Costantino nel Codice Teodosiano
La raccolta delle leggi per un nuovo Codice
Nella vastissima bibliografia internazionale su Costantino, per quanto paradossale ciò possa sembrare, non esiste uno studio specifico della sua produzione normativa. Manca un volume che ne raccolga le leggi in un quadro organico e cronologicamente ordinato, analogo a quelli già editi sulla legislazione dei suoi figli e su quella di Valentiniano I e Valente1. A scoraggiare i ricercatori è sicuramente, in primo luogo, la grande mole di editti, leggi generali e rescritti emanati da un imperatore che legiferò per più di venticinque anni, intervenendo spesso ex novo in quasi ogni settore della vita dell’Impero. Non essendoci ancora neppure una schedatura preliminare, non è possibile indicarne la quantità; la si può congetturare, tuttavia, dalla produzione già nota: i suoi figli, infatti, emanarono 235 leggi, Valentiniano I e Valente ne produssero oltre quattrocento; seicento e più ne emanò Teodosio I, in base alle sole costituzioni contenute nel Codice Teodosiano e in quello di Giustiniano2.
D’altra parte, per avere un profilo sicuro dell’attività legislativa di un imperatore, l’analisi dei materiali conservati nei Codici ai fini della loro ricollocazione cronologica (rispetto alle indicazioni dei manoscritti, di Gotofredo, di Mommsen, di Seeck e di Krüger) è solo un primo passo in vista di una palingenesi normativa che, per essere veramente completa, dovrebbe comprendere lo studio di tutti i dati ricavabili anche dalle opere di letteratura laica e religiosa del periodo legislativo in esame3. Il volumetto di Paolo Silli, con l’edizione di 48 atti ufficiali costantiniani tramandati da fonti letterarie in lingua greca, latina, siriaca e araba4, ha solo aperto la strada a un lavoro rimasto tuttora incompiuto.
La stessa legislazione religiosa di Costantino, un tema che pure ha attratto la ricerca da secoli, al fine di rinvenirvi le tracce dell’influenza cristiana, annovera pochi lavori metodicamente basati su uno spoglio esaustivo della produzione normativa su tale soggetto5. Per gli altri settori – le strutture istituzionali e amministrative, la vita economica e più in generale produttiva, i rapporti sociali, tra cui per esempio schiavitù o matrimonio – esistono indagini storiche importanti che, accanto al ricchissimo materiale letterario, epigrafico, artistico-archeologico, non prescindono certo da quello legislativo: non sempre, tuttavia, esso è indagato nel suo complesso e molte leggi, prive di palingenesi, restano di incerta attribuzione.
Con tali premesse, non si propone qui un inventario della normativa costantiniana a soggetto, bensì i risultati di un’indagine, condotta con motori di ricerca sicuri e in futuro moltiplicabili6, sulla frequenza dei riferimenti alle leggi di Costantino rintracciabili nei testi legislativi degli imperatori successivi. L’esame di tali ricorrenze è soggetta alla discussione di alcuni aspetti tecnici, che ineriscono in particolare alla produzione legislativa di Costantino: così, in primo luogo, la genuinità di alcune costituzioni che, citate come sue nei testi dei principi successivi, non furono però riportate dai commissari del Codice Teodosiano. Molti provvedimenti, infatti, furono attribuiti a Costantino perché esistevano tradizioni locali in tal senso; altri, perché circolavano raccolte di documenti costantiniani conservate in archivi privati, che non furono recepite dai compilatori7. Altri ancora furono usati come strumenti di pressione sugli imperatori del IV-V secolo, per ottenere l’emanazione di una norma nuova presentandola come ripristino o convalida di una costituzione emanata da Costantino8. Pur con tali precisazioni, ed essendo limitata ai Codici di Teodosio II e di Giustiniano, l’indagine è in grado di fornire un’indicazione di tutti quei settori legislativi per i quali le delibere di Costantino apparvero fondanti, tali dunque da essere riprese, modificate o confermate. Essa, inoltre, permette di verificare e ampliare lo spettro delle motivazioni che spinsero Teodosio II e la commissione incaricata di compilare il Codice a fare di Costantino il punto di partenza della normativa da raccogliere.
L’intento di partire ex divi Constantini temporibus, infatti, fu formulato più volte negli anni in cui la raccolta fu ideata, ma non era stato propriamente quello originario. Nel 429, il progetto iniziale aveva previsto due Codices, dei quali uno avrebbe dovuto tener conto anche del Gregoriano e dell’Ermogeniano9 ed essere concepito come una sorta di sintesi dei due anteriori, del nuovo redatto e della tradizione giurisprudenziale10. Tale programma, a ogni apparenza, non si considerò fallito ma solo rinviato, dal momento che, nel presentare l’opera al Senato romano, si lesse in assemblea la costituzione del 42911. Per circa un secolo, tuttavia, fino alla nuova impresa varata da Giustiniano, risultò sufficiente un solo Codex in sedici libri, quale era stato riformulato nel 43512. Promulgato nel 438 e approvato da Valentiniano III nel 439, esso si apriva con le leggi emanate dall’imperatore Costantino13.
Rinviato il progetto del 429, dunque, le cancellerie orientali e occidentali furono paghe di una raccolta di costituzioni che risaliva fino a Costantino. Erano così escluse le leggi di Diocleziano che pur circolavano già organizzate in Codici, sebbene di carattere privato. Chiedersi perché la scelta fosse caduta su Costantino permette di conoscere come fosse cresciuta l’immagine di questo imperatore nel corso di più di un secolo e di verificare se la percezione che ne avevano coloro che idearono e realizzarono il Codice – i membri della corte di Teodosio II, ma pure quei tecnici del diritto e quei funzionari dell’amministrazione imperiale impegnati nel progetto codificatorio – coincidesse o meno con quella più nota, e solitamente citata, degli autori delle coeve opere letterarie.
La prima impressione, che la scelta della commissione ordinatrice del Codice Teodosiano sembra suggerire, è che partendo da Costantino si volesse conferire una salda matrice cristiana all’opera14. In realtà, ancora nella metà del V secolo la fisionomia religiosa di Costantino restava oggetto di dibattito ed era fonte di polemica tanto tra pagani e cristiani, quanto tra ariani e niceni. La ricca narrazione storica, prodotta quasi negli stessi anni della redazione del Codice Teodosiano, riflette la competizione ingaggiata dai vari gruppi cristiani per acquisire credito presso i membri della dinastia15. La rivitalizzazione del modello eusebiano di Costantino, dopo i cambiamenti registrati nella storiografia a partire dal regno di Teodosio I, faceva parte di tale strumentazione ideologica16.
La storiografia nicena, infatti, aveva valorizzato l’impegno di Costantino a Nicea già negli anni delle polemiche contro Costanzo II, a cui il padre era stato indicato come modello da quei vescovi che non avevano accettato la condanna di Atanasio e le delibere del concilio di Rimini (359)17. Tuttavia, le aperte critiche rivolte a Costantino da Giuliano – che ne denunciò la crudeltà verso i familiari, presentandone la conversione come una scelta di comodo, per ottenere espiazione dall’unico sistema religioso che garantisse il perdono per qualunque crimine, per quanto efferato fosse – non erano rimaste isolate, riaffiorando nel corso degli anni in scritti apparentemente neutri dal punto di vista religioso18. E durante il regno di Teodosio I, ricordando nel Chronicon (tra il 379 e il 381) il battesimo ariano del primo imperatore cristiano, Gerolamo non aveva taciuto i dissidi e le tempeste provocate nella Chiesa dalle scelte costantiniane19, mentre vescovi come Ambrogio e Giovanni Crisostomo rielaborarono profondamente i termini eusebiani del rapporto tra Impero e Chiesa. Definendo altrimenti gli spazi di autorità assegnati a vescovi e imperatore, presentarono Costantino come un principe amato da Dio, perché capace di subire il freno e la guida della potenza divina20. Secondo la via indicata da Ambrogio, Rufino ricordò che Costantino aveva riconosciuto ai vescovi il potere di giudicare la conformità nella vera fede degli imperatori: «Deus vos constituit sacerdotes et potestatem vobis dedit de nobis quoque iudicandi et ideo nos a vobis recte iudicamur», accogliendo con venerazione le decisioni conciliari: «Ille tamquam a Deo prolatam [scil. sacerdotalem concili sententiam] veneratur»21. Ogni aspetto controverso della figura costantiniana poteva al momento essere semplicemente taciuto.
Ben prima di Calcedonia, però, proprio negli anni tra il primo e il secondo concilio di Efeso (tra il 431 e il 449), quando un gruppo fortemente rinnovato di commissari fu chiamato a realizzare un Codice di leggi con finalità parzialmente diverse da quelle iniziali22, il dibattito intorno all’ortodossia di Costantino si riaccese. Le accuse relative agli assassinii compiuti da Costantino e la strumentalità della sua conversione, la mancanza di lealtà verso lo stesso Licinio23, l’inefficienza nel dare stabilità militare ed economica all’Impero – parte cospicua dell’armamentario ideologico pagano – erano ricomparse, avendo trovato cassa di risonanza duratura nell’opera di Eunapio24. La stessa tradizione ariana, d’altra parte, risaliva a Costantino mostrando di farne il proprio punto di riferimento: Filostorgio, pubblicando la sua Storia Ecclesiastica poco prima del 433, non taceva che Costantino aveva ucciso figlio e moglie, né il fatto che sarebbero stati i familiari ad avvelenarlo per vendetta, ma elogiava quell’imperatore per aver scelto l’arianesimo, ricevendo il battesimo dalle mani di Eusebio di Nicomedia25.
Come già all’epoca di Teodosio I, inoltre, il problema dell’ortodossia di Costantino s’intrecciò con i dibattiti insorti tra la sede petrina e quella di Costantinopoli, tra quest’ultima e le sue concorrenti orientali di Alessandria e Antiochia26. Dopo le accuse scambiatesi da Cirillo e Nestorio in relazione al dogma dell’incarnazione del Logos e della maternità della Vergine – madre di Dio, ovvero dell’uomo –, l’intento doveva essere quello di ridefinire una cristologia, che fosse conforme a quella nicena, da tutti condivisa. Il confronto teologico, però, era esacerbato dai contrasti tra i vescovi, che rimettevano in discussione una gerarchia delle sedi episcopali fissata in base a differenti gradi di apostolicità, dal momento che l’onorificenza del titolo era strettamente connessa con l’ottenimento di privilegi concreti, che – al di sopra dell’organizzazione metropolita – permettevano di esercitare la giurisdizione civile, di controllare le elezioni vescovili, nonché la ripartizione dei fondi ecclesiastici su un insieme davvero cospicuo di sedi episcopali27.
Gli storici niceni che, a ridosso dei due concili di Efeso, furono indotti a riflettere sulla figura di Costantino operarono con la coscienza di svolgere un compito delicato28. Il primo imperatore cristiano, conteso dagli ariani e biasimato dai pagani, era infatti il fondatore di Costantinopoli, capitale di un Impero orientale, il cui principe aveva acquisito una rilevanza politica tale, rispetto al governo dell’Occidente, da potersi proporre quale arbitro delle dispute dottrinali, come un tempo Costantino dopo il 324 e Teodosio I a partire dal 380. Il favore portato a una o all’altra delle parti in conflitto era evidentemente proporzionale alla capacità di ognuna di influire sulle decisioni imperiali, ancorando il sovrano a un modello autorevole, verso il quale non si nutrissero perplessità.
Socrate, Sozomeno e Teodoreto, dunque, in primo luogo rimossero, o contrastarono, gli elementi negativi accumulati su Costantino dalla polemica pagana. Socrate, che scriveva intorno al 439, semplicemente obliterò la strage dei familiari. Lo stesso fece anche Teodoreto tra il 444 e il 449, ma dopo che (nel 443-444) una seconda opera di storia ecclesiastica, dedicata a un Teodosio II profondamente frastornato dalle ulteriori divisioni scatenatesi all’indomani del primo concilio di Efeso29, aveva ormai riscattato Costantino anche dalle accuse degli «Elleni»30. Sozomeno, inoltre, riuscì persino a sostenere che la conversione del primo imperatore cristiano risalisse agli anni della permanenza in Gallia31, con ciò togliendo molta sostanza anche alle pretese, proprio allora avanzate da Filostorgio, di farne il primo imperatore ariano.
Socrate e Sozomeno, infatti, semplicemente tacquero il nome di Eusebio quale somministratore del battesimo32. Teodoreto, invece, che interpretò l’eresia di Ario sullo sfondo delle vicende contemporanee, vedendo in quella una sorta di premessa storica della recente deviazione dottrinale propagandata da Cirillo e della nuova eresia di Eutiche, sentì il bisogno di precisare che Costantino aveva ricevuto il battesimo a Nicomedia, avendolo sempre rinviato per il desiderio di essere battezzato nel Giordano33. E se, nel raccontare le vicende che legarono Costantino ad Atanasio e Ario, già Socrate e Sozomeno mettevano in luce soprattutto le insidie ariane34, Teodoreto tentò anche di dimostrare che quell’imperatore, nonostante gli inganni di Ario e dei vescovi del concilio di Tiro, avrebbe voluto richiamare Atanasio dall’esilio35: egli stesso, infatti, era stato deposto nel 449 da un concilio, che papa Leone descrisse a Pulcheria come latrocinium Ephesinum36, ove Eutiche era stato riabilitato con l’appoggio di Teodosio II (dopo essere stato deposto a Costantinopoli nel 448), e ove la lettera dogmatica, che papa Leone aveva inviato a Costantinopoli, era stata del tutto trascurata37.
Costantino, dunque, era presentato come un imperatore che, pur confrontandosi con le astuzie, gli inganni e i raggiri dei vescovi ariani, si era mantenuto saldo nell’ortodossia: poteva essere proposto come riferimento ideale a Teodosio II, che viveva allora un’esperienza analoga. Socrate e Sozomeno, pertanto, s’ingegnarono a dimostrare che l’imperatore vigente superava persino il suo predecessore, un topos antico e sempre efficace. L’encomio socrateo di Teodosio II, per quanto ispirato a uno schema classico38, era reso fortemente edificante grazie all’accentuazione di elementi reperiti nella Vita Constantini: così, mentre Eusebio elogiava la volontà di Costantino di riprodurre nel palazzo imperiale l’immagine di una chiesa, Teodosio II era esaltato per averlo trasformato in un asceterio, e per aver reso persino l’ippodromo un luogo di culto, guidando il popolo in inni solenni a Dio39. Anche Sozomeno echeggiò Eusebio, per dimostrare che Teodosio rivaleggiava quasi in ogni campo con Costantino: nell’attività letteraria, prodotta o giudicata con competenza40; nella dedizione alle armi e agli esercizi fisici, che egli affiancava a un’incessante attività di giudice e legislatore41; nello studio notturno condotto con rigore, ma senza impegnare il lavoro dei servitori42; nella filantropia che si esprimeva come dolcezza verso i più umili43; nell’amore per la saggezza, che lo rendeva superiore allo stesso Salomone, più di quello sapendo opporre alla mollezza il principio della temperanza44; nel dominio su se stesso, che lo aveva reso autocrate, padrone degli uomini, ma pure delle passioni dell’anima e del corpo45; e infine per quella pietas che, manifestandosi come filantropia, coraggio, moderazione, capacità di giustizia, liberalità e grandezza d’animo, aveva fatto sì che Teodosio II superasse in virtù ogni altro sovrano46.
Al centro dell’attività di Costantino, tuttavia, rimaneva l’organizzazione del grande concilio, in cui i vescovi, pure allora in disaccordo e molto litigiosi, avevano espresso un credo unanime47. È abbastanza ovvio che tutti e tre gli storici niceni valorizzassero l’impegno di Costantino a Nicea, ponendolo idealmente in relazione con l’imponente attività conciliare intrapresa da Teodosio II48. Sozomeno, anzi, lo rese momento discriminante nel comportamento di Costantino, il quale si sarebbe mantenuto fedele alle sue delibere dottrinali, nonostante le astuzie ariane49. Si potrebbe perfino pensare che lo scholasticus, giurista e avvocato a Costantinopoli dopo il 425, non fosse estraneo all’elaborazione di quei passi della lettera con cui l’imperatore convocò il primo concilio di Efeso il 19 novembre 430. Vi affiorano le stesse preoccupazioni espresse da Costantino di fronte alla controversia donatista: una Chiesa divisa avrebbe richiamato l’ira divina sui sudditi e sullo stesso imperatore, alle cui cure Dio aveva affidato il governo di tutte le cose terrene, perché rendeva l’Impero non accetto a Dio50. E come Costantino aveva ritenuto che solo un pieno concilio di vescovi avrebbe avuto l’autorità di determinare quale fosse la vera dottrina51, così Teodosio II affermò che il concilio avrebbe annullato tutte le riunioni private tenute in precedenza e avrebbe deciso sulla vera fede con nuova concordia52.
D’altra parte Teodoreto, avendo personalmente sperimentato il cambiamento di Teodosio II all’indomani del primo concilio (quando tutte le parti si riunirono di nuovo a Calcedonia nell’autunno del 431 e l’imperatore assunse un ruolo attivo, presiedendo a ogni discussione53), esaltò in Costantino colui che aveva convocato i vescovi a Nicea, ma precisò anche – unico tra gli storici ecclesiastici – che quegli era intervenuto al concilio solo dopo aver chiesto ai vescovi il permesso di sedere in mezzo a loro54. Pochissimi anni prima, d’altronde, anche lui probabilmente in reazione al nuovo attivismo religioso manifestato dal suo imperatore, Sozomeno riservò alcuni cenni alla sepoltura di Costantino, per ricordare che il corretto rapporto tra vescovi e imperatori era quello già indicato dal Crisostomo e da Ambrogio55.
Gli storici niceni non riuscirono a evitare che Teodosio II (come del resto lo stesso Costantino), una volta coinvolto nelle questioni dottrinali, finisse per appoggiare un fronte in cui l’unanimità era provocata solo dal sostegno ricevuto dall’imperatore, in modo del tutto contingente. Essi avevano tuttavia recuperato alla prospettiva nicena un imperatore, che nel frattempo mostrava di agire come potente modello anche per gli altri membri della dinastia. Lo conferma il primo viaggio dell’Augusta Eudocia in Palestina (ove poi si ritirò dal 443 fino alla morte nel 460), che sembra collocabile intorno al 438-43956, e la sua imponente attività edilizia nella regione57. Anche il ritrovamento dei quaranta martiri di Sebaste da parte dell’Augusta Pulcheria, del quale lo stesso Sozomeno si dichiarò testimone autoptico, fornendo la cronologia dell’evento nei primi anni del patriarcato di Proclo (443-446), aveva indubbia caratterizzazione costantiniana58.
La cronologia dei recuperi storiografici costantiniani sembra dimostrare che, ancora tra il 429 e il 438, fare della legislazione di Costantino il punto di avvio del Codice Teodosiano costituisse una sorta di scommessa politico-culturale. Implicando invero un dibattito acceso, si concretizzò in una scelta complessa: la commissione del Teodosiano non la subì ma cooperò a consolidarla. Acquisire Costantino quale primum legislativo, infatti, se riflette l’attenzione che i suoi membri riservavano al contemporaneo59, esprime anche la consapevolezza del lungo e articolato processo – condotto tra rimozioni, adattamenti, selezione di temi ed eventi del passato – attraverso il quale l’immagine del primo imperatore cristiano era cresciuta nel corso del secolo precedente: fu opera dei compilatori del Codice Teodosiano anche il recupero antiquario e selettivo di tale tradizione60.
Un secondo tipo di motivazioni è stato addotto per spiegare perché i compilatori del Codice Teodosiano avrebbero deciso di aprire la raccolta con la normativa di Costantino: dato l’ordine di raccogliervi le sole costituzioni di carattere generale, quella scelta era in certo senso obbligata, perché Costantino era stato il primo a servirsi estensivamente della lex generalis, quando ancora Diocleziano aveva riservato l’editto ai soli provvedimenti di carattere pubblico, rimanendo ancorato al modello tradizionale dei rescritti in riferimento al diritto privato61. In altri termini, per i compilatori del Codice Teodosiano sarebbe stato inevitabile iniziare con le leggi di Costantino, in quanto erano quelle le prime leggi generali in senso proprio.
Sull’idea che Costantino avesse inaugurato un nuovo rapporto imperatore-legge sono state avanzate riserve di vario tipo. In base alle fonti conservate, la maggioranza dei rescritti dioclezianei è anteriore al 295 d.C., mentre tale tipo di emissioni diminuì fortemente nel decennio successivo, cosicché la svolta, seppur si debba considerare tale, dovrebbe essere anticipata a età dioclezianea. Costantino, inoltre, più che esprimere preferenza per le leggi generali, manifestò aperta ostilità per l’uso che, nei processi, si faceva dei rescritti imperiali indirizzati a privati, dal momento che questi ultimi erano spesso citati anche per risolvere casi diversi da quelli per i quali erano stati emanati. Proprio l’attenzione a reprimere tale malcostume, peraltro, confermerebbe che quel tipo di emanazioni non si era arrestato durante il suo regno. In generale, poi, il declino dei rescritti casistici a partire da Costantino potrebbe essere una mera impressione provocata dalla natura delle fonti, perché per l’età dioclezianea si sono conservate quasi solamente collezioni private di rescritti imperiali (il Codice Gregoriano ed Ermogeniano), mentre per il periodo successivo abbondano le leggi generali, essendo esse le uniche raccolte nel Codice Teodosiano62.
L’insieme delle obiezioni sollevate all’idea che Costantino avesse espresso un modo nuovo di concepire la legge e il rapporto tra potere normativo imperiale e diritto, nonostante il considerevole apporto dato alla discussione, non è tale da pregiudicare la convinzione che egli abbia effettivamente rappresentato una svolta. Alcuni dati sono infatti inoppugnabili: l’espressione stessa di lex generalis, assente nella produzione normativa di Diocleziano, appare per la prima volta in una costituzione costantiniana del 32163 e già il 1° dicembre 312, dopo la vittoria su Massenzio (28 ottobre), Costantino si era espresso contro i delatori con i toni propri di una lex generalis, pur senza definirla tale64. Quanto poi all’opinione che l’imperatore fosse l’unica fonte del diritto, Costantino condannò come insopportabili le interminabili dispute degli antichi giuristi, aggiudicandosi piena autorità per stabilire quale opinione giurisprudenziale dovesse essere seguita65. Anche qualora il drastico ridursi dei rescritti e il concomitante consolidarsi – nell’espressione e nella forma – della lex generalis apparissero tali solo a causa dei criteri selettivi attuati dai compilatori del Codice, la sostanza del discorso resterebbe invariata. L’ordine di Teodosio II di riunire solo le leggi generali partendo da Costantino e i risultati operativi dei commissari, che non giunsero mai a produrre il secondo Codice progettato, confermano che nel corso di un secolo il valore della lex generalis si era affermato rispetto ai rescritti casistici e che, intorno alla metà del V secolo, la produzione di Costantino era percepita nel segno della svolta. Furono semmai i compilatori del Codice, dunque, i primi ad avere l’impressione che proprio quel principe avesse assegnato un ruolo nuovo alla constitutio principis, conferendole un significato specifico anche in ordine alla produzione di nuovo diritto.
I rescritti naturalmente non erano scomparsi del tutto durante il regno di Costantino, perché l’imperatore non aveva cessato di occuparsi delle richieste dei privati. Era fatto totalmente nuovo, però, la volontà di controllo manifestata da quell’imperatore e la sua propensione a generare leges generales anche da casi specifici. In tal senso proprio l’esempio della produzione legislativa di Valentiniano I fornisce il senso della cesura operata da Costantino. Che quell’imperatore facesse mostra di creare nuove leggi mentre semplicemente ribadiva istituti e norme preesistenti, o che presentasse molte disposizioni, emanate su sollecitazione di funzionari o privati, nella forma di leggi generali66, conferma come la novità operata da Costantino, in prosieguo di tempo, costituisse la cifra di un mutamento irrevocabile.
Lo stile di governo altoimperiale – che per le fonti conservate pare improntato a un carattere esclusivamente reattivo, anche qualora avesse già inevitabilmente associato forme di concreta programmazione dal centro – mutò in conseguenza del nuovo approccio che l’imperatore mostrò di avere verso gli imperativi di governo. Le esigenze dei sudditi non furono disconosciute, ma furono regolate in base al loro carattere, cosicché solo se il soddisfarle poteva assumere valenza generale generava nuove leggi imperiali, essendo queste ultime, a loro volta, fonte di diritto. Tale modo di concepire la legge, diverso da come fino ad allora era stato immaginato, unitamente ad altri fattori di cui era riflesso e insieme causa, provocò quella modifica di atteggiamento che, nel quadro di una apparente continuità, costituì il proprium di un’epoca: epoca già diversa a partire da Costantino, del tutto nuova sotto il regno di Teodosio II.
Si dovrebbe peraltro, anche in questo campo, attribuire ai compilatori del Teodosiano una preparazione maggiore di quanto non si riconosca loro. Costantino aveva inaugurato una svolta, ma la nuova concezione del rapporto principe-legge, che aveva espresso con la sua spregiudicata attività normativa, non si era affermata senza vivaci dibattiti. Non appena la consuetudine di emanare leges generales e d’incidere direttamente sulla sostanza del ius si fu consolidata nella pratica dei successori di Costantino, retori e filosofi politici tornarono a riflettere sulla natura della regalità e i suoi rapporti con la legge. La riflessione greca era stata da sempre dominata da un’aporia: per essere veramente sovrano, il re non avrebbe dovuto essere sottomesso a nulla, neppure alle leggi, ma perché il suo potere fosse legittimo avrebbe dovuto da quelle essere limitato67. Il compromesso morale escogitato da Dione Crisostomo – per cui l’imperatore non doveva rendere conto a nessuno ma s’imponeva lui stesso di seguire la legge68 – riaffiorò nelle esortazioni di Libanio a Costanzo II e Costante («cosa c’è di più grande, quando si è signore della Legge, di farla signora di voi stessi?»69), nonché in quelle di Sinesio di Cirene ad Arcadio («la legge fissa la condotta di vita del re, per il tiranno invece è la sua condotta che fa legge»)70.
Il pensiero cristiano, che da quello biblico ereditava una visione trascendente del potere regale («Mosè è Legge vivente»71), d’altra parte, non esitava a rappresentare Cristo come ‘Legge vivente e presente’72, cosicché Temistio, annullando le sfumature mantenute dai teorici di un regime imperiale contenuto nei limiti di una legalità repubblicana – in base ai quali il principe era un magistrato, guardiano della legge e non signore di quella –, optò per la formula del sovrano nomos empsuchos, dotato di un potere ispirato e legittimato da un intervento soprannaturale73, in grado di comandare alla legge e ‘calmarne l’ira’ con la propria filantropia74. Non si trattava più di raccomandare al principe la clementia, bensì si riconosceva al sovrano – sulla scia di quanto Costantino aveva proclamato nelle sue costituzioni – il potere di correggere la legislazione esistente e di stemperare la rigidezza del diritto per adattarlo alla realtà sociale75. I preamboli delle Novellae di Giustiniano testimoniano il livello di consapevolezza raggiunto dalla cancelleria imperiale nel definire il piano ‘altro’ della legalità, su cui il sovrano nomos empsuchos era situato in relazione al potere di mutare la legge in principio sovrana76: per il re, che aveva ricevuto da Dio una missione provvidenziale, reggere il mondo significava salvarlo con un atto legislativo permanente77. Il medesimo concetto, d’altra parte, era già compiutamente sintetizzato nella celebrazione epigrafica di Valentiniano I «padrone delle leggi romane, rettore della giustizia e dell’equità»78.
Sia che i membri della commissione del Codice Teodosiano avessero scelto di risalire alla produzione costantiniana convinti di dare un’impronta saldamente cristiana alla loro raccolta, sia che lo avessero fatto anche per motivi squisitamente tecnici, la loro decisione era lungi dall’esaurirsi nel contesto della contemporaneità. Essa rinviava al lungo processo, fatto di discontinuità e contrasti, attraverso il quale la percezione di Costantino era maturata come modello di scelte religiose, non meno che di innovazioni legislative. Lo si può constatare verificando, nelle leggi che i commissari raccolsero, quanto spesso, da quali principi e con quali epiteti Costantino fosse citato. Sebbene l’indagine si basi su dati parziali, frutto di una scelta dei compilatori i cui criteri sfuggono, l’analisi delle occorrenze, soprattutto al confronto con l’alterna tradizione letteraria sul primo imperatore cristiano, permette di cogliere i momenti chiave della fortuna e della sfortuna di Costantino quale conditor legum nel corso del secolo successivo, fino al momento in cui Teodosio II decise la composizione del Codice.
A partire dal 339, almeno una volta insieme con Costante, poi con maggiore frequenza dopo il 350 da imperatore unico, Costanzo II ricorse all’autorità della legislazione paterna per intervenire in vari settori: per ricordare a pretori e questori l’obbligo di risiedere a Roma ed espletare l’incombenza dei giochi, regolamentando gli interventi del fisco in tale settore79; per dare forza al divieto dei sacrifici80; per confermare i privilegi dei chierici, compresi i chierici mercatores81; per intervenire sul tema delle donazioni tra estranei82; per chiarire quali appelli fossero da rigettare, in questo caso inserendo ampi stralci da una delle due leggi che suo padre, clemens conditor, aveva emanato su tale soggetto83. Costantino è richiamato con epiteti che, dalle formule molto abbreviate (divi principis legem, o iuxta leges venerabiles divi) utilizzate nei primi anni dopo la successione, si fanno più precise dopo il 354 (divi principis, id est parentis nostri, ovvero divi principis, id est nostri statuta genitoris, ovvero clemens conditor). In definitiva, solo in sei costituzioni Costanzo II dichiarò di rifarsi alle venerabiles leges paterne. Di queste non sono riportate nel Codice proprio quelle di soggetto religioso: le medesime che, almeno nella prospettiva esegetica moderna, investivano questioni di importanza centrale per la regolamentazione delle pratiche cultuali pagane e nella definizione dell’identità fiscale delle varie figure della gerarchia ecclesiastica. Il dato pare interessante, per quanto resti difficile capire se tali assenze siano frutto dell’attività dei compilatori del Teodosiano, i quali omisero tutte le leggi di Costantino che fossero deducibili da altre dello stesso tenore (applicando poi tale principio in modo discontinuo), ovvero siano dovute alla eccessiva fiducia di Costanzo II nell’accogliere le petizioni di sacerdoti e vescovi, che riportassero una disposizione costantiniana a suffragare la propria richiesta, esentando i suoi quaestores dal verificare l’esattezza dei riferimenti legislativi.
La confidenza di Costanzo II nel conformarsi alla produzione paterna non fu condivisa da Giuliano imperatore. Attorniato da una équipe di amici-consulenti, interessati a dibattere anche nei suoi aspetti teorici natura e funzione del potere, egli tentò di realizzare un disegno politico di risanamento amministrativo informato ai valori etico-religiosi tradizionali. In molti casi, dunque, egli ebbe a confrontarsi con gli interventi di Costantino, derivandone l’impressione che quegli era stato un «novator turbatorque priscarum legum et moris antiquitus recepti»84. Solo due delle costituzioni, con cui Giuliano si accinse a cancellare le leggi dell’avo, sono conservate nel Codice Teodosiano: perché sfuggirono ai compilatori poco attenti, ovvero perché da loro lasciate come specimen antiquario dell’attività abrogatoria dell’imperatore apostata. Entrambi gli interventi di Giuliano aboliscono le costituzioni di Costantino al fine di ripristinare l’antiquum ius, quel vetus ius che Costantino, «condenda urbe formandisque religionibus [...] simul novando militiae ordine»85, aveva costantemente aggiornato perché rispondesse ai suoi principi di giustizia ed equità86. Fu così abolita la dilazione in precedenza accordata ai litiganti, perché essi utilizzavano le motivazioni individuate da Costantino – il risiedere in diversa provincia e sotto diverso governatore – come pretesti per protrarre il processo87; e venne revocato il diritto delle spose ancora minori di vendere i propri beni con il solo consenso del marito, senza quell’autorizzazione delle curie o del giudice che Giuliano, invece, intese ripristinare88.
Le reliquie dell’attività legislativa di Giuliano confermano che il suo gruppo di lavoro aveva un preciso progetto operativo. Non ne fu estraneo Eutropio, a dire del giudizio che egli espresse sulla natura delle leggi costantiniane: «multas leges rogavit, quasdam ex bono et aequo, plerasque superfluas, nonnullas severas»89. Per quanto accorta fosse la formulazione, non resta celata l’idea che Costantino avesse innovato e trasformato, senza apportare miglioramenti90. Tale opinione andava oltre l’isolata percezione di quello storico. Non diversamente dal novando militiae ordine di Aurelio Vittore, al confronto con il novator turbatorque priscarum legum giulianeo, il parere espresso da Eutropio conferma che proprio Giuliano aveva avviato una valutazione negativa dell’opera di Costantino, con esplicito riferimento all’attività legislativa91.
Il parere espresso in ambiente giulianeo non fu condiviso dai compilatori del Codice Teodosiano. Nel vagliare la massa di leggi da raccogliere e ordinare, essi decisero di escludere quasi tutte le costituzioni di Giuliano, molte delle quali erano state subito cancellate dai successori, e seguire le indicazioni che venivano loro dalle leggi di Valentiniano I e Valente. In queste ultime, infatti, compare più del doppio dei riferimenti a Costantino reperibili nelle costituzioni di Costanzo II92 e in massima parte, data la città di emissione, essi risalgono a Valentiniano I. Costui applicò estensivamente la consuetudine inaugurata da Costantino, sì da destinare ad applicazione generale anche semplici istruzioni talora impartite in forma epistolare e in via meramente amministrativa, come indicano le trentasei costituzioni inviate a Mamertino, praefectus praetorio Italiae, Illyrici et Africae nel 364-36593. Una di queste, mandata da Aquileia, stabiliva le modalità per la formulazione e l’inoltro delle petizioni dei provinciali e delle città. Siccome dello stesso argomento Valentiniano I si era occupato già a Serdica, nel viaggio da Philippopolis a Naissus, si ha l’impressione che egli volesse rafforzare il valore normativo di quell’emissione – che era in sostanza una nota d’ufficio – proprio con il riferimento a Costantino94. Non è conservata nel Codice una costituzione di quel sovrano, che tratti esplicitamente tale materia. Una legge indirizzata a Basso, tuttavia, aveva stabilito che i decreti dei provinciali (risultato delle delibere dell’assemblea in cui le petizioni erano votate) dovessero essere inviati a corte solo dopo che il governatore di provincia li avesse esaminati e approvati con sua astructio95. A questa, dunque, sembrerebbe alludere il quaestor del 364, il buon pannone Vivenzio, apprezzato anche da Quinto Aurelio Simmaco per l’efficienza della sua amministrazione96.
Valentiniano I amò riferirsi a Costantino non solo per il tono generale che volle imprimere persino a semplici istruzioni amministrative, ma anche per legittimare la prassi attuata all’inizio del regno di varare in Occidente provvedimenti che trasmetteva anche in Oriente. Nella subscriptio di Cod. Theod. VI 4,18 (data accepta 28 iun. 365), infatti, si dà atto che essa è stata accepta a Costantinopoli, sebbene fosse destinata a un magistratus urbis Romae (Volusianum, praefectum Urbis), come meravigliandosi sottolineò Theodor Mommsen97. Il primo dei due frammenti, in cui questa ampia legge fu spezzata98, ribadiva l’obbligo dei magistrati di rango senatorio di essere presenti in città per l’«editio munerum sive ludorum», sotto sanzione del pagamento di una certa quantità di grano (multa frumentaria). La lex divae memoriae Constantini, che Valentiniano I dichiarava di voler mantenere fixa atque inviolabilis, doveva essere la medesima richiamata in due costituzioni di Costanzo II (Cod. Theod. VI 4,3 e 7): non è conservata, forse perché quelle la presuppongono.
Rispetto alle costituzioni sui navicularii, sui questori, sui problemi successorii o altro, emanate negli anni 364-367, ove Costantino è richiamato come divus Constantinus o divae memoriae Constantini, ovvero divalis memoriae Constantini, in due costituzioni del 370 Costantino è citato come divinus parens noster: quella relativa alla elezione dei pretori, datata con il consolato imperiale senza iterazione, fu con certezza emanata nel 37099; l’altra sui pistores è di data incerta. Essendo indirizzata «ad Claudium proc(onsulem) Afric(ae)», non può risalire al dicembre 365, essendo quel proconsolato collocabile a partire dalla seconda metà del 368 e, con certezza, dal 2 febbraio 369100. Potrebbe essere dunque della fine del 368 come suggerito, qualora però negli ultimi mesi di quell’anno Claudio avesse già sostituito nella carica il precedente proconsole101. Tuttavia, solo a partire dal 371 a Petronio Claudio successe Sesto Rustico Giuliano e, poiché l’espressione parens noster in riferimento a Costantino non sembra attestata nelle costituzioni valentinianee né prima né dopo il 370, sembrerebbe questo l’anno più probabile di emissione102.
Si ha, infatti, l’impressione che la cancelleria di Valentiniano I abbia adottato quell’epiteto in seguito alle nozze di Valentiniano I con Giustina, contratte a coronamento di una serie d’iniziative volte ad assicurare un saldo profilo dinastico al regno, quali l’elevazione ad Augusto di suo figlio Graziano (24 agosto 367), di soli otto anni, e la grande spedizione transrenana del 368. Figlia di Giusto, Giustina era nipote di Costanzo II da parte materna, cosicché Valentiniano I dovette ritenere, come già Magnenzio nel 350, che i legami con i Costantinidi assicurati da quel nuovo matrimonio avrebbero definitivamente consolidato il suo regno103. La data di tale matrimonio non è certa, ma il terminus ante quem è significativamente dato dalla nascita di Valentiniano II nel 371104. Fu dunque probabilmente in seguito alle nozze stipulate nel 369/370 che Valentiniano I si sentì autorizzato a chiamare Costantino parens noster come nelle due costituzioni del 370, enfatizzando con quell’epiteto la sua nuova collocazione nella discendenza costantiniana.
La scrupolosità dei quaestores di Valentiniano I, del resto, è nota: nella costituzione del 369, infatti, Costantino è definito ancora semplicemente divus Constantinus. Il questore che materialmente l’aveva elaborata era Flavio Euprassio, lo stesso che sfidò l’ira di Valentiniano I confermando l’esistenza di una legge, che quegli negava di aver emanato, in appoggio del legato senatorio Vettio Agorio Pretestato105. Nel 369, citando la legge di Costantino, il questore ne ricordava il destinatario («ad Bassum praefectum praetorio emissa») e mostrava di averla consultata prima di darle nuovo vigore, spiegando (quasi memore delle polemiche suscitate in questo ambito da Giuliano) che Costantino non aveva scardinato il ius antiquum, ma lo aveva semplicemente addolcito: per questo la sua costituzione poteva essere «comprovata»106. Alle Constantinianae leges Valentiniano I si richiamava infine anche nel 371, per rivedere parzialmente («temperare») i diritti testamentari dei figli naturali107.
Dall’indagine condotta si ha l’impressione che lo spoglio delle costituzioni di Valentiniano I fosse stato decisivo nel convincere i compilatori del Codice Teodosiano della grande autorità legislativa che Costantino aveva rivestito presso i successori. Il sovrano pannone, annullando o modificando i provvedimenti giulianei ancora in vigore, aveva convalidato molte delle proprie emissioni richiamandosi a Costantino sia nella forma (delle leges generales), sia per i temi con più frequenza affrontati. Non diversamente fece suo figlio Graziano, soprattutto allorché si trovò a emanare disposizioni di qualche complessità per dipanare casi di competizione politica e/o religiosa. Rivolgendosi nel 377 quasi sicuramente a un vicario d’Africa per vietare l’iterazione del battesimo108, egli richiamò la fede dei Vangeli e degli Apostoli, nonché la traditio incorrupta che la legge dei suoi parentes – Costantino, Costanzo e Valentiniano I – aveva conservato. Il riferimento è tanto più interessante in quanto Valentiniano I, emanando nel 373 un’asciutta interdizione in cui aveva definito indegno del sacerdozio chi avesse somministrato un secondo battesimo, non aveva citato alcuna legge precedente109. Graziano invece, di fronte alle intemperanze degli scismatici donatisti (accusati allora di parteggiare per i mauri, in rivolta contro Roma)110, rafforzò il divieto con richiami che, nel secco tono legislativo, finivano per porre sullo stesso piano statuizioni legislative (peraltro non conservate) e generiche prescrizioni evangeliche111.
Con l’intento di estendere ai navicularii (armatori di navi, fondamentali per l’approvvigionamento dell’Urbe) il privilegio di sottrarsi alla tortura e ai castighi corporali in caso di procedimento giudiziario nei loro confronti – beneficio che era proprio degli honestiores –, la cancelleria di Graziano dichiarava d’ispirarsi alla provida sanctio della legge costantiniana, che avrebbe loro conferito l’ordine equestre: conferimento probabile ma non attestato, laddove la maggior parte degli equites da Costantino in poi aveva acquisito il rango senatorio112. Ugualmente finalizzata a suffragare procedure nuove o da ripristinare sembra essere la citazione di Costantino nella costituzione con cui Graziano confermò i poteri di esazione e di appello della prefettura urbana sulle province suburbicarie. Il provvedimento, variamente interpretato, si chiarisce se collegato con i problemi dell’approvvigionamento dell’Urbe e con il conferimento ora al prefetto urbano, ora al prefetto al pretorio di maggiori o minori responsabilità in tale ambito, anche in relazione al prestigio dei personaggi che ricoprirono di volta in volta quegli uffici (e non meno al potere reale d’incidere sui rifornimenti urbani)113. Nel 382 ne era beneficiario il prefetto urbano Anicio Auchenio Basso, nativo e patrono di Benevento, celebrato come «restitutor generis Aniciorum» (di cui Probo era elogiato quale culmen: «Anicianae domus culmen»), già «proconsul Campaniae», capace di garantire regolarità nei rifornimenti urbani grazie alla rete vastissima delle sue clientele suburbicarie114. Il costume che in suo favore si preservava poteva senz’altro essere ‘antico’: la legge è però assente nel Codice Teodosiano, mentre l’impressione generale è che, a partire dall’ultimo ventennio del IV secolo, molti interventi furono fatti risalire ai provvedimenti amministrativi di Costantino, soprattutto qualora introducessero variazioni di rilievo nell’attribuzione di fasci di poteri vitali nella gestione dell’Impero.
Sono solo tre le costituzioni di Teodosio I che menzionano il «divus» Constantinus: un numero esiguo, al confronto con i richiami presenti nelle leggi di Valentiniano I e Valente, che rimanda al sinuoso andamento della notorietà di Costantino tra il 364 e il 395. Durante il regno di Valentiniano I e Valente, per il convergere di vari motivi, i giudizi espressi su quel principe furono di formale imparzialità o velato distacco, come quelli di Eutropio e Aurelio Vittore, ma furono anche volti a suscitare ammirazione, per esempio in quanto modello di Valente nell’attività politico-militare precedente la campagna gotica e per l’organizzazione della campagna persiana, come in Festo115. La stessa operetta di Lucio Avianio Simmaco, una sorta di de viris illustribus o de imaginibus prodotta verso la fine del regno di Valentiniano I, se letta secondo parametri che la colleghino con i coevi tituli epigrafici, innalzati in onore di alcuni prestigiosi membri dell’aristocrazia senatoria116, e con le iscrizioni della corona podii del Colosseo117, spinge a ritenere che intorno al 370 il Senato romano guardasse positivamente all’operato di quel principe, consapevole degli effetti avuti dalla riforma degli ordini sulle potenzialità di carriera garantite al ceto aristocratico118. Durante il regno di Teodosio I, invece, alla neutralità di Ammiano, quale traspare dai riferimenti a Costantino nelle parti restanti dell’opera119, corrispose il riaffiorare della condanna del suo operato, cosicché in Oriente, attraverso Eunapio, prese a circolare l’assimilazione Costantino-Teodosio in senso fortemente negativo120.
I tre riferimenti a Costantino reperibili nelle leggi di Teodosio I sono tutti in relazione all’annona della capitale orientale, la cui organizzazione varie fonti (ma in assenza delle leggi costantiniane) fanno risalire al fondatore della nuova città121. È molto probabile che in vari momenti essa andasse soggetta ad abusi, sì da necessitare precisazioni normative che la riconducessero a proporzioni sostenibili. Qualcosa del genere deve essersi verificato durante il regno di Teodosio I, profittando dell’assenza dell’imperatore in Occidente. Delle due costituzioni rivolte a Proculo, prefetto della città dal 388 al 392122, infatti, la prima accorda alle «scholae scutariorum et scutariorum clibanariorum» il ripristino dello stesso ammontare di razioni annonarie che quelle truppe sostenevano di aver ottenuto da Costantino, ma che nel tempo era gravemente diminuito a causa dei comportamenti, in questo testo dichiarati illeciti, di quanti o avevano venduto la loro tessera come fosse personale (anziché propria della schola), ovvero l’avevano trasmessa quasi come un bene ereditario123. La seconda, che si riferisce alle «annonae civicae» (o «publicae», nella ripresa di Cod. Iust. XI 25,1), interviene a rettificare la prima, apparentemente sulla base di una verifica di quale fosse stato il diritto stabilito da Costantino: a adseruntur della prima costituzione corrisponde il sat claruit della seconda, per spiegare che quell’imperatore aveva donato pani individuali, secondo il merito dei singoli, i quali avevano potuto legittimamente trasmetterle in eredità e persino alienarle ad altri124.
Senza entrare nel merito di una questione molto complessa, non essendo conservate le costituzioni in base alle quali Teodosio I, nel giro di pochi anni, fu indotto a legiferare secondo un principio opposto, si ha l’impressione che, in più occasioni, ci si richiamasse a Costantino quale autore di importanti istituti civici, senza certezza documentaria di un suo intervento normativo. La cancelleria imperiale cedeva alle pressioni di individui o gruppi, avallando spesso senza verificare la matrice costantiniana della norma che si chiedeva all’imperatore di ripristinare. Infatti, una delle due interpretazioni che i funzionari di Teodosio offrirono del corretto possesso delle annone civiche, richiamandosi alla generosità di Costantino, era del tutto arbitraria. Unica certezza ricavabile dalle costituzioni conservate è che, in epoca teodosiana, prevalse un’esegesi che tendeva a considerare legale la trasmissione ereditaria e la vendita dei diritti annonarii garantiti nel passato.
In tal senso si espresse anche la costituzione rivolta ad Aureliano, prefetto urbano di Costantinopoli nel 393125, che interveniva a regolare la concessione del «panis medium», una gratifica offerta per favorire la costruzione di case a Costantinopoli (se solo domus ovvero insulae resta incerto126). Nel 364 si era vietato che, in caso di vendita degli immobili, quei pani «seguissero le case», al fine di contrastare una tendenza ritenuta abusiva127. Nel 393, invece, Teodosio I stabilì che se la generosità di Costantino e Costanzo II aveva concesso ad alcuni proprietari di case costantinopolitane delle quote annonarie che essi avevano trasmesso ai loro eredi o trasferito per compravendita a terzi, tali quote sarebbero state distribuite secondo la procedura ordinaria: veniva dunque revocata la disposizione della legge del 364 e all’annona aedium era conferito il carattere di una rendita trasmissibile128. Quella presente in questa legge, tuttavia, è l’unica attestazione che permetta di riferire l’istituzione anche del panis aedium a Costantino: e il riferimento è tanto più sospetto, in quanto le concessioni costantiniane vi sono confermate in contrapposizione a quelle elargite da Proculo, il prefetto urbano che il destinatario di questa legge aveva sostituito nel 393, dopo la sua esecuzione in conseguenza della caduta in disgrazia del padre Taziano129. Il contesto di emissione della legge, in un quadro di faide politiche ben documentato da Eunapio e Zosimo, ma trascurato dagli studi rivolti al sistema annonario di Costantinopoli, sembrerebbe indicare la pura strumentalità del riferimento a Costantino. A quest’ultimo, peraltro, ancorò la propria ordinanza anche Teodosio II nel 416, per vietare che fosse fornito frumento anziché annona («in pane cocto») a quanti erano autorizzati a ricevere «panis medium», ricordando il «canon ab inclytae memoriae Constantino praestitutus», che il suo avo (con evidente riferimento alla legislazione varata per Costantinopoli da Teodosio I) aveva aumentato130.
Uso non diverso della normativa di Costantino fu fatto da Onorio, il quale ritenne opportuno citarne le costituzioni persino in presenza di ordinanze più recenti di suo padre: per rendere più solide le regole di successione testamentaria131; per intervenire sulla trasmissione dell’eredità ai figli naturali132; ovvero per mantenere il termine di un quinquennio alla prescrizione del possesso di una proprietà fiscale133. Del resto anche Valentiniano III, su soggetti quale l’usufrutto e la legittima eredità dei beni materni, amò riferirsi a Costantino134, i cui provvedimenti in alcuni settori specialmente furono riguardati come vincolanti. Uno di questi fu la regolamentazione dei diritti dei navicularii. Nel 396 Onorio citò una legge costantiniana, che dichiarava di confermare solo in parte, conservando ai grandi armatori l’antica concessione di vendere al mercato libero il grano fiscale, mentre il tempo a disposizione per produrre le ricevute nei luoghi dove era avvenuta la susceptio era ridotto a un anno e il biennio fissato da Costantino continuava a essere previsto solo nel caso di viaggi invernali135. Manca, pure in tal caso, la costituzione di Costantino, ma poiché un lasso di tempo di due anni è riaffermato anche in una legge del 392136, è probabile che esso fosse stato realmente fissato, subendo poi delle fluttuazioni137. Era inevitabile che le disposizioni di Costantino avessero ricevuto aggiustamenti in più di un cinquantennio. Nel caso in esame, i tempi della consegna delle ricevute e della denuncia di naufragio furono probabilmente limitati in relazione alla lunghezza del viaggio di andata e ritorno (un anno se a Roma, due se a Costantinopoli). Data l’autorità assunta dalle statuizioni costantiniane, esse tuttavia erano invocate per annullare restrizioni temporali, modificare interventi successivi, ottenere privilegi mai concessi. Nel 412, infatti, di nuovo fu fissato a un biennio il tempo a disposizione per la denuncia e l’accertamento del naufragio indipendentemente dalla distanza che i navicularii dovevano percorrere, ed era citata una vetus lex che si riferiva probabilmente a Costantino138.
Nel 397 in Oriente, nel confermare ai vari membri della gerarchia sacerdotale giudaica (dai patriarchi di rango illustris ai semplici presbiteri) le varie esenzioni di cui già godevano, Arcadio citava la ‘divina’ decisione di Costantino, Costanzo II, Valentiniano e Valente. Mentre tuttavia è certo che il primo avesse accordato tali privilegi139, le costituzioni degli altri principi non sono attestate; Graziano, inoltre, aveva abolito nel 383 l’esenzione dai carichi curiali per i giudei140, tantoché Onorio (questa volta mostrando di non conoscere la statuizione costantiniana) dovette affermare che la legge di Arcadio non valeva per l’Occidente141. Di nuovo, nel 415, per punire il patriarca Gamaliele (accusato di una colpa non dichiarata), privarlo del rango di illustris e della facoltà di esercitare un arbitrato anche tra i cristiani142, Teodosio II ordinò che, secondo la legge di Costantino, gli schiavi cristiani di cui fosse in possesso dovessero essere ceduti alla Chiesa143. Costantino aveva emanato varie leggi sugli schiavi di altre confessioni sottomessi a proprietari giudei, tantoché il tema era trattato anche nella Vita Constantini: l’ingiunzione, tuttavia, era stata (a ogni apparenza) di liberarli, non di attribuirli alla Chiesa144. Uguale imprecisione, su altra materia, Teodosio II aveva mostrato un decennio prima, dichiarando di corroborare la sanctio del glorioso imperatore Costantino, quando intervenne contro i latori di petizioni inopportune che venivano assimilati a delatori. La legge evocata non è contemplata nel Codice, ma si potrebbe persino supporre, data la sciatteria dei riferimenti, che la cancelleria pensasse genericamente alla legislazione costantiniana contro i delatori145.
Non sono conservate neppure le costituzioni di Costantino e Costanzo II richiamate da Teodosio II al momento di stabilire nuove esenzioni dalla collatio glebalis o follis, che Zosimo assicurò essere stata istituita da Costantino146. Si trattava di una sopratassa ordinaria sulla terra147, che rappresentava un carico trascurabile per i senatori più ricchi, ma fu avvertita come esosa, man mano che l’ordine si espandeva, provocando ripetuti esoneri. Nel 428, oltre a precisare la lista degli esenti fra gli impiegati civili a riposo, fu concesso ai principali impiegati delle largitiones e della res privata di rinunciare al rango senatorio, piuttosto che pagare la tassa. Teodosio II citò, per quest’ultima disposizione, le costituzioni dei divi Costantino e Costanzo II, ma il primo intervento in tal senso sembra essere stato quello di Teodosio I, per un gruppo ben specifico148.
Dopo il gran numero di riferimenti a Costantino presente nelle leggi di Valentiniano I, da Graziano a Teodosio II la media dei richiami alla legislazione di quel principe supera i tre di Teodosio I e Teodosio II solo con Onorio (quattro), scende a due con Valentiniano III e a uno con Arcadio, a prescindere dalla lata allusione nella cosiddetta legge delle citazioni e dall’aperta indicazione contenuta in quelle preparatorie e istitutive del Codice Teodosiano. Il quadro che ne deriva concorda appieno con la fluttuante tradizione letteraria in cui, negli stessi periodi in cui si accentrano o diminuiscono i richiami legislativi, furono date opinioni ora favorevoli ora critiche sul primo imperatore cristiano, spesso indipendenti dalla confessione religiosa dei singoli autori.
Di qualche interesse è l’analisi delle fattispecie in relazione alle quali più frequentemente Costantino fu usato come riferimento. In ordine di occorrenze: i diritti familiari, quali trasmissione ereditaria, testamento, donazioni, prerogative delle spose minori (Costanzo II, Giuliano, Valentiniano I, Onorio, Valentiniano III), a confermare la centralità assunta dal diritto familiare nella normativa costantiniana; i privilegi dei navicularii (Valentiniano I, Graziano, Onorio); l’annona costantiniana (Teodosio I e II). Risalta la scarsità di richiami a questioni religiose: a parte il divieto dei sacrifici e i privilegi accordati ai chierici, per i quali il solo Costanzo II citò suo padre, gli unici altri riferimenti da segnalare sono nella costituzione di Graziano sull’iterazione del battesimo, quelli ai privilegi delle gerarchie giudaiche di Arcadio e sul divieto al patriarca Gamaliele di possedere schiavi cristiani, iterato da Teodosio II.
Una riflessione importante induce l’insieme dei motivi per cui Costantino fu evocato. Già Costanzo II usava richiamarsi al padre per rafforzare il valore normativo delle sue emissioni e tale procedura fu largamente applicata da tutti, in primis da Valentiniano I, che trasformò semplici istruzioni amministrative in leges generales proprio richiamandosi a Costantino. Significativo di questo principe, inoltre, è il fatto che lo citasse con l’epiteto di pater noster (rispetto ai consueti divus, inclytus, divae memoriae e simili, estensivamente utilizzati da tutti compreso Teodosio II) per avvalorare la propria appartenenza alla dinastia costantiniana, dopo le nozze con Giustina e unicamente nel 370, quasi a pubblica celebrazione dell’evento, trasmettendo ai figli la possibilità di usare la stessa denominazione. L’impiego più peculiare dei riferimenti si verificò, tuttavia, in quelle costituzioni con le quali si incideva su settori vitali dell’Impero, talvolta convalidando gli abusi verificatisi negli anni col trasgredire quella normativa costantiniana, che era citata a conferma: così Graziano, nel trasferire l’attribuzione di responsabilità sulle strutture fiscali suburbicarie dal prefetto al pretorio al prefetto urbano; e non diversamente Teodosio II, nel confermare un uso inconsueto dei diritti annonari di Costantinopoli.
Oltreché da motivi ideali, per dare un marchio cristiano alla raccolta, e di tipo tecnico, per la necessità di risalire a chi per primo si era servito delle leges generales in maniera sistematica, i commissari incaricati di elaborare il Codice Teodosiano furono spinti, dunque, dalla considerazione che tutti i principi successivi si erano riferiti in misura ampia a Costantino, perché quel principe era intervenuto in molteplici settori, con norme di durevole validità. L’esigenza di costituire un codice di leggi che partisse proprio da quelle emanate da quel principe, d’altra parte, dovette nascere in Teodosio II anche per la consapevolezza che la sua cancelleria usava il nome di Costantino senza previi controlli, perché, di fronte all’autorevolezza del richiamo, il concistoro fosse persuaso a convalidare la norma oggetto di dibattito. Alle pressioni di singoli individui particolarmente potenti, ma pure a quelle di più vasti gruppi come la Chiesa, o altre corporazioni, che del nome di Costantino si avvalevano nelle loro richieste, l’imperatore rispondeva allora con un progetto codificatorio che si proponeva di arginare confusio e discidia delle fonti, e di porre ordine al caos delle norme e al disordine che regnava nei tribunali.
1 Si vedano i volumi La legislazione di Valentiniano e Valente (364-375), a cura di F. Pergami, Milano 1993, e La legislazione di Costantino II, Costanzo II e Costante, a cura di P.O. Cuneo, Milano 1997. Già nel 2002, d’altra parte, commentando lo stato dei lavori messi in cantiere sulla palingenesi delle costituzioni tardoimperiali, Remo Martini candidamente dichiarava: «Ci aspetta sempre Costantino, ma quello non lo affronta nessuno»: R. Martini, Proposte di ricerca sul diritto nella tarda antichità, Tavola rotonda in preparazione del XVI Convegno internazionale (Spello 23-24 settembre 2002), a cura di M. Navarra, Perugia 2003, p. 66.
2 La legislazione di Costantino II, cit., p. LXVII; La legislazione di Valentiniano, cit., p. XI; per le costituzioni di Teodosio I, si veda la relazione di I. Fargnoli, in Proposte di ricerca sul diritto nella tarda antichità, cit., p. 63.
3 Sul progetto di palingenesi di tutti gli atti ufficiali usciti dalla cancelleria imperiale, da quella costantiniana a quella di Teodosio II, si veda M. Sargenti, Presentazione, in La legislazione di Valentiniano, cit., pp. VII-IX.
4 Testi costantiniani nelle fonti letterarie, a cura di P. Silli, Milano 1987.
5 Lavori significativi, su base accuratamente legislativa, sono quelli dedicati al tema da J. Gaudemet: si veda esemplarmente La politique religieuse impériale au IVe siècle (envers les païens, les Juifs, les héretique, les donatistes), in J. Gaudemet, P. Siniscalco, G.-L. Falchi, Legislazione imperiale e religione nel IV secolo, Roma 2000, pp. 7-66, che riassume e completa molteplici lavori precedenti; ovvero, con taglio specifico rivolto alla produzione normativa antipagana, L. De Giovanni, L’imperatore Costantino e il mondo pagano, Napoli 20032, e da ultimo E. Moreno Resano, Constantino y los cultos tradicionales, Zaragoza 2007.
6 La ricerca è stata condotta con l’ausilio di BIA Bibliotheca Iuris Antiqui. Sistema informativo integrato sui diritti dell’Antichità, CD-ROM. Fontes, diretto da N. Palazzolo, Catania 20022, selezionando le ricorrenze del nome Constantinus/i/o, i riferimenti a pater/genitor meus, parens noster, divus/divus princeps, ovvero constantiniana/ae lex/leges e simili. Essa potrebbe essere estesa e avere conferma consultando in altrettanti siti internet la raccolta di tutte le fonti greche e di quelle latine, nonché The Roman Law Library, http:webu2.upmf-grenoble. fr./Haiti/Cours/Ak/ (15 gen. 2013).
7 Una raccolta siffatta, apparentemente redatta in Africa tra il 330 e il 347 dal gruppo cattolico guidato dal vescovo Ceciliano, fu utilizzata da Ottato di Milevi nella disputa donatista e unita come Appendice alla sua opera: se ne servì Agostino nei suoi scritti contro i donatisti e la delegazione di vescovi niceni presenti al concilio cartaginese del 411: L. Duchesne, Le dossier du Donatisme, in Mélanges d’archéologie et d’histoire, 10 (1890), pp. 589-650, sulla base di Codex Parisinus 1711 (Colb. 1951), ove la raccolta è conservata.
8 Potrebbe essere questo il caso della presunta abolizione degli spettacoli gladiatori, che il monaco Ipazio attribuì a Costantino per contrastare il tentativo di Leonzio, prefetto urbano di Costantinopoli nel 434-435, di ristabilire i giochi olimpici: Call., v. Hyp. 33,1-11 (SC 177, p. 214). È difficile dire, però, se il travisamento di Cod. Theod. XV 12,1 (1° ott. 325), che trasformava la la pena ad ludos in ad metalla, fosse intenzionale o meno.
9 I Codici Gregoriano ed Ermogeniano erano opere private e non ufficiali: il primo fu pubblicato verisimilmente a Roma nel 291, come silloge di rescritti imperiali indirizzati a privati e funzionari da Adriano (ma il più antico rescritto che con certezza fu compreso in questo Codice risale a Settimio Severo) fino a Diocleziano; nel secondo, il giurista Aurelio Ermogeniano, probabilmente praefectus praetorio Occidentis intorno al 300, raccolse rescritti emanati soprattutto nel 293-294, forse per integrare il Gregoriano: T. Honoré, Emperors and Lawyers, with a Palingenesia of Third Century Imperial Rescripts 193-305 A.D., Oxford 19942, p. 142; S. Corcoran, The Empire of the Tetrarchs. Imperial Pronouncements and Government, A.D. 284-324, Oxford 20002, pp. 25-42.
10 Cod. Theod. I 1,5 ad Senatum (26 mar. 429) dava indicazioni per la realizzazione sia del Codice che fu successivamente varato (1-14: «cunctas colligi constitutiones decernimus, quas Constantinus inclitus et post eum divi principes nosque tulimus, edictorum viribus aut sacra generalitate subnixas»), sia di un secondo Codice mai realizzato (14-17).
11 La costituzione, cioè, che aveva previsto anche un secondo Codice: Gesta Senatus Romani, 4.
12 Cod. Theod. I 1,6 (20 dic. 435) stabiliva che esso comprendesse tutte le costituzioni di efficacia generale emanate fino a Teodosio II, comprese quelle non più in vigore, conservate nel loro tenore essenziale e distribuite per titoli in ordine cronologico.
13 Anche nella costituzione indirizzata a Florenzio, praefectus praetorio Orientis, con la quale il Codice fu promulgato, il richiamo a Costantino era di nuovo ribadito: Novell. Theod. 1,3 (15 feb. 438). Essendo stato approvato anche da Valentiniano III (Gesta Senatus Romani) 2, il 1° gennaio 439 il Codice entrò in vigore in tutto l’Impero.
14 L. De Giovanni, Istituzioni, scienza giuridica, codici nel mondo tardoantico. Alle radici di una nuova storia, Roma 2007, p. 344.
15 Oltreché nel molto noto K.G. Holum, Theodosian Empresses. Women and Imperial Dominion in Late Antiquity, Berkeley-Los Angeles-London 1982, pp. 79-194, una ricostruzione dell’ambiente di corte è ora data da F. Millar, A Greek Roman Empire: Power and Belief under Theodosius II (408-450), Oxford 2006, pp. 149-234.
16 G. Bonamente, Sull’ortodossia di Costantino. Gli Actus Sylvestri dall’invenzione all’autenticazione, in Rivista di Studi Bizantini e Slavi, 6 (2004), pp. 1-46, in partic. 2, individua quattro momenti significativi (dal 380 al 787) nell’evoluzione dell’immagine storiografica di Costantino: il 451 può essere considerato uno dei punti di svolta solo in quanto, tuttavia, giunse allora a maturazione il pensiero storiografico del ventennio precedente.
17 Hil., Coll. Antiar. 7,1, CSEL 65, p. 89, e 5,1,1, CSEL 65, p. 79; cfr. Hil., c. Const. 27: Kl. Rosen, Ilario di Poitiers e la relazione tra la Chiesa e lo Stato, in I cristiani e l’impero nel IV secolo, Colloquio sul cristianesimo nel mondo antico (Macerata 17-18 dicembre 1987), a cura di G. Bonamente, A. Nestori, Macerata 1988, pp. 63-74; in generale sul periodo, G. Bonamente, Chiesa e impero nel IV secolo: Costanzo II fra il 357 e il 361, in La comunità cristiana di Roma. La sua vita e la sua cultura dalle origini all’Alto Medio Evo, a cura di L. Pani Ermini, P. Siniscalco, Città del Vaticano 2000, pp. 113-138, in partic. 134.
18 Iul., Caes. 336AB; cfr. R. Lizzi Testa, Alle origini della tradizione pagana su Costantino e il senato romano (Amm. 21, 10, 8 e Zos. 2, 32, 1), in Transformations of Late Antiquity. Essays for Peter Brown, ed. by Ph. Rousseau, M. Papoutsakis, Farnham-Burlington 2009, pp. 85-128, in partic. 104-105.
19 Hier., chron. a. Abr. 337: «a quo usque in praesens tempus ecclesiarum rapinae et totius orbis est secuta discordia». Per il contesto in cui quelle critiche maturarono, V. Aiello, La fortuna della notizia geronimiana su Costantino ‘eretico’, in Messana. Rassegna di studi filologici, linguistici e storici, 13 (1992), pp. 221-237.
20 Per la posizione ambrosiana, espressa in opere come il de fide e il de obitu Theodosii, si veda G. Bonamente, Apoteosi e imperatori cristiani, in I cristiani e l’impero, cit., pp. 107-142, in partic. 133; si veda anche, per la fase di rafforzamento del potere episcopale niceno, R. Lizzi Testa, The Late Antique Bishop: Image and Reality, in A Companion to Late Antiquity, ed. by Ph. Rousseau, Oxford 2009, pp. 525-538, in partic. 525-527, e ora G. Bonamente, Dall’imperatore divinizzato all’imperatore santo, in Pagans and Christians in the Roman Empire: The Breaking of a Dialogue (IVth-VIth Century A.D.), Proceedings of the International Conference at the Monastery of Bose (20-22 October 2008), ed. by P. Brown, R. Lizzi Testa, Münster 2011, pp. 339-370, in partic. 345-356.
21 Rufin., hist. I 2 e 5: V. Neri, La figura di Costantino negli scrittori cristiani dell’età di Onorio, in Simblos. Scritti di storia antica, Bologna 1995, pp. 1-36, in partic. 11.
22 Cod. Theod. I 1,6 (20 dic. 435) rimaneggiò anche la commissione incaricata di realizzarlo, cosicché dei nove commissari del 429 solo tre furono confermati nel 435; non è possibile, tuttavia, allo stato delle conoscenze prosopografiche, stabilire i possibili legami dei sei personaggi assenti dalla nuova commissione con Nestorio e i suoi sostenitori: F. De Marini Avonzo, La politica legislativa di Valentiniano III e Teodosio II, Torino 19752, pp. 115-124; Id., Codice Teodosiano e Concilio di Efeso, in Atti dell’Accademia romanistica costantiniana, in Il Codice Teodosiano e le sue fonti. Problemi critici e ricostruttivi, V Convegno internazionale (Spello, Perugia, Bevagna, San Sepolcro 14-17 ottobre 1981), Perugia 1983, pp. 105-122, in partic. 111-118.
23 R. Cristofoli, Religione e strumentalizzazione politica: Costantino e la propaganda contro Licinio, in Istituzioni, carismi ed esercizio del potere (IV-VI secolo d.C), a cura di G. Bonamente, R. Lizzi Testa, Bari 2010, pp. 155-170.
24 Essa fu così persistente da confluire in Zosimo, il quale probabilmente la utilizzò per gli eventi fino al 404, ricorrendo poi a Olimpiodoro per quelli fino al 410: A. Baldini, Ricerche sulla storia di Eunapio di Sardi. Problemi di storiografia tardopagana, Bologna 1984, pp. 39 segg.; F. Paschoud, Zosime. Histoire Nouvelle. Livres I et II, Paris 2000, pp. XXXVII-XXXIX e XLIII-XLV; A. Baldini, Ricerche di tarda storiografia (da Olimpiodoro di Tebe), Bologna 2004, pp. 44 segg.
25 Philost., h.e. II 4-16: Costantino avrebbe ucciso il figlio e la moglie dopo il concilio, a prova dell’empietà che l’aveva sostenuto nella direzione di quel consesso, la medesima per la quale sarebbe stato avvelenato dai fratelli. La Storia ecclesiastica di Filostorgio in dodici libri (dal 300 al 425), di cui abbiamo solo ampi estratti, sembra essere stata pubblicata poco prima del grande incendio verificatosi a Costantinopoli nel 433, di cui non è menzione nell’opera, tra il primo e il secondo progetto del Codice Teodosiano: cfr. J. Bidez, Philostorgius. Kirchengeschichte, 3. Bearbeitete Auflage von F. Winkelmann, Berlin 1981, pp. 26 segg.; si veda anche G. Zecchini, Filostorgio, in Metodologie della ricerca sulla tarda Antichità, Atti del I Convegno dell’AST (Napoli 16-18 ottobre 1987), a cura di A. Garzya, Napoli 1989, pp. 579-598, in partic. 581, ed estensivamente G. Marasco, Filostorgio. Cultura, fede e politica in uno scrittore ecclesiastico del V secolo, Roma 2005.
26 In quanto sede del successore di Pietro, princeps Apostolorum, già a partire dal II secolo, erano stati riconosciuti a Roma onori e funzioni di sedes Apostolica (Iren., haer. III 1,1; III 22,3; Ign., Rom. 4,2a), o anche di caput Ecclesiarum. Tale espressione apparve per la prima volta in una lettera di Innocenzo I ai vescovi e ai diaconi macedoni (Innoc., Ep. XVII 1 del 414: Ch. Pietri, Roma Christiana. Recherches sur l’Église de Rome, son organisation, sa politique, son idéologie de Miltiade à Sixte III (311-447), 2 voll., Roma 1976, p. 1095), ma il processo era iniziato ben prima del V secolo. Sul ruolo di Damaso nel consolidare la teoria del primato apostolico del vescovo di Roma, legando la magnificenza dell’Urbs renovata dal martirio di Pietro e Paolo con l’ideologia di Roma aeterna, ivi, p. 290 nota 3 e 313; Id., Concordia Apostolorum et Renovatio Urbis (culte des martyrs et propaganda pontificale), in Mélanges de l’École Française de Rome. Antiquité, 73 (1961), pp. 275-322; L. Cracco Ruggini, Pietro e Paolo a Roma nel Tardoantico e le tradizioni dell’Urbs arcaica, in Pietro e Paolo. Il loro rapporto con Roma nelle testimonianze antiche, XXIX Incontro di studiosi dell’antichità cristiana (Roma 4-6 maggio 2000), Roma 2001, pp. 373-392. Non esistono approfondimenti sulla relazione tra il consolidamento delle rivendicazioni papali del primato apostolico e il coevo dibattito intorno all’immagine di Costantino.
27 Ampia è la bibliografia sull’argomento, per lo più concentrata sui concetti teologici complessi, che il primato apostolico del papa implicava. Si vedano, tuttavia, J. Gaudemet, L’Église dans l’empire romain, Paris 1958, pp. 416-445; M. Maccarone, Romana Ecclesia cathedra Petri, Roma 1991, e, più recentemente, C. Azzara, Ecclesiastical Institutions, in Italy in the Early Middle Ages, ed. by C. La Rocca, Oxford 2002, pp. 102-117. Per i risvolti politici della primazia della sede apostolica, si veda ora una rapida sintesi in R. Lizzi Testa, Rome during the Ostrogoth Kingdom: Its Political Meaning as Apostolic See, in Der Fall Roms und seine Wiederauferstehungen in Antike und Mittelalter, hrsg. von K. Pollmann, H. Harich-Schwarzbauer, Berlin 2013, pp. 131-149.
28 Per la storiografia ecclesiastica posteusebiana, si veda M. Mazza, Costantino nella storiografia ecclesiastica (dopo Eusebio), in Costantino il Grande. Dall’Antichità all’Umanesimo, Colloquio sul cristianesimo nel mondo antico (Macerata 18-20 dicembre 1990), a cura di G. Bonamente, F. Fusco, 2 voll., Macerata 1992-1993, pp. 659-692; H. Leppin, Von Constantin dem Großen zu Theodosius II. Das christliche Kaisertum bei den Kirchenhistorikern Socrates, Sozomenus und Theodoret, Göttingen 1996, e ora G. Bonamente, Sull’ortodossia, cit., p. 25.
29 Sui diversi e complicati avvenimenti relativi al primo concilio di Efeso e per le vicende che ne seguirono, si veda R. Teja, La “tragedia” de Efeso (431): herejìa y poder en la Antigüedad tardìa, Santander 1995, pp. 127-135. Sebbene nel 433 Giovanni di Antiochia avesse accettato la condanna di Nestorio (dal 431 ritiratosi di nuovo nel suo monastero) in nome di una ‘Formula di riunione’ (redatta forse da Teodoreto di Ciro) e sottoscritta anche da Cirillo, solo nel 435 i vari comites imperiali giunsero a ottenere la firma di tutti i vescovi siriaci. Su Cod. Theod. XVI 5,66 (3 agosto 435), emanata per l’occasione, E. Dovere, ‘Ius principale’ e ‘catholica lex’, Napoli 19992, pp. 220-222, 236-237, 239-246.
30 Soz., h.e. I, 5, 1: «Io però non ignoro che gli Elleni dicono che Costantino, avendo eliminato alcuni dei familiari più prossimi, ed avendo anche contribuito all’uccisione del proprio figlio Crispo, si pentì e ricercò per una purificazione la presenza del filosofo Sopatro». Su Sopatro, A. Baldini, Il filosofo Sopatro e la versione pagana della conversione di Costantino, in Simblos. Scritti di storia antica, Bologna 1 (1995), pp. 265-286.
31 Soz., h.e. I 2,6-8. Si veda ora, per una cronologia della conversione di Costantino, il saggio di G. Bonamente, Per una cronologia della conversione di Costantino, in Costantino prima e dopo Costantino, a cura di N. Lenski, G. Bonamente, R. Lizzi Testa, Bari 2012 pp. 89-111.
32 Socr., h.e. I 39,2; Soz., h.e. II 34,1.
33 Thdt., h.e. I 32,1.
34 Socr., h.e. I 23; 27-28; 35,2-3; Soz., h.e. II 22-23; 25; 28.
35 Thdt., h.e. I 26-30.
36 Nella lettera del 451, in ACO II 4,51.
37 W.H.C. Frend, The Rise of the Monophysite Movement, Cambridge 1972, pp. IX-XVI: Teodoreto fu esiliato dai vescovi del secondo concilio di Efeso, in cui Dioscoro – successore di Cirillo (contro cui il vescovo di Ciro aveva prodotto una Impugnatio XII anathematismorum Cyrilli, citata nella confutazione che ne aveva fatto Cirillo nella sua lettera a Evopzio, in PG 74, cc. 385-452) – ottenne il ribadimento delle posizioni antinestoriane e il riconoscimento dell’ortodossia di Eutiche. Teodosio II morì di lì a poco e il nuovo imperatore, riallacciando buoni rapporti con Roma, riaprì la causa a Calcedonia nel 451, dove Teodoreto fu riabilitato (non senza aver anatemizzato Nestorio e riconosciuto il titolo di Theotòkos a Maria). Egli fu nuovamente condannato nel concilio di Costantinopoli del 553, durante la disputa dei Tre Capitoli sollevata all’epoca di Giustiniano: J.N. Guinot, Une contribution à l’histoire de la crise nestorienne, la correspondance de Théodoret de Cyr, in Correspondances, documents pour l’histoire de l’Antiquité tardive, éd. par R. Delmaire, J. Desmulliez, P.L. Gatier, Lyon 2009, pp. 437-459.
38 Socr., h.e. VII 22 è l’unico degli storici ecclesiastici a consacrare un capitolo alle qualità dell’imperatore, il cui ruolo si tende oggi a rivalutare: G. Zecchini, L’immagine di Teodosio II nella storiografia ecclesiastica, in Mediterraneo Antico, 5 (2002), pp. 529-540. L’elogio di Socrate si sviluppa riempiendo di contenuti parzialmente nuovi la classica ripartizione di origine, educazione e formazione (2), stile di vita (3-5), virtù personali (6-14), virtù sociali (13-18), abilità dell’uomo di governo (19-20): P. Van Nuffelen, The Unstained Rule of Theodosius II. A Late Antique Panegyrical Topos and Moral
39 Eus., v.C. IV 17; cfr. Socr., h.e. VII 22,4 (ove Teodosio II è descritto mentre si leva all’alba con le sue sorelle per cantare gli inni in onore della divinità) e 17, sugli inni che l’imperatore fa cantare al popolo dell’ippodromo.
40 Soz., h.e. I 4, al confronto con Eus., v.C. IV 29, sulla grande abilità di Costantino nello stendere discorsi, e in 32, per quello Alla comunità dei santi.
41 Soz., h.e. I 8; Eus., v.C. I 20-21, 30, 45, 48 sulle numerose leggi emanate da Costantino in favore dei cattolici e contro gli eretici (III 64-65); cfr. anche IV 16.
42 Soz., h.e. I 8: la famosa descrizione della lampada a olio che si autoalimentava, per evitare che con l’imperatore rimanessero insonni anche gli schiavi, echeggia superandola l’attitudine di Costantino che, in Eus., v.C. IV 29, trascorreva le notti insonni per riflettere sulle Sacre Scritture.
43 Soz., h.e. I 9. Dovremmo pensare che Sozomeno rielaborasse in tal modo il confronto tra Costantino e Teodosio II suggeritogli dal passo di Eus., v.C. IV 1, perché conosceva le accuse lanciate a Costantino di concedere privilegi politici ai propri amici, affidando l’amministrazione dell’Impero ai parum digni (Aur. Vict., Caes. 40,15).
44 Soz., h.e. I 10-11. Anche in tal caso, sembra che Sozomeno conoscesse l’accusa di mollezza e lussuria che Giuliano aveva lanciato contro Costantino (Caes. 329A; 336A), giunta a Zos. II 32,1 attraverso Eunapio.
45 Soz., h.e. I 11. Il termine autocrate è usato da Socr., h.e. VII 23,1 e 3, quando elogia Teodosio II per le sue virtù politiche, in particolare per la sconfitta dell’usurpatore Giovanni, che il Senato aveva designato e l’esercito riconosciuto dopo la morte di Onorio (423-425): PLRE II, s.v. Ioannes 6, pp. 594-595.
46 Soz., h.e. I 3 e 15, in emulazione, anche in questo caso, con il Costantino di Eus., v.C. IV 75.
47 Eus., v.C. III 76-14.
48 Socr., h.e. I 8,4 e 14; Soz. h.e. I 17; 19-25; cfr. Thdt., h.e. I 7.
49 Soz., h.e. II 30-33, in partic. 32.
50 La lettera rivolta al vicario d’Africa Domizio Celso è conservata in Optat., app. 7, CSEL 26; cfr. Theodosius II, Sacra ad Cyrillum Alexandrinum et ad singulos metropolitas (19 nov. 430), in ACO I 1,73, pp. 22-74, l,3; I 1,114, pp. 29-115, l,14.
51 Eus., v.C. III 12.
52 Si screditavano in tal modo le riunioni di Cirillo in Alessandria e di papa Celestino a Roma, dove era stato deposto Nestorio: ACO I 1,1,115, pp. 26-116, l,5.
53 Una disamina delle molteplici influenze che si esercitarono d’allora in poi su Teodosio II è in S. Wessel, The Ecclesiastical Policy of Theodosius II, in Annuarium Historiae Conciliorum, 33 (2001), pp. 285-308, in partic. 295-296.
54 Thdt., h.e. I 7,2; 1,10,2; in 1,7,9 l’imperatore chiede ai vescovi di assidersi tra loro, laddove in Eus., v.C. III 10 l’imperatore con il suo seguito entra nella sala predisposta per il concilio e si asside sul ‘piccolo’ trono d’oro, posto in posizione preminente rispetto agli scanni ove erano già seduti i vescovi. Sebbene da Sozomeno e Teodoreto sembri che il concilio fosse stato inaugurato dall’ingresso glorioso dell’imperatore, nella Vita Constantini (III 10,1) non si parla dell’apertura del sinodo, ma del giorno che era stato fissato per esprimere un credo unanime: D. Dainese, Συνέρχομαι - συνχρότησις - σύνοδος. Tre diversi usi della denominazione, in Cristianesimo nella Storia, 32 (2011), pp. 875-943, in partic. 930-932 nota 140; Id., Costantino a Nicea. Tra realtà e rappresentazione letteraria, in Costantino prima e dopo Costantino, cit., pp. 405-417. Sarebbe peraltro interessante verificare quanto sui più tardi storici ecclesiastici abbia influito la necessità di non criticare eccessivamente il comportamento di Teodosio II dopo il primo concilio di Efeso, nel contempo tentando di limitare l’ingerenza imperiale nei lavori conciliari, con l’offrire come modello il comportamento di Costantino a Nicea.
55 Soz., h.e. II 34,6: parlando della sepoltura di Costantino, infatti, non tralasciò di aggiungere che in quella chiesa «riposavano d’allora gli imperatori cristiani non meno che i vescovi, come se il sacerdozio avesse lo stesso rango della regalità, o piuttosto avesse il primo rango nei luoghi sacri».
56 Resta fondamentale E.D. Hunt, Holy Land Pilgrimage in the Later Roman Empire, Oxford 1982, pp. 195-228; per la cronologia eudociana, Al. Cameron, The Empress and the Poet: Paganism and Politics at the Court of Theodosius II, in Yale Classical Studies, 27 (1982), pp. 217-289, e da ultimo E. Livrea, L’imperatrice Eudocia a Roma. Per una datazione del de S. Cypr, in Byzantinische Zeitschrift, 91 (1998), pp. 70-91.
57 Gli storici ecclesiastici divergono sulle motivazioni del viaggio, nonostante la mediazione operata tra fonte eusebiana (v.C. III 42-43) e rufiniana (hist. I 7): per Socrate (h.e. I 17,1) Elena fu ispirata da sogni profetici (M. Wallraff, Der Kirchenhistoriker Sokrates, Göttingen 1997, pp. 38 e 108); per Sozomeno (h.e. II 1,2) si trattò di un pellegrinaggio; per Teodoreto (h.e. I 18) Elena era latrice di una missiva imperiale al vescovo di Gerusalemme Macario.
58 Soz., h.e. IX 2. Sulle relazioni tra interessi della Corte e scrittura storica (soprattutto di Sozomeno), E. Livrea, Costantino nella storiografia ecclesiastica, in Costantino il Grande nell’età bizantina, Atti del Convegno internazionale di studio (Ravenna 5-8 aprile 2001), a cura di G. Bonamente, A. Carile, in Bizantinistica, seconda s., 5 (2003), pp. 171-188.
59 R. Lizzi Testa, Le comunità di sapienti nell’impero tardoantico, fra selezione e specializzazione del sapere, in Atti dell’Accademia nazionale dei Lincei, Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. Rendiconti, s. 9, vol. 13,3 (2002), pp. 387-417, in partic. 412-417, per la possibilità di pensare ai commissari del Codice Teodosiano come a membri di una ‘comunità di sapienti’.
60 La preparazione culturale dei commissari del Teodosiano non era soltanto tecnica in senso giuridico. Il loro piano di lavoro aveva anche fini di natura antiquaria, probabilmente suggeriti dal colto Teodosio II, ovvero previsti dalla commissione perché il sovrano fosse spinto a interessarsi al progetto. Al principio, infatti, era stata intenzione dei suoi membri di preservare tutte le leges generales emanate da Costantino in poi, anche quelle cadute in disuso e superate da altre, badando in ciò all’interesse degli uomini istruiti, i diligentiores (Cod. Theod. I 1,5, p. 28,10-14). Si trattava di obiettivi di carattere culturale, che tuttavia non contrastavano con l’uso pratico che si sarebbe fatto della raccolta, in quanto costituzioni abrogate potevano ancora essere prodotte in giudizio per i casi insorti nel tempo in cui esse erano valide. Nella costituzione che promulgava il Codice nel 438 si ritornava sull’argomento, rammentando che il testo prodotto avrebbe permesso fra l’altro di avere una piena conoscenza del ius civile. E si ricordava con rammarico come quest’ultima fosse stata fino ad allora molto limitata, nonostante gli incentivi dati per incoraggiare le artes e le imprese dotte (Novell. Theod. 1, praef.).
61 L. De Giovanni, Istituzioni, scienza giuridica, cit., pp. 127 e 246-248.
62 D. Mantovani, Il diritto da Augusto al Theodosianum, in E. Gabba, Introduzione alla storia di Roma, Milano 1999, pp. 465-534, in partic. 510-519; Id., Tavola rotonda, in Trent’anni di studi sulla tarda antichità: bilanci e prospettive (Napoli 21-23 novembre 2007), a cura di U. Criscuolo, L. De Giovanni, Napoli 2009, pp. 396-417, in partic. 411-417.
63 Cod. Theod. XVI 8,3 (11 dic. 321).
64 Cod. Theod. X 10,2 «ad populum». Sul procedimento, M. Bianchini, Caso concreto e «lex generalis». Per lo studio della tecnica e della politica normativa da Costantino a Teodosio, Milano 1979; L. De Giovanni, Istituzioni, scienza giuridica, cit., pp. 247-248.
65 Proprio servendosi di una lex generalis (Cod. Theod. I 4,1 del 321), Costantino espresse il desiderio di sradicare le antiche dispute dei giuristi, ordinando che fossero private di valore le notae di Paolo e Ulpiano agli scritti di Papiniano, che avevano sfigurato l’opera dell’altro grande giurista severiano solo al fine d’inseguire la lode per il talento; cfr. Cod. Theod. I 4,2, in cui Costantino conferiva alle Pauli Sententiae piena forza normativa; per la datazione di quest’ultima costituzione, L. De Giovanni, Il ‘problema giustizia’ nel Tardoantico, in Istituzioni, carismi ed esercizio del potere (IV-VI secolo d.C), a cura di G. Bonamente, R. Lizzi Testa, Bari 2010, pp. 170-182, in partic. 174.
66 Secondo l’analisi di S. Schmidt-Hofner, Reagieren und Gestalten. Der Regierungsstil des spätrömischen Kaisers am Beispiel der Gesetzgebung Valentinians I, München 2008.
67 Per l’evoluzione del pensiero politico greco, con riferimenti alle soluzioni escogitate da Platone (Lg. VIII 835C-E) e Aristotele (Pol. 1284A), L. Delatte, Les traités de la royauté d’Ecphante, Diotogène et Sthénidas, Paris 1942, pp. 126-163, e, con attenzione al periodo ellenistico fino all’età bizantina, l’ancora utile A. Steinwenter, Nomos empsuchos: Zur Geschichte einer politischen Idee, Wien 1946.
68 D.Chr., I 38; III 43: sulle orazioni de regno, in particolare, P. Desideri, Dione di Prusa. Un intellettuale greco nell’impero romano, Messina-Firenze 1978.
69 Lib., Or. 59,12-13.
70 Synes., regn. 6,394 ed. A. Garzya.
71 Philo Alexandrinus, de vita Mosis I 162.
72 Or., Cels. III 81; VI 67; Lact., inst. IV 17 e 24; Eus., d.e. IV 2 e l.C. 3.
73 Them., Or. 5,2,64B; 16,19,212D.
74 Them., Or. 11,17,154A, cfr. Or. 1,21,15B-22,16A.
75 Them., Or. 8,23,118D-119A.
76 Novell. Iust. 105,2; cfr. Novell. Iust. 7; 14; 21; 22; 39; 54; 59; 107.
77 G. Dagron, L’empire au IVe siècle et les traditions politiques de l’Hellénisme. Le témoignage de Thémistios, in Travaux et Mémoires, 3 (1968), pp. 1-242, in partic. 127-134.
78 ILS 765: «legum domino Romanarum, iustitiae aequitatisque rectori»; cfr. D. Mantovani, Tavola rotonda, cit., p. 404; L. De Giovanni, Il ‘problema giustizia’, cit., pp. 174-175.
79 Cod. Theod. VI 4,3 del 339 e VI 4,7 del 354, con riferimento a VI 4,1-2; esse sono richiamate anche in Cod. Theod. VI 4,18 di Valentiniano I: La legislazione di Valentiniano, cit., pp. 234-235.
80 Cod. Theod. XVI 10,2 (... 341): «cesset superstitio, sacrificiorum aboleatur insania. Nam quicumque contra legem divi principis parentis nostri». La legge di Costantino, non registrata nel Codice, è supposta sulla base di Eusebio: L. De Giovanni, L’imperatore Costantino, cit., pp. 162-167; Id., Chiesa e Stato nel Codice Teodosiano. Saggio sul libro XVI, Napoli 1980, p. 139; Code Théodosien livre XVI. Les lois religieuses des empereurs romains de Constantin à Théodose II (312-438), éd. par R. Delmaire, Paris 2005, p. 80.
81 Cod. Theod. XVI 2,14,1 (data il 6 dic. 356, letta il 28 dic. 356): «verum etiam hominibus eorundem, qui operam in mercimoniis habent, divi principis, id est nostri statuta genitoris multimoda observatione caverunt, ut idem clerici privilegiis compluribus redundarent». Anche in questo caso, la legge di Costantino non è registrata.
82 Cod. Theod. VIII 12,7 del 355, in riferimento a Cod. Theod. VIII 12,4 a Basso del 319.
83 Cod. Theod. XI 36,14 del 361, in considerazione di Cod. Theod. X 10,1 e 3 dalla quale ultima ampi stralci sono citati.
84 Amm., XXI 10,8.
85 Aur. Vict., Caes. 41,12.
86 Cod. Theod. XI 39,1 (17 set. 325).
87 Cod. Theod. II 5,2 (3 set. 362).
88 Cod. Theod. III 1,3 (2 dic. 362).
89 Eutr. X 8,1.
90 G. Bonamente, Eutropio e la tradizione pagana su Costantino, in Scritti storico-epigrafici in memoria di Marcello Zambelli, a cura di L. Gasperini, Macerata 1978, pp. 17-59, in partic. 47. È questo l’unico caso nel Breviario in cui sia espresso un parere sull’attività legislativa di un imperatore: V. Neri, Medius princeps. Storia e immagine di Costantino nella storiografia latina pagana, Bologna 1992, p. 117.
91 R. Lizzi Testa, Alle origini della tradizione pagana, cit., pp. 85-128, in partic. 108-120.
92 Sono tredici le costituzioni dei fratelli pannoni che richiamano Costantino.
93 La legislazione di Valentiniano, cit., p. XLVII.
94 Cod. Theod. XII 12,4 (7 set. 364); cfr. XII 12,3 (La legislazione di Valentiniano, cit., pp. XLVIII e 74).
95 Cod. Theod. I 16,2 (24 set. 317).
96 Su Viventius, R. Lizzi Testa, Senatori, popolo, papi. Il governo di Roma al tempo dei Valentiniani, Bari 2004, pp. 154-157.
97 Cod. Theod. VI 4,18: La legislazione di Valentiniano, cit., pp. XLIII e 234.
98 L’altro costituisce Cod. Theod. XII 1,67.
99 Cod. Theod. VI 4,17: La legislazione di Valentiniano, cit., pp. 144, 481.
100 Come mostra Cod. Theod. XII 12,6: si veda PLRE I, s.v. Petronius Claudius 10, p. 208.
101 Rufio Festo è attestato da Cod. Iust. III 16,1 (25 mag. 366) e una seconda volta in Cod. Theod. IX 19,3 la cui data (9 giugno 367), incerta, potrebbe essere 9 gennaio 368 (La legislazione di Valentiniano, cit., pp. 356 e 375). Per la datazione di Cod. Theod. XIV 3,12 al 1° dicembre 368, ivi, pp. 167, 302.
102 Anche Cod. Theod. XVI 2,18, indirizzata allo stesso proconsole Claudio e datata 17 feb. 365, non può essere che del 370. Sulla possibile identificazione di Petronio Claudio, proconsole d’Africa, con Claudio Petronio Probo, che avrebbe cumulato quell’ufficio con la prefettura del pretorio tra il 368 e il 370, secondo quanto suggerito da un’iscrizione di Capua scoperta nel 1971, si veda R. Lizzi Testa, Senatori, popolo, papi, cit., pp. 316-319. Su Sestio Rustico Giuliano, PLRE II, s.v. Sextius Rusticus Iulianus 37, pp. 479-480.
103 Ivi, p. 308, n. 370 e 313.
104 Ivi, p. 312, n. 391.
105 Ivi, p. 233.
106 Cod. Theod. V 1,2 (29 dic. 369).
107 Cod. Theod. IV 6,4 (16 aug. 371): riferendosi a Cod. Theod. IV 6,2 (mutila) e 3 dello stesso titolo, emanate il 2 aprile e il 21 luglio 336.
108 Cod. Theod. XVI 6,2 (17 ott. 377 «ad Florianum vicarium Asiae»). Mommsen ha conservato nell’intestazione, quale destinatario della legge, ad Florianum vic(arium) Asi(ae), che ricorre anche nel Codice di Giustiniano, ma i manoscritti hanno la lezione ad Flavianum vic(arium) Afric(ae), che è senz’altro da accogliere: il secondo battesimo, infatti, era una pratica essenzialmente donatista, cosicché la legge doveva essere rivolta all’Africa e non all’Asia e destinatario doveva esserne Virio Nicomaco Flaviano, vicario d’Africa del 377: Code Théodosien livre XVI, cit., pp. 341-343.
109 Cod. Theod. XVI 6,1 (20 feb. 373)
110 Un passo di Aug., epist. 87,8, che illustra l’acuirsi della controversia, sembra indicare il favore con cui probabilmente Flaviano guardò agli scismatici mentre i cattolici, con l’appoggio di Graziano, piegavano verso forme di intransigente fondamentalismo.
111 Ad eccezione di Paul. Nol., epist. 4,5 («Non vi è che un Signore, una fede, un battesimo)», non c’è passo dei Vangeli ad affermare che il battesimo debba essere unico: Code Théodosien livre XVI, cit., p. 340.
112 Cod. Theod. XIII 5,16 (6 feb. 380): «Delatam vobis a divo Constantino et Iuliano principibus aeternis equestris ordinis dignitatem nos firmamus». Più generico il precedente richiamo in Cod. Theod. XIII 5,10 (8 mag. 364). Mancano approfondimenti sullo status giuridico dei navicularii, essendo lo studio di L. De Salvo (L. De Salvo, Economia privata e pubblici servizi nell’Impero romano. I corpora naviculariorum, Samperi, Messina 1992) concentrato sull’attività economica di quei corpora; per l’ascesa degli equestri sotto Costantino: Cl. Lepelley, Du triomphe à la disparition: Le destin de l’ordre équestre de Dioclétien à Theodose, in L’Ordre équestre. Histoire d’une aristocratie (IIe siècle av. J.-C.-IIIe siècle apr. J.-C.), éd. par S. Demougin, H. Devijver, M.-T. Raepsaet-Charlier, Paris 1999, pp. 629-646, in partic. 640; ulteriore bibliografia nel contributo di R. Lizzi Testa in questa stessa opera.
113 Cod. Theod. I 6,8 (22 nov.[?] 382): «quas vel divi Constantini constitutio dederat vel Probus vir illustris permissa sibi a patre nostro potestate reddiderat». Per la sua esegesi, A. Giardina, Aspetti della burocrazia nel basso Impero, Roma 1977, pp. 84-95, e Id., Lettura epigrafica e carriere aristocratiche: il caso di Petronio Probo, in Rivista di filologia e di istruzione classica, 111 (1983), pp. 171-182, in partic. 175.
114 PLRE I, s.v. Anicius Auchenius Bassus 11, pp. 152-154; ILS 1263 e 1267.
115 V. Neri, Medius Princeps, cit., pp. 63; 148 segg.
116 Per le virtù politiche che affollano i tituli epigrafici tardoantichi, V. Neri, L’elogio della cultura e l’elogio delle virtù politiche nell’epigrafia latina del IV secolo d.C., in Epigraphica, 43-44 (1981-1982), pp. 175-201; in generale per le iscrizioni senatorie, G. Alföldy, Individualität und Kollektivnorme in der Epigraphik des römischen Senatorenstandes, in Epigrafia e ordine senatorio, Atti del Colloquio internazionale AIEGL (Roma 14-20 maggio 1981), Roma 1982, I, pp. 37-53, e A. Chastagnol, Le formulaire de l’épigraphie latine officielle dans l’antiquité tardive, in La terza età dell’epigrafia, Atti del Colloquio internazionale AIEGL-Borghesi (Bologna 9-11 ottobre 1986), a cura di A. Donati, Faenza 1988, pp. 11-64.
117 Sulla transenna che, come un parapetto, proteggeva il muro del podio verso l’arena, in fasi successive i senatori iscrissero i propri nomi in corrispondenza dei posti loro riservati nell’anfiteatro, e significativamente al semplice nome di età costantiniana si sostituì, in età grazianea, il nome seguito dai nuovi titoli di rango perché risultasse chiara la gerarchia reintrodotta nell’ordo con l’ufficializzazione della distinzione tra clarissimi, spectabiles, illustres: S. Orlandi, Il Colosseo nel V secolo, in The Transformations of Urbs Roma in Late Antiquity, ed. by W.V. Harris, Portsmouth (RI) 1999, pp. 249-263, e ora Id., Epigrafia anfiteatrale dell’Occidente romano, VI, Roma. Anfiteatri e strutture annesse, con una nuova edizione e commento delle iscrizioni del Colosseo, Roma 2004, pp. 550-563.
118 R. Lizzi Testa, Policromia di cultura e raffinatezza editoriale. Gli esperimenti letterari dell’aristocrazia romana nel tardo Impero, in «Humana sapit». Études d’antiquité tardive offertes à Lellia Cracco Ruggini, éd. par J.-M. Carrié, R. Lizzi Testa, Paris 2002, pp. 187-199.
119 Per il parere di Ammiano su Costantino, in base ai riferimenti nei libri restanti, J.F. Matthews, Western Aristocracies and Imperial Court (A.D. 364-425), Oxford 19902, pp. 447-450, e V. Neri, Ammiano e il cristianesimo. Religione e politica nelle Res Gestae di Ammiano Marcellino, Bologna 1985, pp. 34-38 e 142-151.
120 L’assimilazione compiuta da Eunapio-Zosimo tra Costantino e Teodosio fa credere che Eunapio vedesse in quest’ultimo il Costantino della sua età: D.F. Buck, Eunapius of Sardis and Theodosius the Great, in Byzantion, 58 (1988), pp. 36-53; cfr. anche Zosime, Histoire Nouvelle, éd. par F. Paschoud, t. II, 2e partie (Livre IV), Paris 1979, pp. 391-393 nota 155, e ora Al. Cameron, The Last Pagans of Rome, Oxford 2011, pp. 654-658.
121 Sarebbe stata concessa l’8 maggio 332, sotto i consoli Pacaziano e Ilariano, secondo Chron. Pasch. CB, 531; cfr. Socr., h.e. II 13; Them., Or. XXIII 298AB; XXXIV, XIII; G. Dagron, Costantinopoli. Nascita di una capitale (330-451), Torino 1991, pp. 543-544.
122 PLRE I, s.v. Proculus 6, p. 746.
123 Cod. Theod. XIV 17,9 (26 lug. 389 da Roma): «Annonas civicas in urbe Constantinopolitana scholae scutariorum et scutariorum clibanariorum divi Constantini adseruntur liberalitate meruisse».
124 Cod. Theod. XIV 17,10 (25 giu. 392): «Annonas civicas non tam titulis dignitatum, quam singulorum viritim meritis adtributae divi Constantini liberalitate sat claruit».
125 PLRE I, s.v. Aurelianus 3, pp. 128-129.
126 J.-M. Carrié, Les distributions alimentaires dans les cités de l’Empire romain tardif, in Mélanges de l’École Française de Rome. Antiquité, 87 (1975), pp. 1090-1094.
127 Cod. Theod. XIV 17,1 (27 mar. 364).
128 Cod. Theod. XIV 17,12 (20 nov. 393).
129 Cod. Theod. XIV 17,12. Lo strapotere di Taziano (praefectus praetorio Orientis dal 388) e di suo figlio Proculo (paefectus Urbis Constantinopolitanae nello stesso periodo: Zos., IV 45,1), durante l’assenza dell’imperatore da Costantinopoli, fu contrastato dal nuovo prefetto al pretorio Rufino, allora giunto con Teodosio in Oriente (Zos., IV 53; Eun., hist. 59; e Claud., carm., in Rufinum I 246).
130 Cod. Theod. XIV 16,2 (23 lug. 416).
131 Cod. Theod. IV 4,3 (del 396 o 402).
132 Cod. Theod. IV 6,5 (28 apr. 397): «Legibus Constantini et genitoris nostri praeceptis edocti». Ci si riferiva in tal caso a Cod. Theod. IV 6,2 e 3, che anche Valentiniano I aveva citato come Constantinianae leges.
133 Cod. Theod. IV 15,1 (8 lug. 421).
134 Cod. Theod. VIII 18,9 (7 nov. 426, al Senato di Roma), richiamando la costantiniana Cod. Theod. VIII 18,1; per la legittima eredità, Cod. Theod. V 1,7 in accordo a Cod. Theod. V 1,1.
135 Cod. Theod. XIII 5,26 (23 dic. 396): L. De Salvo, Economia privata, cit., p. 357.
136 Cod. Theod. XIII 5,21 (15 feb. 392).
137 La riduzione a un solo anno era stata stabilita da Valentiniano I: Cod. Theod. XIII 9,1 (5 giu. 372).
138 Cod. Theod. XIII 9,6; L. De Salvo, Economia privata, cit., p. 357, per gli aggiustamenti nel Codice di Giustiniano.
139 Cod. Theod. XVI 8,2 (29 nov. 330) e 4 (1 dic. 331).
140 Cod. Theod. XII 1,99 (18 apr. 383).
141 Cod. Theod. XII 1,157-158 (entrambe il 13 feb. 398), di fronte alla pretesa dei giudei di Apulia et Calabria di evadere i carichi curiali sulla base della disposizione orientale: Code Théodosien livre XVI, cit., pp. 386-388.
142 Sul tipo di giurisdizione attribuito ai tribunali giudei, aperta non solo ai giudei per questioni religiose, ma anche a tutti coloro che si rivolgessero al patriarca per cause di tipo civile, A.M. Rabello, The Legal Condition of the Jews in the Roman Empire, in ANWR II,13, pp. 731-734.
143 Cod. Theod. XVI 8,22 (20 ott. 415).
144 La legislazione costantiniana fu raccolta dai compilatori in Cod. Theod. XVI 9,1-5 e III 1,5; la legge in questione parrebbe la XVI 9,2, dove tuttavia lo schiavo di altra setta viene rivendicato dal fisco; cfr. Eus., v.C. IV 27.
145 Cod. Theod. X 10,24 (6 nov. 405). La legislazione costantiniana contro i delatori è esaminata da A. Di Mauro Todini, Delatori, informatori e pentiti nel Codice Teodosiano, Roma 1984, pp. 1-17.
146 Cod. Theod. VI 2,26 (31 gen. 428): «secundum divi Constantini atque Constantii constitutiones»; Zos. II 38.
147 Cod. Theod. VI 2,21 (29 mar. 398) e 22 (26 feb. 401). In realtà persino coloro che non avevano terre erano soggetti al pagamento di due folles (VI 2,13,17-18 del 10 gen. 383), ma nonostante ciò nel 398 si ribadì che era tassa non sulle persone ma sulla proprietà (XIV 3,10 del 7 lug. 368); la terra gravata da questo tipo di tassa non ne diveniva esente neppure se passava a un proprietario di rango non senatorio (VI 2,24 del 14 mag. 417).
148 Nel 393 Teodosio I aveva creato una quarta classe di proprietari senatori, che pagavano solo sette solidi l’anno, concedendo di rinunciare al rango a coloro che non erano disposti a dare neppure questa somma: Cod. Theod. VI 2,15 (31 ago. 393).