Costantino e la crisi donatista
Nella sua Vita di Costantino (I 45), in una sezione dedicata all’operato dell’imperatore in qualità di koinos episkopos intenzionato a placare le dispute intestine tra cristiani, Eusebio di Cesarea evoca, con una certa discrezione e senza fare nomi, l’intervento di Costantino in Africa – a suo giudizio essenzialmente riparatore e non punitivo – contro «alcune persone dalla mente alterata o assillata da un demone, che dilaniavano»,1 con le loro contese, la Chiesa stabilita in quelle terre. Si allude qui a ciò che la storiografia moderna ha denominato ‘crisi donatista’, che divise i cristiani africani sin dall’avvento al potere di Costantino2. Tale questione illustra e dà fondamento in maniera esemplare alle parole di Santo Mazzarino: «Storia del cristianesimo e storia dell’impero romano sono come le parallele non-euclidee: si incontrano»3. Le fonti oggi disponibili per scrivere la storia della crisi donatista documentano in modo non uniforme le sue fasi successive, come si potrà valutare qui sull’esempio del periodo costantiniano, quando anche il conflitto per certi aspetti diventa simile a una disputa di archivisti, perché procede da questioni di fatto – l’esatto svolgimento di un’elezione episcopale a Cartagine e la biografia dei suoi protagonisti – e perché i suoi principali attori non cessarono di addurre, nel corso dei decenni, documenti conservati negli archivi pubblici, provinciali o municipali, o anche privati, in questo caso ecclesiastici. Le opere polemiche di Ottato di Milevi o di Agostino di Ippona, e gli atti della conferenza di Cartagine del 411, sul finire del IV secolo e all’inizio del V, ne sono testimonianze eccezionali. Bisogna aggiungere che, essendo mancati, nel corso dei secoli, eredi presuntivi a una delle parti in conflitto, la documentazione è fortemente sbilanciata a vantaggio del partito vincitore. Lo storico moderno è continuamente sollecitato a cercare di misurare e correggere le deformazioni che una tale configurazione delle fonti è suscettibile di generare nel corso della sua narrazione o della sua analisi. In questo modo la cronologia esatta dei prodromi della crisi, così come lo sviluppo degli eventi e i loro impulsi, resta ancora difficile da stabilire, e non è oggetto di un consensus omnium doctorum.
Quando Costantino assunse il controllo dell’Africa, all’indomani della vittoria su Massenzio nella battaglia di ponte Milvio (28 ottobre 312), e decise di estendere ai territori recentemente acquisiti alcune delle misure che egli aveva probabilmente già preso a favore dei cristiani in Gallia e in Spagna – a cominciare dal completamento della restituzione dei beni confiscati alle chiese, in conseguenza degli editti anticristiani dei tetrarchi, a partire dal 303 –, apprese, come scrisse a Ceciliano, vescovo di Cartagine, nell’inverno 312-313, che «alcuni dalla mente instabile vogliono distogliere il popolo dalla santissima Chiesa cattolica con una seduzione perversa»4. In effetti la ‘Grande Chiesa’ africana era da qualche tempo fortemente divisa: alla morte di Mensurio, titolare del seggio episcopale di Cartagine, quell’unanimità così tanto ricercata nelle elezioni episcopali, e spesso raggiunta con grande difficoltà al punto che alcuni vescovi scelsero di far eleggere un loro successore mentre erano ancora in vita5, non era stata ottenuta. Si era prodotto uno scisma e due uomini rivendicavano il seggio che era stato una volta del martire Cipriano: da una parte Ceciliano, che aveva presieduto il collegio dei diaconi sotto Mensurio; dall’altra Maiorino, il quale aveva esercitato la carica di lettore sotto lo stesso episcopato. Le fonti oggi disponibili consentono di abbozzare in maniera molto approssimativa le ragioni della rottura verificatasi in seno alla comunità cristiana cartaginese e di conseguenza in tutta l’Africa, poiché il vescovo di Cartagine era il primate d’Africa.
Ottato, vescovo di Milevi, nel primo libro del suo trattato in risposta a Parmeniano – un’opera polemica, la cui prima versione risale agli anni 364-367 – ha fornito un’idea sulle origini della disputa6; essa costituisce per lo storico di oggi la fonte principale sulla fase iniziale dello scisma, ma non è molto precisa nella cronologia e risente qua e là della sua forte ostilità verso il partito di Maiorino e dei suoi seguaci, i donatisti. L’elezione episcopale che ha innescato lo scisma è chiaramente successiva a una decisione dell’imperatore Massenzio, che tornava a concedere ai cristiani la libertas7, dopo la persecuzione8. La questione è capire se qui Ottato faccia allusione alla restituzione dei beni e delle proprietà confiscate ai cristiani, che interessò i territori soggetti all’autorità di Massenzio probabilmente dopo l’elezione di Milziade al seggio episcopale di Roma9, ossia dopo il 2 luglio 311, o piuttosto se il vescovo di Milevi intenda evocare l’arrestarsi della persecuzione che intervenne tra l’accesso di Massenzio alla porpora, il 28 ottobre 306, e la ribellione di Domizio Alessandro nel 30810. Dalla risposta fornita a tale quesito dipendono sia una cronologia bassa (311/312), che un tempo ebbe i favori della critica, sia una cronologia alta, che oggi ha un certo numero di sostenitori e che tende a collocare l’elezione episcopale contestata intorno al 307/30911.
A Ceciliano i suoi avversari rimproveravano, tra l’altro, di essere stato eletto, contrariamente alla tradizione, in assenza dei vescovi di Numidia guidati dal loro primate Secondo di Tigisi – si tratta di una delle prime attestazioni di questo titolo, e di conseguenza della provincia ecclesiastica corrispondente – e di aver annoverato fra i tre vescovi, che secondo l’usanza lo avevano consacrato prelato, Felice di Abthugnos12, città dell’Africa proconsolare (oggi Henchir es Souar), il quale era accusato di essere un traditor. Erano denominati in questo modo i cristiani che avevano ottemperato, nel 303, al primo editto di persecuzione, che ordinava di consegnare i libri sacri e i beni mobili delle chiese perché fossero distrutti. Diverse fonti, tra cui alcuni estratti degli atti (citati da Agostino13) di un concilio tenuto a Cirta, in Numidia, forse agli inizi del marzo 30514, o le testimonianze relative a una elezione episcopale tenuta ugualmente a Cirta qualche anno più tardi15, attestano dibattiti scaturiti in seguito da tali atti di traditio, soprattutto qualora avessero riguardato fatti relativi a vescovi o a futuri vescovi. Se effettivamente si fosse provato che Felice di Abthugnos fosse stato un traditor, l’ordinazione di Ceciliano non poteva che esserne inficiata. Secondo una convinzione largamente radicata, che Sinesio di Cirene enuncerà nel V secolo con una tale efficacia da dispensare dalla necessità di qualunque glossa, «La macchia si trasmette e, quando si è toccato l’impuro, ci si attira la maledizione celeste. Ora, bisogna, tanto spiritualmente quanto fisicamente, essere puri davanti a Dio»16. L’antropologia del puro e dell’impuro, che è alla base di questa annotazione, era ampiamente condivisa dagli uomini dell’antichità quali che fossero i loro culti o le loro credenze; in questo senso non vi è alcuna specificità nei cristiani d’Africa17. La macchia della traditio non poteva che trasmettersi.
Quanto a Maiorino, che settanta vescovi riuniti sotto Secondo di Tigisi avevano eletto al seggio di Cartagine dopo aver deposto e scomunicato Ceciliano, gli era stato rimproverato dai suoi avversari di aver fatto comprare la sua elezione18 da una ricca nobile cristiana chiamata Lucilla, la quale aveva avuto diverbi con Ceciliano al tempo del suo diaconato, perché ella, tra le altre cose, manifestava forme di devozione nei confronti delle reliquie dei martiri che egli giudicava paganizzanti19. Agli occhi dei sostenitori di Ceciliano il nome di Lucilla rappresentava tutte le opposizioni al loro paladino, che provenissero dai ranghi del clero o da quelli dei notabili cartaginesi. Come spesso accadeva in casi simili, le fratture e le divisioni che si erano prodotte sotto l’episcopato precedente, nella fattispecie sotto quello di Mensurio, avevano ormai pieno effetto. Di colpo lo scisma assunse una dimensione veramente africana. È verosimile che ciascuno dei due pretendenti tentasse, come di consueto, di farsi riconoscere dalle principali sedi episcopali dell’Occidente romano.
La procedura per la restituzione dei beni confiscati durante la persecuzione, che Massenzio aveva avviato e che Costantino aveva ripreso con l’intenzione di portare a termine, condusse quest’ultimo alla necessità di una scelta tra i due partiti a confronto, poiché non era certamente possibile dividere i luoghi di culto e di sepoltura, salvo vendere i beni e distribuirne il ricavato parte agli uni, parte agli altri. L’azione di Costantino e le reazioni che esse provocarono sono eccezionalmente documentate da un dossier di cinque testi ufficiali relativi ai cristiani dell’Africa20, che Eusebio di Cesarea ha riportato nel libro X della sua Storia Ecclesiastica, di seguito al documento impropriamente definito ‘editto di Milano’, in realtà una lettera di Licinio a tutti i governatori delle loro province, che ordinava, nel giugno 313, la tolleranza religiosa e la restituzione di tutti i beni confiscati ai cristiani. Si ignora per quale via e in quali circostanze questi documenti siano potuti pervenire a Eusebio di Cesarea, il quale, del resto, non testimonia quasi mai interesse per l’Africa.
Nell’inverno 312-313 Costantino indirizzò al proconsole d’Africa Anullino una lettera in cui imponeva la restituzione dei suoi beni alla «Chiesa cattolica dei cristiani»21. Questa missiva, che molto probabilmente è solo un esemplare, destinato alla provincia proconsolare, di una disposizione generale che Costantino dovette rendere nota, dopo la sua vittoria del 28 ottobre 312, ai governatori di tutte le province da poco sottratte al potere di Massenzio – quelle dell’Italia e dell’Africa del nord, a eccezione della Mauretania tingitana, che dipendeva dalla diocesi delle Spagne –, fa parte di un’azione di rescissio delle decisioni del suo avversario e di adeguamento della legislazione dei territori recentemente conquistati a quella dell’antico dominio.
Tali provvedimenti in favore delle Chiese proseguivano attraverso la concessione di sussidi al clero: questo è l’oggetto della lettera che Costantino indirizzò a Ceciliano, «vescovo di Cartagine»22. È chiaro che la misura investe tutta la diocesi dell’Africa, nel senso amministrativo del termine, ovvero la zona che si estende dalla Tripolitania, a est, alla Mauretania, a ovest. Essa fa seguito a un incontro tra Costantino da un lato e dall’altro il proconsole d’Africa Anullino e il vicario dei prefetti del pretorio, Patrizio, il quale aveva sotto la sua autorità i governatori delle altre province africane. A questo punto converrebbe chiedersi se il documento che cita Eusebio non sia, tra le altre, una testimonianza di una politica più generale messa in atto da Costantino in Italia dopo ponte Milvio e, prima di questa data, persino in Gallia e in Spagna. La gestione dei fondi fu affidata al rationalis Africae Urso, il primo titolare di questo impiego di cui si conosca con certezza la data della functio. La sua autorità si esercitava sulla provincia proconsolare, sulla Bizacena e sulla Tripolitania, mentre esisteva un rationalis Numidiarum et Mauretaniarum23.
Costantino ordinò a Urso di versare a Ceciliano tremila folles. Pochi commentatori si sono domandati che cosa potesse rappresentare una tale somma. È vero che il compito è rischioso, perché, se la parola follis non può designare qui una moneta, ma un’unità di calcolo, il valore di questo «sacco» – tale è il significato letterale del termine – resta una questione molto discussa tra gli storici dell’economia e della moneta. I beneficiari della generosità imperiale erano stati registrati in un breve, una lista compilata da Ossio, vescovo di Cordova24. Costantino aggiungeva che, se Ceciliano avesse ritenuto che fosse mancato qualcosa per adempiere alla volontà imperiale, egli avrebbe dovuto rivolgersi a un subordinato di Urso, il procurator rerum privatarum della provincia proconsolare, il cui nome non è Eraclide, come scrive Eduard Schwartz, editore di Eusebio, ma Eraclida, e al quale Costantino aveva dato, di persona, le proprie disposizioni. Questa precisione amministrativa autorizza a pensare che la somma di tremila folles notificata a Ceciliano non concernesse, al massimo, che la Proconsolare.
L’imperatore terminava la sua lettera invitando Ceciliano a ricorrere al proconsole Anullino e a Patrizio, il vicario dei prefetti del pretorio per l’Africa, nel caso in cui continuasse a essere il bersaglio dei suoi avversari, affinché i due alti magistrati «li distolgano dall’errore come ha ordinato loro di fare»25. Quest’ultima puntualizzazione è capitale, perché testimonia da un lato il fatto che Costantino era ben informato sulle divisioni dei cristiani in Africa e sull’ampiezza della crisi in corso, dall’altro che Maiorino e i suoi sostenitori avevano indubbiamente contestato la politica di restituzione alla Chiesa dei propri beni, nella misura in cui essa aveva avvantaggiato quasi esclusivamente, almeno nella provincia proconsolare, Ceciliano e i vescovi della sua comunità. Le ragioni della scelta di Costantino a favore del partito di Ceciliano, piuttosto che di quello di Maiorino, non sono bene documentate, ma è chiaro che esse derivavano dai rapporti degli alti funzionari di stanza in Africa, ma più ancora dalle posizioni di alcuni vescovi che lo circondavano o che lo conoscevano, tra cui Ossio di Cordova26; la guerra per il riconoscimento che Ceciliano e Maiorino si erano dichiarati all’indomani della loro rispettiva elezione volgeva, fuori dall’Africa, a vantaggio del primo.
I sostenitori di Maiorino protestarono. Costantino aveva creduto di potersi sottrarre all’ambiguità evocando «la Chiesa cattolica dei cristiani» e la «legittima e santissima religione cattolica». Quando nel febbraio 313 concesse ai chierici l’esenzione da ogni onere pubblico, dovette precisare e parlare di «Chiesa cattolica a cui è preposto Ceciliano»27, poiché anche il partito di Maiorino rivendicava per sé tale epiteto, come dimostra un memoriale indirizzato all’imperatore tramite il proconsole d’Africa, Anullino, all’inizio della primavera del 31328. La qualifica di «Chiesa cattolica», che bisogna intendere qui nel senso di «vera Chiesa», quella che serba l’ortodossia della fede, era perciò contesa29. Con essa, l’intervento di Costantino in Africa determinò, surrettiziamente e quasi meccanicamente, sia l’ingresso nel diritto civile delle categorie cristiane di eresia e ortodossia, sia la definizione di una ‘Chiesa imperiale’, alla quale erano riconosciuti diversi privilegi da cui erano escluse le comunità cristiane che non ne facevano parte. Una legge, di cui non si conosce il destinatario, conservata nel Codice Teodosiano30, databile probabilmente al 31 ottobre 313, e concernente visibilmente l’Africa, ricorda i soprusi che la factio hereticorum esercitava «sui chierici della Chiesa cattolica», «gravandoli, contrariamente ai privilegi che erano stati accordati loro, di nomine o riscossioni richieste dall’impiego pubblico». Tutto questo dimostra l’importanza di ciò che si gioca in Africa immediatamente dopo ponte Milvio; si tratta di un vero e proprio laboratorio in cui si delineano «molto pragmaticamente»31 delle procedure e tutta una giurisprudenza poggiante sulle relazioni tra la Grande Chiesa e l’imperatore.
Il 15 aprile 31332 Anullino trasmise a Costantino due petizioni che alcuni alleati di Maiorino, accompagnati da una folla, gli avevano affidato33. Si trattava, da una parte, di denunciare «i crimini» di Ceciliano, e dall’altra di fare appello all’imperatore34. Costantino decise di mettere in piedi una commissione di arbitrato composta da iudices dati35 e presieduta da Milziade, il vescovo di Roma, sua nuova – e assai provvisoria – capitale, insieme ai vescovi Reticio d’Autun, Materno di Colonia e Marino di Arles, città queste tutte molto importanti dal punto di vista amministrativo. In una lettera di convocazione indirizzata a Milziade, Costantino scriveva:
Poiché mi pare molto grave che in quelle province che la divina provvidenza per sua designazione ha affidato alla mia devozione, e dove la popolazione è molto numerosa, la gente, come divisa in due, si trovi ora ad essere traviata e vi siano divergenze anche tra i vescovi […] Poiché alla vostra attenzione non sfugge che il rispetto che ho per la legittima Chiesa cattolica è tanto grande, da non volere che lasciate sussistere in nessun luogo uno scisma o un dissidio36.
Queste considerazioni facevano eco a quelle esposte nella lettera precedentemente indirizzata ad Anullino a proposito del conferimento dell’esenzione dai munera ai chierici della «Chiesa cattolica a cui è preposto Ceciliano»:
Poiché da numerosi fatti è chiaro che il disprezzo della religione, nella quale si osserva il massimo rispetto per la santissima potenza celeste, ha arrecato gravi danni allo stato, mentre, se essa è accolta e osservata secondo le leggi, ha procurato immensa fortuna al nome romano e particolare prosperità a tutte le cose umane37.
Costantino convocò Ceciliano a Roma in compagnia di dieci vescovi a lui favorevoli e di altri dieci che gli erano ostili, e trasmise ai vescovi arbitri il dossier inviato da Anullino. Milziade prese con sé altri quindici vescovi italiani trasformando, dunque, il tribunale così costituito in un concilio romano, che, presso la domus Faustae al Laterano38, comunicò, il 2 ottobre del 313, un verdetto a favore di Ceciliano, respingendo i suoi avversari. Questi ultimi, alla morte di Maiorino, sopraggiunta prima dell’assemblea romana, avevano scelto Donato39 come suo successore, perpetuando in tal modo la scissione. Ceciliano e i suoi sostenitori ben presto cominciarono a fare di Donato, secondo un procedimento eresiologico ben conosciuto, l’eponimo del movimento che essi combattevano, per meglio negargli la qualità di «cattolico», se non di «cristiano», ed è questa definizione che è stata tradizionalmente recepita nella storiografia moderna, largamente dipendente dalle fonti e dalla loro interpretazione antidonatista. Secondo il racconto di Ottato sembra possibile precisare che Donato provò a far cadere l’accusa su Felice di Abthugnos piuttosto che su Ceciliano, contro il quale mancava di argomentazioni, ma il tribunale episcopale rifiutò questo nuovo tentativo di denuncia. Per altro Donato avrebbe «confessato di aver ribattezzato [dei fedeli già battezzati nella comunità di Ceciliano poi passati nella sua] e aver imposto le mani a vescovi che erano caduti (lapsi) nella persecuzione, una pratica estranea alla Chiesa»40. Se la confessione è esatta, ciò indica che il concilio romano fu il primo teatro del rifiorire dell’opposizione fra tradizione romana e tradizione africana sulla questione della disciplina da adottare nel momento dell’adesione alla «Chiesa cattolica» dei cristiani battezzati al di fuori dei suoi ranghi. In effetti si sa che Cipriano di Cartagine e i suoi colleghi africani, alla metà del III secolo, si erano duramente opposti a Stefano I di Roma, fino alla rottura della comunione tra le due Chiese, proprio su questo punto. Questa differenza disciplinare stava per diventare la principale posta in gioco della ‘crisi donatista’. Del resto gli avversari di Donato avevano indubbiamente rivolto contro di lui l’accusa di ospitare nei propri ranghi dei traditores. Si apriva per i due partiti in conflitto un tempo di ricerca frenetica, negli archivi civili o ecclesiastici, di prove di traditio che sarebbe stato possibile addurre contro tale o talaltro rappresentante del partito avverso.
I donatisti contestarono vigorosamente il giudizio romano e il vicario dei prefetti del pretorio Elafio se ne fece portavoce presso Costantino. L’imperatore, con una procedura del tutto inedita41 e destinata a un grande avvenire, decise di riunire ad Arles, il 1° agosto 314, un concilio che radunò una ventina di vescovi o di loro rappresentanti, essenzialmente gallici – si noti l’assenza di Silvestro, vescovo di Roma, il quale aveva addotto come pretesto l’impossibilità di lasciare il seggio degli apostoli. Questo fu il primo «concilio imperiale», riprendendo la denominazione che diede a esso lo storico tedesco Eduard Schwartz42. Come attesta tra l’altro la lettera di convocazione indirizzata a Cresto, vescovo di Siracusa, che Eusebio di Cesarea ha conservato43, i partecipanti poterono disporre dei servizi del cursus publicus a recarsi in quell’assemblea. Secondo i termini della corrispondenza imperiale, si trattava di fare in modo che
Per mezzo della tua fermezza e della saggezza unanime e concorde degli altri convenuti, questa controversia protrattasi perversamente fino ad oggi attraverso contese vergognose, dopo che si sarà ascoltato tutto ciò che deve essere detto dalle parti tra loro dissidenti, alle quali abbiamo ugualmente ordinato di essere presenti, possa ricomporsi, anche se tardi, nella religione dovuta, nella fede e nella concordia fraterna44.
Per mancanza di documenti a oggi conservati, si ignora lo svolgimento del concilio di Arles.
Due canoni destano attenzione: il canone 9 evoca «l’Africa che ha la sua propria legge e ribattezza», e promuove una nuova regola che non prevede la possibilità di ribattezzare che nel caso in cui si accerti che il battesimo originale non sia stato conferito in nome della Trinità; se l’iniziazione è stata data secondo una formula trinitaria, l’imposizione delle mani è sufficiente. Mancano le fonti per seguire l’adozione di tale regola tra i ranghi degli africani antidonatisti, cosa di cui renderà testimonianza Ottato di Milevi, verso la metà del IV secolo. D’altro canto il canone 14 tratta della traditio, che deve essere dimostrata attraverso la testimonianza di acta publica. In questo caso, il clero colpevole sarà «tolto dall’ordine del clero», ma, se si tratta di un vescovo, le ordinazioni da lui amministrate saranno considerate valide. Queste disposizioni sembrano, tra altre, destinate a preservare l’avvenire di Ceciliano: quale che fosse stato l’atteggiamento di Felice di Abthugnos nella persecuzione, l’ordinazione di Ceciliano non avrebbe più potuto essere rimessa in questione. Il concilio di Arles portò dunque alla conferma delle decisioni del concilio romano, respingendo le denunce dei donatisti. I vescovi inviarono una lettera sinodale a Silvestro e un’altra a Costantino.
In un’appendice documentaria al trattato di Ottato di Milevi, comprendente dieci testi, che è stata preservata soltanto da un manoscritto, un tempo conservato nell’abbazia di Saint-Paul a Cormery in Turenna45, e che contiene, in una forma probabilmente incompleta e rimaneggiata, il dossier delle prove che Ottato disse di allegare a sostegno della sua dimostrazione polemica46, figura una lettera di Costantino ai vescovi riuniti ad Arles. L’autenticità di questa o quella parte del documento è stata messa in discussione, ma la critica gli accorda oggi generalmente un certo credito47. L’imperatore invitava, certamente, i vescovi a dar prova di pazienza nei confronti dei donatisti «allorché la scelta della decisione gli era stata lasciata» al fine di accordare loro il tempo di arrivare a resipiscenza, ma egli disponeva che «tutti quelli che si troveranno colpiti da una simile follia», ad Arles o in Africa, «li si indirizzi subito alla [sua] corte [comitatus] per paura che più tardi, sotto la così grande luce del nostro Dio, essi non facciano qualcosa che potrebbe provocare la violentissima collera della Provvidenza celeste»48. Sradicando dall’Africa coloro che considerava come dei fomentatori di discordie, l’imperatore sperava di ridurre l’alterco. I clerici donatisti furono rimandati indietro il 28 aprile 315 e utilizzarono il cursus publicus49.
Nello stesso tempo – salvo che i fatti non si siano svolti un anno prima: la cronologia non pare né dimostrabile né confutabile50 – Costantino dava l’incarico di una inchiesta sul comportamento di Felice di Abthugnos durante la persecuzione, premurandosi di affidarla al vicario dei prefetti del pretorio Elio Paolino. Questi si rivolse alla curia di Abthugnos, che tenne una udienza preliminare in vista della convocazione ufficiale dei testimoni51. È così che il duumviro Alfio Ceciliano, il quale aveva diretto, nel 303, le operazioni di perquisizione e di confisca dei beni della Chiesa di Abthugnos, dovette recarsi a Cartagine, come anche, tra gli altri, un segretario municipale dal nome Miccio, che l’aveva assistito, e un ulteriore segretario Ingenzio assunto dall’altro duumviro dell’epoca. Ora, alcuni «seniores laici populi catholicae legis», ossia dei laici influenti del partito donatista, avevano deposto una denuncia contro il vescovo Ceciliano e contro Felice di Abthugnos di fronte alla giurisdizione municipale di Cartagine. Perciò il duumviro cartaginese Aurelio Didimo Sperezio presiedette, forse il 19 agosto 314, un’udienza preliminare prima di procedere all’istruzione del processo, che doveva finalmente giungere davanti al tribunale del proconsole d’Africa Eliano in ragione della malattia del vicario Elio Paolino. Tutto l’affare fu giudicato dal proconsole, probabilmente il 15 febbraio 315, e una parte del verbale di questa udienza è conservata nell’appendice documentaria del trattato di Ottato52. Si tratta di una fonte di straordinaria ricchezza, anche per lo studio delle istituzioni municipali nell’Africa degli inizi del IV secolo. Non fu possibile rinvenire il verbale della perquisizione del 303 (forse di proposito), ma i donatisti si appoggiavano su una lettera del duumviro Alfio Ceciliano al vescovo Felice d’Abthugnos per accusare quest’ultimo di traditio. Lo scriba Ingenzio dovette confessare di aver falsificato il documento; l’accusa condotta contro Felice, dunque, cadeva: il proconsole non poté che riconoscere la sua innocenza e farne rapporto all’imperatore.
Costantino, verosimilmente nel maggio/giugno 315, indirizzò una lettera al nuovo proconsole d’Africa, Petronio Probiano, per chiedergli di inviare alla sua corte, sotto stretta sorveglianza, quel testimone-chiave che era Ingenzio,
affinché gli attuali litiganti, che ogni giorno non cessano di presentare le loro interpellanze, possano essere presenti e, ascoltandolo, possano rendersi conto che hanno tentato invano di eccitare l’odio contro il vescovo Ceciliano e di attaccarlo violentemente. Così accadrà che, eliminate tali contese, come si conviene, il popolo, senza più alcun dissenso, professi con la dovuta venerazione la sua propria religione53.
Tuttavia le recriminazioni degli avversari di Ceciliano tuttavia non cessarono e il conflitto assunse un’ampiezza oggi impossibile da precisare. Quindi Costantino si decise a condurre la questione davanti al suo tribunale. La scansione cronologica di questa risoluzione e della sua messa in atto non è molto chiara. Per prima cosa Costantino pensava di occuparsi del caso in Italia o in Gallia, prima di prendere in considerazione l’ipotesi di un viaggio in Africa. Finalmente fu a Milano che egli convocò Ceciliano e i suoi avversari, dopo averli trattenuti in un domicilio coatto e aver inviato in Africa due prelati, Eumonio e Olimpo, forse incaricati di consacrare un nuovo vescovo di Cartagine, che beneficiasse dell’accordo di entrambi i partiti. Tale proposito fu un fallimento, tanto che l’imperatore si decise, nel novembre del 316, a riconoscere Ceciliano come legittimo vescovo di Cartagine. Il 10 novembre scrisse al vicario d’Africa Eumalio:
ho visto chiaramente che Ceciliano è un uomo assolutamente innocente, fedele ai doveri della sua religione che pratica come si conviene; ed è emerso con assoluta evidenza che non si poteva trovare in lui alcun crimine, di cui i suoi avversari l’avevano calunniosamente accusato durante la sua assenza54.
Appena divenuto signore dell’Africa, Costantino aveva dovuto affrontare quella che appariva come una delle crisi più importanti in una delle regioni più strategiche del suo Impero. La Chiesa cristiana, sulla quale sperava ormai di poter contare, era violentemente divisa e i benefici imperiali non facevano che inasprire lo scisma. In quattro anni non aveva potuto che constatare, malgrado una grande pazienza e i numerosi sforzi, che qualcuno potrebbe qualificare come tentennamenti, esitazioni e indugi, il fallimento dei mezzi tradizionali di regolazione dell’unità ecclesiale. E questo nonostante l’innovazione costituita dal «concilio imperiale» di Arles. Come ultima risorsa, era all’imperatore che spettava la decisione: una volta presa, non restava che metterla in atto malgrado le opposizioni.
Costantino trasse le conseguenze della decisione presa e ordinò ai donatisti di ricongiungere i ranghi della Chiesa «riconosciuta dalla legge», quella di Ceciliano, mentre puniva i recalcitranti attraverso la confisca, a favore del fisco imperiale, dei luoghi di culto che essi detenevano55. Lo svolgimento della repressione è del tutto sconosciuto, se si eccettuano le informazioni fornite dal Sermo de passione Donati et Advocati, una predica, probabilmente pronunciata a Cartagine, che somiglia in parte al panegirico, in parte al pamphlet, e che è destinata a commemorare un 1° marzo forse, delle vittime donatiste, elevate al rango di martiri56. La confisca delle chiese dei donatisti fu condotta sotto gli ordini del comes Leontius, del duca Ursacio e del tribuno Marcellino. Essa diede luogo a violenze: la Passio menziona (§ 7) la ferita alla gola ricevuta da Onorato, vescovo di Sicilibba (oggi El Alaouine), nella provincia proconsolare, e la morte patita da un vescovo probabilmente venuto da Avioccala (oggi Enchir Sidi Amara), anch’essa nella Proconsolare, a Cartagine, colpito in mezzo agli altri fedeli riuniti per la sinassi. Il testo, evidentemente redatto qualche decennio dopo gli eventi, utilizza tutta una topica della repressione religiosa: profanazione delle chiese, violenze su vergini consacrate, esilio di vescovi, saccheggi, etc. Esso menziona (§ 8) le iscrizioni funerarie ricordando i morti sepolti nella basilica profanata. Queste prime vittime divennero martiri agli occhi dei donatisti, i quali ne promossero il ‘culto’, componendo delle passioni destinate a essere lette nel giorno del loro natalis, e presentandosi presto come ‘Chiesa dei martiri’. Entro qualche anno appena, il protettore dei cristiani, Costantino, si era mutato in persecutore: «il nemico del nome cattolico è riuscito, per fargli ingiuria, a fare in modo che si chiami cattolica [la Chiesa] in cui si commette impunemente ciò che è condannato dal diritto pubblico»57.
Anche in tempo di persecuzione, i donatisti potevano essere divisi, come prova il processo che un diacono della Chiesa di Costantina, l’antica Cirta, di nome Nundinario, intentò contro il suo vescovo, Silvano, con il quale era entrato in conflitto per un motivo che rimane tuttora ignoto. Dopo aver sollecitato l’intervento dei vescovi vicini, egli condusse la questione davanti al tribunale del governatore della provincia di Numidia, il consolare Domizio Zenofilo, il quale lo giudicò a Thamugadi, nel dicembre 320. Gli atti di questo processo sono parzialmente conservati nell’appendice documentaria al trattato di Ottato di Milevi58 e furono largamente utilizzati dagli antidonatisti, perché essi dimostravano senza ombra di dubbio che Silvano di Cirta, uno dei campioni del partito donatista, era stato un traditor. Questi fu presto esiliato.
L’anno 321 vide Costantino abbandonare la sua politica repressiva nei confronti dei donatisti. Le ragioni di questo voltafaccia rimangono oscure: si è potuto far valere la necessità per Costantino, nel momento stesso in cui le sue relazioni con Licinio si inasprivano, di favorire un’adesione unanime alla sua causa in Africa. Il 5 maggio 321 Costantino indirizzò una lettera al vicario d’Africa Locrio Verino ingiungendogli di richiamare dall’esilio i donatisti59. L’appendice documentaria all’opera di Ottato (IX) conserva una lettera di Costantino ai vescovi e ai fedeli antidonatisti che mira a legittimare questa misura:
ciò che doveva fare la legge, nella misura in cui lo richiedeva la prudenza, secondo ciò che poteva la buona fede, voi sapete molto bene che io l’ho tentato, attraverso tutti i mezzi dell’umanità e della moderazione, purché, secondo gli insegnamenti della nostra fede, la pace nella santissima fraternità, di cui il Dio supremo ha messo la grazia nei cuori dei suoi servitori, fosse preservata nella concordia. Ma poiché il nostro atteggiamento ragionevole non ha potuto dominare questa violenza criminale, benché essa non sia ostinatamente attaccata che agli spiriti di pochi, ma anzi esso ha addirittura fornito a questo disordine un pretesto grazie al quale essi si compiacciono di aver peccato, giacché infatti non impone affatto di strappare con la forza, bisogna aspettarci, mentre tutto ciò poggia su poche persone, che la misericordia di Dio onnipotente verso il popolo plachi la situazione. È da lui, in effetti, che noi dobbiamo attendere il rimedio, quando tutti i buoni voti e le buone azioni sono sviati.
Questa constatazione di fallimento della repressione conduceva l’imperatore a sollecitare la pazienza dei pastori e dei fedeli della «Chiesa cattolica riconosciuta dalla legge». Sebbene gli anni successivi vedano il moltiplicarsi delle disposizioni legislative relative all’annona e alla fiscalità dell’Africa e sia creata dopo il 325/326 una prefettura del pretorio in particolare per quest’area geografica60, testimoniando anche in questo senso la sua importanza strategica agli occhi dell’imperatore, le fonti disponibili per la storia della ‘crisi donatista’ diventano estremamente rare.
In una lettera inviata ad Alessandro vescovo di Alessandria e al presbitero Ario, all’indomani della sua vittoria su Licinio nell’autunno del 324, e nel momento stesso in cui scopre l’ampiezza della crisi ariana, che non può che ricordargli quella donatista, Costantino evoca il progetto, per «arginare la malattia» diffusasi in Africa, di inviare qualche vescovo orientale «in soccorso per ristabilire la concordia tra le opposte fazioni»61.
L’appendice all’opera di Ottato (X) conserva uno degli ultimi interventi noti di Costantino a proposito della questione donatista. Alcuni vescovi della Chiesa riconosciuta dall’imperatore si lamentarono con lui del fatto che a Costantina i donatisti si erano impadroniti della basilica che lui stesso aveva fatto costruire e che essi avevano privato i lettori e i sotto-diaconi della «Chiesa cattolica» dell’esenzione dai munera municipali a cui avevano diritto. Anche in questo caso era come attestare che a Costantina, sia pure capitale provinciale, i donatisti spadroneggiavano, come già nel 320 i Gesta apud Zenophilum potevano lasciar pensare. Il 5 febbraio 330 Costantino indirizzò una lettera a undici vescovi ‘cattolici’. Essa si apriva con una lunga dissertazione a proposito dell’«eresia e dello scisma» e dei loro misfatti, e costituisce un’espressione emblematica di un discorso eresiologico imperiale, di cui il titolo quinto del XVI libro del Codice Teodosiano conserverà nel 438 un campione62:
poiché è evidente che la volontà di Dio altissimo – che è l’origine e il padre di questo mondo, dal dono del quale noi godiamo della vita, contempliamo il cielo, stiamo bene nella società degli uomini – è che tutto il genere umano sia unanimemente d’accordo e che sia legato per predisposizione alla vita in società come da legami reciproci, non c’è dubbio che l’eresia e lo scisma siano venuti dal diavolo che è il capo del male; perché non c’è alcun dubbio che tutto ciò che fanno gli eretici è realizzato per istigazione di colui che si è messo a capo dei loro sentimenti, dei loro spiriti e dei loro pensieri. Perché quando tali uomini si pongono alla sua mercé, esercita ovunque il suo dominio su di essi. Ora, quale sorta di bene può fare l’insensato, il furbo, l’uomo senza religione e senza culto, l’avversario di Dio, il nemico della santa Chiesa, colui che si allontana da Dio santo, vero, giusto, altissimo e signore di tutto […] per precipitarsi nell’impresa dell’errore verso il partito del diavolo?
Costantino si complimentava di seguito con i vescovi di non aver ceduto allo spirito di vendetta – questo era già stato l’invito contenuto nella lettera del 321 in cui annunciava le misure antidonatiste –, poiché non avevano chiesto la restituzione della basilica, ma avevano sollecitato l’imperatore a donare loro una casa di proprietà del fisco imperiale, ciò che avrebbe potuto accordare loro nell’immediato. Si può immaginare che, dopo il fallimento dei diversi interventi presso le autorità municipali e provinciali, i vescovi fossero invitati alla moderazione. Quanto all’esenzione dagli oneri municipali, di cui nel settembre 326, in una legge63 indirizzata al prefetto del pretorio d’Oriente, Costantino aveva ricordato, dopo il concilio di Nicea, che essa non poteva beneficiare «che a quelli che osservavano la legge cattolica» e che «gli eretici e gli scismatici» ne erano esclusi, l’imperatore dava ordini perché fosse rispettata, o almeno applicata ai chierici ‘cattolici’64. La lettera imperiale terminava con una pia esortazione: «noi nondimeno, fratelli, ricerchiamo ciò che è nostro dovere, applichiamoci ai comandamenti, osserviamo i precetti divini con buone azioni, difendiamo la nostra vita dagli errori, e, con l’aiuto della misericordia divina, avanziamo sulla retta via».
Il ventennio che seguì la fine della repressione conferma il radicamento del partito donatista, che poté così riunire, a una data dibattuta dagli studiosi, un concilio di 270 vescovi65, riuscendo a stabilirsi saldamente in alcune regioni, ad esempio in Numidia. Il conflitto si iscriveva perciò nella topografia stessa delle città e opponeva «altare ad altare»66, cattedrale a cattedrale, in uno sdoppiamento delle infrastrutture cultuali che ha potuto favorire sotto certi aspetti, per emulazione, l’affermarsi del cristianesimo.
L’ultimo atto dell’intervento di Costantino nella crisi donatista fu legato all’azione del prefetto del pretorio Gregorio nel periodo tra il 336 e il 33767. Ottato riporta che Donato «osò scrivere: “Gregorio, vergogna del Senato e disonore dei prefetti”». Non si conosce che cosa valsero a Gregorio tali insulti e altri dello stesso genere. Ottato precisa che il prefetto «rispose con una pazienza tutta episcopale».
1 Eus., v.C. I 45,3.
2 Per una bibliografia essenziale sull’argomento si citerà, all’interno di una produzione vastissima, L. Duchesne, Le dossier du donatisme, in Mélanges d’archéologie et d’histoire, 10 (1890), pp. 389-650; P. Monceaux, Histoire littéraire de l’Afrique chrétienne depuis les origines jusqu’à l’invasion arabe, IV-VII, Paris 1901-1923; H. von Soden, H. von Campenhausen, Urkunden zur Entstehungsgeschichte des Donatismus, Berlin 19502; W.H.C. Frend, The Donatist Church. A Movement of Protest in Roman North Africa, Oxford 1952; Augustin, Traités anti-donatistes, éd. par G. Finaert, Y.-M. Congar, G. Bavaud et al., Paris 1963-1968; E. Tengström, Donatisten und Katholiken. Soziale, wirtschaftliche und politische Aspekte einer nordafrikanischen Kirchenspaltung, Göteborg 1964; E.L. Grasmück, Coercitio: Staat und Kirche im Donatistenstreit, Bonn 1964; P. Brown, Religion and Society in the Age of Saint Augustine, London 1972; Actes de la conférence de Carthage en 411, éd. par S. Lancel, Paris 1972; K.M. Girardet, Kaisergericht und Bischofsgericht. Studien zu den Anfängen des Donatistenstreites (313-315) und zum Prozess des Athanasius von Alexandrien (328-346), Bonn 1975; T.D. Barnes, The Beginnings of Donatism, in Journal of Theological Studies, 26 (1975), pp. 13-22, ora in Id., Early Christianity and the Roman Empire, London 1984; C. Lepelley, Les cités de l’Afrique romaine au Bas-Empire, 2 voll., Paris 1979-1981; A. Mandouze, Afrique (303-539), in Prosopographie chrétienne du Bas-Empire, I Paris 1982; Y. Duval, Loca sanctorum Africae. Le culte des martyrs en Afrique du IVe au VIIe siècle, Roma 1982; T.D. Barnes, Constantine and Eusebius, Cambridge (MA)-London 1981, pp. 54-61; Id., The New Empire of Diocletian and Constantine, Cambridge (MA) 1982, pp. 238-247; B. Kriegbaum, Kirche der Traditoren oder Kirche der Märtyrer? Die Vorgeschichte des Donatismus, Innsbruck-Wien 1986; J.-L. Maier, Le dossier du donatisme, I, Des origines à la mort de Constance II (303-361), Berlin 1987; II, De Julien l’Apostat à saint Jean Damascène (361-750), Berlin 1989, con le recensioni di S. Lancel, in Revue des Études Latines, 66 (1988), pp. 37-42; P. Mastandrea, in Prometheus, 14 (1988), pp. 87-95; e N. Duval, in Revue des Études Augustiniennes, 35 (1989), pp. 171-179; C. Mazzucco, Ottato di Milevi in un secolo di studi: problemi e prospettive, Bologna 1993; Ch. Pietri, L’échec de l’unité «impériale» en Afrique. La résistance donatiste (jusqu’en 361), in Histoire du christianisme, II, Naissance d’une chrétienté (250-430), éd. par C. Pietri, L. Pietri, V. Saxer et al., Paris 1995, pp. 229-248; Optat de Milève, Traité contre les donatistes, éd. par M. Labrousse, 2 voll., Paris 1995; S. Lancel, J.S. Alexander, s.v. Donatistae, in Augustinus-Lexikon, hrsg. von C. Mayer, Basel 1992-2002, II coll. 606-638; M. Tilley, Donatist Martyr Stories. The Church in Conflict in Roman North Africa, Liverpool 1995; S. Lancel, Saint Augustin, Paris 1999; Y. Duval, Chrétiens d’Afrique à l’aube de la paix constantinienne. Les premiers échos de la grande persécution, Paris 2000, con le recensioni di S. Lancel, in Revue d’histoire ecclésiastique, 97 (2002), pp. 180-188; P. Mattei, in Revue des études latines, 80 (2002), pp. 398-401; M. Simonetti, in Rivista di storia e letteratura religiosa, 38 (2002), pp. 367-371; e C. Lepelley, in Latomus, 62 (2003), pp. 712-715); P. Brown, Augustine of Hippo: a Biography (a New Edition with an Epilogue), Berkeley 2000; C. Lepelley, Aspects de l’Afrique romaine: les cités, la vie rurale, le christianisme, Bari 2001; F. Scorza Barcellona, L’agiografia donatista, in Africa cristiana: storia, religione, letteratura, a cura di M. Marin, C. Moreschini, Brescia 2002, pp. 125-151; R. Cacitti, Furiosa turba. I fondamenti religiosi dell’eversione sociale, della dissidenza politica e della contestazione ecclesiale dei Circoncellioni, Milano 2006; A. Hogrefe, Umstrittene Vergangenheit. Historische Argumente in der Auseinandersetzung Augustins mit den Donatisten, Berlin-New York 2009; B.S. Shaw, Sacred Violence. African Christians and Sectarian Hatred in the Age of Augustine, Cambridge 2011.
3 S. Mazzarino, Costantino e l’episcopato (a proposito di due lavori recenti), in Id., Il Basso Impero. Antico, tardoantico ed èra costantiniana, I, Bari 1974, p. 171.
4 Eus., h.e. X 6,4.
5 M.-Y. Perrin, The Relationship Episcopus/ Ekklesia in the Church of the Roman Empire of the IVth Century, in Centro Pro Unione Semi-Annual Bulletin, 71 (2007), pp. 3-13; P. Norton, Episcopal Elections 250-600: Hierarchy and Popular Will in Late Antiquity, Oxford 2007; Episcopal Elections in Late Antiquity, ed. by J. Leemans, P. Van Nuffelen, S.W.J. Keough et al., Berlin-Boston 2011.
6 Optat., I 13 segg.
7 Optat., I 18.
8 Sulla storia della persecuzione in Africa si veda T.D. Barnes, Early Christian Hagiography and Roman History, Tübingen 2010, pp. 124-138.
9 Aug., coll. c. Don. 18,34; adv.Don. 13,17.
10 Eus., m.P. 13,12,13; h.e. VIII 14,1.
11 T.D. Barnes, The Beginnings, cit., pp. 18-20; B. Kriegbaum, Die Religionspolitik des Kaisers Maxentius, in Archivum Historiae Pontificiae, 30 (1992), pp. 7-54; S. Corcoran, The Empire of the Tetrarchs. Imperial Pronouncements and Government AD 284-324, Oxford 2000, pp. 144, 185; B.S. Shaw, Sacred Violence, cit. pp. 812-819 (con una cronologia probabilmente troppo alta).
12 Abthugnos, e non Abthungni, sembra essere la forma esatta del toponimo: cfr. Carte des routes et des cités de l’est de l’ «Africa» à la fin de l’antiquité: nouvelle édition de la carte des «Voies romaines de l’Afrique du nord» conçue en 1949, d’après les tracés de Pierre Salama, éd. par J. Desanges, N. Duval, C. Lepelley et al., Turnhout 2010, pp. 91-92.
13 Aug., c. Cresc. III 27,30.
14 Si veda S. Lancel, Les débuts du Donatisme: la date du «Protocole de Cirta» et de l’élection épiscopale de Silvanus, in Revue des études augustinienne, 25 (1979), pp. 217-229, in cui si difende la data del 307.
15 Cfr. Gesta apud Zenophilum in Optat., app. I.
16 Synes., ep. 42.
17 M.-Y. Perrin, The Limits of the Heresiological Ethos in Late Antiquity, in Religious Diversity in Late Antiquity, ed. by S. Bangert, D.M. Gwynn, L. Lavan, Leiden-Boston 2010, pp. 201-227.
18 Aug., epist. 43,6,17 in riferimento alla testimonianza del diacono Nundinario nei Gesta apud Zenophilum.
19 R. Wisniewski, Lucilla and the Bone: Remarks on an Early Testimony to the Cult of Relics, in Journal of Late Antiquity, 4 (2011), pp. 157-161.
20 M.-Y. Perrin, Le dossier du donatisme dans l’Histoire ecclésiastique d’Eusèbe de Césarée, in Annuaire de l’École Pratique des Hautes Études. Section des Sciences Religieuses, 117 (2011), pp. 225-230; Id., Eusèbe de Césarée, Constantin, et le «dossier du donatisme», in ¿Constantinus, el primer emperador cristià? Religió i política en el siglo IV, Actes del Congrés internacional (Barcelona, Tarragona 20-24 de març de 2012), ed. por J. Vilella, in corso di stampa.
21 Eus., h.e. X 5,15-17. Cfr. S. Corcoran, The Empire of the Tetrarchs, cit., p. 153 nota 59.
22 Eus., h.e. X 6. Cfr. S. Corcoran, The Empire of the Tetrarchs, cit., p. 153 nota 60.
23 ILAlg II,1, 580, 583.
24 Data la rarità del cognomen Hosius/Ossio in Occidente, sembra difficile contestare con Adolf Lippold (A. Lippold, Bischof Ossius von Cordova und Konstantin der Grosse, in Zeitschrift für Kirchengeschichte, 92 [1981], pp. 1-15) l’identificazione tradizionale di questo Ossio con il vescovo di Cordoba.
25 Eus., h.e. X 6,5 (Eusebio di Cesarea, Storia Ecclesiastica, a cura di M. Ceva, F. Maspero, Milano 1979).
26 Su questo entourage episcopale si vedano le suggestive considerazioni di W. Eck, La romanisation de la Germanie, Paris 2007, pp. 85-101, il quale, tuttavia, non menziona il caso di Ossio, per il quale si ignorano le modalità con cui entrò in relazione con Costantino.
27 Eus., h.e. X 5,16; X 6,1; X 7,2. Cfr. S. Corcoran, The Empire of the Tetrarchs, cit., p. 155 nota 63.
28 Aug., epist. 88,2: «Libellus Ecclesiae catholicae, criminum Caeciliani, traditus a parte Maiorini».
29 Sulla nozione di ‘Chiesa cattolica’ nella prima legislazione costantiniana, si vedano S. Calderone, Costantino e il cattolicesimo, Firenze 1962, pp. 136-150, e S. Mazzarino, L’impero romano, II, Roma 1962, pp. 654-656; si veda inoltre il prezioso bilancio poco noto che ne dà P. Lemerle, Philippes et la Macédoine orientale à l’époque chrétienne et byzantine. Recherches d’histoire et d’archéologie, Paris 1945, pp. 97-98.
30 Cod. Theod. XVI 2,1.
31 Ch. Pietri, Roma christiana. Recherches sur l’Église de Rome, son organisation, sa politique, son idéologie, de Miltiade à Sixte III (311-440), Roma 1976, p. 204.
32 Tale data è talora considerata come quella riportata nella seconda petizione dei sostenitori di Maiorino.
33 Aug., epist. 88,2.
34 Ottato di Milevi (Optat., I 22,2) sostiene di fornire il testo della seconda di queste preces, ma l’autenticità di tale documento è stata messa in dubbio: cfr. K.M. Girardet, Die Petition der Donatisten an Kaiser Konstantin (Frühjahr 313). Historische Voraussetzungen und Folgen, in Chiron, 19 (1989), pp. 185-206, ora in Id., Kaisertum, Religionspolitik und das Recht von Staat und Kirche in der Spätantike, Bonn 2009, pp. 1-26; B. Kriegbaum, Zwischen den Synoden von Rom und Arles: die donatistische Supplik bei Optatus, in Archivum Historiae Pontificiae, 28 (1990), pp. 23-61, propone di situare l’elaborazione del documento tra il concilio romano e quello di Arles.
35 Ch. Pietri, Roma christiana, cit., pp. 159-167, che segue H.U. Instinsky, Bischofsstuhl und Kaiserthron, München 1955, pp. 59-82. Per una diversa interpretazione della procedura si veda, in ultimo luogo, K.M. Girardet, Das Reichskonzil von Rom (313) – Urteil, Einspruch, Folgen, in Historia: Zeitschrift für Alte Geschichte, 41 (1992), pp. 104-116, ora in Id., Kaisertum, Religionspolitik, cit., pp. 27-41.
36 Eus., h.e. X 5,18-20. Cfr. S. Corcoran, The Empire of the Tetrarchs, cit., p. 160 nota 67.
37 Eus., h.e. X 7,1.
38 P. Liverani, Dalle ‘Aedes Laterani’ al Patriarchio lateranense, in Rivista di archeologia cristiana, 75 (1999), pp. 521-549.
39 Sulle difficoltà della biografia di Donato si veda PLRE I, s.v. Donatus 5, pp. 292-303.
40 Optat., I 24.
41 Questo varrebbe salvo considerare, con Klaus Martin Girardet, il concilio di Roma dell’autunno 313 come un primo Reichskonzil.
42 E. Schwartz, Über die Reichskonzilien von Theodosius bis Justinian, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte: Kanonistische Abteilung, 11 (1921), pp. 208-253, ora in Id., Gesammelte Schriften, IV, Zur Geschichte der alten Kirche und ihres Rechts, Berlin 1960, pp. 111-158; T.D. Barnes, Constantine. Dynasty, Religion and Power in the Later Roman Empire, Oxford 2011, p. 100, vuole trarre da una osservazione generale di Eusebio (Eus., v.C. I 44) una testimonianza della presenza dell’imperatore al concilio di Arles. Questa ipotesi è contestata da K.M. Girardet, Konstantin d. Gr. und das Reichskonzil von Arles (314). Historisches Problem und methodologische Aspekte, in Oecumenica et patristica, Stuttgart 1989, pp. 151-174, ora in Kaisertum, Religionspolitik, cit., p. 43-72.
43 Eus., h.e. X 5,21-24.
44 Eus., h.e. X 5,23.
45 Oggi a Parigi, Bibliothèque Nationale de France, lat. 1711.
46 Optat., app. I 14,2.
47 C. Odahl, Constantine’s Epistle to the Bishops at the Council of Arles: A Defence of Imperial Authorship, in Journal of Religious History, 17 (1993), pp. 274-289. Le lettere e i documenti provenienti da Costantino e relativi alla crisi donatista sono stati oggetto di un esame dettagliato, tra gli altri, negli studi e nelle opere di L. Duchesne, Le dossier du donatisme, cit.; H. Dörries, Das Selbstzeugnis Kaiser Konstantins, Göttingen 1954; H. Kraft, Kaiser Konstantinus religiöse Entwicklung, Tübingen 1955; J.-L. Maier, Le dossier du donatisme, cit.; Constantin, Lettres et Discours, éd. par P. Maraval, Paris 2010.
48 Optat., app. V.
49 Si veda P. Porena, Le origini della prefettura del pretorio tardoantica, Roma 2003, pp. 299-307, il quale commenta la lettera del prefetto del pretorio Petronio Anniano al vicario d’Africa Domizio Celso (Optat, app. VIII).
50 Y. Duval, Chrétiens d’Afrique, cit., pp. 228-230.
51 Si seguono qui le analisi di C. Lepelley, Les cités de l’Afrique, cit., II, Notices d’histoire municipale, pp. 25-29 e 267-276.
52 Optat., app. II, Acta purgationis Felicis.
53 Aug., epist. 88,4; c. Cresc. III 70,81.
54 Aug., c. Cresc. III 71,82.
55 Aug., epist. 88,3; c.Petil. II 205.
56 F. Dolbeau, La «Passio sancti Donati» (BHL 2303b). Une tentative d’édition critique, in Memoriam sanctorum venerantes. Miscellanea in onore di Monsignor Victor Saxer, Città del Vaticano 1992, pp. 251-267. Il titolo di questo sermone resta enigmatico.
57 Sermo de passione Donati et Advocati 12. B. Shaw, Sacred Violence, cit. p. 193 nota 106, contesta l’identificazione con Avioccala.
58 Optat., app. I, Gesta apud Zenophilum.
59 Aug., adv.Don. 31,54; 33,56. Cfr. P. Porena, Le origini della prefettura, cit., p. 381 nota 66.
60 Si veda D. Vera, Costantino, l’Africa e l’approvvigionamento di Roma, in Costantino prima e dopo Costantino, Atti del Convegno internazionale (Perugia, Spello 27-30 aprile 2011), a cura di G. Bonamente, N. Lenski, R. Lizzi Testa, Bari 2012, in corso di stampa.
61 Eus., v.C. II 66.
62 L. Cracco Ruggini, Il Codice Teodosiano e le eresie, in Droit, religion et société dans le Code Théodosien. Troisièmes Journées d’Étude sur le Code Théodosien (Neuchâtel 15-17 février 2007), éd. par J.-J. Aubert, P. Blanchard, Genève 2009, pp. 21-37.
63 Cod. Theod. XVI 5,1.
64 Cod. Theod. XVI 2,7.
65 Cfr. Aug., epist. 93,43, che cita Ticonio.
66 Optat., I 15.
67 P. Porena, Le origini della prefettura, cit., pp. 475-476.