Costantino I detto il Grande (Flavius Valerius Constantinus)
detto il Grande (Flavius Valerius Constantinus) Imperatore romano (Naisso 280 ca.-Nicomedia 337). Figlio di Costanzo Cloro, visse prima alla corte di Diocleziano, seguì poi il padre in Britannia e alla sua morte fu acclamato imperatore dall’esercito (306), ma non fu riconosciuto da Galerio. Vinse i franchi e gli alamanni, si alleò quindi con Massimiano e ne sposò la figlia Fausta, ma quando questi congiurò contro di lui lo fece uccidere (310). La morte di Galerio (311) portò allo sfacelo del sistema tetrarchico e all’alleanza tra Massimino e Massenzio contro C. e Licinio. C. dalla Gallia valicò le Alpi, vinse a Torino, conquistò Milano, Verona, e nella battaglia del ponte Milvio (312) vinse Massenzio, che morì nel crollo di un ponte sul Tevere. C. fu riconosciuto Augusto dal Senato, sciolse il corpo dei pretoriani, a Milano (313) emanò il decreto di tolleranza verso i cristiani. Morto Massimino, C. e Licinio furono i soli capi dell’impero; essi vennero in lotta quando Bassiano, da C. nominato Cesare, gli si ribellò per istigazione di Licinio; C. condannò a morte il ribelle, vinse quindi Licinio a Cibale in Pannonia (314); una seconda battaglia al Campo Mardiense (tra Filippopoli e Adrianopoli) ebbe esito incerto. Nella pace che seguì, Licinio cedé la Mesia e la Pannonia; i figli di C., Crispo e l’omonimo C., e il figlio di Licinio, Liciniano, furono nominati Cesari. Nel 324 C. intervenne in Tracia, provincia di Licinio, per respingere una invasione di goti: Licinio, considerando l’intervento violazione di territorio, dichiarò guerra a C., ma fu vinto ad Adrianopoli e a Crisopoli, e dovette arrendersi; poi, avendo stretto accordi con i barbari del Danubio, fu condannato a morte. C. dal 324 rimase unico imperatore. Subito dopo fece uccidere il figlio Crispo a Pola e poi la moglie Fausta a Costantinopoli, l’antica Bisanzio, cui diede il suo nome quando nel 326 vi trasportò la capitale, data la situazione strategico-economica dell’impero; con tale decisione (dettata forse anche dal desiderio di rompere la tradizione pagana più viva in Roma) C. non superò, nonostante la sua volontà di unificazione, anzi contribuì ad approfondire la scissione tra Occidente ed Oriente, che andranno sempre più differenziandosi nel campo culturale e spirituale, oltre che economico, e assumeranno spesso posizioni di antagonismo, sino a che alla fine dello stesso secolo si giungerà alla separazione tra impero d’Oriente e d’Occidente. Nel 332 i goti furono vinti dal figlio C. II; a 300.000 sarmati nel 334 fu concesso di stabilirsi nelle province del Danubio e in Italia. Nel 335 C. divise l’amministrazione dell’impero tra i figli Costantino II, Costante, Costanzo, e i nipoti Delmazio e Annibaliano. Quando Shahpur II di Persia pretese alcune province orientali, C. marciò contro di lui, ma durante il viaggio morì presso Nicomedia (337); fu sepolto a Costantinopoli. C. continuò l’assolutismo monarchico instaurato da Diocleziano, sostituendovi però, per la successione, il sistema dinastico; istituì una nuova nobiltà di corte con la concessione del titolo di patrizio; estese e organizzò rapidamente la gerarchia, riordinando il consilium principis e trasformandolo in sacrum consistorium, composto di membri permanenti; istituì la carica del quaestor sacri palatii, incaricato di redigere leggi e responsi e di regolare le alte carriere militari, quella del magister officiorum, capo della cancelleria imperiale, da cui dipendeva tra l’altro la schola agentium in rebus (corpo di polizia investito talora di vere funzioni di spionaggio), e altre ancora; questi alti impiegati a causa del carattere orientale della corte si confusero sempre più con i cortigiani, e comes divenne il titolo di un grande numero di funzionari (da ricordare in particolare il comes sacrarum largitionum, preposto al fisco, e il comes rerum privatarum, preposto alla cassa privata dell’imperatore). C. attuò inoltre una radicale riforma dei poteri dei prefetti del pretorio, privati ormai delle funzioni militari, per conservare invece quelle amministrative e giuridiche ed essere collocati al di sopra dei vicari dell’organizzazione dioclezianea, nel quadro di una ripartizione dell’impero in quattro prefetture (delle Gallie, d’Oriente, d’Italia e Africa, dell’Illirico), ridottesi a tre dopo la morte di C. (con il decadimento dell’Illirico dalla condizione di prefettura). Il comando supremo dell’esercito era affidato all’imperatore, dal quale dipendevano direttamente il magister peditum (capo della fanteria) e il magister equitum (capo della cavalleria); le due cariche potevano cumularsi in quella del magister utriusque militiae. Con C. assumeva particolare importanza la presenza di una forza militare acquartierata vicino alla residenza dell’imperatore; si preparava così quella contrapposizione tra esercito comitatense ed esercito limitaneo, che sarà in atto dall’età di Valentiniano I e di Valente (mentre formalmente si distingueva ancora tra legiones e auxilia, questi ultimi preponderanti e sempre più esposti alla penetrazione di elementi germanici e sarmatici). C. fondò il sistema monetario sulla stabilità del solidus aureo (di g 4,48, equivalente a 24 siliquae d’argento) e relegando perciò in secondo piano il denarius di rame; si discute delle conseguenze generali che ne risultarono: se cioè nel 4° sec. l’economia restasse caratterizzata dall’antitesi tra economia naturale, cui terrebbero funzionari e alti gradi dell’esercito, ed economia monetaria, cui sarebbero interessati i contribuenti, o non piuttosto da una contrapposizione tra l’economia dell’aureus, su cui si fonderebbe il potere delle classi dirigenti, e quella del denarius, con il cui potere d’acquisto era connessa la capacità economica della piccola borghesia e degli strati più bassi del proletariato, che dalla riforma monetaria di C. sarebbero stati del tutto rovinati. L’importanza di C. è però legata soprattutto alla politica verso il cristianesimo, al quale concesse pienezza di libertà e di diritti. Dapprima pagano, C. come primo atto di adesione al cristianesimo avrebbe fatto incidere sugli scudi dei soldati il monogramma di Cristo, destinato a ornare anche lo stendardo imperiale (labarum), seguendo un’ispirazione che avrebbe avuta in sogno, alla vigilia della battaglia del ponte Milvio. Nel 313 con l’editto emanato a Milano (e firmato anche da Licinio) diede al cristianesimo riconoscimento ufficiale, poi confermato ed esteso da successive leggi, soprattutto nell’ultima parte del suo regno, dichiarandosi egli stesso cristiano (per quanto ricevesse il battesimo solo sul letto di morte) ed esortando i sudditi ad abbracciare il cristianesimo nell’Editto agli orientali del 324 (alieno tuttavia da ogni intolleranza verso il paganesimo); interessato, soprattutto per ragioni politiche, all’unità religiosa dell’impero, s’intromise dapprima nelle controversie donatiste e in seguito, preoccupato per la diffusione dell’arianesimo, convocò il Concilio di Nicea (325).