COSTANTINO Siculo
Nacque in Sicilia, forse verso la metà del sec. IX.
Unica fonte di informazione circa l'esistenza di questo personaggio sono le inscriptiones, riportate dai manoscritti che ci tramandano la prima delle sue anacreontee.
La più estesa, e forse la più antica (i particolari presentati non sono, infatti, desumibili dal testo dell'ode), è quella dei Barberinianus graecus 310 della Bibl. Ap. Vaticana: "Anacreontica di Costantino grammatico, il quale lasciata la patria e i genitori, si recò per i suoi studi nella città di Bisanzio, e, avendo ricevuto la falsa notizia sui genitori, che salpando dalla Sicilia fossero periti in un naufragio, colpito da insopportabile dolore, così cantò". Nella composizione il lamento per la morte dei parenti si congiunge con l'esasperata apostrofe ai barbari, perché si affrettino a distruggere la sua patria (vv. 25 s., 105 s.).Questo secondo elemento indurrebbe a collocare la composizione dell'ode nella seconda metà del secolo IX, quando, cioè, l'invasione dell'isola da parte araba era cominciata, ma non ancora portata a termine. E non è forse da escludere che il viaggio alla volta di Costantinopoli, intrapreso dalla famiglia del poeta - indubbiamente di buone condizioni economiche, se aveva potuto mandare il figlio a studiare a Bisanzio -, possa essere in concomitanza con l'esodo dall'isola, provocato dal pericolo arabo sempre più incalzante.
Oltre all'ode per la morte dei genitori, pur nell'incertezza della tradizione manoscritta, è attribuita a C., per motivi stilistici, un'altra anacreontea (in Bergk, pp. 351-354), mentre una terza (ibid., pp. 354 s.) non è certamente autentica, come, del resto, riconosce lo stesso editore. Le prime due odi sono composte di strofe di quattro versi in dimetri ionici a minore anaclomeni, succedentisi secondo un acrostico alfabetico (solo quella iniziante per η viene omessa). Ad intervalli alternati, rispettivamente dopo quattro dimetri e poi dopo otto, è inserito un cuculio in trimetri ionici a minore. Nella prima ode, vivacizzata dall'elemento biografico, i cuculi si uniscono e si collegano con la strofe ora enunciandone liricamente il tema, ora interrompendone il fluire con disperati lamenti e "l'augurio" che i barbari completino la distruzione della sua patria. Nonostante il tono fortemente retorico, accentuato dalla limitata scelta lessicale imposta dal metro e resa ancor più complicata dall'acrostico, l'ode resta uno dei pochi esempi di anacreontee, in cui l'aderenza al fatto reale distoglie l'autore dall'abbandonarsi a metafore ardite, tipiche dei poeti della scuola di Gaza, nei quali l'immagine sparisce sommersa dalla ricerca di una musicalità verbale, non sempre apprezzabile. La mitologia, ingrediente peculiare del genere, si fonde e si combina senza sforzo con i motivi della fede cristiana.
L'evento luttuoso viene, pertanto, rivissuto con una commozione controllata, forse anche troppo, dal desiderio di mostrare dottrina, come appare sia dall'uso linguistico in cui lo scarto dalla lingua viva è troppo scopertamente cercato, sia dall'invito iniziale: "dalle dimore delle Muse venite, giovani dotti, perché io straniero muova la lira di un canto di dolore". E con tale dotto uditorio si accorda la conclusione: "Ecco che il dolore mi ha spinto a poetare oltre misura" (si tratta di una violazione metrica, data dall'avere iniziato l'ultima strofe per ω, vocale non ammessa per la sua quantità nei metri ionici a minore).
È più che un "frivolo scherzo" (Nissen), una riprova dell'ambiente culturale, nel quale il logos assumeva una importanza incomprensibile alla sensibilità moderna.
Tale caratteristica troviamo accentuata nella seconda ode, da attribuire quasi certamente a C., la cui inscriptio, data dall'index del codice Barb. 310, è: "odicina erotica anacreontica, che egli compose in giovinezza, scherzando, senza porvi eccessiva cura: prese le mosse da una melodia eseguita in occasione di un matrimonio". La notizia, risalga o no al poeta, riporta il componimento nell'ambito della improvvisazione, diffusa nella scuola di Gaza. Come nell'ode precedente la metrica rispetta la quantità, sia pure ricorrendo all'ausilio dei dichrona, tranne in pochi casi imputabili, con ogni probabilità, ad errore di trasmissione testuale, e, pertanto, da non ritenere indizio di non autenticità del carme. Il contenuto riprende un tema caro alla scuola di Gaza, quello cioè della potenza di Eros, colto dal poeta intento a giocare con le ninfe nel mezzo di un fiume, che protesta sentendo le acque infiammarsi. Attratto dalla bellezza del figlio della Citerea il poeta inizia un vano inseguimento tra prati fioriti e rugiadosi: ammoniscono a guardarsi dalla potenza di Eros i cuculi. Della scuola di Gaza è rimasto nel componimento il lessico e la simbologia ad esso connessa: manca, però, nell'epigono la capacità di servirsi del logos, elevato a simbolo, in funzione musicale, e il tono discorsivo rende poi troppo scoperti gli accorgimenti retorici. Non si attribuisce, invece, a C. la paternità di una terza odicina in versi anacreontei, rivolti a "un innamorato di una fanciulla, con acrostico alfabetico".
Al di là di ogni giudizio circa il valore poetico, le due odi autentiche costituiscono, ad ogni modo, la prova della attrazione che Bisanzio operava sul mondo greco, una volta che, superata la crisi iconoclastica, aveva ritrovata la sua identità nell'imitazione dell'antichità classica, con la quale il cristianesimo si poneva in un continuo rapporto dialettico, per cui ad una fase di opposizione ne seguiva una di assorbimento. Di tale fenomeno culturale C. sarebbe per noi un testimone di notevole importanza, qualora potesse accettarsi la ripresa (Lemerle) di una vecchia tesi dell'identità di C. con Costantino il Filosofo, cui la tradizione assegna tre interessanti componimenti, nei quali un erudito del secolo IX rinnega, sotto l'influsso di Fozio già patriarca, il culto dell'ellenismo e lo combatte fanaticamente servendosi proprio degli strumenti da quello offertigli. Purtroppo i Costantini del IX secolo sono parecchi e la denominazione di "filosofo" (che il cod. Vind. Theol. Gr. 265 attribuisce anche al Siculo) è tutt'altro che rara.
Nulla sappiamo della data e del luogo di morte di Costantino.
Edizioni: P. Matranga, Anecdota Graeca, II, Roma 1850, pp. 689-698; Th. Bergk, Poetae lyrici Graeci, III, Lipsiae 1882, pp. 348-361; G. Monaco, Constantini Siculi Anacreonticum carmen ἀπὸ μουσικῶν μελάθρων, in La Parola del passato, XXI (1951) pp. 457-463. Per i componimenti di Costantino il filosofo: M. D. Spadaro, Sulle composiz. di Costantino il Filosofo, in Siculorum Gymnasium, XXIV (1971), pp. 198-205.
Fonti e Bibl.: Th. Nissen, Die byzantin. Anacreonteen, München 1940, pp. 53-62; G. Monaco, L'Anacreontica di C. s., in Studi bizantini e neoellenici, VII (1951), pp. 154-159 (da cui sono state riprese le traduzioni su riportate della prima ode); R. Anastasi, Sulle anacreontee bizantine, in Siculorum Gymnasium, XVI (1963), pp. 193 s.; P. Lemerle, Le premier humanisme byzantin, Paris 1971, pp. 172 s.; S. Impellizzeri, Storia della letter. bizantina, Milano 1975, pp. 334-339.