invictus ha indotto una parte degli interpreti a ribadire le sue reminiscenze rinvenibili nel culto di Apollo, e dunque a porre l’accento sulla coerenza della rappresentazione costantiniana. Comune è il ricorso alle reminiscenze sincretistiche solari dell’Apollo venerato nelle Gallie (un elenco dei documenti che lo attestano si trova in K.M. Girardet, Der Kaiser und sein Gott. Das Christentum im Denken und in der Religionspolitik Konstantins des Großen, Berlin 2010, p. 39). La centralità di Apollo nel discorso di Treviri è stata intesa da alcuni interpreti come «riverenza dell’imperatore nei confronti delle preferenze cultuali locali», ossia come «gesto [di riguardo] per l’aristocrazia gallica» che non si era abbassata alla politica religiosa costantiniana, che avrà ampie conseguenze e sarà destinata a durare a lungo (in questo senso va Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., p. 53). Che in definitiva Apollo avesse ottenuto solo un significato limitato e Costantino si fosse concentrato anzitutto sul Sol Invictus venne anche visto nel contesto della più alta capacità di attrazione della divinità solare (si veda, nel dettaglio, S. Berrens, Sonnenkult und Kaisertum, cit., pp. 184-228).
12 Paneg. 6(7)21,3-6.
13 C. Jullian, Histoire de la Gaule, VII/1, Les empereurs de Trèves. Les Chefs, Paris 1926, p. 107 nota 2. Ulteriore bibliografia in: In Praise of Later Roman Emperors. The «Panegyrici Latini». Introduction, Translation, and Historical Commentary with the Latin Text of R. A. B. Mynors, ed. by C.E.V. Nixon, B.S. Rodgers, Berkeley 1994, p. 248 nota 91; C. Ronning, Herrscherpanegyrik unter Trajan und Konstantin. Studien zur symbolischen Kommunikation in der römischen Kaiserzeit, Tübingen 2007, p. 315 nota 100; T.D. Barnes, Constantine. Dynasty, Religion, and Power in the Later Roman Empire, Chichester 2011, p. 79. Da quando Henri Grégoire nel 1930-1931 ha cominciato a occuparsi sistematicamente di questo passo, la letteratura specialistica si è rapidamente sviluppata a dismisura; si veda su questo anche B.S. Rodgers, Constantine’s Pagan Vision, in Byzantion, 50 (1980), pp. 259-278; Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., pp. 50-61; In Praise of Later Roman Emperors, cit., pp. 248-251 note 91-95; S. Berrens, Sonnenkult und Kaisertum, cit., pp. 150-162; C. Ronning, Herrscherpanegyrik unter Trajan und Konstantin, cit., p. 315 note 100, 102 (in entrambe vi sono ulteriori riferimenti bibliografici). L’interesse per questo brano si alimenta, non da ultimo, della possibilità che gli eventi del santuario di Apollo siano da mettere in relazione con la visione descritta da Lact., mort. pers. 44,5-6 e da Eus., v.C. I 28-32, e che quanto affermato nel panegirico sia pertanto da intendere nel senso di Eusebio, come evento iniziale della conversio Constantini. Recentemente si è discusso, a questo proposito, dell’ipotesi secondo cui il panegirico avrebbe descritto un fenomeno di alone solare, che Costantino avrebbe visto nel corso della sua visita al santuario di Apollo e (per lo meno in seguito) interpretato in senso cristiano. A ciò, in definitiva, sarebbe da ricondurre la svolta politico-religiosa; si veda su questo in partic. P. Weiß, Die Vision Constantins, in Colloquium aus Anlass des 80. Geburtstags von Alfred Heuß, hrsg. von J. Bleicken et al., Kallmünz 1993, pp. 143-169; P. Weiß, The Vision of Constantine, in Journal of Roman Archaeology, 16 (2003), pp. 237-259; K.M. Girardet, Der Kaiser und sein Gott, cit., pp. 35-40; T.D. Barnes, Constantine, cit., pp. 74-80. Di certo il panegirico non parla affatto di un alone solare, e rimane pur sempre un’ipotesi quella secondo cui esso descriverebbe lo stesso evento di Lattanzio ed Eusebio (cfr. Eus., v.C. I 47,3 e l.C. 18,1), soprattutto considerato che Costantino faceva spesso apertamente appello a visioni per giustificare le sue azioni. Il parallelo fra il passo del panegirico e i due resoconti cristiani è problematico innanzitutto per il fatto che Eusebio, nella sua Historia Ecclesiastica, non parla di alcuna visione; il più antico racconto di una visione che si trova in Lattanzio, parla semplicemente di una visione in sogno, e solo nella posteriore Vita Constantini Eusebio menziona una visione condivisa anche dai soldati. Quanto all’opinione secondo cui il panegirico alluderebbe a un effetto atmosferico della luce, si pone il problema della non riscontrabilità, nel passo in questione, di alcuna indicazione di influssi di una simbologia della luce o del sole. Specialmente nella caratterizzazione di Apollo sono utilizzati quattro aggettivi, che non presentano alcuna reminiscenza chiara del culto solare: iuvenis, laetus, salutifer e pulcherrimus (Paneg. 6[7]21,6). Il fatto che l’identificazione di Apollo Grannus con il Sol sia ben attestata nelle fonti epigrafiche rende la rinuncia dell’oratore all’impiego di questo riferimento vieppiù bisognosa di spiegazioni. È singolare che il fenomeno in parola si sia verificato proprio nel momento in cui diveniva necessaria una riorganizzazione della rappresentazione sovrana di Costantino.
14 Paneg. 6(7)21,5. Solo circa un anno più tardi Costantino sarebbe stato designato persino come imperator totius orbis da un oratore gallico: Paneg. 5(8)9,3.
15 È il medaglione RIC VII Ticinum 111 (313 d.C.). Di questo programma iconografico si parlerà più dettagliatamente tra breve.
16 La questione della datazione esatta dell’introduzione dei nuovi schemi di monetazione nel conio costantiniano non può essere discussa dettagliatamente in questa sede; si vedano tuttavia sul punto le argomentazioni fornite in J. Wienand, Der Kaiser als Sieger, cit., cap. 2.
17 G. Depeyrot, Les Monnaies d’or de Diocletien à Constantin I (284-337), Wetteren 1995, Roma tav. 17 n. 14; finora si conosce solo un esemplare di questo tipo, non registrato in RIC.
18 RIC VI Ticinum 113.
19 RIC VI Ticinum 111.
20 Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., p. 96. Grünewald parla anche di «una rappresentazione addirittura gemellare»; cfr. anche S. Berrens, Sonnenkult und Kaisertum, cit., pp. 150-151.
21 RIC VII Ticinum 32, 53; cfr. M. Radnoti-Alföldi, Die constantinische Goldprägung. Untersuchungen zu ihrer Bedeutung für Kaiserpolitik und Hofkunst, Mainz 1963, n. di catalogo 275 e 430, tavola V, ill. 63 e 64.
22 (a): ivi, n. di catalogo 160 e 302, tavola V, ill. 65 e 66; (b): ivi, n. di catalogo 662, tavola V, ill. 67; (c): ivi, n. di catalogo 107, tavola V, ill. 68.
23 P. Bastien, Le buste monétaire des empereurs Romains, I, Wetteren 1992, p. 175.
24 (a): RIC VII Ticinum 98, 108 (320/321 d.C.); Sirmium 3, 8, 31 (320 o 322/323 d.C.); (b): RIC VII Arelate 114 (317 d.C.); cfr. anche S. Berrens, Sonnenkult und Kaisertum, cit., p. 152.
25 Anche le attestazioni epigrafiche confermano quelle numismatiche: Grünewald (Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit.) riporta nel suo catalogo 22 iscrizioni latine che si riferiscono a Costantino come invictus augustus e che sono sicuramente databili al periodo successivo al 28 ottobre 312: n. di catalogo 89, 92, 95, 105, 106, 110, 112, 125, 135, 138, 162, 178, 181, 193 a, 207, 210, 318, 328, 371, 378, 454, 480.
26 H.P. L’Orange, Sol invictus imperator. Ein Beitrag zur Apotheose, in Symbolae Osloenses, 14 (1935), pp. 86-114, in partic. 107.
27 Per il programma iconografico dell’arco di Costantino si veda H.P. L’Orange, A. von Gerkan, Der spätantike Bildschmuck des Konstantinsbogens, 2 voll., Berlin 1939. Soprattutto per i riferimenti a Sol e al colosso solare si vedano M. Bergmann, Der römische Sonnenkoloss, der Konstantinsbogen und die Ktistes-Statue von Konstantinopel, Göttingen 1998, pp. 111-130; M. Bergmann, Die Strahlen der Herrscher. Theomorphes Herrscherbild und politische Symbolik im Hellenismus und in der römischen Kaiserzeit, Mainz 1998; M. Bergmann, Konstantin und der Sonnengott. Die Aussagen der Bildzeugnisse, in Konstantin der Große, cit., pp. 143-161; W. Löhr, Konstantin und Sol Invictus, cit., pp. 103-107.
28 La conversio Constantini viene compresa, in alcuni settori della ricerca costantiniana, come passaggio immediato a un monoteismo rappresentato dalla pretesa di esclusività, che sin da subito avrebbe comportato conseguenze corrispondenti per gli aspetti pagani della rappresentazione della sovranità dell’imperatore. Questo è formulato in maniera particolarmente chiara da P. Veyne, Als unsere Welt christlich wurde (312-394). Aufstieg einer Sekte zur Weltmacht, München 2008: «con la sua conversione – scrive Veyne – Costantino è diventato cristiano al cento per cento» (p. 195 nota 1), ha sostenuto un «cristianesimo ortodosso al cento per cento» (p. 55) e ha «subito interiorizzato l’assoluta pretesa di verità della Chiesa» (p. 86). Analogamente K.M. Girardet, Der Kaiser und sein Gott, cit., pp. 152-153: «la nuova religione dell’imperatore [era] universalistica, improntata a un’incondizionata pretesa di assolutezza», e «questa prospettiva universalistica è caratteristica di Costantino fin dal principio». Una posizione così rigida non è facilmente sostenibile. I media disponibili per rappresentare la sovranità dell’imperatore, chiaramente, servivano a Costantino meno a trasmettere un’immagine omogenea e coerente delle sue personali preferenze e inclinazioni religiose che a elaborare un’immagine del sovrano in modo specifico e differenziato in base al contesto, che potesse essere intercambiabile fra tendenze tradizionali e innovative, e reagire in maniera sorprendentemente flessibile alle aspettative e alle esigenze del destinatario della comunicazione.
29 È certo che il Sol Invictus – così K.M. Girardet, Der Kaiser und sein Gott, cit., pp. 45 e nota 205, 50, 84-85, spesso con riferimento a Eus., l.C. 6,20 (ἥλιος δικαιοσύνης) – poteva essere interpretato dai cristiani anche come sol iustitiae (sulla volta mosaicata del mausoleo dei Giuli sotto S. Pietro, Cristo viene persino raffigurato con la corona radiata sul carro solare). Tuttavia, sebbene Eusebio si sia impegnato a leggere cristianamente la divinità solare, nella coniazione di medaglie e monete costantiniane – i cui modelli caratteristici poterono essere recepiti approssimativamente da tutti gli strati e i gruppi sociali – prima del 318 non è attestata alcuna trasformazione cristiana della tradizionale simbologia solare. Interpretazioni cristiane della divinità solare non vengono intenzionalmente promosse nella rappresentazione della sovranità costantiniana, almeno prima del 318.
30 T.D. Barnes, Constantine and Eusebius, Cambridge (MA) 1981, p. 48.
31 Per le attestazioni del cursus honorum del sacerdote del Sol C. Vettio Cossinio Rufino, si vedano CIL X 5061 (= ILS 1217) e CIL VI 32040; cfr. in proposito M.T.W. Arnheim, The Senatorial Aristocracy in the Later Roman Empire, Oxford 1972, pp. 222-223, e J. Rüpke, A. Glock, Fasti sacerdotum. Die Mitglieder der Priesterschaften und das sakrale Funktionspersonal römischer, griechischer, orientalischer und jüdisch-christlicher Kulte in der Stadt Rom von 300 v.Chr. bis 499 n.Chr., II, Biographien, Stuttgart 2005, p. 1364.
32 Cosí K.M. Girardet, Der Kaiser und sein Gott, cit., p. 89.
33 A questo riguardo è anche interessante un’intera serie di festività pubbliche del periodo costantiniano da mettere in relazione con il culto solare. Il Cronografo di Filocalo del 354 registra quattro «festivals or celebrations […] to honor Sol»: il 6 giugno veniva festeggiato il Colossus coronatus. M.R. Salzman, On Roman Time. The Codex-Calendar of 354 and the Rhythms of Urban Life in Late Antiquity, Berkeley 1990, p. 151, ha scritto a tal proposito: «This commemoration can be identified with the colossal statue of Nero that Vespasian had dedicated to Sol at the opening of the Colosseum. It therefore seems likely that the ceremonial crowning of this statue in the fourth century was associated with Sol, and perhaps with the imperial cult as well, since the ties between these two cults were quite strong, especially in the early years of the century» (cfr. anche G.H. Halsberghe, The Cult of Sol Invictus, Leiden 1972, p. 167); il 28 agosto veniva festeggiato il [Natalis] Solis et Lunae con corse circensi; dal 19 al 22 ottobre avevano luogo i ludi Solis, con 36 corse nel circo l’ultimo giorno. Questi Ludi erano stati indetti da Aureliano nell’anno 274 e perdurarono fino al periodo della dinastia costantiniana (L.P. Homo, Essai sur le règne de l’empereur Aurelien, Paris 1904, pp. 122-124, 186; G.H. Halsberghe, The Cult, cit., p. 144); il 25 dicembre veniva celebrato il Natalis Invicti (M.R. Salzman, On Roman Time, cit., p. 150, parla di «unusually large number of circus races», attraverso le quali manifestava la grande importanza della giornata; tuttavia la festività non sarebbe da mettere in rapporto, come si è sostenuto varie volte, con l’inaugurazione del tempio aureliano dedicato a Sol (ivi, pp. 119 nota 12, 126 nota 22, 150 nota 106).
34 Cfr. Paneg. 12(9)26,1: «quamobrem te, summe rerum sator, cuius tot nomina sunt quot gentium linguas esse voluisti (quem enim te ipse dici velis, scire non possumus)».
35 In che relazione stia esattamente il divino comes Sol Invictus con la summa divinitas costantiniana – se il dio solare funga da mediatore delle potenze celesti o sia egli stesso il sommo dio – rimane una questione ampiamente aperta a proposito della rappresentazione della sovranità costantiniana. In Paneg. 6(7)9,4, 6(7)21,3-7, 6(7)22,1, Apollo viene descritto come praesens deus (si veda sul punto B.S. Rodgers, Constantine’s Pagan Vision, cit., p. 266, e, in generale, F. Kolb, Praesens Deus. Kaiser und Gott unter der Tetrarchie, in Diokletian und die Tetrarchie. Aspekte einer Zeitenwende, hrsg. von A. Demandt, A. Goltz, H. Schlange-Schöningen, Berlin 2004, pp. 27-37), da cui si può probabilmente concludere che Sol/Apollo fosse compreso come immanazione della summa divinitas. Che Eusebio, nel Discorso per il trentennale, si premurasse chiaramente di ascrivere a Sol una posizione subordinata rispetto al fulcro della potenza divina, è in ogni caso prova del fatto che Helios/Sol poteva essere a tutti gli effetti considerato la somma divinità imperiale anche verso la fine del regno di Costantino.
36 Tanto nello scritto De mortibus persecutorum dell’erudito cristiano Lattanzio quanto nella Storia Ecclesiastica del vescovo Eusebio di Cesarea è percepibile un processo che si potrebbe definire un ‘volgersi di Costantino verso il Dio dei cristiani’. Questi scritti riflettono tuttavia solo indirettamente il piano della rappresentazione imperiale, e vennero redatti in primo luogo per un uditorio cristiano più che per i circoli di corte; dunque essi ritraggono le autorappresentazioni imperiali in modo non altrettanto diretto come i discorsi panegirici, che rimangono nel quadro del cerimoniale di corte e sono enunciati di regola di fronte all’imperatore stesso e al suo più stretto seguito.
37 Paneg. 12(9)26,1.
38 Paneg. 12(9)26,1: «vis mensque divina es, quae toto infusa mundo omnibus miscearis elementis». Ciò si esprime anche nel fatto che alla città di Roma e al Tevere vengano attribuite divinae mentes che, conformemente al volere della divinità, sostengono il desiderio di Costantino; cfr. Paneg. 12(9)16,2, 12(9)17,2-18,2.
39 Paneg. 12(9)26,1: «sine ullo extrinsecus accedente vigoris impulsu per te ipse [lectio del manoscritto M] movearis».
40 Paneg. 12(9)26,1 e 12(9)13,2.
41 Paneg. 12(9)13,2.
42 Paneg. 12(9)26,1.
43 Paneg. 12(9)26,3: «Et certe summa in te bonitas est [et] potestas, et ideo quae iusta sunt velle debes, nec abnuendi est causa cum possis; nam si est aliquid quod a te bene meritis denegetur, aut potestas cessavit aut bonitas».
44 Paneg. 12(9)2,5: «habes profecto aliquod cum illa mente divina, Constantine, secretum, quae delegata nostri diis minoribus cura uni se tibi dignatur ostendere».
45 Paneg. 12(9)4,1: «quid in consilio nisi divinum numen habuisti?»; cfr. Paneg. 12(9)4,4, dove l’oratore parla di divina praecepta; Paneg. 12(9)4,5: «divinum consilium» e, nello specifico, «divino consilio, imperator, hoc est tuo».
46 Paneg. 12(9)2,4: «quisnam te deus, quae tam praesens hortata est maiestas ut […] contra consilia hominum, contra haruspicum monita ipse per temet liberandae urbis tempus venisse sentires?».
47 Lact., mort. pers. 44,5-6; Eus., h.e. IX 9; Eus., v.C. I 28-31.
48 Sul medaglione d’argento di Ticinum (Pavia) si vedano A. Alföldi, Das Kreuzszepter Konstantins des Großen, in Schweizer Münzblätter, 4 (1954), pp. 81-86; K. Kraft, Das Silbermedaillon Constantins des Großen mit dem Christusmonogramm auf dem Helm, in Jahrbuch für Numismatik und Geldgeschichte, 5-6 (1954-1955), pp. 151-178; M. Radnoti-Alföldi, Die constantinische Goldprägung, cit., pp. 146-153; R. Göbl, Signum crucis oder Lanzenschaft? Die Kaiserinsignien auf dem münchener Silbermultiplum Constantins des Großen aus 315 Ticinum, in Litterae Numismaticae Vindobonenses, 3 (1987), pp. 77-94, tav. 74-76; M. Radnoti-Alföldi, Historische Wirklichkeit – historische Wahrheit: Constantin und das Kreuzszepter, in Migratio et Commutatio. Studien zur alten Geschichte und deren Nachleben. Thomas Pekáry zum 60. Geburtstag am 13. September 1989 dargebracht von Freunden, Kollegen und Schülern, hrsg. von H.-J. Drexhage, J. Sünskes, St. Katharinen 1989, pp. 318-325; B. Overbeck, Das Silbermedaillon aus der Münzstätte Ticinum. Ein erstes numismatisches Zeugnis zum Christentum Constantins I., Milano 2000; Id., Das Münchner Medaillon Constantins des Großen, in Mitteilungen der Österreichischen Numismatischen Gesellschaft, 45 (2005), pp. 1-15; K. Ehling, Das Christogramm als magisches Siegeszeichen. Zum konstantinischen Silbermedaillon des Jahres 315, in Konstantin der Große. Zwischen Sol und Christus, hrsg. von K. Ehling, G. Weber, Mainz 2011, pp. 27-32.
49 Quando Costantino, nelle sue lettere, si rivolgeva a destinatari cristiani, identificava indubbiamente la divinità con la summa divinitas cristiana. La coniazione di monete e di medaglie era destinata soprattutto a soldati e funzionari dell’apparato sovrano. Del resto, nei primi anni successivi alla battaglia di ponte Milvio Costantino non aveva ancora messo mano a una differenziazione netta tra destinatari e contesti comunicativi diversi: con le emissioni massive di coniazioni solari in bronzo entrarono in contatto senza dubbio anche i sudditi cristiani dell’imperatore.
50 Per la storia di questi eventi si veda Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., pp. 113-132.
51 Secondo la Notitia dignitatum al principio del V secolo quattordici legioni erano di stanza in questa zona, il che deve corrispondere all’incirca anche all’ordine di grandezza del primo quarto del secolo precedente. Si veda sul punto A.H.M. Jones, The Later Roman Empire, 284-602: A Social Economic and Administrative Survey, II, Oxford 1964, pp. 1440-1442 (tav. IX).
52 RIC VII, p. 485.
53 Cosí R. Leeb, Konstantin und Christus. Die Verchristlichung der imperialen Repräsentation unter Konstantin dem Großen als Spiegel seiner Kirchenpolitik und seines Selbstverständnisses als christlicher Kaiser, Berlin 1992, p. 11 (sulla scia di A. Alföldi, The Conversion of Constantine and Pagan Rome, Oxford 1948, pp. 58-59).
54 Si sono occupati dell’impiego delle coniazioni dedicate a Sol e delle corrispondenti implicazioni per la nostra comprensione della rappresentazione della sovranità costantiniana anzitutto M. Radnoti-Alföldi, Die Sol Comes-Münze vom Jahre 325. Neues zur Bekehrung Constantins, in Gloria Romanorum. Schriften zur Spätantike, hrsg. von H. Bellen, H.-M. von Kaenel, Stuttgart 2001, pp. 52-59; Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., pp. 130-131, 140; S. Berrens, Sonnenkult und Kaisertum, cit., pp. 158-162 e 165-169. Per le linee fondamentali dell’interpretazione esposta di seguito, si veda J. Wienand, Ein Abschied in Gold. Konstantin und Sol invictus, in Konstantin der Große. Zwischen Sol und Christus, cit., pp. 53-61; per i dettagli e le argomentazioni in merito cfr. J. Wienand, Der Kaiser als Sieger, cit., cap. 4.
55 T.D. Barnes, Constantine, cit., p. 48, parla a riguardo della simbologia pagana dopo il 312 di «the dead weight of iconographic tradition»; H. Dörries, Das Selbstzeugnis Kaiser Konstantins, Göttingen 1954, p. 343, ritiene che con Sol Invictus «una reinterpretazione cristiana era più facilmente possibile che per esempio con i sacrifici» e Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., p. 140, a proposito del significato dei tipi solari ricorrente fino al 324-25, è del parere che «la svolta religiosa […] venisse resa pubblica con la massima considerazione delle cerchie pagane».
56 Sulla riforma si vedano L.H. Cope, The Metallurgical Analysis of Roman Imperial Silver and Aes Coinage, in Methods of Chemical and Metallurgical Investigation of Ancient Coinage, a Symposium Held by the Royal Numismatic Society at Burlington House (London 9-11 December 1970), ed. by E.T. Hall, D.M. Metcalf, London 1972, pp. 3-47; J.-P. Callu, La circulation monétaire de 313 à 348. Les réforms de 318 et de 321, in Actes du 8ème Congrès International de Numismatique (New York-Washington Septembre 1973), éd. par H.A. Cahn, G. Le Rider, Paris 1976, pp. 227-242; C.E. King, The Appleford Hoard, in Revue Belge de Numismatique et de Sigillographie, 123 (1977), pp. 41-100, in partic. 46; P. Bastien, Le monnayage de l’atelier de Lyon. De la réouverture de l’atelier en 318 à la mort de Constantin (318-337), Wetteren 1982, pp. 66-67; G. Depeyrot, Le numéraire gaulois du IVe siècle. Aspects quantitatifs, I, Texte, Oxford 1982, pp. 49-50; E.W. Haley, The Roman Bronze Coinage in Britain and Monetary History from AD 293 to 350, in American Journal of Numismatics, 1 (1989), pp. 89-116. Prende ancora le mosse – erroneamente – da una riduzione a 1/104 o 1/105 di libbra ancora C. Brénot, Le trésor de Bikic-Do (Yougoslavie). Contribution à l’étude du monnayage de bronze de 318 à 324, Paris 1977, p. 25. Sulla riforma monetaria del 312-313 si vedano P. Bastien, Le monnayage de l’atelier de Lyon. De la réforme monétaire de Dioclétien à la fermeture temporaire de l’atelier en 316 (294-316), Wetteren 1980, pp. 86-87; G. Depeyrot, Le système monétaire de Dioclétien à la fin de l’Empire romain, in Revue Belge de Numismatique et de Sigillographie, 13 (1992), pp. 33-106, in partic. 52; H. Böhnke, Die Reduktion des Münzfußes der nummi auf 1/96 des Pfunds durch Licinius, in Numismatische Zeitschrift, 111/112 (2004), pp. 69-88. La citazione è tratta da G. Depeyrot, Le numéraire gaulois du IVe siècle. Aspects quantitatifs. Deuxième édition, 2 voll. 1. Les frappes; 2. Les trouvailles, Wetteren 2001, p. 58.
57 Virt exerc: RIC VII Thessalonica 66-71. Statuetta di Sol sul recto: Die römische Münzserie Beata Tranquillitas in der Prägestätte Trier 321-323, hrsg. von D. Alten, C.-F. Zschucke, Trier 2004, n. 48a.
58 L.H. Cope, The Metallurgical Analysis, cit., p. 33, parte dal presupposto che la percentuale di argento nel quadro della riforma sia stato elevato dai precedenti 4 a 10 scrupula d’argento per libbra di metallo; si veda sul punto anche L.H. Cope, H.N. Billingham, The Compositions of 35 Roman Bronze Coins of the Period A.D. 284-363, in Bulletin of the Historical Metallurgy Group, 1 (1967), pp. 1-6, in partic. 4; L.H. Cope, The Metallurgical Analysis, cit., pp. 31-32, 38-41; J.-N. Barrandon, J.-P. Callu, C. Brenot, The Analysis of Constantinian Coins (A.D. 313-340) by Non Destructive Californium 252 Activation Analysis, in Archaeometry, 19 (1977), pp. 173-186, in partic. 181; J.-N. Barrandon, C. Brenot, Analyse de monnaies de bronze (318-340) par activation neutronique à l’aide d’une source isotopique de Californium 252, in Les “dévaluations” à Rome. Époque républicaine et impériale, Rome 1978, pp. 123-143, in partic. 130-134; A. Ravetz, Neutron Activation Analysis of Silver in Some Late Roman Copper Coins, in Archaeometry, 6 (1963), pp. 46-55, in partic. 48, tav. 1; P. Bastien, De la réforme monétaire de Dioclétien, cit., pp. 83-85; G. Depeyrot, Le numéraire gaulois du IVe siècle, I, cit., p. 49.
59 La messa fuori corso delle vecchie monete di bronzo risulta chiaramente dalla composizione delle cave costantiniane di raccolta di monete tesaurizzate; si vedano su questo P.M. Bruun, M. Radnoti-Alföldi, Die spätrömische Münze als Gegenstand der Thesaurierung, Berlin 1987, e G. Depeyrot, La thésauration et la circulation au Bas-Empire, in Numéraire et prix au Bas-Empire, hrsg. von G. Depeyrot, Wetteren 2005, pp. 97-107, in partic. 103-104. Sulle sovraconiazioni si vedano W. Kellner, Eine von Constantin überprägte Münze Licinius’ I, in Schweizer Münzblätter, 44 (1962), pp. 86-87; C. Brenot, Un follis de Trèves de Constantin II surfrappé en 320 sur un follis de 317, in Bulletin de la Société Française de Numismatique, 29 (1974), pp. 604-606; C. Brenot, J.-P. Callu, Deux surfrappes postérieures à 318, in Bulletin de la Société Française de Numismatique, 29 (1974), pp. 670-673; C. Brenot, G. Rogers, Trois nummi constantiniens surfrappés sur deux pièces liciniennes, in Bulletin de la Société Française de Numismatique, 33 (1978), pp. 436-437s; M. Amandry, Deux cas de surfrappe après 318, in Bulletin de la Société Française de Numismatique, 34 (1979), pp. 596-597; M. Amandry, C. Brenot, Nouveaux exemples de surfrappe du numéraire de Licinius, in Bulletin de la Société Française de Numismatique, 35 (1980), p. 772, fig. 770; G. Depeyrot, Le numéraire gaulois. Deuxième édition, cit., pp. 58-59.
60 RIC VII Thessalonica 66-71.
61 J. Maurice, Numismatique Constantinienne, II, Paris 1911, p. 447; H. Cohen, G.I. Feuardent, Description historique des monnaies frappées sous l’empire Romain, communément appelées médailles impériales, VI, Paris 1886, p. 306 n. 658; P.M. Bruun, The Roman Imperial Coinage, VII, Constantine and Licinius (A.D. 313-337), London 1966, p. 507; tale interpretazione è stata respinta con buoni argomenti da C. Brenot, Monnaies de 318 à type solaire de l’atelier de Thessalonique, in Bulletin de la Société Nationale des Antiquaires de France (1986), pp. 87-90.
62 P. Weiß, Die Vision Constantins, in Colloquium aus Anlass des 80. Geburtstags von Alfred Heuß, hrsg. von D. Timpe, H.J. Gehrke, J. Bleicken, Kallmünz 1993, pp. 143-169; P. Weiß, The Vision of Constantine, in Journal of Roman Archaeology, 16 (2003), pp. 237-259; a questa interpretazione si associa, fra gli altri, S. Berrens, Sonnenkult und Kaisertum, cit., pp. 156-157.
63 M.-O. Bruhat, Les Carmina figurata de Publilius Optatianus Porfyrius: La métamorphose d’un genre et l’invention d’une poésie liturgique impériale sous Constantin, Lille 1999, pp. 151 e 392; l’autrice tuttavia adotta l’interpretazione di Maurice senza discuterla.
64 Su Optaziano si vedano almeno Publilii Optatiani Porfyrii Carmina, rec. G. Polara, 2 voll., Torino 1973, e M.-O. Bruhat, Les Carmina figurata, cit.
65 Die römische Münzserie, cit., Crispo n. 200a (emissione •STRU), Costantino n. 48a (emissione •STR) e n. 143 (emissione •STRU). I tipi non sono riprodotti nel settimo volume di Roman Imperial Coinage; la sola indicazione della loro esistenza si trova nella annotazione a RIC VII Treveri 409.
66 Die römische Münzserie, cit., n. 12.
67 Ivi, n. 22.
68 R. Billoret, Découverte de deux bornes milliaires à Soulosse (Vosges), in Revue archéologique de l’Est et du Centre-Est, 20 (1969), pp. 219-233, in partic. 222-224.
69 H.A. Pohlsander, Crispus: Brilliant Career and Tragic End, in Historia, 33 (1984), pp. 79-106, in partic. 79.
70 RIC VII Anthiochia 49; si veda M. Radnoti-Alföldi, Die Sol Comes-Münze, cit. Un esemplare è posseduto dal Hunterian Coin Cabinet di Glasgow, un altro dall’Ermitage di S. Pietroburgo. Depeyrot riporta come Anthiochia 41/3 una variante di questo tipo con diversa disposizione della legenda. Che si conoscano tre pezzi di questo tipo di diverso conio potrebbe essere indizio di una battitura non troppo ristretta.
71 Nominali in bronzo vennero introdotti in grande quantità in epoca tetrarchico-costantiniana nel pagamento dei soldati; si veda l’introduzione di J. Wienand, Der Kaiser als Sieger, cit.
72 Nei carmina di Optaziano questa svolta viene ripercorsa in modo assai coerente: il titolo invictus appare solo nei carmina scritti prima del trionfo su Licinio, mentre il titolo victor, con poche eccezioni, è limitato ai carmina composti dopo la vittoria. Nella ricerca su Costantino si postula di regola che il cambio di titolo da invictus a victor rimandi alla necessità dell’imperatore di rinunciare alle coloriture pagane che l’epiteto invictus aveva, scegliendo un titolo non particolarmente caricato di significati religiosi; si vedano S. Weinstock, Victor and Invictus, in The Harvard Theological Review, 50 (1957), pp. 211-247, e Th. Grünewald, Constantinus Maximus Augustus, cit., p. 136 (con ulteriore bibliografia in nota 19). Come già Berrens (cfr. S. Berrens, Sonnenkult und Kaisertum, cit., pp. 167-168) ha persuasivamente mostrato, il titolo victor non è tuttavia meno tradizionale né meno intensamente connesso alle religioni pagane rispetto all’epiteto invictus.
73 S. Berrens, Sonnenkult und Kaisertum, cit., p. 169.
74 Cfr. Eus., v.C. IV 18,3-20,2. Un parallelo, con meno dettagli, si trova in Eus., l.C. 9,9-10.
75 Opt. Porf., carm. 8,25: «lumine muriceo venerandus dux erit ut Sol».
76 TAM III.1, 45.
77 G. Fowden, Constantine’s Porphyry Column. The Earliest Literary Allusion, in Journal of Roman Studies, 81 (1991), pp. 119-131, in partic. 129 nota 95: «Constantine and Helios are unambiguously identified».
78 Si veda, a tal proposito, F.A. Bauer, Stadt, Platz und Denkmal in der Spätantike. Untersuchungen zur Ausstattung des öffentlichen Raums in den spätantiken Städten Rom, Konstantinopel und Ephesos, Mainz 1996, pp. 168-187 (sul foro di Costantino a Costantinopoli), in partic. 173-177 (con speciale riguardo alla colonna in porfido), con ulteriore bibliografia relativa alla discussione scientifica.
79 Sulla situazione archeologica del santuario a Grand si veda il vol. 162 dei Dossiers d’Archéologie (Dijon 1991).
80 Cfr. Eus., l.C. 1,3; 1,5; 2,1; 3,5-6; 5,4; 6,18-20; 7,12; 10,2; 11,8; 11,10; 11,15; 12,12; 12,16; 13,1; 14,4.
81 Eus., l.C. 2,1.
82 Eus., l.C. 1,5.
83 Eus., l.C. 1,5: παντοίων δοτῆρα φώτων; Eus., l.C. 6,19: (φωστήρ); Eus., l.C. 6,20: φῶς ἐπέκεινα φώτων ἁπάντων.
84 Eus., l.C. 1,1.
85 Eus., l.C. 1,2.
86 Eus., l.C. 6,18.
87 Eus., l.C. 1,6.
88 Eus., l.C. 3,4.
89 Paneg. 6(7)9,4, 6(7)9,21,3-7, 6(7)9,22,1; si veda in proposito B.S. Rodgers, Constantine’s Pagan Vision, cit., p. 266.
90 Sulla semantica relativa a questo tipo monetario si vedano, per esempio, L. Koep, Die Konsekrationsmünzen Kaiser Konstantins und ihre religionspolitische Bedeutung, in Römischer Kaiserkult, hrsg. von A. Wlosok, Darmstadt 1978, pp. 509-527; P.N. Schulten, Die Typologie der römischen Konsekrationsmünzen, Frankfurt 1979; G. Lacam, La Main de Dieu. Son origine hébraïque, son symbolisme monétaire durant le Bas Empire Romain, in Rivista Italiana di Numismatica e Scienze Affini, 94 (1992), pp. 121-161; S. Rebenich, Vom dreizehnten Gott zum dreizehnten Apostel? Der Tote Kaiser in der Spätantike, in Zeitschrift für antikes Christentum, 4 (2000), pp. 300-324, in partic. 315-316; M. Wallraff, Constantine’s Devotion to the Sun after 324, in Studia Patristica, 34 (2001), pp. 256-269, in partic. 264, ha richiamato l’attenzione su Paneg. 6(7)7,3, dove Giove tende la sua mano destra per accogliere Costanzo I (Iove ipso dexteram porrigente).
91 Un esempio eccellente si trova nelle illustrazioni del calligrafo cristiano Furio Dionisio Filocalo nel Cronografo del 354, dedicato a Valentino, un agiato aristocratico romano. Nelle illustrazioni del calendario, l’imperatore Costanzo II viene rappresentato nel gesto di Sol: la destra alzata e il globo con la fenice nella sinistra (Biblioteca Apostolica Vaticana, Roma: Cod. Barb. Lat. 2154, fol. 7; una riproduzione si trova in Die Calenderbilder des Chronographen vom Jahre 354, hrsg. von J. Strzygowski, Berlin 1888, fig. 9). La corona radiata è tuttavia qui sostituita dal nimbo, che certo rimanda a sua volta al classico sistema metaforico solare (si veda a tale proposito S. Berrens, Sonnenkult und Kaisertum, cit., pp. 32, 73, 197 e in partic. 215). Che i riferimenti al Sol dovessero essere compresi anche in quanto tali, è il calendario stesso a mostrarlo. Sul foglio del Solis dies è raffigurato Sol stesso, con la destra alzata, la corona radiata, il globo e la frusta nella sinistra (Biblioteca Apostolica Vaticana, Roma: Cod. Barb. Lat. 2154, fol. 11). Che qui possa essere intesa solo la divinità è mostrato dalle illustrazioni degli altri giorni della settimana, nelle quali analogamente sono raffigurati Saturno, Luna, Marte, Mercurio, Giove e Venere; al riguardo si veda anche M.R. Salzman, On Roman Time, cit., pp. 30-31.
92 Cfr. Aug., in psalm. 11,3.