Costantino e la bizantinistica prima e dopo Francis Dvornik
Dvornik1 scrive il suo celebre volume sullo scisma foziano nel 1943, mentre è in esilio a Londra2. Il saggio riguarda il ruolo che assume l’imperatore nella Chiesa, una novità introdotta da Costantino il Grande prima con l’editto di tolleranza del 313, poi con la convocazione del concilio di Nicea del 325, nel quale viene formulato e definito il credo cristiano. La bizantinistica ha spesso ritenuto Costantino a un tempo il fondatore della civiltà bizantina e il grande escluso dalla ricerca, in quanto l’imperatore finisce con l’essere studiato dagli antichisti o dai tardo antichisti. Tale situazione è comunque circoscritta alla ricerca bizantinistica dell’Europa occidentale, perché sia la ricerca condotta in area balcanica sia quella di tradizione russa vedono in Costantino un degno rappresentante di Bisanzio. Allo stesso modo, la distinzione tra Roma e Nuova Roma non sussiste nelle aree araba e turca, nelle quali le parole ‘romano’ e ‘bizantino’ sono rese entrambe da rūm.
Con il termine ‘bizantinista’ si indica qui arbitrariamente qualcuno che ha studiato argomenti concernenti l’impero bizantino nel periodo successivo a quello tardoantico, occupandosi tuttavia anche di Costantino. Possono essere assunti come base di partenza di tale ricerca due punti di arrivo degli studi: la fondazione della rivista Byzantinische Zeitschrift a Monaco di Baviera nel 1894 da parte di Karl Krumbacher e quella di Vizantijski Vremennik a San Pietroburgo nel 1896 da parte di Fëdor Ivanovič Uspenskij. Queste due riviste, tuttora operanti, costituiscono due elementi imprescindibili della bizantinista moderna, tanto che è corretto porre come data di inizio della stessa gli anni 1894-1896. Se la prospettiva su Costantino muta a seconda delle epoche e degli storici, tuttavia risulta lecito suddividere la materia del presente contributo in quattro parti, ciascuna corrispondente a una fase storica precisa: 1894-1914; 1914-1945; 1945-1989; 1989-2011.
La scuola russa3 da sempre considera Costantino pertinente e rilevante per la propria storia nazionale. Basti pensare che durante la serie delle guerre russo-turche, la zarina Caterina la Grande (1762-1796) sceglie di chiamare Costantino un proprio nipote, per la precisione il fratello del futuro zar Alessandro I (1801-1825), come augurio per la riconquista di Costantinopoli4. La critica accademica, che promuove lo studio degli aspetti storico e religioso, dovrebbe quindi sempre più tenere conto anche della rilevanza politica assunta dalla figura di Costantino. Fëdor Ivanovič Uspenskij (1845-1928), considerato uno dei massimi bizantinisti della Russia imperiale, si trasferisce a Costantinopoli nel 1894, dove in seguito fonda l’Istituto russo di archeologia5 e scrive un libro sulla storia di Bisanzio partendo da Costantino6. Per questo studioso, il periodo protobizantino/tardoantico è importante principalmente per la definizione dell’ortodossia. Quasi tutti i capitoli iniziali riguardano la politica religiosa: essa ha portato a specifici concili ecumenici e in quanto tale sottolinea l’importanza di Costantinopoli in questo periodo quale tappa di viaggi di pellegrini russi verso la Terrasanta7.
In quest’atmosfera ortodossa si situa il saggio del 1916 di Aleksandr I. Brilliantov (1867-1933) su Costantino e l’editto di tolleranza8, che rappresenta una delle poche monografie che tratti principalmente dell’editto del 313: questo studio sarà ricordato come ‘eccellente’ molti anni dopo da Aleksandr Aleksandrovič Vasil’ev9. L’idea di tolleranza espressa da Costantino è centrale nel contesto sia delle aperture verso i vecchi credenti nel 1905-1906 sia della preparazione alla reintroduzione del patriarcato nel 191710. Nello stesso ambito si potrebbe inserire lo studio sui movimenti dogmatici del IV e V secolo di Anatolij Spasskij (1906)11. La scuola russa vede la grandezza di Costantino nel suo interesse per il cristianesimo. All’interno di questa visione comune sembrano dividersi quelli che optano per il Costantino della tolleranza e quelli che prediligono il Costantino del dogma. Si tratta evidentemente di una reazione alla scuola di lingua tedesca, che vede in Costantino una tappa di una continuità senza frattura istituzionale. Basti pensare agli studi di Jakob Burckhardt12, Otto Seeck13 e Eduard Schwartz14: in reazione alla constatazione che le guerre napoleoniche concludono definitivamente un lungo periodo storico e per così dire pongono fine a un dato mondo, essi si propongono di non sottolineare i cambiamenti che si producono in Roma con la conversione di Costantino.
Se la religione comporti un aspetto rivoluzionario oppure s’inserisca nella continuità istituzionale, non è il problema principale della critica inglese, la quale all’epoca risente ancora dell’influenza esercitata da Edward Gibbon (1737-1794) e dal suo The History of the Decline and Fall of the Roman Empire15. La nozione di decadenza espressa da Gibbon trova un importante, seppure critico, continuatore in John Bagnell Bury, storico che ripubblica nel 1906 l’opera di Gibbon in una edizione nuova16, nella quale aggiunge note che permettono di comprendere l’impiego delle fonti fatto da Gibbon. Inoltre Bury indica non solo la grande validità dell’analisi di Gibbon, ma anche il fatto che essa va integrata con le ricerche della nuova scuola russa:
Dunque i primi capitoli di Gibbon non sono aggiornati. D’altra parte, la sua ammirevole descrizione del cambiamento dal principato alla monarchia assoluta e il sistema di Diocleziano e Costantino è ancora di grande valore. […] La storia costituzionale dell’Impero da Diocleziano in poi deve essere ancora scritta in modo sistematico. Alcuni contributi importanti sono stati offerti dagli studiosi russi17.
Tuttavia, quando Bury deve stabilire l’ambito cronologico per la propria opera storica, sceglie il periodo compreso tra gli anni 395-800, partendo dalla divisione dell’Impero da parte di Teodosio18. Sorprendentemente, egli riassume la propria opera tardoantica sostenendo che ci sono due temi da affrontare. Il primo è la conquista germanica dell’Europa, mentre il secondo è l’epoca di Giustiniano. Ciò rivela il suo interesse per la problematica militare come filo conduttore del proprio lavoro, da cui esclude dunque comprensibilmente la figura di Costantino, considerata una transizione verso un sistema più saldo19. Una tale interpretazione militare va posta in relazione con i fatti del tempo, in particolare con l’importanza che all’epoca riveste la guerra boera (1899-1902) presso il pubblico inglese.
Il periodo compreso tra le due guerre mondiali è colto immediatamente come un periodo di crisi e questo si riflette nel modo di studiare il passato di Bisanzio. Non deve quindi sorprendere che gli studi degli intellettuali russi in fuga dal bolscevismo e trapiantatisi in ambienti nuovi si incentri sulla storia dell’impero bizantino. Si coglie la fine di tre imperi che si considerano millenari, il Sacro Romano Impero (1918), la Russia imperiale (1917) e l’impero cinese (1911). Lo studio dell’impero bizantino come impero millenario riceve un nuovo impulso tra i russi emigrati. L’unità culturale bizantina per Aleksandr Aleksandrovič Vasil’ev e Georg Alexandrovič Ostrogorsky ha nella figura di Costantino un riferimento obbligato.
Uno dei testi più importanti è quello di Vasil’ev20 (1867-1953), allievo di Vasilij Grigorevič Vasilievskij (1838-1899)21 all’Università di San Pietroburgo, dove successivamente insegnerà arabo. Tra il 1897 e il 1900 si trova a Parigi, e nel 1902 accompagna Nikolaj Jakovlevič Marr (1864-1934)22 al monastero di S. Caterina del Sinai. Diviene professore all’Università di Tartu (nell’odierna Estonia). In questo periodo produce l’importante volume su Bisanzio e gli Arabi23. Lavora con Uspenskij alla creazione dell’Istituto archeologico russo a Costantinopoli, che esprime anche un’importante rivista di studi bizantini. Nel 1912 diviene professore a San Pietroburgo e nel 1919 membro dell’Accademia delle scienze russe, ma nel 1925 è convinto dal grande storico dell’economia antica Mikhail Ivanovich Rostovtzeff (1870-1952)24 a trasferirsi negli Stati Uniti, all’Università di Madison, nel Wisconsin25. Questa visione cosmopolita degli studi bizantini lo caratterizza assieme alla critica della nozione del Tardoantico. Per lui, Costantino è il fondatore dell’impero bizantino e il punto di svolta è caratterizzato dall’adozione del cristianesimo. La scelta di Costantino è considerata espressione delle nuove necessità della nazione e in questo contesto è inserito il trasferimento della capitale. Questi due eventi sono per Vasil’ev la chiave di volta di Costantino e dell’impero bizantino.
Charles Diehl (1859-1944), uno dei massimi bizantinisti francesi, scrive una storia dell’impero bizantino26 nel 1920, nella quale vede in Costantino una figura che deve affrontare le invasioni barbariche e perciò sposta la capitale a Costantinopoli. Infatti Diehl inizia la cronologia del suo volume nel 330, con la fondazione della nuova capitale. La questione religiosa è discussa brevemente come parte degli antecedenti storici.
Henri Grégoire (1881-1964), uno dei principali esponenti della bizantinistica belga, scrive alcuni articoli importanti per gli studi costantiniani. Taluni concernono la conversione di Costantino. Lo studioso discute dell’autenticità della Vita Constantini nella sua forma attuale, rifiutando l’idea che Costantino si converta nel 325. Grégoire dubita della sincerità della conversione27: egli reputa che il resoconto della conversione sia una lettera ex post. Per lui, la conversione è qualcosa di funzionale allo Stato bizantino. Grégoire mostra dunque il proprio legame con la tradizione tedesca e francese, quando ravvisa una certa continuità istituzionale tra l’epoca che precede e quella che segue la conversione.
Una delle opere storiche più importanti e per molti versi insuperata è la Storia dell’Impero bizantino scritta da Ostrogorskij (1902-1976) in tedesco e pubblicata a Monaco di Baviera nel 194028. Ostrogorskij è un russo bianco fuggito dalla Russia con l’avvento del comunismo, stabilitosi a Belgrado nel Regno di Iugoslavia e là rimasto fino alla morte. La sua opera comincia dall’anno 325, con il concilio di Nicea, interpretato come la fine della guerra civile iniziata con l’abdicazione di Diocleziano nel 305. Tale scelta è importante perché riflette anche dinamiche interne alla stessa Iugoslavia, in quanto Diocleziano si ritira nella città di Salona (vicino a Split) nell’odierna Croazia, dove poi muore, mentre Costantino nasce a Naissos (Niš) nell’odierna Serbia. Inoltre i documenti manoscritti più importanti contemporanei a Costantino sono prevalentemente in latino prima del 324 (i Panegyrici Latini), mentre della conversione di Costantino parla Eusebio di Cesarea, che è la fonte greca contemporanea più importante. Tale fatto potrebbe spiegare anche la scelta di Ostrogorskij di iniziare il suo volume con il periodo successivo al 324.
Uno dei principali successori di Bury è sicuramente Norman Hepburn Baynes, che vede nell’unità di cristianesimo, ellenismo e diritto romano l’unicità dell’impero bizantino. Secondo questa interpretazione, Costantino aggiunge il terzo elemento, quello cristiano, alla simbiosi di mondo greco e romano. Per questo studioso, la conversione di Costantino rappresenta un cambiamento radicale, e in ciò egli si distanzia dalle tradizioni tedesca e francese. Un’idea che viene chiaramente espressa in una conferenza tenuta il 12 marzo del 193029. Celebre rimane la sua definizione della ‘questione costantiniana’:
Nessuno studente del Medioevo può sfuggire a Costantino: è una delle poche figure della storia europea che non si può evitare e anche una delle più intrattabili. Più attentamente si studiano la vita e i successi di Costantino, più si tende a vedere in essi un blocco erratico che ha deviato il corso della storia30.
Ciò che spinge Baynes a intraprendere lo studio di Costantino è la convinzione che tanto la critica filologica alle lettere e ai decreti di Costantino quanto il loro rifiuto da parte di Burckhardt e Schwartz portano all’eliminazione di documenti che riflettono la vera conversione dell’imperatore.
Tra i bizantinisti inglesi di quest’epoca va anche segnalato Sir Steven Runciman, che tra l’altro scrive nel 1933 Byzantine Civilisation e nel 1977 The Byzantine Theocracy. Entrambi questi volumi considerano Costantino quale punto di partenza della civiltà di Bisanzio. Il libro sulla teocrazia bizantina è in realtà una collezione di articoli desunti da conferenze tenute nel 1972. Tra i bizantinisti inglesi più importanti bisogna inserire Arnold Joseph Toynbee, che vuole intraprendere l’edizione critica del De administrando imperio di Costantino VII Porfirogenito (913-959). Tuttavia, la sua carriera lo porta dapprima a essere consigliere politico nel quadro delle trattative di pace successive alla Prima guerra mondiale e soprattutto nell’ambito dei progetti europei di spartizione dell’impero ottomano, in quanto specialista mediorientale, poi a sviluppare una teoria religiosa della storia31. Infine, tornato al suo progetto iniziale, scrive una storia su Costantino VII e il suo mondo32. Nel 1931 utilizza anche la figura di Costantino per mostrare l’importanza della sua conversione:
Un altro ovvio parallelo è che la religione vittoriosa non vince perché essa ha il sostegno del governo, ma conquista il governo perché ha il fervore spirituale. Non fu a motivo del fatto che Costantino, che pure aveva sangue freddo ed era persona calcolatrice, stava della parte del cristianesimo, che quest’ultimo conquistò l’Impero romano; Costantino semplicemente era dalla sua parte, perché essa era la forza vittoriosa ed egli ebbe l’accortezza di notarlo. Il cristianesimo conquistò il governo romano perché la forza spirituale era dalla parte della Chiesa cristiana. Se un movimento costituisca una religione oppure no, alla fine non è la sua teologia a verificarlo, ma lo zelo dei suoi membri: lo zelo che li consuma e assume ogni parte della loro vita nel suo ambito33.
La creazione dell’espressione «Tardoantico» viene spesso attribuita al libro di Ernst Stein del 192934. Tuttavia, una recensione di Aleksandr Aleksandrovič Vasil’ev35 indica non solo i precedenti russi di tale nozione36 e alcune opere statunitensi non utilizzate dallo studioso germanofono37, ma anche un libro di Ferdinand Lot che esprime la stessa tesi ben due anni prima, nel 192738, dimostrando la centralità della questione anche per un bizantinista.
Gli esponenti della scuola russa hanno spesso trovato interesse a esplorare le radici antiche di fenomeni medio e tardo bizantini. Si può pensare a un articolo di Vasil’ev, che, nel discutere di sarcofagi di porfido usati per gli imperatori, di cui alcuni sono ancor oggi conservati presso il museo archeologico di Istanbul, si serve di una fonte del X secolo che descrive anche il sarcofago di Costantino stesso, dimostrando l’intenzione di quest’ultimo di creare un mausoleo imperiale, tradizione che durerà fino al 102839. Al centro di tale lungimirante interesse è la conversione della Russia al cristianesimo nell’anno 988. Questa data fondamentale della storia russa trova il suo antecedente nella conversione e nel battesimo di Costantino e ha spesso giustificato azioni politiche e culturali anche recenti.
Con la fine della Seconda guerra mondiale, la bizantinistica prende nuovi spunti dal trasferimento di molti specialisti in terre nuove. Basti pensare all’arrivo di Ihor Ševčenko alla Columbia University dopo un breve soggiorno a Parigi40. Si pensi soprattutto all’arrivo di Francis Dvornik dall’Inghilterra negli Stati Uniti, a Dumbarton Oaks nel 1948. Questo centro, situato nel distretto di Washington D.C. e donato alla Harvard University da Robert e Mildred Bliss, rimane tuttora molto importante. È una villa del 1804 nella quale i Bliss intrattenevano i loro amici con conferenze di specialisti di bizantinistica. Inoltre è qui che Igor Fëdorovič Stravinskij compose i suoi Dumbarton Oaks Concertos e che nel 1944 si tennero le discussioni (Washington Conversations on International Peace and Security Organization, Dumbarton Oaks) per la creazione della Organizzazione delle Nazioni Unite41. In questo centro arriva Francis Dvornik nel 1948, dove il suo interesse per la storia conciliare e lo scisma foziano lo hanno già portato a studiare l’importanza della questione costantiniana. Il suo interesse per la figura di Costantino è legata alle questioni della convocazione del concilio di Nicea e del ruolo dell’imperatore in esso. Nella rivista Dumbarton Oaks Papers scrive nel 1951 su imperatori, papi e concili generali42, esprimendo chiaramente il problema:
Gli imperatori o i loro rappresentanti presiedevano sinodi, dirigevano i dibattiti alle riunioni e confermavano le decisioni prese dalle assemblee. Come si può riconciliare tutto questo con la dottrina cattolica del diritto esclusivo della Chiesa in materia di fede?43
La risposta di Dvornik è esplicitamente che Baynes ha ragione: Costantino era credente. Inoltre, il modello di collaborazione tra Chiesa e Stato inaugurato da Costantino viene seguito fino alla fine della tarda antichità sia da Roma sia da Costantinopoli. Quanto ai concili, secondo Dvornik essi fungono da Senato e perciò la loro convocazione da parte dell’imperatore e la sua presenza in essi non hanno a che vedere con il ruolo dei vescovi presenti e votanti. Tale punto di vista spiega perché Dvornik ricoprirà un ruolo nel concilio Vaticano II a partire dal 1961, quando verrà nominato consultore per la storia dell’ecumenismo.
La sua opera che maggiormente sintetizza talune delle grandi tematiche concernenti il rapporto tra imperatore e sfera religiosa è Early Christian and Byzantine Political Philosophy: Origins and Background, pubblicata nel 1966. In essa viene proposta l’idea che l’assunzione del cristianesimo da parte di Costantino comporta l’ellenizzazione dell’Impero. Per Dvornik si tratta di un fatto decisivo, ed è certamente significativo che un recensore abbia notato nel suo libro l’assenza di un interesse particolare per il mondo romano in sé stesso44. Tale osservazione lo indurrà a studiare in modo particolare la filosofia politica di Eusebio di Cesarea. Un altro recensore vede questo libro come sviluppo delle idee di Norman Baynes, che già nel 1933 aveva scritto un saggio sulla natura ellenistica di Bisanzio45.
Uno degli studiosi britannici più importanti del mondo tardoantico, Arnold Hugh Martin Jones, subito dopo la Seconda guerra mondiale, ha tentato di percorrere una strada moderata, tra la nozione di conversione radicale proposta da Baynes e la continuità con il mondo romano sostenuta da Burckhardt. La centralità che l’autore assegna alla figura di Costantino risulta immediatamente dal titolo del volume, Constantine and the Conversion of Europe, pubblicato nel 1948. Tuttavia, diversamente dai bizantinisti, che generalmente accordano un giudizio positivo al sovrano, Jones dimostra qui il proprio interesse per il Tardoantico con la seguente frase: «Costantino a mala pena merita il titolo di ‘Grande’ che la posterità gli ha attribuito per il suo carattere o per le sue abilità. Non aveva fermezza d’intenti per potere portare avanti i suoi progetti di ampio respiro»46.
Nel suo libro del 1964, Costantino è considerato come parte di una transizione epocale. Tuttavia, lo storico tratta apertamente della fase costantiniana, in quanto parte dal regno di Diocleziano nel 284 per giungere fino al 602. Nel capitolo finale, comunque, egli afferma che Roma non cadde nel 476, ma nel 1453, riconoscendo in questo modo l’importanza del periodo da lui studiato come una transizione significativa verso un mondo nuovo47.
Nel 1971 Peter Brown pubblica The World of Late Antiquity, che ha fondamentali risonanze negli studi bizantini. Ovviamente, il mondo tardoantico, quello che va da Adriano fino alla nascita dell’islam, dimostra un’evoluzione culturale particolare, che riguarda soprattutto il filo conduttore religioso. Questa enfasi è legittima e corretta, ma crea problemi legati alla questione istituzionale. Basti pensare al Senato romano. Fondato nel 509 a.C., esso ha legiferato sino all’abolizione degli acta senatus nel regno di Leone VI (886-912)48. In effetti, tali studi hanno esacerbato la nozione di continuità culturale già espressa da Burckhard e da Baynes, senza considerare l’importanza della continuità istituzionale, che rimane senza interruzione nell’Impero romano d’Oriente. L’importanza del volume di Brown è provata dal fatto che un termine come Spätantike, noto all’inizio del XX secolo, è diventato il nome di una materia di studi. Da questo ambito spesso si sono autoesclusi oppure sono stati estromessi i bizantinisti. Pochi avrebbero osato proporre una storia di Bisanzio durante il periodo della guerra fredda secondo la cronologia di Gibbon o di Ostrogorskij.
In parallelo con lo sviluppo della nozione di Tardoantico si possono vedere gli studi su The Byzantine Commonwealth di Dimitri Obolensky, che, pur essendo origine russa, vive nel Regno Unito quasi l’intera sua vita. Degno di nota è l’invito che riceve a partecipare al concilio del 1988 a Mosca, convocato per il millenario del cristianesimo russo. Nel suo volume non accenna alla figura di Costantino, dimostrando la frattura tra Tardoantico e studi bizantini. Anche la storia dell’impero bizantino pubblicata a Cambridge inizia nel 71749. Recentemente l’enciclopedia sul Tardoantico edita da Peter Brown continua fino al trasferimento del califfato a Baghdad nel 75050. Da ciò si può evincere come la tendenza normale in Occidente fosse quella di comprimere la cronologia bizantina per dare uno spazio autonomo a quella tardoantica.
La Storia di Bisanzio pubblicata nel 1967 in Unione Sovietica51 dai più grandi bizantinisti del tempo inizia con Costantino. La questione è importante, in quanto la società bizantina era stata considerata reazionaria da molte parti dell’intellighenzia sovietica, che associava questa reazione all’interesse per la codifica della religione. Perciò è ancora più interessante che in quest’opera sia stato Michail Jakovlevič Sjuzjumov ad avere scritto a proposito delle controversie religiose del IV secolo52. Egli riesce a fornire una sintesi delle vicende, indicando la natura superstiziosa della religione ma anche la sua sottomissione al potere di Costantino.
Con la caduta del muro di Berlino, la questione bizantina torna in primo piano, specialmente in relazione all’aspetto religioso. I due aspetti più significativi della vita di Costantino, l’editto di tolleranza e la sua conversione al cristianesimo, rappresentano questioni centrali per il dialogo tra popoli e religioni. Tuttavia, mentre questi due aspetti dominano spesso le prime pagine dei giornali, fino al 1989 Costantino resta assai spesso relegato a oggetto di studio specialistico e connesso con il periodo tardoantico.
Con la comparsa del fattore religioso nella cultura politica odierna si nota come i bizantinisti tentino di riappropriarsi di Costantino. Tra gli storici bisogna segnalare Warren Treadgold, la cui History of the Byzantine State and Society inizia con Diocleziano53. Anche Timothy E. Gregory, nella sua History of Byzantium per la collezione Blackwell, comincia la propria narrazione con la fine del III secolo54. Analogamente, The Oxford History of Byzantium, curata da Cyril Mango nel 2002, ha con un contributo di Peter Sarris che prende le mosse da Costantino, a partire dal 30655. Tra gli storici dell’arte, per esempio Slobodan Čurčić della Princeton University, negli Stati Uniti, ha scritto un’opera monografica sull’arte dei Balcani da Diocleziano a Solimano il Magnifico56. La scelta di tali date permette sia di includere il palazzo di Diocleziano a Spalato (Split) sia di parlare di Niš in Serbia, dove nacque Costantino. Holger A. Klein ha scritto sulla questione delle reliquie di Costantino ed Elena e del culto della vera croce a Costantinopoli57. Paul Stephenson, che ha studiato il regno di Basilio II (986-1025)58, ha anche scritto una monografia su Costantino59. Ovviamente, la questione della conversione religiosa e il suo ruolo politico hanno trovato interesse nel pubblico a causa anche della situazione internazionale in questo ventennio. Si può indicare simbolicamente il fatto che il libro di Edward Nicolae Luttwak sulla strategia dell’Impero romano, pubblicato nel 1979 dalla Johns Hopkins University60, sia stato seguito dalla grande strategia dell’impero bizantino nel 2009 dalla Harvard University61. L’importanza del volume di Brilliantov del 1916, sottolineata da Vasil’ev, è rivendicata dal fatto che è stato ripubblicato nel 2006. Questo è uno dei pochi libri che discute quasi interamente di Costantino in relazione all’editto di tolleranza.
Per il bizantinista, Costantino è prigioniero dell’epoca in cui lo storico vive. Il ruolo religioso di Costantino è promosso soprattutto nel mondo ortodosso e russo durante l’impero. È importante segnalare la monografia sull’editto di tolleranza esattamente in quel periodo di pluralismo interno e riforma della Chiesa ortodossa che precede di poco la rivoluzione bolscevica del 1917. In Occidente l’interesse per Costantino è spesso istituzionale, e ha lo scopo di segnare la continuità tra il mondo romano e l’impero tardoantico. La sconfitta della Germania e dell’impero austroungarico promuove lo studio della continuità istituzionale, vedendo la figura di Costantino come punto di riferimento in un periodo di cambiamenti radicali. È difficile non vedere in tale desiderio un nesso con le crisi istituzionali di numerosi Stati occidentali, in cui studiavano e scrivevano questi autori. Gli esiliati russi, invece, continuarono a promuovere il ruolo religioso di Costantino in polemica con l’ateismo di Stato recentemente proclamato nell’Unione Sovietica. Oggi il fattore religioso accende di nuovo l’interesse per un uomo che ha cambiato la religione di un intero continente. Per questo motivo ritrova importanza una spiegazione immediata come quella di Francis Dvornik, che semplicemente propone l’idea che Costantino sia credente e che abbia adottato strutture istituzionali per esprimere i concetti di una religione non più rifiutata ma promossa dalla società.
1 Sulla persona di Francis Dvornik si vedano S. Der Nersessian, Francis Dvornik, Dedication and Bibliography, in Dumbarton Oaks Papers, 27 (1973), pp. 1-10; L. Nemec, The Festive Profile of Francis Dvornik, the Scholar, the Historian, and the Ecumenist, in The Catholic Historical Review, 59,2 (1973), pp. 185-211.
2 F. Dvornik, The Photian Schism: History and Legend, Cambridge 1948.
3 Sulla bizantinistica russa di questa epoca si può leggere A.A. Vasiliev, Byzantine Studies in Russia: Past and Present, in The American Historical Review, 32,3 (1927), pp. 539-545.
4 Su tale questione si vedano H. Ragsdale, Evaluating the Traditions of Russian Aggression: Catherine II and the Greek Project, in The Slavonic and East European Review, 66 (1988), pp. 91-117; A. Schönle, Garden of the Empire: Catherine’s Appropriation of the Crimea, in Slavic Review, 60 (2001), pp. 1-23.
5 K.K. Papoulidês, Το Ρωσικό Αρχαιολογικό Ινστιτούτο Κωνσταντινουπόλεως (1894-1914), Thessalonikê 1987. Il volume è stato recensito da J. Darrouzès, in Révue des Études Byzantines, 44 (1986), p. 316.
6 F.I. Uspenskij, Istorija Vizantijskoj Imperii, 3 voll., Sankt Petersburg-Leningrad-Moskva 1913-1948 (ristampa 1996-1997).
7 Questi viaggi erano in parte organizzati con e tramite la Missione spirituale russa a Gerusalemme (Russkaja duchovnaja missija v Ierusalime ) fondata nel 1842, e la Società imperiale ortodossa della Palestina (Imperatorskoe pravoslavnoe palestinskoe obščestvo), fondata nel 1864.
8 A.I. Brilliantov, Imperator Konstantin Velikii i Milanskii Edikt 313 g. Sankt Petersburg 1916 (ristampato con il titolo: Imperator Konstantin Velikii i Milanskii Edikt 313 g., O Meste Konchiny i Pogrebeniia Sv. Maksima Ispovednika, Sankt Petersburg 2006).
9 Cfr. la recensione di A.A. Vasiliev a E. Stein, Geschichte des spätrömischen Reiches, I, Vom römischen zum byzantinischen Staate, Wien 1928, in The American Historical Review, 35,1 (1929), pp. 90-91.
10 Cfr. H. Destivelle, La Chiesa del Concilio di Mosca (1917-1918), Magnano 2003.
11 Cfr. Α.A. Spasskij, Istorija dogmatičeskich dviženij v ėpochu vselenskich soborov, Sergiev Posad 1906.
12 J. Burckhardt, Die Zeit Constantins des Großen, Basel 1853.
13 O. Seeck, Geschichte des Untergangs der antiken Welt, 6 voll., Stuttgart 1895-1920.
14 E. Schwartz, Kaiser Konstantin und die christliche Kirche, Leipzig 1913.
15 E. Gibbon, The History of the Decline and Fall of the Roman Empire, 6 voll., London 1776-1788.
16 E. Gibbon, The History of the Decline and Fall of the Roman Empire, 12 voll., ed. by J.B. Bury with an introduction by W.E.H. Lecky, New York 1906.
17 Ivi, introduzione, p. XIII: «Hence Gibbon’s first chapters are somewhat “out of date”. But on the other hand his admirable description of the change from the Principate to absolute Monarchy, and the system of Diocletian and Constantine, is still most valuable. […] The constitutional history of the Empire from Diocletian forward has still to be written systematically. Some noteworthy contributions to this subject have been made by Russian scholars».
18 J.B. Bury, A History of the Later Roman Empire from Arcadius to Irene, 395 A.D. to 800 A.D, 2 voll., London 1889.
19 J.B. Bury, A History of the Later Roman Empire (395-800), London 1897, p. 1.
20 A.A. Vasiliev, History of the Bizantine Empire: 324-1453, 2 voll., Madison 1952, p. 275.
21 Cfr. G.G. Litavrin, Vasilij Grigor’evič Vasil′evskij – osnovatelj Sankt-Peterburskogo centra vizantinovedenija (1838-1899), in Vizantijskij Vremennik, 55 (1994), pp. 5-21.
22 Questo Nikolaj Jakovlevič Marr è lo stesso che scavò le rovine della capitale armena, Ani. Successivamente sviluppò la teoria linguistica giafetica, che trovò il supporto di Stalin il quale aprì un centro di studi giafetici fino alla sua condanna: si veda J.V. Stalin, Marksizm i voprosy jazykoznanija (Marxismo e problemi di linguistica), in Pravda, 20 giugno 1950 e 4 luglio 1950.
23 A.A. Vasil’ev, Vizantija i Araby, Sankt Petersburg 1900-1902.
24 Autore, fra l’altro, di Social and Economic History of the Roman Empire, 2 voll., Oxford 1926 e di Social and Economic History of the Hellenistic World, 3 voll., Oxford 1941.
25 Mikhail Ivanovich Rostovtzeff era già professore nel Wisconsin dal 1918. Si trasferì a Yale nel 1925.
26 C. Diehl, Histoire de l’empire byzantin, Paris 1920.
27 H. Grégoire, La ‘conversion’de Constantin, in Revue de l’Universite de Bruxelles, 36 (1930-1931), pp. 231-272; Id., Eusèbe n’est pas l’auteur de la «Vita Constantini» dans sa forme actuelle et Constantin ne s’est pas «converti» en 312, in Byzantion, 13 (1938), pp. 561-583.
28 G.A. Ostrogorsky, Geschichte des byzantinischen Staates, München 1940.
29 N.H. Baynes, Constantine the Great and the Christian Church, Raleigh Lecture on History, London 1930.
30 «No student of the Middle Ages can evade Constantine: he is one of the few inescapable figures in European history and one of the most intractable [...]. The more closely Constantine’s life and achievement are studied, the more inevitably is one driven to see in them an erratic block which has diverted the stream of human history».
31 L’aspetto religioso è trattato da A.J. Toynbee in A Study of History, 6 voll., Oxford 1934-1939.
32 A.J. Toynbee, Constantine Porphyrogenitus and His World, Oxford 1973.
33 Cfr. International Affairs (Royal Institute of International Affairs 1931-1939), 10,4 (1931), pp. 477-492, in partic. 487: «Another obvious parallel is that the victorious religion does not win because it has the Government behind it; it captures the Government because it has spiritual fervour. It was not because that cold-blooded, calculating fellow, Constantine, sided with Christianity that Christianity conquered the Roman Empire; Constantine only sided with it because it was the winning force, and he had the wit to see it. Christianity captured the Roman Government because the spiritual force was on the side of the Christian Church. The ultimate test of whether a movement is a religion is not its theology but its zeal, zeal which eats up its adherents and draws every side of life into its ambit. On this test, Russian Communism is certainly a religion already».
34 E. Stein, Geschichte des spätrömischen Reiches, 2 voll., Wien 1928-1945. Il primo volume è pubblicato nel 1928, mentre il secondo appare postumo in francese: Id., Histoire du bas empire, II, De la disparition de l’empire d’Occident à la mort de Justinien, 475-565, Paris 1949.
35 Si veda supra, alla nota 9.
36 Vasiliev si riferisce a J. Kulakovskii, Istoriya Vizantii, 3 voll., Kiev 1913-1915; F.I. Uspenskij, Istorija Vizantijskoj Imperii, I, Sankt Petersburg 1913 (discusso supra); V.V. Bolotov, Lektsii po istorii drevnei tserkvi / Lectures on the History of the Early Church, III, Sankt Petersburg 1913; A.I. Brilliantov, Imperator Konstantin Velikii i Milanskii Edikt 313 g., cit.
37 C.B. Coleman, Constantine the Great and Christianity, Three Phases: the Historical, the Legendary, and the Spurious, New York 1914, M.A. Huttmann, The Establishment of Christianity and the Proscription of Paganism, New York 1914.
38 F. Lot, La fin du monde antique et le debut du Moyen Âge, Paris 1927.
39 A.A. Vasiliev, Imperial Porphyry Sarcophagi in Constantinople, in Dumbarton Oaks Papers, 4 (1948), pp. 1-26.
40 Il suo necrologio sul New York Times del 5 gennaio 2010 si può leggere in http://www.nytimes.com/ 2010/01/05/world/europe/05sevcenko.html (9 apr. 2013).
41 R.C. Hilderbrand, Dumbarton Oaks: The Origins of the United Nations and the Search for Postwar Security, Chapel Hill 1990.
42 F. Dvornik, Emperors, Popes, and General Councils, in Dumbarton Oaks Papers, 6 (1951), pp. 1-23.
43 Ivi, p. 3: «The Emperors or their representatives presided at synods, directed the debates at meetings, and confirmed the decisions made by assemblies. How can all this be reconciled with catholic doctrine concerning the exclusive right of the Church in matters of faith?».
44 Cfr. la recensione di P. Petit a F. Dvornik, Early Christian and Byzantine Political Philosophy: Origins and Background, in Gnomon, 41,1 (1969), pp. 69-73, in partic. 72.
45 Cfr. la recensione di P. Charanis, a F. Dvornik, Early Christian and Byzantine Political Philosophy: Origins and Background, in Speculum, 44,3 (1969), pp. 459-460.
46 A.H.M. Jones, Constantine and the Conversion of Europe, London 1948, p. 248: «Constantine hardly deserves the title of ‘Great’ which posterity has given him either by his character or by his abilities. He lacked firmness of purpose to pursue steadily his long term objectives».
47 Per uno studio di Arnold H.M. Jones e del suo volume si veda A.H.M. Jones and the later Roman Empire, ed. by D.M. Gwynn, Leiden-Boston 2008. Sono purtroppo di difficile reperibilità i testi di A.P. Každan, Ot Khrista k Konstantinu, Moskva 1965 e A. Kwarczuk, Konstantyn Wielki, Warszawa 1970.
48 Leo VI, Novella 47 Dain-Noailles in A. Dain, P. Noailles, Les novelles de Léon VI le Sage, Paris 1944.
49 The Cambridge Medieval History, IV, The Byzantine Empire, ed. by J.M. Hussey, Cambridge 1968.
50 P. Brown, G. Bowersock, A. Grabar, Late Antiquity. A Guide to the Postclassical World, Princeton 1999.
51 Istorija Vizantii v treh tomah, ed. by S.D. Skazkin, V.N. Lazarev, N.V. Pigulevskaja et al., Moskva 1967.
52 Hristijanskaja cerkov v IV-VI vv, in Istorija Vizantii, Moskva 1967, capitolo VI, pp. 144-163.
53 W. Treadgold, A History of the Byzantine State and Society, Stanford 1997.
54 T.E. Gregory, The History of Byzantium, Oxford 2010.
55 P. Sarris, The Eastern Roman Empire from Constantine to Heraclius (306-641), in The Oxford History of Byzantium, ed. by C. Mango, Oxford 2002, pp. 19-70.
56 S. Ćurčić, Architecture in the Balcans from Diocletian to Süleyman the Magnificent (300-1550), New Haven (CT) 2010.
57 H.A. Klein, Constantine, Helena, and the Early Cult of the True Cross in Constantinople, in Byzance et les reliques du Christ, XXe Congrès international des études byzantines (Paris 19-25 août 2001), éd. par J. Durand, B. Flusin, Paris 2004, pp. 31-59.
58 P. Stephenson, The Legend of Basil the Bulgar-Slayer, Cambridge 2003.
59 P. Stephenson, Constantine: Roman Emperor, Christian Victor, New York 2010.
60 E.N. Luttwak, The Grand Strategy of the Roman Empire: From the First Century A.D. to the Third Century A.D, Baltimore 1979.
61 E.N. Luttwak, The Grand Strategy of the Byzantine Empire, Cambridge (MA) 2009.