Costantino l'Africano e la medicina araba in Occidente
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La storia del “ritorno” e della diffusione della medicina galenica in Occidente è soprattutto una storia italiana e in parte spagnola; e come nel caso della medicina araba e della sua derivazione dalla medicina greca, è in origine una storia di traduzioni – stavolta dall’arabo in latino. L’interesse per la trasposizione linguistica ha messo un po’ in ombra l’aspetto pratico dell’utilizzazione delle traduzioni, e solo da poco gli storici della medicina si sono riavvicinati ai testi e hanno fatto uso delle acquisizioni della filologia per situarli nei contesti appropriati, ricostruendone l’uso, le condizioni di lettura, e l’attività – di cui restano purtroppo scarse testimonianze – dei medici e dei loro pazienti, nonché quelle dei professionisti della cura diversi dai medici, come chirurghi, farmacisti, ostetriche.
Nella tarda antichità e nell’alto Medioevo, in Occidente, Galeno circola relativamente poco, mentre si leggono e utilizzano piuttosto i testi appartenenti alla setta metodica, a lui avversi, e in particolare quelli di Sorano di Efeso. I metodici rifiutano di occuparsi delle cause delle patologie, e sostengono che il medico debba limitarsi a osservare i fenomeni e gli stati fisiologici e patologici, classificandoli in laxi (stato di rilassamento e “apertura”), constricti (stato di “chiusura”) e mixti. Le conoscenze su questa medicina derivano però, paradossalmente, proprio da un testo galenico – la traduzione del De sectis, precedente all’XI secolo – e dalle Etymologiae di Isidoro di Siviglia.
Fra le altre poche testimonianze rimaste all’Occidente latino, circolano altre traduzioni di testi autentici e apocrifi da Galeno e dal Corpus Hippocraticum, tra i quali gli Aforismi e i Prognostica, e qualche manoscritto degli alessandrini, in particolare di Oribasio e di Paolo di Egina.
L’introduzione della medicina araba nell’XI secolo è dunque una vera e propria rivoluzione, anche se il suo esponente più noto, Costantino l’Africano, tende a presentarla piuttosto come una “restaurazione” della cultura medica greca (si ricordi che la lingua greca è ancora presente e viva nel Meridione d’Italia come lingua di cultura), obliterando così l’intenzione di alcuni autori arabi (ad esempio di al-Majusi) di far progredire la medicina secondo linee originali.
Di Costantino l’Africano abbiamo notizie da Pietro Diacono, come lui monaco nell’abbazia benedettina di Montecassino, e da altre fonti più tarde. Si tratta di una figura per molti versi leggendaria, su cui esistono notizie contrastanti che però riportano tutte a una formazione “mista”, in cui entrano le culture del mediterraneo – greca, araba e latina. Tunisino, nato a Cartagine, cristiano – ma secondo altre testimonianze musulmano convertito – si dice che abbia viaggiato lungamente in Oriente, e che prima di entrare a Montecassino, dove con ogni probabilità porterà a termine le sue traduzioni, abbia stabilito relazioni con i principi siciliani o dell’Italia meridionale, tra i quali senz’altro Roberto il Guiscardo, che incontra nel 1077 a Salerno. Secondo alcune fonti, Costantino si sarebbe presentato all’abate Desiderio, a Montecassino, con una raccomandazione da parte del vescovo salernitano Alfano. Alfano, noto soprattutto per le sue opere poetiche, è a sua volta monaco nell’abbazia prima di diventare vescovo, e traduce un trattato sulla natura dell’uomo di Nemesio di Emesa che fa ampio uso delle dottrine galeniche. Ad Alfano sono attribuiti anche altri scritti medici: uno sui quattro umori e un De pulsibus.
A Montecassino, dove quindi l’attività di diffusione e conoscenza della medicina predata l’arrivo di Costantino, egli è aiutato nella sua impresa di traduttore da due assistenti, Atto e Johannes Afflacius, musulmano convertito e forse anch’egli “medico”, probabilmente da identificare con il maestro salernitano dallo stesso nome.
La data di morte di Costantino è fissata per lo più al 1087 (al più tardi nel 1098/1099). I suoi libri sono adattamenti dei testi medici arabi più che semplici traduzioni; nonostante sia stato duramente criticato per questo, è significativo che Costantino ometta le fonti delle sue traduzioni-composizioni, presentandosi come “autore” e non come traduttore di alcuni testi che diventeranno essenziali per il canone della medicina colta medievale occidentale. Come nel caso della medicina araba, al centro della cura di Costantino e delle difficoltà di interpretazione del filologo (ma soprattutto del medico e del lettore medievale) c’è il problema delle traduzioni dei termini tecnici: il vocabolario latino medievale è infatti più ristretto di quello arabo e a fortiori del greco. Il termine humor, per non fare che un esempio, corrisponde in realtà a sei termini differenti nel testo arabo ricalcato sul greco; e il traduttore latino dell’Isagoge utilizza il termine occasio anziché quello di causa, generando così una lunga storia di equivoci che contribuiscono alla disputa sullo statuto epistemologico della medicina, arte o scientia – quest’ultima essendo, aristotelicamente, incentrata appunto sullo scire per causas.
I testi di Costantino sono fondati sull’ammirazione e sulla conoscenza delle opere di Galeno, di cui egli fornisce l’elenco completo secondo il canone alessandrino in 16 libri, ma sono ricavati da testi e compilazioni di autori arabi classici. Tra le opere tradotte da Costantino: diversi trattati (sulle diete, le febbri, le urine) del medico e filosofo Ishaq al-Israili, noto come Isacco Giudeo, vissuto in Egitto. Ma l’importanza di Costantino è legata sorattutto alle versioni di due opere che entreranno a far parte del canone accademico occidentale. I Pantegni sono la traduzione e il libero adattamento dell’enciclopedia medica di ‘Ali b. al-‘Abbas al-Majusi, composta nel X secolo. L’opera si situa all’incrocio tra tradizione greca, di cui recupera l’importanza di Aristotele, e le enciclopedie mediche di età bizantina, facendo così largo spazio sia alla sistemazione galenica che ai risultati ottenuti dalla pratica medica araba.
Dopo la morte di Costantino circolano una Theorica Pantegni e una Practica Pantegni: la seconda parte è stata considerevolmente ampliata in seguito sulla base della traduzione originaria di Costantino, e si tratta di una miscellanea di testi diversi. Ma la prima è stata senz’altro la più influente e si trova citata a partire dalla prima metà del XII secolo, favorita nella sua diffusione – come le altre opere di Costantino – dalla centralità di Montecassino nella rete delle abbazie dell’ordine benedettino e dai rapporti con la Scuola medica salernitana.
L’Isagoge Iohannitii è, con ogni probabilità, un insieme di estratti, in latino, di un’opera di Hunain ibn Ishaq; la si trova attestata per la prima volta in due manoscritti della fine dell’XI secolo, di cui uno a Montecassino; è senz’altro prodotta nel Meridione d’Italia e connessa con l’attività di traduttore di Costantino l’Africano, benché non gli sia attribuita esplicitamente (una proposta in tal senso è stata peraltro avanzata da Danielle Jacquart). In essa c’è una forte analogia con i Pantegni: entrambe le opere hanno un piano bipartito incentrato sulla divisione theorica/practica, che avrà una straordinaria fortuna nei secoli successivi.
L’Isagoge è un’introduzione (ma il titolo richiama quello di un’opera di Porfirio) alle “divisioni” della medicina, e si incentra su una partizione rimasta immutata nella teoria e nell’istruzione universitaria fino al XVIII secolo: costituiscono oggetto della medicina le sette res naturales (elementi, umori, complexiones, spiriti, membra, virtù, operazioni), le sei non naturales, passibili di intervento da parte del medico nella redazione del regime e del piano terapeutico (l’aria, il cibo e le bevande, la quiete e il moto, il sonno e la veglia, il digiuno e la sazietà, le passioni dell’animo), e infine le res contra naturam, ossia le patologie e la terapeutica. L’opera, diffusa e commentata dai maestri salernitani, diventa ben presto il primo dei trattati dell’Articella, un insieme di testi destinati a diventare il “manuale” per l’insegnamento della medicina in Occidente.
Le traduzioni occidentali non sono fatte solo dall’arabo: il testo arabo è anzi utilizzato solo quando il testo greco originario non è disponibile. I rapporti con l’impero bizantino e l’area orientale di lingua e cultura greca non sono facili, e casi come quello di Adelardo di Bath, che nel XII secolo visita l’Oriente per motivi di studio, sono estremamente rari. Tuttavia in Sicilia e nel Sud Italia, dove sia l’uso del greco che i rapporti con Bisanzio non sono mai davvero cessati, si producono traduzioni dal greco – ad esempio dei testi di Tolomeo – già nel XII secolo. Tra queste vi sono diverse traduzioni aristoteliche, anche di libri poi destinati a diventare parte integrante del curriculum medico nelle università e della sua propedeutica nella facoltà delle Arti. Burgundio da Pisa, un uomo di legge che viaggia in Oriente e lavora per il maestro Bartolomeo di Salerno, esegue la traduzione dal greco in latino di Galeno (Techne) e degli Aforismi di Ippocrate. Si può quindi parlare di un “Galeno latino” da ricostruire con pazienza, come è stato fatto per il testo latino di Aristotele.