Costantino nella storiografia italiana su Roma
Costantino e il suo tempo rappresentano banchi di prova fondamentali per il farsi della disciplina storica in Italia. Bastino due esempi, di diversa natura e portata: l’opera di Lorenzo Valla sull’autenticità della donazione di Costantino e l’indagine con la quale Scipione Maffei prova la falsità della tradizione, all’epoca accettata anche dal papato e dall’imperatore, che attribuisce a Costantino la fondazione dell’ordine costantiniano1. La rilevanza di queste controversie filologiche coesiste, però, con un dato di lungo periodo: Costantino è, sino a tutto il primo quarto del Novecento, un tema periferico nel campo degli interessi della storiografia italiana. Periferico, anche se non trascurabile.
Gli studi su Costantino nella storiografia dell’Ottocento italiano s’incentrano prevalentemente su aspetti particolari e sulla discussione di problemi interpretativi ben definiti. Non esistono sintesi paragonabili alla grande opera di Jacob Burckhardt2. Un’eccezione è rappresentata dalla monumentale monografia di un polemista gesuita di origine catalana, ma vissuto per lo più in Italia, Francesc Gustà (Francesco Gusta, 1744-1816)3. La discussione muove dall’assunto della grandezza di Costantino e dal suo fondamentale contributo all’ascesa del cristianesimo, ma ambisce a offrire una valutazione serena e criticamente informata, disposta a riconoscere anche le mancanze dell’imperatore. Gusta può contare su un’ampia conoscenza delle fonti primarie e un’apprezzabile familiarità con il dibattito storiografico dell’epoca, da Gibbon a Tillemont. La sua lettura è, però, rigida e unidimensionale. Costantino viene presentato come un imperatore saggio e moderato, che si converte al cristianesimo durante la battaglia di ponte Milvio e informa la propria azione di governo a principi rigorosamente cristiani, scegliendo però di non rivelarli immediatamente per ragioni di opportunità politica. I suoi nemici e oppositori sono immancabilmente divorati dall’ambizione e condotti sulla cattiva strada dalla superstizione pagana. Molta parte della discussione di Gusta è dedicata al ruolo, che si vuole attivissimo quanto illuminato, dell’imperatore nella gestione del concilio di Nicea.
In un quadro in cui mancano discussioni d’insieme intellettualmente ambiziose e in cui il dibattito appare in generale più arretrato di quanto sia in altre tradizioni storiografiche, alcuni studi di dettaglio meritano comunque attenzione. L’antiquario Celestino Cavedoni (1795-1865) si occupa della comparsa di motivi cristiani sulla monetazione di Costantino, reagendo alla tesi secondo la quale i temi cristiani sarebbero apparsi nella monetazione costantiniana soltanto verso la fine del suo regno4. Riprendendo una suggestione di Joseph Hilarius Eckhel, sostiene che le legende pagane scomparvero già dal 323. L’apparizione di temi cristiani sarebbe però successiva alla fondazione di Costantinopoli. Le tesi di Cavedoni sono contrastate da Raffaele Garrucci (1812-1885) in uno studio che apre una polemica serrata: secondo Garrucci, il numero di monete ascrivibili a Costantino sarebbe ben più elevato e i simboli cristiani apparirebbero sulle sue monete prima del 3305. È l’inizio di una disputa che prosegue sino alla morte di Cavedoni e coinvolge anche Giovan Battista De Rossi (1822-1894)6.
Amedeo Crivellucci (1850-1914), uno storico che dedica la maggior parte dei propri studi al rapporto fra Stato e Chiesa nell’alto Medioevo da un punto di vista anticlericale, si occupa tangenzialmente anche dell’età costantiniana: in particolare della storicità dell’editto di Milano, che egli difende contro le tesi di Otto Seeck, e dell’affidabilità storica della Vita Constantini di Eusebio7. Egli sostiene che alcuni documenti citati come autentici nell’opera di Eusebio, quale l’editto ai provinciali della Palestina e la lettera al re di Persia, siano in realtà falsi. Tali argomenti si fondano su precise considerazioni linguistiche e stilistiche, che testimoniano l’adesione di Crivellucci a un metodo rigorosamente filologico. La tesi solleva un ampio dibattito nell’ambito della storiografia tedesca, ricevendo le adesioni (seppur in diversa misura) di studiosi come Theodor Mommsen, Victor Schulze, Otto Seeck e dello stesso Burckhardt8. Crivellucci si occupa anche di altri aspetti dell’epoca costantiniana: in uno studio di grande impegno sul monogramma e sul labaro che apparvero sugli scudi dell’esercito di Costantino al ponte Milvio, sostiene che si tratti di simboli pagani e non cristiani, dato che nel 312 Costantino non ha ancora aderito al cristianesimo; saranno i cristiani ad appropriarsi, dopo la vittoria di ponte Milvio, di emblemi che hanno ampia circolazione in ambito pagano. Invece di un Costantino che attribuisce al dio dei cristiani la propria vittoria, vediamo qui i cristiani attribuire al loro dio la vittoria di Costantino e iscrivere l’imperatore e il suo esercito tra le loro fila9. Il filologo Augusto Mancini (1875-1957) persegue una linea analogamente critica riguardo alla Vita eusebiana, ispirata a un’analisi ancora più marcatamente filologica, e anzi critico-testuale10. Anch’egli conclude che l’editto ai provinciali e quello agli orientali costituiscano dei falsi, ma ne attribuisce la paternità ad ambienti cristiani dai quali Eusebio trarrebbe scientemente documenti spurii11.
Su posizioni molto distanti si colloca il grande erudito Pio Franchi de’ Cavalieri (1869-1960), a lungo scriptor della Biblioteca Vaticana. Un suo lungo saggio del 1916 discute le modalità della sepoltura di Costantino e il contesto topografico e monumentale nel quale essa ha luogo12. Il contributo sottintende una discussione più generale dei riti funerari nella tarda antichità, che si legge in filigrana nelle ricchissime note a piè di pagina La discussione si estende anche alla sepoltura della «santa imperatrice» Elena, che Franchi de’ Cavalieri pone a Roma, sulla via Labicana. Egli scrive dal punto di vista di uno studioso cattolico, che non esita a definire il paganesimo come «idolatria», mostrando comunque una lucida consapevolezza del carattere composito della società dell’epoca costantiniana, un contesto non pienamente cristianizzato, nel quale le onoranze funebri al primo imperatore cristiano rappresentano un problema politico. L’erudito ritornerà su altri problemi costantiniani in due notevoli lavori scritti negli anni Trenta, ma pubblicati in volume soltanto nel 1953: uno sulla visione di ponte Milvio e uno sull’attribuzione a Eusebio della Vita Constantini13. Nel primo saggio, Franchi de’ Cavalieri reagisce alla critica del racconto di Eusebio offerta da Henri Grégoire, giungendo alla conclusione che all’inizio della battaglia di ponte Milvio Costantino decide di rimettersi alla protezione del dio dei cristiani, del quale riconosce prontamente i meriti dopo la sua vittoria. La conversione sopraggiungerebbe soltanto dopo il ponte Milvio. Anche il secondo saggio è una risposta alle tesi di Grégoire, in difesa dell’attribuzione a Eusebio della Vita Constantini. Lo studioso reagisce all’assunto di fondo dell’opera di Grégoire, che spiega la politica religiosa di Costantino e dei suoi rivali con una logica di potenza e di controllo sui territori orientali dell’Impero, abitati per lo più da popolazioni cristiane: una riproposizione del modello del Christianismus politicus burckhardtiano, al quale si oppone, da un lato, la sincerità della conversione e, dall’altro la tesi secondo la quale, all’inizio del IV secolo, il cristianesimo sarebbe ampiamente diffuso anche nelle province occidentali dell’Impero.
A Costantino e al suo contributo alla «vittoria» del cristianesimo è dedicato l’ultimo capitolo della importante opera di Alfonso Manaresi (1881-1968) sulla storia del cristianesimo sotto l’Impero romano14. Manaresi, insegnante nel seminario di Bologna, è accusato di modernismo e censurato dalle autorità ecclesiastiche nel 1910. Lasciato il sacerdozio alcuni anni dopo, avrà poi una fortunata carriera come autore di manuali scolastici15. Nel suo ampio quadro storico, la fine delle persecuzioni dioclezianee e la politica di apertura perseguita da Galerio e Costantino sono conseguenza della potenza spirituale e morale che il cristianesimo ha guadagnato in secoli di oppressione. Costantino ha un ruolo decisivo, e anzi rivoluzionario, e le sue intenzioni riguardo al cristianesimo sono senz’altro sincere. Non bisogna però illudersi, secondo Manaresi, riguardo ai motivi della sua conversione: egli è un grande capo militare e politico, «uomo d’armi e di sommaria coltura», animato dalla superstizione più che da profondi slanci religiosi. Per questo, se pure Costantino sceglie di porsi sotto la protezione del dio dei cristiani, la sua condotta non è immune dall’«equivoco dei mezzi termini», né egli sa informare la sua condotta ai dettami evangelici. Ciò non toglie che in lui si debba riconoscere «il fattore principe della prosperità politica del cristianesimo, l’iniziatore dei tempi nuovi».
Intorno al 1913, nell’anniversario del cosiddetto editto di Milano, vi è un’intensa produzione di opuscoli variamente celebrativi: brevi opere a carattere divulgativo o moralistico, d’interesse più ecclesiale che storiografico. Le migliori menti storiche di quell’epoca, peraltro, si misurano con altri periodi e altri temi: le origini di Roma, il farsi dell’Italia romana, la schiavitù nel mondo antico. La voce su Costantino nel Dizionario epigrafico, redatta da Ermanno Ferrero (1855-1906), non offre che un rapido schizzo biografico e si occupa prevalentemente di titolatura ufficiale16. Il massimo storico di quel periodo, Gaetano De Sanctis (1870-1957), è un cattolico fervente, ma – forse anche per questa ragione – si occupa soltanto occasionalmente della storia del cristianesimo antico e dell’epoca costantiniana. A lui si deve uno studio originale e di grande rigore sulla Historia Augusta, che egli data all’epoca di Diocleziano e Costantino, contro la tesi di Hermann Dessau, che la ritiene una falsificazione più tarda, composta verso la fine del IV secolo17. L’argomento e silentio che sottende questa convinzione è di carattere eminentemente storico: con Costantino l’Impero attraversa una fase di cambiamento profondissimo su tutti i piani, di un’intensità paragonabile a quello indotto dalla Rivoluzione francese; la Historia Augusta non recherebbe che tracce sparse e incerte di tale metamorfosi politica, religiosa e culturale. Al di là di questo problema significativo, ma particolare, De Sanctis non si occupa di Costantino che tangenzialmente, e per lo più in alcune delle numerose recensioni che pubblica nella Rivista di Filologia e di Istruzione Classica nell’arco di alcuni decenni. In una breve nota su un opuscolo di Ernesto Maass sulle stele che Giustiniano rimosse da Hagia Sophia e che originariamente sostenevano le immagini di imperatori e dei pagani poste da Costantino nella basilica, egli osserva cursoriamente che queste immagini erano «una delle prove più singolari delle concessioni che faceva alla tradizione pagana il suo cristianesimo alquanto zoppicante»18. In una discussione del libro di Robert Grosse sugli ordinamenti militari del tardo Impero, De Sanctis osserva che le riforme di Diocleziano e Costantino, che sostituiscono eserciti di trincea con eserciti di manovra, pronti a intervenire sui fronti in cui la loro presenza sia necessaria, sono tardive: gli eserciti stanziali hanno infatti ormai perduto la prestanza e la sagacia tattica delle antiche legioni19. Nella splendida recensione alla Social and Economic History of the Roman Empire di Michael Ivanovitch Rostovtzeff, egli esprime vari punti di dissenso, ma si trova in accordo con lo storico russo sul fatto che le riforme di Diocleziano e Costantino non portano ad alcuna soluzione dei gravi nodi sociali del terzo secolo e non aprono certo una fase di democratizzazione o di riduzione delle gravi distanze fra i ceti sociali20.
Nel 1932 una breve nota critica al libro di André Piganiol, L’empereur Constantin, Paris 1932, parte dall’assunto che la «ricchezza d’esperienze» del presente ha fortemente giovato agli studi su Costantino, che rifuggono ormai sia da eccessi confessionali sia da svalutazioni politicistiche; prosegue esprimendo una preferenza per il libro di N. Baynes, apparso l’anno precedente, Constantine the Great and the Christian Church, London 1931; e si chiude suggerendo che il volume di Luigi Salvatorelli (1886-1974) su Costantino il Grande, apparso nel 1928, non sia inferiore all’opera di Piganiol, anche se risente di un’enfasi eccessiva sugli aspetti religiosi21. Il giudizio è forse ingeneroso verso Piganiol, che offre una sintesi ampia e ragionata dell’età costantiniana, non concentrata esclusivamente sugli aspetti biografici. L’opera di Salvatorelli ha intenti diversi e più modesti: è un’agile sintesi biografica, senza note, scritta da uno dei più acuti e originali storici del cristianesimo del suo tempo, che negli anni Venti aveva però iniziato a dedicarsi soprattutto al giornalismo e alla pubblicistica politica. Vi si incontrano comunque spunti interpretativi di rilievo: una discussione dell’affermarsi del principio dinastico alla fine della stagione tetrarchica; un riferimento al concetto dell’Impero come «proprietà personale» da trasmettere ai figli; l’idea secondo la quale la tolleranza scelta inizialmente da Costantino fosse sufficiente in un Occidente dove i cristiani erano ancora «rari nantes in gurgite vasto»; la tesi per cui Costantino sarebbe stato inizialmente cultore di un «dio supremo» non identificabile con quello dei cristiani; la necessità, più ancora che la scelta, per Costantino di essere coinvolto nelle dispute interne al cristianesimo; infine l’ipotesi che la conversione al cristianesimo possa datarsi soltanto intorno al 320, con la scomparsa del motivo del sole dalle monete di Costantino, dopo anni di «politica cristianofila» sempre più accentuata. Peraltro, anche dopo la sua evoluzione in imperatore cristiano, Costantino non avrebbe perseguito una linea di imposizione coatta del cristianesimo; al contempo, era convinzione profonda dell’ultimo Costantino che la soluzione ai mali dell’Impero potesse giungere soltanto dalla protezione divina e dalla prosperità della Chiesa cattolica.
Peraltro, la lettura di Costantino proposta dal Salvatorelli era senz’altro più ricca di sfumature e innovativa di quella di Giuseppe Costa (1875-1949), un allievo di Giulio Beloch, che pochi anni prima aveva pubblicato una storia del rapporto fra religione e politica nell’Impero romano, in cui la «politica religiosa» degli imperatori veniva letta come un fenomeno per lo più strumentale22. Costantino è il sostenitore della religione monoteistica del padre, contro il paganesimo allora riconosciuto come religione ufficiale; la sua lotta con Massenzio non è un momento d’importanza dirimente per lo sviluppo spirituale della civiltà, ma lo scontro fra due uomini politici di valore impari. La politica religiosa di Costantino è improntata a una ragionevole linea di tolleranza, che mira a rimediare ai pesanti danni, anche economici, causati dalle persecuzioni. Verso la fine della propria vita, però, Costantino avrebbe abbandonato la sua adesione al culto solare, in favore di un’adesione al cristianesimo, determinata dai pesanti rimorsi per i suoi gravi delitti: la tesi avanzata in alcuni ambienti pagani viene così accolta acriticamente. L’adesione al cristianesimo avrebbe reso gli atti politici dell’ultima parte del regno di Costantino meno lucida e coerente. La lettura di Costa ha, se non altro, il pregio dell’originalità, e costituisce un tentativo di non leggere l’opera di Costantino sotto una luce meramente elogiativa. In questo, però, raggiunge anche esiti estremi, che ne limitano fortemente il valore.
La voce su Costantino nell’Enciclopedia Italiana è redatta da Alberto Olivetti (1890-1934), uno studioso pisano di origine ebraica, allievo di Achille Coen23. Si tratta di una prudente e ordinata esposizione della biografia dell’imperatore, con alcune utili precisazioni interpretative: l’ascesa al potere del giovane Costantino è giustamente considerata come una forzatura del sistema tetrarchico; la sua linea politica è identificata nel rafforzamento del potere monarchico, già avviato da Aureliano e Diocleziano; della politica economica e monetaria si nota soltanto un «fiscalismo eccessivo»24. La politica religiosa di Costantino è letta nei termini di una graduale evoluzione da un paganesimo aperto e tollerante a una adesione al cristianesimo che si fa sempre più chiara dopo il 312; la storicità dell’editto di Milano è ribadita, contro Seeck e con Crivellucci. Il giudizio di fondo su quello che viene definito «l’ultimo grande imperatore romano» è positivo.
Una svolta di grande qualità nel panorama storiografico italiano è segnata dalla pubblicazione della voce su Roma in età imperiale di Arnaldo Momigliano (1908-1987) nel ventinovesimo volume dell’Enciclopedia, apparso nel 193625. In questo saggio Costantino e il suo posto nella storia dell’Impero sono discussi in una prospettiva originale, che rifugge sia da facili modelli provvidenzialistici e confessionali sia dalla riduttiva valutazione del Christianismus politicus del Burckhardt. Costantino è spiegato sullo sfondo della crisi del III secolo e della vigorosa reazione pagana che contraddistingue quel periodo. Le tensioni della storiografia dei decenni precedenti sono risolte in una formula brillante: il cristianesimo conquista «l’anima e il senso di opportunità politica di Costantino». Al contempo, questi è inteso alla luce di tentativi precedenti di venire incontro alle istanze cristiane e, insieme, di reagirvi: l’emergere del monoteismo pagano e la tendenza a sostituire il culto imperiale con una teoria del diritto divino a fondamento del potere imperiale. Diocleziano è un riformatore sistematico, anzi geometrico; al centro della sua azione sta la preoccupazione di sistematizzare i meccanismi della successione e ridurre al minimo i rischi d’insubordinazione degli eserciti. Nessuno dei due obiettivi è centrato, e l’ipotesi di un Impero «su base cristiana» si profila come un’alternativa ragionevole e desiderabile: a capirlo fra i primi è Galerio, che nell’aprile 311 decreta la libertà di culto per i cristiani. Costantino opera, dunque, su un terreno già preparato da altri. Momigliano non si avventura nell’esplorazione della sua psicologia e del debito che il suo cristianesimo può avere verso il monoteismo pagano; pragmaticamente, però, riconosce che Costantino è, dalla battaglia di ponte Milvio in poi, «fondamentalmente al servizio di Cristo». Al tempo stesso, lo studioso chiarisce che il conflitto con Massenzio non ha come tema l’approccio verso il cristianesimo: fra i due contendenti vi è pieno consenso sulla necessità di assicurare la tolleranza. Nel servizio a Cristo, Costantino ha, però, un compito gravoso da assolvere: egli si attribuisce un ruolo decisivo nella risoluzione dei conflitti nell’ambito della Chiesa, e la Chiesa cui deve fare fronte è divisa riguardo alla prospettiva di una piena integrazione con lo Stato imperiale26. Momigliano non dà un giudizio enfatico o entusiastico su Costantino: riconosce, tuttavia, il suo ruolo di pioniere del «cesaropapismo» e stabilisce un’analogia fra la rapidità della sua campagna in Italia del 312 e quella delle guerre napoleoniche27. È poi molto chiara la sua valutazione su quale sia lo spostamento di equilibri fra Impero e cristianesimo: il connubio voluto da Costantino ha successo, ma la sua vittoria passa per una chiara prevalenza della nuova religione. La tensione e il conflitto sono però destinati a durare: Stato e Chiesa assurgono al rango di «autorità universali» e la loro coesistenza diviene ancora più difficile di quanto già fosse quella fra lo Stato pagano e la comunità cristiana.
Momigliano attribuisce poi grande rilevanza agli interventi amministrativi di Costantino, che nuovamente rivela una logica opposta a quella seguita un paio di decenni prima da Diocleziano: invece di dedicarsi al consolidamento delle strutture provinciali, Costantino si occupa precipuamente di quelle centrali, con particolare attenzione ai ranghi dell’amministrazione finanziaria. La scomparsa del corpo dei pretoriani è parte di un piano più generale, nel quale Roma cessa di essere la capitale unica dell’Impero, e la fondazione di Costantinopoli è un passaggio necessario nella costruzione di un «cosmo imperiale» rinnovato. Momigliano sembra ritenere che l’intento di Costantino sia quello di promuovere, attraverso la fondazione di una seconda capitale, la piena riunificazione di un Impero capace di risolvere così la propria complessità. La nuova Roma, però, non produce altro effetto che agevolare e offrire nuovi motivi alla divisione già in atto fra Occidente e Oriente; una divisione che presto si estende, contro le intenzioni di Costantino, anche al cristianesimo stesso. La fondazione di Costantinopoli ha poi un effetto secondario, che anch’esso anticipa tendenze di lungo periodo. Essa completa il processo di declino dell’Italia nell’ambito dell’Impero; al contempo, però, apriva a Roma una prospettiva nuova come sede del grande centro di potere e autorità religiosi rappresentato dalla corte papale28. Momigliano afferma con nettezza che tutti i caratteri fondamentali della storia del basso Impero, la sua «fisionomia», trovano precisa definizione nel regno di Costantino.
Non stupisce che, secondo la testimonianza di Momigliano stesso, Benedetto Croce abbia molto ammirato questa voce in particolare fra le molte che Momigliano scrisse per l’Enciclopedia Italiana29. La discussione storica passa attraverso il confronto preciso con nodi teorici e filosofici di lunga durata e di massima importanza – soprattutto per chi si trovava a lavorare e a scrivere nel clima statolatrico degli anni Trenta. Momigliano definisce i termini del problema con una precisione che non ne elude la gravità, senza al contempo indicare soluzioni prescrittive: in questo senso, la sua discussione è un modello di enciclopedismo. Per gli intenti più limitati della nostra lettura, basti sottolineare come l’analisi di Momigliano abbia un grado di completezza, chiarezza e originalità che in Italia nessun altro studioso aveva raggiunto prima30.
Il posto di Costantino nella storiografia italiana è ridefinito, verso la metà del Novecento, dal contributo di Santo Mazzarino (1916-1987)31. Lo storico catanese si dedica in più occasioni a Costantino e il suo tempo, nell’arco di un itinerario scientifico e intellettuale pluridecennale; il suo interesse emerge chiaramente già in Aspetti sociali del quarto secolo, dove pure la discussione ha una struttura tematica, impostata sull’analisi di sviluppi di lungo periodo32. In quest’opera si ritrovano le linee di fondo dell’interpretazione dell’età tardoantica di Mazzarino: l’interesse per i nodi della periodizzazione, e per il concetto stesso di «basso Impero»; l’idea secondo cui i testi fondamentali per l’interpretazione di questo periodo sarebbero la Historia Augusta e il De rebus bellicis; la centralità di alcune grandi opposizioni storiche (moneta aurea versus moneta bronzea; civilitas versus dimensione rurale). In Aspetti sociali si trova già anche il nucleo dell’interpretazione di Costantino come imperatore «rivoluzionario», che ritornerà in altri contributi successivi. Mazzarino parla di una «tendenza costantiniana» nella storia economica e monetaria del tardo Impero, che privilegia gli interessi dello Stato rispetto a quelli della popolazione diffusa; e di una «tendenza giulianea», più attenta al contenimento dell’inflazione, pure in un sistema legato alla monetazione aurea. Gli aspetti rivoluzionari della politica di Costantino sono, però, letti entro una prospettiva in cui hanno grande peso anche i fattori di continuità: le riforme militari di Costantino sono il compimento di tendenze rivoluzionarie tipiche del III secolo, in cui Costantino è «il grandissimo esponente di un fenomeno dalle grandissime proporzioni».
Le linee fondamentali dell’interpretazione di Mazzarino si riconoscono, e sono sviluppate più distesamente, nella discussione che egli riserva a Costantino nella sua opera sull’Impero romano, l’unica grande sintesi sulla storia imperiale prodotta in Italia dopo l’articolo di Momigliano nell’Enciclopedia Italiana33. La lettura di Costantino come figura dal forte profilo innovatore è presentata in termini ancora più netti. Costantino viene interpretato quale figura rivoluzionaria, e tutta la lettura che Mazzarino dà di questo personaggio è compresa sotto questa categoria. La politica sulle immunità ecclesiastiche è identificata come l’aspetto più nuovo e originale della strategia di Costantino: nei privilegi da lui garantiti alla Chiesa vi è il riconoscimento di una religione unitaria e l’effetto collegato è l’emergere di una «classe unitaria di sacerdoti privilegiati». Accanto al riconoscimento d’importanti principi di grande portata storica, vi è anche spazio per la dimensione dello scontro politico contingente: esprimere una chiara opzione in favore di una Chiesa «cattolica» significa reagire duramente al donatismo africano. Segnato questo punto di fondo, Costantino può avviare un processo di cristianizzazione che riguarda la monetazione come il diritto; la politica di Licinio stava invece prendendo una direzione opposta, e la rottura della concordia fra i due Augusti conduce presto a uno scontro, che Mazzarino spiega in primo luogo in termini di dissenso religioso. La vittoria di Costantino permette il ritorno di una monarchia terrena, che Mazzarino mette in relazione con l’enfasi che egli pone sulla natura divina della monarchia e sull’unità della Chiesa. Il quadro non è, però, in tutto chiaramente definito: la posizione del potere di Costantino rispetto a quello dei sacerdoti sfugge a facili riduzioni. Mazzarino enfatizza l’espressione episkopos ton ektos34 che egli intende – letteralmente – come «vescovo di quelli di fuori». Nella sua lettura, questa espressione sottende una distinzione precisa fra la dimensione della Chiesa e quella del saeculum. Il vescovo dei laici, peraltro, non perde occasione per ribadire la propria gratitudine al dio dei cristiani, e dunque ha un interesse diretto negli affari della Chiesa. Per questa ragione Costantino può prendere parte al concilio di Nicea, in cui però non impone la propria volontà. Le sue convinzioni cristiane non vengono messe in dubbio; tuttavia, egli è anche consapevole dei propri doveri verso i propri sudditi pagani, come dimostrerebbe la decisione di dotare Costantinopoli di templi pagani.
I capitoli precedenti dell’opera di Mazzarino rappresentano un Impero in cui il cristianesimo compie un’impressionante avanzata sin dalla metà del I secolo: Costantino rompe con una tradizione che ha sino a questo momento tentato di dare forma pagana a un Impero largamente cristiano. Per tale motivo egli merita la definizione di «rivoluzionario», che si applica non soltanto alla dimensione religiosa, ma anche a quella economica: la riforma monetaria, con il superamento del denarius e l’avvento dell’aureus come moneta di riferimento. Lo Stato cessa di difendere la moneta divisionale, quella dei vilia commercia, e riserva ai detentori di moneta aurea un potere straordinario. Enormi masse sono ridotte alla rovina. Questo rovescio sociale porta dunque a una politica dei prezzi apertamente dirigistica per i decenni a venire, nel tentativo di contenere l’inflazione. Se la valutazione degli effetti della riforma costantiniana è chiara e precisa, non sono altrettanto chiari i motivi che conducono a una riforma tanto radicale, né vengono illustrate le intenzioni che portano Costantino a scegliere una linea di discontinuità così netta rispetto al passato. Mazzarino sottolinea che nel tardo Impero lo Stato si regge su una struttura gerarchica, che discrimina fra detentori di ricchezza e humiliores, gruppi sociali fra i quali non esiste la possibilità di una mobilità. Non appena si interrompe la dinamica dello scambio fra denarius e aureus che è tipica, in varia misura, dell’epoca imperiale, la prevalenza della moneta aurea su quella di rame segna la fine di ogni prospettiva di mobilità sociale. Nella società che prende forma dalle riforme costantiniane, le differenze di ceto sono profondamente radicalizzate: si profila una struttura piramidale, in cui si accentua anche il divario fra città, sede dei ceti che hanno il controllo della moneta aurea, e campagna, in cui prevale la dimensione dell’economia di scambio35. Costantino sa leggere questo mutamento sociale e lo sfrutta per creare una nuova classe dirigente, prevalentemente urbanizzata, utilizzabile nella burocrazia dell’Impero; la riforma della Chiesa, però, orienta molti uomini di talento verso la carriera ecclesiastica. Anche l’intervento di Costantino sull’organizzazione militare dell’esercito è improntata a criteri rivoluzionari: è rotta la tradizione che tiene i soldati lontani in armi per vent’anni, dunque tra esercito limitaneo e comitatense.
Questa lettura di Costantino ha implicazioni più generali per l’interpretazione e la periodizzazione della storia dell’Impero. Se, da una parte, la dicotomia fra principato e dominato, prevalente nella storiografia a quell’epoca, va accolta, occorre dall’altra precisare due punti significativi: la distanza fra Diocleziano e Costantino è più profonda di quanto si pensi; al contempo, nella vicenda di Costantino e del basso Impero più in generale, sopravvivono «cristallizzate» le forme storiche del principato; con Costantino si ha una rivoluzione, «ma in essa si fossilizzano, e fossilizzate vivono, tutte le grandi esperienze del principato». Costantino non è dunque soltanto la figura più profondamente innovatrice del mondo antico, ma una figura che offre fondamentali opportunità ermeneutiche, perché permette di vedere attributi fondamentali dell’Impero attraverso la vicenda e le scelte di un individuo straordinario.
Non sorprende che la riflessione di Mazzarino su Costantino e il suo tempo prosegua ben oltre la redazione della grande sintesi del 1956. Riflettere su Costantino e le interpretazioni moderne della sua opera significava anche ragionare intorno a problemi più generali di metodo storico, e di storia della storiografia. In La fine del mondo antico, la lettura di Costantino come figura rivoluzionaria si rivela un utile strumento euristico per la comprensione del mondo antico e del suo declino36. Costantino è violentemente contestato nella cultura pagana dei «vecchi ceti tradizionalisti», che trova il suo portavoce più lucido nell’anonimo autore del De rebus bellicis, con la sua forte critica della riforma monetaria e della riorganizzazione dell’esercito, riassunta mirabilmente nella formula secondo cui nei tempi che veramente erano d’oro l’oro non circolava (II 8-9)37. Mazzarino ha un forte interesse verso gli storici pagani, che offrono una lettura critica dell’avanzata del cristianesimo: Zosimo pone al centro del proprio orizzonte la decadenza di Roma e ritrae Costantino come un imperatore esoso e responsabile di gravissimi crimini; i delitti del 326 coincidono con l’assunzione dell’empietà cristiana. Egli resta peraltro una figura centrale per gli studiosi che si concentrarono sulla difficile vicenda del declino dell’Impero. Flavio Biondo ipotizza che lo spostamento della capitale da Roma a Costantinopoli possa essere stata la causa remota della decadenza dell’Impero e che la Provvidenza divina abbia avuto un ruolo decisivo nel determinare le decisioni di Costantino. L’opera di Lorenzo Valla sulla donazione di Costantino fu accompagnata da una riflessione critica sui fondamenti del potere imperiale, che è radicato nella violenza. Il suo corollario è che Costantino non ha alcun diritto sul popolo romano; la critica alla donazione si traduce dunque in una «critica anticesarea». Una parte importante della discussione del Mazzarino risiede nella rivalutazione dell’opera di Johannes Löwenclaw (Lovenclavio), che nel 1576 aveva pubblicato una Apologia in difesa di Zosimo e del suo giudizio ostile nei confronti di Costantino. I capi di accusa che Zosimo rivolge all’imperatore cristiano sono sostanzialmente confermati. Proprio il riconoscimento di questi aspetti profondamente critici permette poi una valutazione storica del personaggio, della sua personalità e delle sue politiche. Nel Löwenclaw sono presenti gli ‘incunaboli’ della questione costantiniana, che si riproporranno poi in tutta la storiografia moderna.
Nella sua esplorazione dell’età costantiniana, Mazzarino va dunque alle radici della storiografia moderna. Gli esiti di quell’indagine si ritrovano anche in alcuni saggi pubblicati in Antico, tardoantico ed èra costantiniana. Mazzarino riconosce nel lavoro del Burckhardt l’atto fondativo degli studi moderni su Costantino e vi attribuisce il merito di avere offerto un quadro d’insieme che nessuno ha prima tracciato con pari chiarezza38. Le radici ideologiche e storiografiche di quella riflessione sono però profonde. Il modello del Christianismus politicus, che riduce la conversione a una mossa politica, non è nuovo: gli storici di Jena Burkhard Gotthelf Struve e Johan Christian Hesse lo hanno già declinato in una dissertazione del 171339. Burckhardt lo riprende, derivandolo probabilmente da Johann K. Manso, e lo inquadra entro una cornice interpretativa più ambiziosa40. L’immagine di un Costantino irreligioso coesiste, peraltro, con quella di Costantino uomo di genio. Il lavoro del Burckhardt su Costantino è, per un verso, legato alla più ampia riflessione sul corso della storia universale e, per l’altro, alla riflessione sul potere, che Burckhardt tiene sempre a isolare dall’interiorità e a connotare idealmente come «male». Per Mazzarino, inoltre, riflettere sul Burckhardt significa anche riflettere sulla periodizzazione del basso Impero e della tarda antichità: non è un caso che la raccolta di saggi del 1974 si apra proprio con la riflessione sul libro del Burckhardt e sul concetto di età costantiniana che esso introduce nel dibattito – quello di un’epoca rivoluzionaria.
Altri saggi della raccolta discutono aspetti specifici dell’epoca costantiniana. Mazzarino sostiene l’autenticità della Oratio ad Sanctorum Coetum, sottolineando l’enfasi con la quale è rievocata la durezza della guerra di religione recentemente vinta contro Licinio41. Il problema è poi discusso nel quadro della concessione del ius Italicum a Costantinopoli, che sottolinea una continuità delle strutture sacrali della città con quelle di Roma; il suolo provinciale della città è assimilato a quello italico. Le conseguenze di tale processo giuridico sulla storia della «Seconda Roma» sono profonde42. Il problema storico dell’era costantiniana, i cui termini cronologici vanno ben oltre il regno di Costantino, ha peraltro una forte connotazione giuridica: il confronto e il conflitto tra la tradizione giuridica romana e la lex dei cristiani, e la necessità, per un Impero divenuto ormai cristiano, di mantenere forme giuridiche che garantiscano una certa forma di continuità degli istituti giuridici cittadini43. L’attenzione di Costantino verso le prerogative dell’ordine senatorio è parte di questo orizzonte complesso44.
Nessun altro storico italiano del Novecento dedica a Costantino altrettanta attenzione o offre un’interpretazione così articolata e originale. Per molti aspetti, la riflessione su Costantino nella storiografia italiana del secondo Novecento può leggersi come uno sforzo, talvolta fortemente critico, di reagire al paradigma interpretativo di Mazzarino.
La discussione del rapporto fra Costantino e la religione cristiana è al centro degli studi di Salvatore Calderone (1915-2000), nei quali l’approccio di fondo mostra importanti consonanze con quello dell’amico e conterraneo Mazzarino, accanto a esiti fortemente originali45. Un posto centrale è occupato dalla monografia su Costantino e il cattolicesimo46. Il punto di partenza è la tensione fra il paradosso tertullianeo – cristianesimo e potere imperiale sono irriducibili e incompatibili – e l’affermazione di Costantino, riferita da Eusebio47, secondo cui egli era episkopos ton ektos48. L’interpretazione, anche linguistica, di questa affermazione è problematica, ma l’episodio è un indizio chiaro della volontà di Costantino di promuovere una integrazione tra Impero e Chiesa: egli è un rivoluzionario che ha a cuore il rafforzamento dell’Impero attraverso la sua cristianizzazione e la piena integrazione, anzi, identificazione, fra Chiesa e Stato. Nell’opera di Costantino la Chiesa è dunque necessariamente catholica, ovvero universale. Vi sono poi implicazioni significative per la persona dell’imperatore che, convertitosi al cristianesimo, non è più identificabile quale presenza divina, come era stato il caso nel culto imperiale; la qualità divina si estende però all’ufficio imperiale. Di nuovo, sullo sfondo c’è la riflessione del Burckhardt e la lettura di Costantino come imperatore lucidamente «irreligioso». Calderone reagisce a questo paradigma riduzionistico, mettendo al centro l’intuizione politica di Costantino. Diventa perciò necessario esplorare che cosa la ecclesia sia per Costantino, come egli ne comprenda la funzione politica e religiosa. Calderone inquadra l’impegno di Costantino in un discorso di lungo periodo: le convergenze fra Impero e cristianesimo sulla necessità di una politica economica volta a offrire assistenza ai settori più deboli della popolazione datano già al II secolo d.C. Costantino intende la rilevanza che il cristianesimo può avere nel definire una politica d’integrazione politico-economica; la riforma monetaria è un sintomo della sua capacità di penetrare lo spirito del cristianesimo, perché confina interi strati sociali alla povertà e a forme di economia naturale, e pone pertanto la carità cristiana al centro delle dinamiche sociali ed economiche. L’integrazione fra Chiesa e Stato non è del resto priva di difficoltà. Il passaggio di rendite già demaniali alla Chiesa e il riconoscimento dell’istituzione di erede a favore della Chiesa comporta una forte erosione del potere e dell’autorità dello Stato. Peraltro, la Chiesa è un organismo fortemente complesso e diversificato, che nel terzo secolo si è però gradualmente sottoposto a un processo di centralizzazione e di gerarchizzazione. Larga parte del libro di Calderone è dedicata proprio a un inquadramento delle dinamiche interne alla Chiesa, in cui i sinodi giocano una parte sempre più cospicua, nella quale larga parte della comunicazione ha luogo per via epistolare; una struttura che è paragonabile a quella della polis come Stato e comunità, e che ne raccoglie in varia misura il lascito.
Se la prima parte dell’opera è una discussione di storia della Chiesa, la seconda ha un taglio limpidamente evenemenziale, e discute in dettaglio i passaggi che precedono e seguirono il cosiddetto editto di Milano. Costantino dà disposizioni sul trattamento dei cristiani già prima del suo arrivo a Milano; la legge sul riconoscimento giuridico del corpus Christianorum è emanata a Roma. Il problema della tensione fra un cristianesimo interiore e personale ed un uso politicistico della religione è mal posto; al centro del progetto di Costantino è la costruzione di un cristianesimo «cattolico», inquadrato entro una forma statuale unitaria. Il contributo di Licinio a questo processo merita anch’esso attenzione, malgrado questi non abbia la stessa decisa coerenza di Costantino nella controversia donatista; per quest’ultimo la questione va risolta nettamente a favore dell’opzione cattolica, della hairesis della Chiesa di Roma49. Un altro importante risvolto della politica costantiniana verso la Chiesa risiede nella serie di provvedimenti per l’immunità del clero, alla quale è sotteso un principio di fondo: i clerici assurgono allo statuto di ordo all’interno dello Stato, e la sua sistematizzazione nella struttura dello Stato è l’indizio di una generale politica di equilibrio. Calderone discute questo passaggio politico alla luce di più ampie considerazioni di filosofia della storia che vengono inserite in maniera imprevista nel mezzo della discussione:
In verità, la storia è paragonabile ad una progressione armonica: ogni accordo è equilibrio, tra un limitato numero di suoni; ma ogni accordo tende – necessariamente – verso un nuovo accordo... In questa tensione, sempre rinnovantesi, è la sostanza della musica, come la sostanza della storia. Ma né la musica né la storia possono esistere senza l’esecutore, colui che scarichi nel necessario nuovo equilibrio la tensione interna di un equilibrio precedente.
La discussione del Calderone si ferma al 323, alla vigilia dello scontro con Licinio. Il programmato secondo volume di Costantino e il cattolicesimo non vedrà mai la luce, ma Calderone avrà modo di tornare su questo periodo in altre occasioni. L’importante capitolo sulla storia dell’Impero da Costantino a Teodosio che Calderone scrive per un’opera collettiva destinata al pubblico colto, Nuove questioni di storia antica, offre una sintesi generale che va ben al di là di un inquadramento narrativo50. Gli spunti interpretativi del volume del 1962 rimangono fermi: Costantino fu un imperatore cristiano, che pone la pace fra i cristiani come un suo obiettivo fondamentale, ma non rinuncia a vedere nella Chiesa di Roma la guida universale di tutta la cristianità. La discussione procede poi con gli atti di Costantino dopo la vittoria su Licinio: la fondazione di Costantinopoli; la convocazione di un concilio universale, che riflette le ambizioni autenticamente «cattoliche» di Costantino e la mira a risolvere tutte le controversie teologiche e disciplinari ancora aperte. La vicenda dei concili occupa tutta la parte finale del regno di Costantino sino alla sua morte ed è un affare principalmente delle Chiese orientali. Costantino deve districarsi in un contesto complesso e contraddittorio, pur essendo egli ispirato da principi lineari: quelli di un imperatore cristiano che ambisce alla «cattolicizzazione» dottrinaria della Chiesa ed è disposto a compiere un forte sforzo politico per la promozione economica e sociale della Chiesa stessa; un imperatore pronto a rivolgersi ai suoi sudditi pagani con l’atteggiamento del missionario. La formula episkopos ton ektos trova in questo contesto una conferma della propria importanza e una spiegazione più chiara: Calderone la interpreta come «vescovo di quanti stan fuori della ecclesia», ovvero di tutti i cristiani laici; una posizione che riconosce una forma di distinzione alla Chiesa, ma pone Costantino al di sopra dei vescovi.
Sulla conversione di Costantino Calderone ribadisce opinioni già sostenute nel volume del 1962, contro la tesi di Grégoire, che vede nella scelta tra tolleranza e persecuzione un calcolo essenzialmente politico e attribuisce a Galerio e a Licinio la paternità di una linea di apertura verso il cristianesimo, dettata dalla sua forte presenza in Oriente e prefigurata dall’editto di Nicomedia del 313, ripresa quindi da Costantino per ragioni di convenienza durante la sua lotta con Licinio; l’interpretazione del De mortibus persecutorum di Lattanzio costituisce una premessa necessaria di questa lettura. Calderone sceglie una linea diversa, non dissimile da quella di Andreas Alföldi, secondo la quale Costantino esibisce la propria adesione al cristianesimo già su emissioni monetali del 312-313. Egli sottolinea poi la continuità fra la religione solare e monoteistica degli anni in cui Costantino si forma e i successivi sviluppi cristiani. Non vi è dunque ragione di dubitare che Costantino abbia effettivamente dichiarato la visione della croce al ponte Milvio e che essa sia divenuta parte del discorso pubblico tenuto subito dopo. Se la sostanziale adesione al cristianesimo è datata a questa fase, anche l’interpretazione dell’editto di Milano è posta in termini diversi. Costantino è interessato a perseguire una politica filo-cristiana sin dalla fine del 31251. Calderone si sofferma poi sui problemi militari e sulle conseguenze della riforma monetaria. Seguendo Mazzarino, egli attenua il carattere innovativo degli interventi costantiniani e parla di un lento cambiamento delle strutture militari dell’Impero, con una distinzione fra comitatenses e limitanei che non si sarebbe pienamente compiuta sino all’età di Valentiniano I e Valente. Quanto alla politica monetaria, Calderone sostiene che Costantino parta dal fallimento del tentativo dioclezianeo di salvare il denarius: le classi «detentrici di ricchezza reale» esercitano una pressione irresistibile per il superamento dell’ordinamento economico esistente, in cui l’intervento moderatore dello Stato gioca un ruolo molto significativo. È dunque la rovina per le classi economicamente inferiori; la preferenza dello Stato per la riscossione di tributi in denaro (adaeratio) piuttosto che in natura complica ulteriormente la situazione52. Si ha perciò l’avvio di una divisione della società in una struttura piramidale, che vede al vertice i grandi possidenti e le grandi figure della burocrazia imperiale, e di un sistema di rapporti sociali in cui la polarizzazione fra città e campagna è destinata ad accentuarsi attraverso i secoli. Se in questa sintesi Calderone non caratterizza Costantino come una figura dal profilo rivoluzionario, egli non rinuncia però a spiegare le sue iniziative politiche alla luce dei cambiamenti di lungo periodo che esse contribuirono a creare.
Calderone torna su problemi costantiniani in un saggio apparso nel 1973 in un volume degli Entretiens Hardt dedicato al culto dei sovrani nel mondo antico53. Costantino e la sua azione vengono discussi nel quadro di una riflessione più generale, che parte da un assunto importante: nella tarda antichità il culto imperiale è un problema di frontiera, e dunque un tema sul quale lo scontro è inevitabile, anzi, necessario: un topos negativo per i cristiani; un problema da superare per molti pagani già dall’epoca dioclezianea. Il potere imperiale in questo periodo si regge dunque su basi carismatiche, non religiose; più in generale, si è esaurito il dibattito sulla dimensione concettuale del problema. Quasi provocatoriamente, Calderone invita a non dare troppo peso a problemi particolari quali l’interpretazione del rescritto di Spello54; la rivoluzione costantiniana è non traumatica e non violenta, e lascia spazio ai fossili di un passato remoto55. Il carisma di Costantino consente di accogliere una dimensione di «cultualità», che trova un esempio notissimo nella decisione di collocare la propria tomba fra i sarcofagi degli apostoli nella basilica di Costantinopoli. Costantino è, una volta di più, in sintonia con lo spirito di un tempo animato da un forte gusto per il trascendente. Egli stesso ha parlato della possibilità di una sua «basileia dopo la morte»56. È proprio in questa forte tensione verso la natura trascendente del potere che si può intendere la scelta di creare l’istituto dei quattro Caesares, e di rimanere Augustus anche dopo la morte: scelta dalle forti conseguenze politiche e dalle profonde radici teoriche e spirituali.
In un successivo contributo Calderone discute in maggior dettaglio il problema della conversione di Costantino, che considera un problema definito in termini fuorvianti, per quanto significativa sia la sua influenza sul dibattito politico e filosofico almeno da Dante in poi: Eusebio non parla mai dell’opzione religiosa di Costantino in termini di epistrophe57. La scelta in favore del cristianesimo è, anzitutto, la ricerca di un theos boethos, di un dio patrono al quale affidare la tutela della propria causa e quella dell’Impero più in generale. Le dinamiche della vita spirituale di Costantino sono inconoscibili; quello che emerge con chiarezza è un profondo senso dello Stato, che informa tutte le scelte fondamentali dell’imperatore.
Calderone torna su un tema costantiniano anche in un capitolo della Storia di Roma, pubblicata da Einaudi, dedicato alla fondazione di Costantinopoli58. Nella sua lettura, l’idea di fondare una «seconda Roma» lontano da Roma non può che apparire un assurdo, che Costantino immagina e promuove. La fondazione della nuova capitale va intesa nel contesto della guerra contro Licinio e degli eventi di poco successivi del 325, con il concilio di Nicomedia e i vicennalia del regno. La fondazione della città è radicata in un’aspirazione profonda di fondare una nuova città, ed è accompagnata da un rituale di inauguratio che si pone in continuità con il diritto pubblico, e non in aperta contraddizione con il dettato della religione Cristiana. La decisione di chiudere i conti con Roma, di «voltare le spalle» alla capitale è chiarissimo; la consecratio della città ha luogo nel 330; l’equiparazione anche formale di Roma e Costantinopoli si sarebbe compiuta, secondo Calderone, nel 332/333. Costantino non parla, a quanto consta, di una «nuova Roma», ma di una «seconda Roma», strettamente associata alla sua persona; il progetto di Costantinopoli, peraltro, non manca di incontrare robuste resistenze.
Misurarsi con Costantino e il suo tempo pone, quasi inevitabilmente, seri problemi di periodizzazione, che divengono ancora più acuti se si adotta il punto di vista di Costantino come imperatore «rivoluzionario». Il problema del ‘Tardoantico’ trae origine dalla letteratura storico-artistica di fine Ottocento; Ranuccio Bianchi Bandinelli (1900-1975) offre precisazioni importanti al riguardo. Egli vede senza esitazione nell’arte dell’epoca costantiniana le tracce del Tardoantico e sostiene che il problema sia materia di consenso universale; il momento di rottura andrebbe identificato con la generazione precedente, ovvero con l’età dei tetrarchi59. Alcuni decenni più tardi, nei suoi studi sull’arco di Costantino, Antonio Giuliano (1930) sostiene invece una prospettiva differente: i ritratti dell’arco presuppongono scelte iconografiche che associano Costantino non ai tetrarchi, ma alla tradizione augustea e al tentativo di definire un nuovo codice di classicismo, anche attraverso l’apporto di tradizioni artistiche provinciali. Il reimpiego di materiali provenienti da monumenti eretti da altri imperatori su una struttura costruita ex novo, peraltro, permette a Costantino di stabilire associazioni con precedenti ai quali intende richiamarsi60.
Per intuibili ragioni, Costantino ha un posto importante anche nella storiografia giuridica. Il giurista Pietro De Francisci (1883-1971) dedica a Costantino alcuni momenti della sua amplissima riflessione sui fondamenti del potere nel mondo romano61. Nella sua visione, è Diocleziano ad aprire una fase politica del tutto nuova, definendo il paradigma di un potere imperiale assoluto e centralizzatore. Costantino riprende e sviluppa questa tradizione, offrendo a sua volta sviluppi originali, anzitutto nell’intuizione che lo porta a integrare la Chiesa nelle strutture dell’Impero. Costantino è imperatore cristiano, ma il suo debito con la tradizione pagana resta profondo e influenza anche la sua tendenza a definire la personalità dell’imperatore in termini quasi divini. L’idea della vocazione divina dell’imperatore, peraltro, apre il campo a tensioni destinate a perdurare a lungo: Costantino è anche sostenitore del principio dinastico.
L’idea di un Costantino portatore di esiti rivoluzionari fu invece sviluppata, indipendentemente dal Mazzarino e su linee fondamentalmente diverse, da Biondo Biondi (1888-1966) nel suo monumentale studio sul «diritto romano cristiano»62. L’assunto di fondo dell’opera è che, a partire da Costantino, nella legislazione postclassica ha luogo un mutamento profondo, determinato da un crescente influsso del cristianesimo e da una minore incidenza della giurisprudenza classica. Biondi non discute il problema delle convinzioni religiose di Costantino, ma riconosce che con lui l’Impero diventa cristiano; la legislazione di questo sovrano «orientale e cristiano» copre un ampio spettro di problemi e rompe in maniera netta con la tradizione classica dei responsi, offrendo al contrario disposizioni generali, coerentemente ispirate a principi cristiani. È con Costantino che si apre la tradizione di una legislazione imperiale in difesa del cristianesimo; l’iniziale linea di tolleranza è poi superata da una successiva, più chiara scelta in favore del «confessionismo».
Riprendendo intuizioni che già sono alla base degli studi di Mazzarino e di Calderone, Lucio De Giovanni (1950) discute temi di storia religiosa e intellettuale alla luce di problemi di natura giuridica, amministrativa ed economica63. Il punto di partenza è l’anno 313: la mancata celebrazione dei ludi saeculares deve aver avuto un forte impatto sull’opinione pubblica pagana di Roma; più in generale, Costantino non dichiara mai di dovere la propria vittoria al ponte Milvio al sostegno delle divinità pagane. Questa reticenza si spiega, da una parte, con il deliberato intento di consolidare il rapporto con i cristiani e, dall’altra, con il forte legame di Costantino con la tradizione del monoteismo pagano. È poi particolarmente degna di nota la tendenza a porre ostacoli alla pratica dell’aruspicina, che è completamente abolita nei contesti privati e tollerata in quelli pubblici (anche se in Cod. Theod. IX 16,1 è definita superstitio); il chiaro distanziarsi di Costantino dalla divinazione tradizionale è visto con sospetto dagli ambienti pagani, ed è senz’altro inteso a indebolire lo statuto di questa pratica agli occhi della popolazione di Roma e a marginalizzare una fonte di profezie che possono indebolire il suo statuto. Opportunamente, però, De Giovanni pone le iniziative di Costantino entro il più ampio contesto della riflessione pagana sulla divinazione; la tensione fra divinazione pubblica e privata ha una lunga storia.
Alla discussione di De Giovanni è sottesa una visione dell’opera di Costantino profondamente diversa da quella di Mazzarino e di Calderone: piuttosto che un imperatore rivoluzionario, egli è un «buon principe cristiano», dedito ad atti di filantropia, ma privo di una reale volontà di modificare «le strutture portanti dell’Impero e i privilegi delle classi dominanti». Anche la riforma monetaria, che ha violente ripercussioni sui ceti più poveri, può essere letta entro questa cornice. La distruzione di santuari come quelli di Afaca e di Eliopoli si spiega più con un’adesione allo spirito del tempo, in cui anche alcuni pagani propugnano un rinnovamento della loro religione, che con una radicale intento di cristianizzazione che alcune fonti vi attribuiscono64. La persistenza di elementi del culto solare nell’iconografia costantiniana anche dopo il 313 pone poi il problema del dialogo di Costantino con la cultura pagana da un altro punto di vista. È possibile che egli intraveda una sovrapposizione fra Cristo e Sol Invictus, e che il culto del Sole sia legato al debito che egli avverte verso il dio dei cristiani. Vi sono poi tracce della sopravvivenza di una «religione imperiale» largamente compatibile con il politeismo pagano tradizionale. Particolare rilievo merita il rescritto di Spello, sicuramente successivo al 326 e probabilmente datato agli ultimi mesi del regno di Costantino, con il riferimento alle contagiose superstitionis fraudes che minaccerebbero il culto della gens Flavia: secondo De Giovanni, l’intento del rescritto sarebbe di impedire la celebrazione di qualsiasi sacrificio nell’ambito del culto pubblico, estendendo così un principio che già si è affermato in contesti privati. Costantino non reprime la pratica di un culto, ma non esita a chiarire quali siano le sue preferenze. Egli ha anche un interesse a mantenere un rapporto non antagonistico con le élite politiche e sociali pagane. Tale legame si estende anche agli intellettuali pagani, specialmente filosofi e retori; la Oratio ad Sanctorum Coetum dimostra come Costantino non esitati a usare il linguaggio e il repertorio concettuale degli intellettuali pagani per sostenere una politica di graduale, ma fermo distacco dal paganesimo. L’intento è la costruzione di una classe dirigente nuova, composta da elementi di varia estrazione sociale e diversi orientamenti religiosi e culturali.
I rapporti fra Costantino e gli intellettuali cristiani sono posti in forte risalto nel libro di un altro giurista di scuola napoletana, Francesco Amarelli (1944)65. La discussione parte dallo studio della legislazione costantiniana e dalla valutazione degli elementi di novità e di continuità. L’unico vero elemento di discontinuità è la consapevolezza della necessità di una forte collaborazione con i cristiani; l’assunto di fondo nega ogni carattere rivoluzionario al regno di Costantino e pone al centro l’ambizione personale. È poi dato forte peso al rapporto con Lattanzio, che egli sceglie come precettore per il figlio Celso: un cristiano di origine provinciale, fortemente legato alla tradizione romana e specificamente interessato a problemi di diritto e giurisprudenza. Con Lattanzio Costantino condividerebbe una coerente tensione ad assicurare la compatibilità fra vetustas e innovatio; si tratta, peraltro, come ammette Amarelli stesso, più di una coincidenza di temi e di idee che di precise corrispondenze testuali. È peraltro innegabile che la funzione di Lattanzio a corte sia di grande preminenza e che un accostamento fra gli orizzonti intellettuali di queste due figure sia, in linea di principio, legittimo.
I rapporti di Costantino con gli intellettuali pagani sono a loro volta legati alla sua rappresentazione nelle fonti letterarie pagane, considerata in un attento studio di Valerio Neri (1948)66. Il punto di vista di un intellettuale di origine africana, Aurelio Vittore, nei Caesares, è originale. Peraltro, la distinzione fra autori cristiani e pagani ha valore relativo: non mancano spunti polemici verso Costantino anche in autori cristiani come Gerolamo e Orosio, che peraltro mostrano un debito verso Eutropio, mentre Festo, un autore probabilmente pagano, ha un atteggiamento sostanzialmente encomiastico. La cifra di fondo che accomuna tutta la storiografia del periodo, eccetto Festo e la fonte dell’Origo Constantini Imperatoris, è quella di una fondamentale ambiguità; vi è una forte enfasi sull’ambizione personale di Costantino e sulla graduale degenerazione del suo regno, dopo una fase iniziale che ha garantito pace e stabilità67. L’impegnativo studio di Neri non è certo uno sforzo isolato: dalla seconda metà degli anni Sessanta in poi, le fonti letterarie sull’età costantiniana ricevono continua attenzione nella storiografia italiana. Sarebbe impossibile riassumere le linee di questo dibattito in questa sede. A Raffaele Farina (1933, oggi cardinale) si deve un importante lavoro sulla teologia politica di Eusebio di Cesarea68. Sono inoltre degni di nota il lavoro di Mario Mazza (1935) sulla rappresentazione di Costantino nella storiografia cristiana, e specialmente ecclesiastica, dopo Eusebio69; quello di Giuseppe Zecchini (1952) sull’importanza del tema della difesa dell’Impero contro i nemici esterni e il ruolo centrale di Costantino in Sozomeno70; e gli studi di Antonio Baldini (1950) sulle tradizioni letterarie intorno alla conversione di Costantino71.
Accanto a importanti studi di aspetti particolari dell’opera di Costantino e della sua epoca, la storiografia italiana del secondo Novecento ha proposto importanti momenti di riflessione collettiva e ambiziose collaborazioni scientifiche. Due imprese, di carattere nettamente diverso, meritano particolare attenzione: l’attività dell’Accademia Romanistica Costantiniana di Perugia, con la sua organizzazione di un’importante serie di convegni internazionali, a partire dal 1973; e l’ampia riflessione sull’economia e la società tardoantiche svolta negli anni Settanta e Ottanta nell’ambito del Seminario di Antichistica dell’Istituto Gramsci. I due progetti hanno peraltro ambiti ben diversi: se i convegni dell’Accademia perugina riuniscono studiosi di varia provenienza e formazione, uniti dall’interesse per l’età tardoantica, il lavoro del Seminario del Gramsci è il frutto di una collaborazione fra studiosi che condividono simili premesse metodologiche, e ha pertanto un diverso grado di coerenza interna72.
Dare conto della varietà di spunti, prospettive e problemi posti dai contributi apparsi negli Atti dell’Accademia Costantiniana sarebbe impossibile. Bastino due esempi. Il convegno del 1975 è dedicato alla transizione dalla tetrarchia alla monarchia costantiniana e include numerosi contributi dedicati a Costantino: un saggio del giurista Arnaldo Biscardi (1910-1998) sulla fondazione di Costantinopoli e sulla sua natura di seconda Roma, fondata da un imperatore pragmatico e poco interessato a precise soluzioni religiose e teologiche; uno di Carlo Castello (1912-2007) sui rapporti legislativi fra Costantino e Licinio e le parti dell’Impero da loro governate; uno di Remo Martini (1935) che discute la legislazione costantiniana in materia di parricidio; uno di Guglielmo Nocera (1907-2000) che offre una sintesi sul passaggio da tetrarchia a monarchia, che sottolinea la forte continuità di vedute e di approcci fra Diocleziano e Costantino, entrambi interessati alla centralizzazione del potere e del controllo delle dinamiche economiche e sociali. Una linea interpretativa analoga si ritrova anche nel lungo contributo di Manlio Sargenti (1915), specificamente dedicato agli sviluppi della struttura amministrativa dell’Impero73. Gli atti del XIII convegno, tenutosi nel 1997 in memoria di André Chastagnol, includono altri contributi significativi, tutti concentrati su problemi di storia amministrativa e giuridica: Vincenzo Aiello (1957) analizza l’origine del ruolo di magister officiorum in età costantiniana, attraverso la lettura del De magistratibus di Giovanni Lido; una nota di Francesco M. de Robertis (1910-2003) si sofferma sul richiamo costantiniano a un’applicazione rigorosa del ius contro l’aequitas; una cursoria rassegna del Castello discute i concili della Chiesa convocati da Costantino74.
I volumi dedicati a Società romana e impero tardoantico dal seminario di Antichistica del Gramsci sono per lo più concentrati sulla dimensione economica e sociale; diversi contributi affrontano Costantino e il suo tempo75. Andrea Giardina (1949) apre il suo ampio quadro storico sull’Italia nel tardo Impero ponendo il difficile problema di come distinguere i diversi contributi di Diocleziano e Costantino al processo imperiale del tempo. La discussione riprende il modello di Mazzarino sugli aspetti rivoluzionari del regno di Costantino, opposto agli aspetti tradizionalistici del regno di Diocleziano: entrambi i sovrani, però, sono animati da una forte volontà razionalizzatrice del controllo politico e dell’organizzazione tributaria, che è in forte discontinuità con le linee più significative della politica dominante nell’Impero. Giardina parla infatti di una «età dioclezianeo-costantiniana» come era di passaggio e di ricomposizione di equilibri, paragonabile a quella augustea76. I cambiamenti più significativi nell’organizzazione dell’Italia in provincia hanno luogo sotto Diocleziano. Un aspetto che accomuna molti dei lavori presentati in questo volume è il tentativo di dare conto di cambiamenti di lungo periodo e degli sviluppi che preparano i cambiamenti medesimi: le fasi dioclezianea e costantiniana, dunque, vanno comprese alla luce di sviluppi che si avviano nei decenni precedenti. Nella riflessione di Francesco Grelle (1935) sugli sviluppi in campo giuridico e istituzionale, i tentativi di Diocleziano di conservare gli assetti istituzionali tradizionali attraverso una sistematizzazione giuridica sono spiegati con un riferimento ai precedenti tentativi di Gallieno e di Aureliano77.
Vi è però una chiara discontinuità sotto Costantino, che offre una risposta decisiva e permette la sopravvivenza delle strutture imperiali. Sotto il suo regno l’uso del termine lex diventa una pratica stabile: dal re scriptum, che ancora prevale sotto Diocleziano, per cui il primato è dei giuristi e delle loro interpretazioni del ius, si passa – probabilmente dopo la vittoria del ponte Milvio – all’uso sistematico dell’edictum, ovvero di una forma enfaticamente prescrittiva e imperativa. Con Costantino, però, si esaurisce l’idea che il diritto si crei caso per caso e s’introduce una maggiore centralizzazione anche nell’esercizio della giustizia. Il problema della qualità delle innovazioni di Costantino si pone anche per la lettura della sua politica fiscale proposta da Tullio Spagnuolo Vigorita (1941). Sin dal dicembre 312, Costantino mostra una forte ostilità verso i delatori in materia fiscale, che sono puniti addirittura con la morte. La mitezza fiscale contraddistingue il regno di Costantino e si accompagna a una più generale disposizione conciliante verso i ceti possidenti e i patrimoni privati78. La discussione complessiva della storia monetaria dell’Impero fra III e V secolo offerta da Elio Lo Cascio (1948) sottende una valutazione degli effetti della riforma monetaria di Costantino. Sulla scorta di Mazzarino, è valorizzato il De rebus bellicis come un testo di penetrante analisi economica: la tesi del trattato è che Costantino inizia a coniare ampie quantità di monetazione aurea dopo avere effettuato massicce confische a danno dei santuari pagani; gli effetti devastanti di questa riforma sui ceti più poveri sembrano indubbi79.
Uno studio di Giuseppe Camodeca (1945) pone il problema dell’impatto economico delle politiche di Costantino a partire da una prospettiva di storia locale80. Puteoli conosce una stagione di prosperità in età tardoantica; fu beneficiaria di un contributo annonario di 150.000 modii da parte di Costantino81; le distribuzioni sono organizzate in base alle regiones e hanno anche una particolare rilevanza per l’ordo decurionum. Secondo il Camodeca, una funzione decisiva nell’attribuzione di questo beneficio è esercitata dal potente patrono della città Lolliano Mavorzio, al quale sono dedicate varie iscrizioni puteolane; la città peraltro attribuisce onori a Costantino e Crispo, ed è coinvolta, come Neapolis, nella donazione di colonne per la costruzione di un grande portico sulla Mese a Costantinopoli. La città appare come un centro importante della Campania tardoantica, capace di costruire legami produttivi con il centro dell’Impero; le scelte economiche di Costantino non hanno i caratteri di un disegno rivoluzionario, ma vanno lette, accanto a esempi noti provenienti da altre regioni dell’Impero, in un’ottica che mirava a rendere più sostenibile la posizione dell’ordo decurionum, in continuità con le tendenze di lungo periodo dell’evergetismo antico.
L’originale contributo di Augusto Fraschetti (1947-2007) si concentra sul difficile rapporto fra Costantino e Roma. I panegirici non menzionano l’ascesa al Campidoglio dell’imperatore il 29 ottobre del 312, ormai convertitosi al cristianesimo, durante l’adventus successivo alla vittoria del ponte Milvio, mentre testimoniano altri atti pubblici, come l’adlocutio al popolo e la visita alla curia; poiché i panegirici sono pronunciati in presenza dell’imperatore, l’omissione della salita al Campidoglio costituisce un dato significativo, indicativo delle intenzioni dell’imperatore stesso, addirittura di una improvvisa «abolizione del ricordo». Parlare di trionfo in un contesto non cristiano è una contraddizione in termini, anche se l’adventus di Costantino, come quello di altri imperatori nella tarda antichità, ha precisi debiti nei confronti del cerimoniale del trionfo pagano. A testimoniare una relazione sempre più complessa con la città di Roma sarebbe anche la decisione di Costantino di celebrare i vicennalia della sua ascesa all’Impero a Nicomedia nel 325 prima che a Roma nel 326; nel 326 sarebbe poi emersa, secondo Zosimo, l’ostilità del Senato e del popolo romano verso Costantino, che Fraschetti spiega con l’impossibilità dell’imperatore cristiano a prendere parte a riti pagani ancora largamente praticati in città82. È quello l’ultimo soggiorno di Costantino a Roma, dove egli non torna neppure per celebrare i propri tricennalia.
Fraschetti ridiscute questi problemi in una monografia dedicata alla transizione fra paganesimo e cristianesimo nella Roma tardoantica83. Il difficile rapporto di Costantino con la città di Roma diventa il punto di partenza di una discussione che esplora il cambiamento della posizione di Roma nella struttura politica e simbolica dell’Impero. Il rifiuto delle innumerevoli associazioni pagane che attraversano il tessuto urbano di Roma conduce Costantino a promuovere la fondazione di una nuova capitale cristiana lontano da Roma. La discussione si basa su un assunto di fondo: la conversione precede la vittoria del ponte Milvio e l’imperatore vittorioso che fa il suo primo ingresso in Roma nell’ottobre del 312 deve già fare fronte al profondo disagio verso l’eredità pagana della città che contraddistinguerà tutto il suo regno. L’esito a cui Costantino perviene è la creazione di «un nuovo stile di vita cerimoniale». Il suo rifiuto di celebrare i riti trionfali propri della tradizione pagana segna una tendenza destinata a ripetersi nei decenni successivi.
Il lavoro di Fraschetti dimostra come la datazione alta della conversione di Costantino abbia conseguenze interpretative molto rilevanti, sviluppate non soltanto nella storiografia italiana. In un saggio dei primi anni Novanta, Arnaldo Marcone (1954) trae le debite conseguenze dall’assunto sul quale sembra ormai concordare larga parte della dottrina anglosassone, ovvero l’adesione di Costantino al cristianesimo sin dall’infanzia, in favore di un quadro nel quale il cristianesimo è fortemente diffuso tra le élites dell’Impero sin dalla fine del terzo secolo84. Marcone nota come, in questo modello, anche l’antagonismo politico e religioso con il Senato perda valore e tutta la vicenda di Costantino meriti di essere valutata nella sua specificità politica, senza enfatizzare eccessivamente gli aspetti religiosi. Il lascito politico della tetrarchia e lo spostamento del centro politico dell’Impero da Roma sono aspetti di particolare significato. I rapporti di Costantino con un Senato nelle cui fila il cristianesimo stenta a farsi strada è improntato alla piena collaborazione, a un ideale che Marcone definisce civilitas, accompagnato a un pieno rispetto delle prerogative istituzionali del Senato. Una legge come quella sulla pratica dell’aruspicina dimostra come non si possa parlare di una repressione del paganesimo tout court: al contrario, la pratica dell’aruspicina è autorizzata nei contesti pubblici85. Nell’analisi proposta da Marcone, la chiara e coerente collaborazione con l’aristocrazia è un architrave della politica di Costantino86.
A Marcone si deve anche l’unica biografia di Costantino pubblicata in italiano nell’ultimo mezzo secolo87. In un agile volume privo di note, apparso nel 2000 e destinato a un pubblico colto, è offerta una precisa ricognizione della vita di Costantino combinandola a una discussione di specifici problemi interpretativi. Il punto di partenza è la crisi del sistema tetrarchico, che rende possibile l’ascesa di Costantino, il quale deve a quel sistema la sua posizione di preminenza; il debito con l’eredità tetrarchica è confermato dal legame che Costantino mantiene con la città di Treviri. Altro aspetto centrale della lettura di Marcone è che la conversione risalga al 312, sia strettamente associata alla vittoria del ponte Milvio e possa ritrovarsi nella precisa e coerente volontà di improntare le azioni politiche di Costantino a una concessione di privilegi alla Chiesa88. Vi è però anche una riflessione di fondo sull’adesione personale di Costantino al cristianesimo, testimoniata ad esempio nella lettera al vicario d’Africa Aelafio (Ottato di Milevi, App. III) in cui l’imperatore si rivolge al suo corrispondente richiamando la comune devozione al «sommo Dio» e l’importanza di un coinvolgimento dell’imperatore nella risoluzione delle controversie interne alla Chiesa. La chiara opzione religiosa di Costantino diviene anche un utile punto di vista sul conflitto con Licinio e il successivo, diretto coinvolgimento nella disputa intorno all’arianesimo. Qui Costantino mostra uno spirito pragmatico, che si rivela in altri aspetti del suo regno: la sua preoccupazione è di evitare divisioni gravi su oscuri problemi teologici e rendere possibile un compromesso che possa raccogliere un numero più ragionevolmente alto di consensi. Marcone non discute la vicenda di Costantino ricorrendo alla categoria di «rivoluzione», centrale nella riflessione di Mazzarino, né individua direttrici fondamentali di mutamento. Costantino emerge dalla sua analisi come una figura di grande ambizione politico-strategica e di considerevoli capacità. Egli, però, non sa gestire la propria successione, che non è in grado di affrontare coerentemente; si aggiungono alcuni fallimenti in politica estera, specialmente sul fronte persiano. Il risultato delle titubanze di Costantino e delle successive divisioni tra i suoi successori è la fine delle prospettive della dinastia costantinide89.
Marcone dedica ampia parte della propria lettura di Costantino all’esplorazione dei limiti dell’azione politica dell’imperatore; ha poi molto peso il ruolo che la conversione al cristianesimo ha nelle sue scelte di fondo. La stessa linea interpretativa si ritrova in un volume pubblicato dallo stesso autore un paio d’anni più tardi, nel quale la conversione di Costantino al cristianesimo e l’impegno dell’imperatore per l’integrazione della Chiesa nelle strutture dello Stato romano sono le questioni centrali e ricevono una discussione più distesa e approfondita, nel quadro di uno studio che non ha un taglio esclusivamente biografico, ma si dedica a problemi di portata storica più generale90. Il problema della religiosità di Costantino è anche al centro del libro di una studiosa prematuramente scomparsa, Marilena Amerise (1975-2009), sulla tradizione storiografica intorno al battesimo di Costantino, che ha il merito di mettere ordine in un dossier complesso e in larga misura contraddittorio91. Costantino sceglie di posporre il proprio battesimo secondo una prassi largamente diffusa all’epoca: tardando il battesimo, si ritiene che sia possibile mantenere lo stato di purezza nell’avvicinarsi alla morte. Eusebio, però, idealizza le circostanze che conducono al battesimo di Costantino, sostenendo che l’imperatore ambisse a ricevere il battesimo nel Giordano; le fonti ortodosse mirano invece a oscurare il fatto che egli sia stato battezzato da un vescovo ariano, Eusebio di Nicomedia. In Occidente circola poi una terza versione, che vuole Costantino battezzato a Roma dal papa Silvestro: è questa tradizione, interamente apocrifa, ad avere maggior fortuna e a divenire prevalente nel Medioevo, sia in Occidente sia in Oriente92.
In un’utile messa a punto, Giorgio Bonamente (1947) intende non parlare di Costantino né in termini di rivoluzione né in quelli di conversione, ma di svolta, tornando a una lettura di Costantino come imperatore che sceglie un nuovo dio protettore per se stesso e per l’Impero, e la linea di una stretta integrazione tra funzione imperiale e potere episcopale; una lettura che, in parte, viene suggerita anche dal testo di Eusebio93. Un altro studioso di scuola perugina, Roberto Cristofoli (1970) offre un importante contributo allo studio dell’auto-rappresentazione di Costantino, dedicando una monografia alla Oratio ad Sanctorum Coetum. Il Cristofoli propone di considerarla come un discorso ufficiale di Costantino pronunciato in varie forme a partire dal 312; il testo a noi noto sarebbe successivo alla vittoria contro Licinio, ma precedente il concilio di Nicea94. L’immagine di sé che Costantino delineerebbe nell’Oratio, con la sua forte enfasi sulla difesa del cristianesimo contro il paganesimo sostenuto da Licinio, sarebbe il modello diretto del ritratto di Costantino proposto da Eusebio di Cesarea95. Lo studio dell’Oratio sfocia poi in una riconsiderazione del problema della conversione di Costantino: Cristofoli data l’adesione al cristianesimo a subito dopo la vittoria del ponte Milvio, ma è al contempo disposto a rivalutare il peso sia della «ragion di Stato» sia della forte consapevolezza del fallimento delle politiche repressive e persecutorie nei confronti del cristianesimo.
La più recente discussione d’insieme su Costantino apparsa in Italia, a opera di Filippo Carlà (1981) e di Maria Goretti Castello (1977), è una collezione di alcuni aspetti specifici, che tuttavia sottende una precisa interpretazione di fondo, che supera nettamente il modello di un Costantino «rivoluzionario» in favore di letture che privilegiano piuttosto gli aspetti di continuità rispetto alla tradizione96. Lo studio di Carlà sulla monetazione costantiniana riduce il peso dell’ascesa di temi cristiani, l’impatto innovativo della monetazione costantiniana rispetto a quella dei predecessori ed enfatizza il tema della crescente presenza del «carisma trascendente» dell’imperatore97. L’analisi della Castello sulle riforme in campo amministrativo è altrettanto scettica sulla misura dei cambiamenti introdotti da Costantino, che vanno intesi più come graduali strategie di aggiustamento che come robusti tentativi di riforma complessiva. È però nello studio degli aspetti ideologici degli interventi di Costantino in materia di repressione criminale che il vecchio dibattito sulla cristianizzazione del diritto romano viene di fatto superato. È improbabile che Costantino persegua una strategia di chiara discontinuità anche in questo ambito; secondo Carlà e Castello, la tradizione di un Costantino consapevole cristianizzatore risalirebbe all’età teodosiana, quando è promosso un recupero dell’eredità di Costantino, nel tentativo di definirlo un imperatore cristiano, autorevole precursore della politica di cristianizzazione dell’Impero.
Anche negli ultimi anni, dunque, la storiografia italiana ha prodotto poche sintesi di largo respiro su Costantino e il suo tempo. È però nella capacità di offrire contributi specifici su un raggio amplissimo di temi e di proporre, a partire da essi, spunti interpretativi più generali che risiede tanta parte della sua ricchezza. Anche in tempi nei quali le particolarità delle tradizioni nazionali vanno attenuandosi, la storiografia italiana mantiene fra i suoi tratti distintivi un’impressionante pluralità di voci e di punti di vista sull’età costantiniana. Proprio sulla base di questo dato si comprende come Costantino e il suo tempo restino temi che, nella storiografia italiana, hanno e mantengono una rilevanza eccezionale.
1 Sulla donazione di Costantino cfr. gli studi di J. Helmrath; di Scipione Maffei si veda De fabula Equestris Ordinis Constantini Scipionis Maffeii marchionis epistola, Tiguri 1712; cfr. F. Ruffini, L’Ordine costantiniano e Scipione Maffei, in Nuova Antologia, s. 6, 236 (1924), pp. 130-156; A. Momigliano, Gli studi classici di Scipione Maffei, in Id., Secondo Contributo alla storia degli studi classici, Roma 1960, p. 261.
2 J. Burckhardt, Die Zeit Constantin’s des Großen, Basel 1853. Il libro di Burckhardt fu tradotto in italiano soltanto nel secondo dopoguerra (Milano 1954), dopo avere già esercitato un’influenza significativa sulla storiografia italiana.
3 F. Gusta, Vita di Costantino il Grande, con un esame critico sopra alcuni punti principali, e vera idea della Chiesa in quell’epoca, Napoli 18063; la prima edizione apparve a Foligno nel 1786, sotto il titolo di Vita di Costantino il Grande primo imperador cristiano con l’aggiunta di un esame critico sopra diversi punti più principali di questa parte di storia ed una vera idea della Chiesa in quell’epoca.
4 C. Cavedoni, Ricerche critiche intorno alle medaglie di Costantino il Grande e de’ suoi figliuoli insignite di tipi e di simboli cristiani, in Opuscoli religiosi, letterarj e morali, 3 (1858), pp. 37-61.
5 R. Garrucci, Esame critico e cronologico della numismatica costantiniana portante segni di cristianesimo, Roma 1858.
6 C. Cavedoni, Appendice alle ricerche critiche intorno alle Medaglie Costantiniane insignite dell’effigie della Croce e d’altri segni cristiani, Modena 1859; Id., Osservazioni sopra alcuni frammenti di vasi di vetro con figure in oro trovati ne’ cimiteri de’ cristiani primitivi di Roma, Modena 1859; R. Garrucci, Vetri ornati di figure in oro trovati nei Cimiteri dei cristiani primitivi di Roma, Roma 18642, pp. 236-261; Id., Note alla numismatica costantiniana, in Id., Dissertazioni archeologiche di vario argomento, Roma 1865, pp. 23-30; G.B. De Rossi, in Bulletin d’Archéologie chrétienne, 1, 7, Rome 1863, pp. 50-53; Id., in Bullettino di Archeologia Cristiana, 2, 5, Roma 1864, pp. 38-39. È degna di nota, in altro contesto, anche la discussione della cronologia della monetazione dei Costantinidi in L. Laffranchi, P. Monti, Costantino II Augusto, in Rivista italiana di numismatica, 18 (1905), pp. 389-413.
7 A. Crivellucci, Della fede storica di Eusebio nella Vita di Costantino, Livorno 1888; Id., L’editto di Milano, in Studi Storici, 1 (1892), pp. 239-250; Id., Gli editti di Costantino ai provinciali della Palestina e agli Orientali (Eus. V.C. II, 24-42 e 48-60), in Studi Storici, 3 (1894), pp. 369-384, 415-422; Intorno all’editto di Milano, in Studi Storici, 4 (1895), pp. 267-273; I documenti della «Vita Constantini (Al prof. O. Seeck dell’Università di Greifswald)», in Studi Storici, 7 (1898), pp. 411-429, 453-459.
8 Cfr. la lettera di Burckhardt a Crivellucci pubblicata in Studi Storici, 3 (1895), p. 382, scritta in un elegante italiano.
9 A. Crivellucci, L’origine della leggenda del monogramma e del labaro, in Studi Storici, 2 (1893), pp. 88-104, 222-260.
10 A. Mancini, Osservazioni sulla vita di Costantino di Eusebio, in Rivista di filologia e istruzione classica, 33 (1905), pp. 309-360.
11 Il problema della falsificazione è invece assente dall’analisi di G. Pasquali, Die Composition der Vita Constantini des Eusebius, in Hermes, 45 (1910), pp. 369-386, che si concentra su problemi cronologici e di struttura letteraria e retorica.
12 P. Franchi de’ Cavalieri, I funerali ed il sepolcro di Costantino Magno, in Mélanges d’archéologie et d’histoire de l’École française de Rome, 36 (1916), pp. 205-261.
13 P. Franchi de’ Cavalieri, Constantiniana, Città del Vaticano 1953.
14 A. Manaresi, L’Impero romano e il cristianesimo. Studio storico, Torino 1914, pp. 481-551. Cfr. anche pp. 14-17 per una difesa del valore storico di Eusebio.
15 A essere messa all’Indice, il 7 settembre del 1910, è un’opera che in parte anticipa quella del 1914: L’Impero romano e il cristianesimo nei primi tre secoli, I, Da Nerone a Commodo, Roma 1910.
16 E. Ferrero, Constantinus I, in Dizionario epigrafico di antichità romane, a cura di E. De Ruggiero, II/1, Roma 1900, pp. 637-655.
17 G. De Sanctis, Gli Scriptores Historiae Augustae, in Rivista di Storia Antica, 1 (1896), pp. 90-119, ora in Id., Scritti minori, II, Roma 1970, pp. 53-83. Un simile approccio era stato invocato poco prima in un importante saggio di L. Cantarelli, Acolio e gli scrittori della Historia Augusta, in Bollettino di filologia classica, 1 (1894-1895), pp. 282-286.
18 Cfr. Rivista di filologia e istruzione classica, 30 (1902), p. 137, ora in Scritti minori, VI/1, Roma 1972, p. 50. La tesi che vedeva in Costantino il cultore di un cristianesimo approssimativo ebbe una certa diffusione nella storiografia italiana: cfr. il già citato volume di Manaresi e l’interessante discussione manualistica di R. Paribeni, Da Diocleziano alla caduta dell’Impero d’Occidente, in Storia di Roma, VIII, Bologna 1941, pp. 61-66, 94-312.
19 Rivista di filologia e istruzione classica, n.s., 1 (1923), pp. 27-28, ora in Scritti minori, VI/1, cit., pp. 194-195.
20 Rivista di filologia e istruzione classica, n.s., 4 (1926), p. 550, ora in Scritti minori, VI/1, cit., p. 308.
21 Rivista di filologia e istruzione classica, n.s., 11 (1933), p. 134, ora in Scritti minori, VI/2, Roma 1972, pp. 867-868. Cfr. L. Salvatorelli, Costantino il Grande, Roma 1928; il De Sanctis allude anche, senza citarli, ad altri lavori dello stesso autore: La politica religiosa degl’imperatori romani e la vittoria del cristianesimo sotto Costantino, in Saggi di storia e politica religiosa, Città di Castello 1914, pp. 101-124; la recensione a J. Maurice, Constantin le Grand. L’origine de la civilisation chrétienne, Paris 1925, in Rivista di studi italiani, n. s., 5 (1927), pp. 166-179; La politica religiosa e la religiosità di Costantino, in Ricerche religiose, 4 (1928), pp. 289-328.
22 G. Costa, Religione e politica nell’Impero romano, Torino 1923, pp. 203-268, 299-303.
23 Olivetti era stato allievo di Coen (1844-1921), uno degli studiosi più originali della cultura del IV secolo, che dedicò un lavoro importante a un testo che presentava una tradizione leggendaria su Costantino, il De Constantino magno eiusque matre Helena Libellus, dimostrandone l’origine medioevale: Di una leggenda relativa alla nascita e alla gioventù di Costantino Magno, in Archivio della Società Romana di Storia Patria, 4 (1881), pp. 1-55, 293-316, 535-561; 5 (1882), pp. 33-66, 489-541.
24 A. Olivetti, s.v. Costantino I, in Enciclopedia Italiana, II, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma 1931, pp. 601-606.
25 A. Momigliano, s.v. Roma. Età imperiale, in Enciclopedia Italiana, XXIX, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma 1936, pp. 628-654, ora in Id., Sesto contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico, II, Roma 1980, pp. 591-673.
26 La posizione religiosa di Costantino venne riconsiderata in termini originali da Paolo Brezzi (1910-1998) in un importante saggio pubblicato pochi anni dopo: La politica religiosa di Costantino, in Studi e materiali di storia delle religioni, 17 (1941), pp. 37-71, nel quale si individua con chiarezza un’opzione fondamentale dell’azione di Costantino: l’inclusione del cristianesimo nel meccanismo politico dell’Impero come forza produttiva e coesiva; una scelta di discontinuità rispetto agli immediati predecessori, ma pienamente coerente con la tradizione politica e ideologica del mondo romano, in cui l’inclusione selettiva di elementi stranieri e allotri era una realtà ben consolidata, e con il retroterra di misticismo che pervade la cultura tardoantica. Cfr. anche, dello stesso autore, i meno felici Dalle persecuzioni alla pace di Costantino, Roma 1960, pp. 84-175, e La politica religiosa di Costantino, Napoli 1965, pp. 89-192.
27 Della campagna in Italia si era pochi anni prima occupato un altro allievo di De Sanctis, M.A. Levi, La campagna di Costantino nell’Italia settentrionale, in Bollettino storico-bibliografico subalpino, 36 (1934), pp. 1-10.
28 Cfr. la cursoria osservazione di De Sanctis sulla «scarsa simpatia per Roma» che univa figure tra loro molto lontane come Costantino, Giuliano e Teodosio: in Rivista di filologia e istruzione classica, n.s., 13 (1935), p. 131, ora in Id., Scritti minori, VI, II, cit., p. 918.
29 Cfr. A. Momigliano, Sesto contributo, cit., p. 9; Id., Rivista di studi italiani, 93 (1981), p. 256, ora in Id. Settimo contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico, Roma 1984, p. 518.
30 È degno di nota come soltanto uno studio in lingua italiana (quello di Crivellucci sull’editto di Milano in Studi Storici del 1892) figuri nella bibliografia su Costantino che Momigliano elenca in calce alla voce (p. 651). Momigliano ritornò su problemi costantiniani in altri momenti della sua carriera, dopo l’esilio del 1938, influenzando profondamente anche tutta la storiografia anglosassone, da Peter Brown ad Averil Cameron: su questo si veda il contributo di F. Ziosi in questa stessa opera.
31 Un’utile sintesi in V.A. Sirago, La figura di Costantino nel pensiero storico di S. Mazzarino, in Quaderni catanesi di cultura classica e medievale, 10 (1988), pp. 208-220; cfr. anche G. Giarrizzo, Santo Mazzarino. Un maestro, in La scienza della storia. Interpreti e problemi, a cura di Id., Napoli 1999, pp. 551-616, in partic. 597-600.
32 S. Mazzarino, Aspetti sociali del quarto secolo. Ricerche di storia tardo-romana, Roma 1951.
33 L’impero romano, originariamente pubblicato come seconda parte di G. Giannelli, S. Mazzarino, Trattato di storia romana, Roma 1956, poi più volte ristampato come monografia a sé stante.
34 Eus., v.C. IV 24.
35 Il punto è ribadito anche in uno degli ultimi contributi di Mazzarino: Sull’epigrafe dioclezianea di Afrodisiade ‘Bicharactam’: per l’interpretazione romana delle misure ‘inflattive’, in Scritti sul mondo antico in memoria di Fulvio Grosso, a cura di L. Gasperini, Roma 1981, pp. 365-369. V.A. Sirago, La figura di Costantino, cit., pp. 217-220 polemizza con questo aspetto della ricostruzione di Mazzarino e sostiene che Costantino perseguì un disegno limpidamente liberalizzatore, volto a sostenere una robusta crescita economica, che avrebbe a lungo andare avuto conseguenze salutari per i ceti inferiori.
36 S. Mazzarino, La fine del mondo antico. Le cause della caduta dell’Impero romano, Milano 1959.
37 Sull’importanza storica di questo passo e sul suo significato nella lettura del De rebus bellicis proposta da Mazzarino cfr. il commento Anonimo, Le cose della guerra, a cura di A. Giardina, Milano 1989, pp. XXVIII-XXX, 51-55.
38 S. Mazzarino, Burckhardt, il ‘tardo antico’ e una lezione di Mommsen su Traiano, in Id., Antico, tardoantico ed èra costantiniana, I, Bari 1974, pp. 11-31; Burckhardt politologo. ‘L’età di Costantino’ e la moderna ideazione storiografica, ivi, pp. 32-50.
39 Burkhard Gotthelf Struve, Johann Christian Hesse, Dissertatio historico-pragmatica qua Constantinum Magnum ex rationibus politicis Christianum, Jena 1713.
40 J.K. Manso, Das Leben Constantins, Breslau 1817.
41 S. Mazzarino, La data dell’Oratio ad Sanctorum coetum, il ius Italicum e la fondazione di Costantinopoli: note sui ‘Discorsi’ di Costantino, in Antico, tardoantico ed èra costantiniana, I, pp. 99-150.
42 Mazzarino tornò su questo punto in Ius Italicum e storiografia moderna, in Antico, tardoantico ed èra costantiniana, II, Bari 1980, pp. 188-213. Importante sia per gli aspetti ideologici sia per la fondazione di Costantinopoli, anche L. Cracco Ruggini, Vettio Agorio Pretestato e la fondazione sacra di Costantinopoli, in Φιλίας χάριν. Miscellanea in onore di Eugenio Manni, II, Roma 1979, pp. 586-610.
43 Antico, tardoantico ed èra costantiniana, I, pp. 432-435.
44 Ivi, pp. 446-447.
45 Su questo aspetto dell’opera di Calderone cfr. V. Aiello, Il ‘Costantino’ di Calderone. Linee di un’evoluzione, in Salvatore Calderone (1915-2000). La personalità scientifica, a cura di V. Aiello, L. De Salvo, Messina 2010, pp. 151-167.
46 S. Calderone, Costantino e il Cattolicesimo, I, Firenze 1962.
47 Eus., v.C. IV 24.
48 M.R. Cataudella, La «persecuzione» di Licinio e l’autenticità della «Vita Costantini», in Athenaeum n. s. 48 (1970), pp. 46-83, 229-250 sostenne invece la tesi della non autenticità della Vita Constantini, a partire da un’analisi del racconto della persecuzione di Licinio contro i cristiani, che rifletterebbe aspetti della legislazione cristiana contro gli eretici del 380, piuttosto che una realtà del primo quarto del IV secolo.
49 Su Licinio cfr. anche l’importante contributo di R. Andreotti, in Dizionario epigrafico, IV, 2, Roma 1959, pp. 979-1041.
50 S. Calderone, Da Costantino a Teodosio, in Nuove questioni di storia antica, Milano 1968, pp. 615-684, in partic. 615-639.
51 Su questo punto cfr. già S. Calderone, ΑΙΡΕΣΙΣ - ‘condicio’ nelle Litterae Licinii, in Helikon, 1 (1961), pp. 283-294. Anche M. Sordi, Il cristianesimo e Roma, Bologna 1965, pp. 377-404 reagisce polemicamente alle tesi di Grégoire e sostiene sia la sincerità della conversione del 312 sia i caratteri innovativi dell’editto di Milano; cfr. Id., I cristiani e l’Impero romano, Milano 1983, pp. 156-168 (in partic. 158-159 sul «carattere eccezionale e rivoluzionario» degli eventi del 312).
52 Un’analisi in larga misura convergente in L. Cracco Ruggini, Esperienze economiche e sociali nel mondo romano, in Nuove questioni di storia antica, cit., pp. 685-813, in partic. 777-778.
53 S. Calderone, Teologia politica, successione dinastica e consecratio in età costantiniana, in Le culte des souverains dans l’empire romain, éd. par W. den Boer, Vandoeuvres-Genève 1973, pp. 215-261.
54 CIL XI 5265.
55 La bibliografia italiana sul rescritto di Spello è ampia: cfr. M. de Dominicis, Il rescritto di Costantino agli Umbri e la ‘praetura Etruriae’, in Historia, 4 (1930), pp. 470-480; R. Andreotti, Contributo alla discussione del rescritto costantiniano di Hispellum, in Problemi di Storia e archeologia dell’Umbria, Atti del primo convegno di studi umbri (Gubbio 26-31 maggio 1963), Perugia 1964, pp. 249-290; L. Sensi, Sul luogo di ritrovamento del rescritto costantiniano di Spello, in Atti dell’Accademia romanistica costantiniana, XII Convegno Internazionale in onore di Manlio Sargenti, Spello 1998, pp. 457-477. Degno di nota anche il dibattito settentesco sull’autenticità dell’iscrizione, messa in dubbio, fra gli altri, da Ludovico A. Muratori.
56 Eus., v.C. IV 67-68.
57 S. Calderone, Letteratura costantiniana e «conversione» di Costantino, in Costantino il Grande dall’Antichità all’Umanesimo, a cura di G. Bonamente, F. Fusco, I, Macerata 1992, pp. 231-252. Su questo contributo cfr. G. Bonamente, Sulla conversione di Costantino, in Salvatore Calderone (1915-2000), cit., pp. 455-469.
58 S. Calderone, Costantinopoli: la «seconda Roma», in Storia di Roma, a cura di A. Schiavone, III/1, Torino 1993, pp. 723-749.
59 R. Bianchi Bandinelli, Spaetantike, in Enciclopedia dell’arte antica VII, Roma 1966, pp. 426-427 (con ricca bibliografia). Su questa periodizzazione cfr. A. Giardina, Esplosione di tardoantico, in Studi Storici, 40 (1999), pp. 157-180, in partic. 164.
60 A. Giuliano, L’Arco di Costantino come documento storico, in Rivista di studi italiani, 112 (2000), pp. 441-474, con ampia bibliografia. Per un inquadramento generale cfr. Arco di Costantino tra archeologia e archeometria, a cura di P. Pensabene, C. Panella, Roma 1999.
61 P. De Francisci, Arcana imperii, III/2, Milano 1948, in partic. 87-114, 133-135. Cfr. anche Id., Storia del diritto romano, III/1, Milano 1940, pp. 83-94.
62 B. Biondi, Il diritto romano cristiano, 3 voll., Milano 1952-1954. Su questa categoria interpretativa, ormai superata, cfr. G. Crifò, Categoria storiografica o etichetta? Della kyriolexia romanistica e dei suoi rischi (a proposito del diritto ‘romano cristiano’), in Salvatore Calderone (1915-2000), cit., pp. 429-438.
63 L. De Giovanni, Costantino e il mondo pagano. Studi di politica e legislazione, Napoli 1977, 20032.
64 In generale sulle confische ai templi pagani da parte di Costantino cfr. G. Bonamente, Sulla confisca dei beni mobili dei templi in età costantiniana, in Costantino il Grande dall’Antichità all’Umanesimo, cit., pp. 171-201.
65 F. Amarelli, Vetustas-Innovatio. Un’antitesi apparente nella legislazione di Costantino, Napoli 1978.
66 V. Neri, Medius princeps. Storia e immagine di Costantino nella storiografia latina pagana, Bologna 1992.
67 Sulla Origo cfr. G. Zecchini, Ricerche di storiografia latino tardoantica, Roma 1993, pp. 29-38; V. Aiello, Princeps potentissimus: una biografia pagana di Costantino il Grande, Messina 2005. Sulle fonti pagane cfr. anche N. Baglivi, Da Diocleziano a Costantino: un punto di riferimento ‘storiografico’ in alcune interpretazioni tardoantiche, in Costantino il Grande dall’Antichità all’Umanesimo, cit., pp. 59-72 e Id., Da Diocleziano a Costantino: un punto di riferimento ‘storiografico’ in alcune interpretazioni tardoantiche, in Orpheus, n.s., 12 (1991), pp. 429-491. M. Amerise, La figura di Costantino nei “Caesares” di Giuliano l’Apostata, in Rivista storica dell’antichità, 32 (2002), pp. 127-140; Id., Filostorgio e la morte di Costantino il Grande, in Historia, 55 (2006), pp. 328-343. I Panegirici 11(9) e 4(10) celebrano la vittoria di Costantino su Massenzio e documentano il clima degli anni immediatamente precedenti lo scontro con Licinio: M. Lolli, “Massenzio-bis” in Pan. IV (X) [321 d.C.]: il monito di Costantino imperatore al collega Licinio, in Historia, 51 (2002), pp. 501-508.
68 R. Farina, L’impero e l’imperatore cristiano in Eusebio di Cesarea: la prima teologia politica del cristianesimo, Zürich 1966. Importante anche l’edizione di Eusebio, accompagnata da un ampio commento, a cura di L. Tartaglia, Eusebio di Cesarea; Vita di Costantino, Introduzione, traduzione e note, Napoli 1981.
69 M. Mazza, Costantino nella storiografia ecclesiastica (dopo Eusebio), in Costantino il Grande dall’Antichità all’Umanesimo, cit., II, pp. 659-692.
70 G. Zecchini, Dall’imperium Daciscum alla Gothia: il ruolo di Costantino nell’evoluzione di un tema politico e storiografico, in Costantino il Grande dall’Antichità all’Umanesimo, cit., II, pp. 915-933 (riedita con modifiche in Ricerche di storiografia latina tardoantica, II, Dall’Historia Augusta a Paolo Diacono, Roma 2011, pp. 95-108).
71 A. Baldini, Il filosofo Sopatro e la versione pagana della conversione di Costantino, in Simblos, 1 (1995), pp. 265-286; Id., Una confutazione cristiana della versione pagana della conversione di Costantino: ulteriori considerazioni di storiografia, in Epigraphica, 33 (2004), pp. 217-241; Id., Il dibattito contemporaneo sulla conversione di Costantino, in Salesianum, 67 (2005), pp. 701-735, con altra bibliografia.
72 Un bilancio in A. Giardina, Marxism and Historiography: Perspectives on Roman History, in Marxist History-writing for the Twenty-first Century, ed. by C. Wickham, Oxford 2007, pp. 15-31, in partic. 20-31.
73 Accademia Romanistica Costantiniana, Atti II Convegno internazionale, Perugia 1976; cfr. specialmente A. Biscardi, “Constantinopolis nova Roma”, pp. 7-34; C. Castello, Rapporti legislativi tra Costantino e Licinio alla luce dell’”inscriptio” e della “subscriptio” di CTh., 8, 18, 1, pp. 35-47; R. Martini, Sulla costituzione di Costantino in tema di parricidio (C. Th. 9, 15, 1), pp. 103-117; G. Nocera, Dalla tetrarchia di Diocleziano alla monarchia di Costantino: dal Principato al Dominato. Motivi politici e costituzionali, pp. 119-153; M. Sargenti, Le strutture amministrative dell’Impero da Diocleziano a Costantino, pp. 199-262.
74 Accademia Romanistica Costantiniana, Atti XIII Convegno Internazionale in memoria di André Chastagnol, Napoli 2001; cfr. in partic. V. Aiello, I rapporti fra centro e periferia in epoca costantiniana. L’origine del magister officiorum, pp. 137-163; F.M. de Robertis, Aequitas contra ius? Il fermo richiamo di Costantino al rigor iuris contro le facile aperture – nelle età precedenti – alla ratio aequitatis, pp. 359-364; C. Castello, Sui concili della Chiesa convocati da Costantino, pp. 365-371.
75 Società romana e impero tardoantico, a cura di A. Giardina, 4 voll., Roma-Bari 1986.
76 A. Giardina, Le due Italie nella forma tarda dell’impero, in Società romana, cit., I, pp. 1-36, 619-634, in partic. 5 ( = Id., L’ Italia romana. Storie di un’identità incompiuta, Roma-Bari 1997, pp. 265-321, in partic. 266).
77 F. Grelle, Le categorie dell’amministrazione tardoantica: officia, munera, honores, in ivi, pp. 37-70, 634-638 (= Id., Diritto e società nel mondo romano, Roma 2005, pp. 221-247).
78 T. Spagnuolo Vigorita, Nuovi indirizzi di politica fiscale nella legislazione di Costantino, in Società romana e impero tardoantico, cit., I, pp. 71-80. Questo contributo sintetizza le linee fondamentali di un’importante monografia dello stesso autore apparsa poco prima: Exsecranda pernicies. Delatori e fisco nell’età di Costantino, Napoli 1984.
79 E. Lo Cascio, Teoria e politica monetaria a Roma tra III e IV d.C., in Società romana e impero tardoantico, cit., I, pp. 535-557, 779-801, in partic. 551. Su questo testo cfr. anche M.R. Cataudella, «Aurum pro aere» nella politica di Costantino, in Costantino il Grande dall’Antichità all’Umanesimo, cit., I, pp. 283-297.
80 G. Camodeca, Ricerche su Puteoli tardoromana (fine II-IV secolo), in Puteoli, 4-5 (1980-1981), pp. 59-129, in partic. 62-77.
81 Symm., rel. 40.
82 Zos., II 29. Cfr. A. Fraschetti, Costantino e l’abbandono del Campidoglio, in Società romana, cit., II, pp. 59-98, 412-438, in partic. 87-98, che reagisce a una ricostruzione di François Paschoud; cfr. la replica di F. Paschoud, Ancora sul rifiuto di Costantino a salire al Campidoglio, in Costantino il Grande dall’Antichità all’Umanesimo, cit., II, pp. 737-748. Zosimo pone la conversione di Costantino al 326 e la associa agli assassini di Crispo e di Fausta: G. Marasco, Giuliano e la tradizione pagana sulla conversione di Costantino, in Rivista di filologia e istruzione classica, 122 (1994), pp. 340-354 pone l’enfasi sugli aspetti anticristiani di tale tradizione. Marasco ha inoltre discusso le circostanze che condussero a questi assassini, sostenendo che un sospetto caso di incesto nella famiglia imperiale avrebbe rappresentato un’intollerabile minaccia all’autorità di Costantino, sia presso i cristiani sia presso i pagani: G. Marasco, Costantino e le uccisioni di Crispo e Fausta (326 d.C.), in Rivista di filologia e istruzione classica, 121 (1993), pp. 297-317. Su Zosimo rimane importante B. Zucchelli, La propaganda anticostantiniana e la falsificazione storica in Zosimo, in I canali della propaganda nel mondo antico, a cura di M. Sordi, Milano 1976, pp. 229-251; R. Lizzi Testa, Alle origini della tradizione pagana su Costantino e il senato romano (Amm. Marc. 21.10.8 e Zos. 2.32.1), in Transformations of Late Antiquity. Essays for Peter Brown, I, ed. by, P. Rousseau, M. Papoutsakis, Farnham-Burlington 2009, pp. 85-127 ha dimostrato l’esistenza di una tradizione pagana, risalente a Giuliano, che sviluppò una linea fortemente critica verso le riforme istituzionali di Costantino.
83 A. Fraschetti, La conversione. Da Roma pagana a Roma cristiana, Roma-Bari 1999, pp. 87-108, 124-127.
84 A. Marcone, Costantino e l’aristocrazia pagana di Roma, in Costantino il Grande dall’Antichità all’Umanesimo, cit., II, pp. 645-658 (= Id., Di tarda antichità. Scritti scelti, Firenze 2008, pp. 107-116).
85 In un ambito diverso, E. La Rocca, La fondazione di Costantinopoli, in Costantino il Grande dall’Antichità all’Umanesimo, cit., II, pp. 553-583 ha ribadito come i complessi rituali che condussero alla fondazione di Costantinopoli seguirono un modello augurale e si conformarono, più in generale, a modelli giuridici romani.
86 L. Cracco Ruggini, Il Senato fra due crisi (III-VI secolo), in Il Senato nella storia, I, Il Senato nell’età romana, Roma 1998, pp. 223-375, in partic. 268-283 ha sostenuto questo punto in termini ancora più netti: Costantino sarebbe stato il promotore di una politica di netta discontinuità rispetto a Diocleziano e avrebbe riconosciuto al Senato un ruolo di primo piano, che passò anche attraverso una massiccia espansione dell’assemblea, in larga parte tratta dalle fila dei senati cittadini. Sulla collaborazione con le élite pagane cfr. già G. Clemente, cristianesimo e classi dirigenti prima e dopo Costantino, in Mondo classico e cristianesimo, a cura di M. Pavan, Roma 1982, pp. 51-64, in partic. 57-58.
87 A. Marcone, Costantino il Grande, Roma-Bari 2000. A p. vii Marcone sottolinea come questa assenza sia un’anomalia che non ha paralleli in altre tradizioni storiografiche.
88 Marcone sembra dare una valutazione più sfumata in La politica religiosa: dall’ultima persecuzione alla tolleranza, in Storia di Roma, III/1, cit., pp. 223-245, in partic. 243. D. Musti, Simbologia della vittoria dall’Ellenismo a Costantino, in Rivista di filologia e istruzione classica, 128 (2000), pp. 42-55, in partic. 49-54 sostiene che vi fosse una precisa coincidenza fra il simbolo pagano della Vittoria e il segno cristiano della Croce, che al ponte Milvio Costantino rilesse in una prospettiva cristiana; a unire i due segni sarebbe stato un comune riferimento al numero quattro, e all’idea di un nesso fra la forma quadrata e l’idea di salvezza, che Musti individua già nelle tradizioni pagane riguardanti Nike.
89 Sull’ideologia dinastica delineata da Costantino cfr. I. Tantillo, “Come un bene ereditario”: Costantino e la retorica dell’impero-patrimonio, in Antiquité tardive, 6 (1998), pp. 251-264, secondo il quale Costantino introdusse l’analogia fra il concetto di Impero e quello di patrimonio privato per sostenere lo sviluppo di un discorso dinastico, che i suoi successori, sino a Giuliano, svilupparono a loro volta; nella definizione di questo concetto così innovativo, però, a giocare un ruolo rilevante non fu il concetto romano di patrimonium, ma quello veterotestamentario di kleronomia.
90 A. Marcone, Pagano e cristiano. Vita e mito di Costantino, Roma-Bari 2002.
91 M. Amerise, Il battesimo di Costantino il Grande. Storia di una scomoda eredità, Stuttgart 2005. Amerise curò anche un’edizione italiana di due discorsi di Eusebio, il Discorso per il Trentennale e il Discorso regale (Eusebio di Cesarea, Elogio di Costantino, Milano 2005), che include una documentatissima introduzione storico-letteraria.
92 G. M. Vian, La donazione di Costantino, Bologna 2004, pp. 78-86.
93 G. Bonamente, La «svolta costantiniana», in Chiesa e Impero. Da Augusto a Giustiniano, a cura di E. dal Covolo, R. Uglione, Roma 2001, pp. 145-170.
94 R. Cristofoli, Costantino e l’Oratio ad Sanctorum Coetum, Napoli 2005; l’opera include una traduzione italiana del testo. Si veda anche il contributo dell’autore in questa stessa opera.
95 Religione e strumentalizzazione politica: Costantino e la propaganda contro Licinio, in Istituzioni, carismi ed esercizio del potere (IV-VI secolo d.C.), a cura di G. Bonamente, R. Lizzi Testa, Bari 2010, pp. 155-170; L. Cracco Ruggini, Un bilancio, ivi, pp. 377-387, in partic. 382 nota che questa lettura mette in luce «un’ambiziosa e ben calcolata manovra politica» da parte di Costantino; si potrebbe parlare di una riproposizione, più sottile e raffinata, del vecchio modello del cristianesimo politico. Una difesa del valore storico di Eusebio in G.M. Vian, La donazione, cit., pp. 23-33.
96 F. Carlà, M.G. Castello, Questioni tardoantiche. Storia e mito della “svolta costantiniana”, Roma 2010. Un approccio in larga misura simile si ritrova nel breve, ma importante saggio di D. Vera, Costantino riformatore, nel catalogo della mostra riminese su Costantino del 2005 (Costantino il Grande. La civiltà antica al bivio tra Occidente e Oriente, a cura di A. Donati, G. Gentili, Cinisello Balsamo 2005, pp. 26-35). Il volume nel suo insieme è un buon sommario dell’attuale stato degli studi, particolarmente utile per gli aspetti iconografici e archeologici.
97 In un suo precedente lavoro (L’oro nella tarda antichità: aspetti economici e sociali, Torino 2009, pp. 124-171) Carlà ha anche ridimensionato la portata della riforma monetaria costantiana: la decisione di porre l’oro al centro del sistema monetario andrebbe piuttosto attribuita a Diocleziano, e le scelte economiche di Costantino vanno intese in una logica continuistica; anche la dimensione economica dell’opposizione fra Costantino e Giuliano, sostenuta da Mazzarino, andrebbe fortemente ridimensionata (pp. 184-185).