ZACCO, Costantino. –
Nacque a Padova il 5 novembre 1760, da Augusto e da Chiara Carminati.
Era di antica famiglia nobile padovana, ascritta al patriziato veneto dal 1653, e dal 1700 di nobiltà imperiale con il titolo di conte. La famiglia deteneva cospicue proprietà terriere nel Padovano e nel Polesine.
Condusse studi, secondo Tommaso Casini, di «economia e finanza» (Casini, 1914, p. 454), ma probabilmente non conseguì titoli accademici. Intorno ai ventisette anni si avviò alla carriera degli uffici nella Repubblica di Venezia. Ebbe accesso alle Quarantie, ove esercitavano in genere i patrizi di fascia minore destinati poi a occupare le cariche provinciali. Nello specifico Zacco operò in qualità di contradditore, ruolo che lui stesso definiva «carica mista di atto giudiziario e di amministrativo, e che abilitava al governo delle provincie» (Archivio di Stato di Milano, Uffici e tribunali regi, p.m., c. 671, marzo 1808): di fatto i contradditori agivano come, appunto, contraddittori degli avogadori, cioè dei membri dell’Avogaria di Comun, che avevano il compito di trasferire in appello le cause. Con la caduta della Repubblica di Venezia, nel 1797, Zacco tornò a Padova, ove non risulta abbia fatto parte della Municipalità democratica. Nella Padova austriaca il Consiglio generale lo nominò tra i Deputati rappresentanti. Fu poi chiamato nel 1805 a dirigere la commissione censuaria per la riforma dell’estimo, posizione che mantenne sino a quando, nel 1806, dopo il trattato di Presburgo del dicembre del 1805, il territorio padovano fu assorbito nel Regno d’Italia napoleonico. Per un soggetto quale Zacco, già volto alla carriera degli uffici, patrizio ma certo meno sensibile di un patrizio veneziano a identificarsi esclusivamente negli istituti della ex Repubblica marciana, mettersi in gioco nella nuova organizzazione statale non poté che essere letto nei termini di una opportunità da cogliere.
Per organizzare il dipartimento padovano del Brenta nel 1806 fu nominato magistrato civile il conte Girolamo Polcastro, già membro della Municipalità rivoluzionaria del 1797. Costui era stretto amico di Zacco, come bene mostra l’epistola in versi dedicatagli negli anni Ottanta, sotto il nome arcadico di Tirsi, con la quale ricordava il ruolo nelle Quarantie dell’amico: «Noi fummo insieme; or più nol siam: dovere, / guari non ha, ti richiamò di nuovo / sull’arringo d’onor. Mentre ti stai / nel gran consesso de’ togati Padri / a udir nel Foro i romorosi piati, / e le sorti a librar de’ litiganti» (Al nobile uomo signor conte Costantino Zacco, in Opere del conte Girolamo Polcastro padovano, I, Padova 1832, p. 148). Fu appunto Polcastro a collocare l’amico nella delicata carica di direttore del Demanio e diritti uniti.
In questa veste Zacco si trovò a collaborare con il primo prefetto del dipartimento del Brenta, il nobile novarese Gaudenzio Maria Caccia. Certamente la collaborazione fu positiva e consentì che tra i due si saldasse un piano di stima e anche di amicizia. Quando nel 1808 si andò prospettando un significativo ricambio di prefetti, e il ministro dell’Interno Ludovico Giuseppe Arborio Di Breme chiese a quelli di ogni dipartimento di segnalare i soggetti idonei, fu Caccia a suggerire con convinzione il suo nome: «Nella carriera di tanti impieghi d’indole tutta diversa il sig. Zacco, noto pienamente per la moralità del suo carattere e per l’affezione sua ai sistemi di questo felicissimo Governo si distinse per altrettanto di attività e di zelo indefesso nell’esercizio dei propri doveri, quanto di probità, di capacità, e di lumi non ordinari ne’ vari rami governativi» (Archivio di Stato di Milano, Uffici e tribunali regi, p.m., c. 671, 18 aprile 1808).
Zacco aveva in effetti le caratteristiche per essere scelto, tra gli ex sudditi veneti, in cariche amministrative di alta responsabilità quale quella prefettizia. Oltre ad avere già una valida esperienza in uffici amministrativi, si collocava tra coloro che avevano accolto senza avversione l’ordine politico napoleonico. Nel Regno d’Italia post-1805, poi, non era più richiesta un’adesione politica che rimandasse ai valori della Rivoluzione francese, che pure Zacco in qualche misura pare avesse manifestato (Casini, 1914, p. 454; Dizionario del Risorgimento nazionale, 1930, p. 616): ora si richiedeva fedeltà personale e adesione ai caratteri istituzionali del nuovo Stato, nonché disponibilità a riconoscersi nel profilo dell’establishment che si stava consolidando. Zacco rientrava in pieno nel sistema: era massone, come la quasi totalità degli alti amministratori italici, affiliato da tempo alla loggia padovana (Marconato, 1999, p. 132); dichiarava devozione per Napoleone e in particolare, come lui stesso precisava, affezione per il viceré Eugenio di Beauharnais, di cui «il conte Di Breme diceva quand’era ministro ch’io ne era inamorato e in vero credo che dicesse benissimo» (Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, Fondo Rangone, CII, 31, lettera del 22 aprile 1812 a Giuseppe Rangone); era animato dal giusto grado di ambizione personale e «l’attività primeggiava tra le sue doti»» (Cittadella Vigodarzere, 1856, p. 9); si riconosceva in posizioni politiche liberali.
Nello stesso tempo Zacco era uomo di cultura, amante delle lettere e della vita sociale. Quando ancora risiedeva a Venezia «era assiduo ai dotti circoli della [...] illustre Isabella Teotocchi Albrizzi» (ibid., p. 10), la vera regina dei salotti veneziani di fine Settecento. Era inoltre in corrispondenza con Melchiorre Cesarotti e in amicizia con Ippolito Pindemonte, che pare gli sia stato compagno in avventure amorose (I. Caliaro - R. Rabboni, “A’ tuoi verdi anni ...”. Sui viaggi e le memorie di Pindemonte, in Vie lombarde e venete. Circolazione e trasformazione dei saperi letterari nel Sette-Ottocento tra l’Italia settentrionale e l’Europa transalpina, a cura di H. Meter - F. Brugnolo, Berlin-Boston 2011, p. 170). In particolare fu appassionato di teatro e di opera lirica, tanto è vero che il suo nome compare come co-autore di libretti d’opera.
Era dunque un soggetto adatto al ruolo politico-amministrativo, e insieme di rappresentanza, come la posizione di prefetto richiedeva, tant’è che il ministro dell’Interno Di Breme ne caldeggiò la candidatura al viceré Eugenio in quanto «funzionario, di un merito eguale allo zelo che lo anima pel regio servigio» (Archivio di Stato di Milano, Uffici e tribunali regi, p.m., c. 4, 16 maggio 1808). Il nome di Zacco era stato così sottoposto al viceré nella terna per la nomina del prefetto del dipartimento del Tagliamento (Treviso). Non si sa come nel concreto le cose siano andate, in quanto l’ultima parola nelle nomine spettava a Napoleone, tuttavia resta che Zacco, «da lungo tempo personalmente conosciuto» dal viceré Eugenio (ibid.), fu collocato a capo del dipartimento ferrarese del Basso Po (nomina del 17 maggio 1808 e presa di servizio il successivo 19 giugno). Per lui era questa una destinazione non solo gradita (certo più di quella di Treviso), ma addirittura desiderata con forza: nel Polesine, territorio compreso nel dipartimento ferrarese, stava infatti una parte importante dei suoi possedimenti fondiari.
La vicenda di Zacco proprietario muove in un certo senso in parallelo con quella di Zacco amministratore. Egli seguiva con attenzione la gestione dei propri beni fondiari, in un periodo che, scandito da profondi mutamenti politici, portava inevitabilmente a confrontarsi con politiche fiscali tra loro molto diverse. Nel 1804, per tutelare al meglio i propri interessi relativamente alle proprietà polesane, assorbite nell’allora Repubblica italiana, era riuscito, tramite l’amico bolognese Giuseppe Rangone, ad arrivare al prefetto del Basso Po Federico Cavriani (Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, Fondo Rangone, CII, 12, 26 giugno 1804), per chiedere che con il sostegno della sua autorità trasmettesse al governo di Milano una propria petizione. Nel 1806 si trova la sua firma in una istanza dei maggiori possidenti del dipartimento del Brenta (Archivio di Stato di Padova, Prefettura del dipartimento del Brenta, b. 3, 15 novembre 1806), inoltrata al ministro dell’Interno dal prefetto Caccia, con la quale si protestava contro la nuova organizzazione amministrativa italica, che caricava sui proprietari dei fondi «il peso nuovo per essi delle comunali imposte», indipendentemente dal fatto che la loro personale residenza fosse in altra località (cioè quasi sempre a Padova). Su questa base non stupisce che, una volta divenuto prefetto a Ferrara, anziché auspicare una progressione di carriera che lo portasse a dirigere una delle prefetture più importanti del Regno (con ritocco non da poco dello stipendio), cercasse in ogni modo di restare a Ferrara: nel 1812, appunto, confessò la propria grande soddisfazione di essere riuscito a passare indenne l’ondata di traslocazioni che aveva quell’anno toccato i prefetti italici (Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, Fondo Rangone, CII, 26, lettera del 22 gennaio 1812 a Giuseppe Rangone).
Zacco rimase prefetto del Basso Po dal 1808 alla caduta del Regno d’Italia, nel 1814. Il giudizio sul suo operato non fu concorde. In una lunga relazione su prefetti e viceprefetti in carica nel 1809, scritta al cancelliere guardasigilli Francesco Melzi d’Eril dall’ispettore generale della gendarmeria, generale Pietro Polfranceschi, venne descritto come «non troppo atto e lento amministratore», nonché soggetto che «non ha destrezza né fermezza» (I carteggi di Francesco Melzi d’Eril duca di Lodi, VIII, Milano 1965, p. 102). Giudizio, questo, forse condizionato dalla prospettiva che poteva avere un militare quale Polfranceschi, su posizioni politiche radicali sin dagli anni rivoluzionari e in genere severo nei giudizi, verso un nobile amante della vita di società e delle raffinatezze letterarie quale Zacco. Infatti su di lui si ebbero anche giudizi positivi. Lui stesso avrebbe ricordato con piacere, anni più tardi, caduto il Regno, i numerosi ferraresi riconoscenti che continuavano a visitarlo a Padova (Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, Fondo Rangone, CII, 47, lettera del 18 giugno 1814 a Giuseppe Rangone).
Il momento in cui gli occhi dei vertici governativi furono concentrati su di lui fu soprattutto nelle vicende del 1809. Il dazio sul macinato introdotto nell’aprile di quell’anno fu alla base di molte rivolte in area veneta e anche il dipartimento del Basso Po ne fu coinvolto. Dal 9 al 16 luglio Ferrara si trovò in una situazione che si potrebbe definire di assedio da parte di circa seimila rivoltosi. Terminata l’emergenza, la condotta del prefetto Zacco fu attentamente analizzata. Numerose accuse erano state infatti mosse contro di lui, incolpato di non aver previsto la possibile sollevazione, di incapacità di reazione e di non essersi saputo coordinare nelle misure di difesa con l’amministrazione della città di Ferrara. L’inchiesta condotta dal direttore provvisorio della polizia generale, Giovanni Villa, l’avrebbe pienamente scagionato (Archivio di Stato di Milano, Uffici e tribunali regi, p.m., c. 671, 10 agosto 1809), cosicché il ministro dell’Interno Di Breme avrebbe potuto presentare al viceré in termini elogiativi il comportamento del prefetto. Su questa base Eugenio di Beauharnais, con rescritto di proprio pugno dato da Vienna il 29 agosto, avrebbe annotato: «J’ai lu le rapport avec satisfaction. Le ministre le fera savoir au prefet» (ibid., 24 agosto 1809).
Il comportamento in genere di Zacco come prefetto fu in ogni caso dignitoso. Certamente seppe integrarsi funzionalmente nell’apparato amministrativo napoleonico, accettandone in pieno le logiche. In parallelo ebbe i riconoscimenti che competevano al notabilato napoleonico, con ascrizione a barone del Regno il 7 gennaio 1811 e a cavaliere della corona di ferro.
In linea con questa piena integrazione fu il comportamento di Zacco alla caduta del Regno. Le disposizioni governative, nella confusa situazione politico-militare che caratterizzò la fine del 1813 e i primi mesi del 1814, imponevano ai prefetti di abbandonare la sede qualora il territorio del dipartimento fosse stato occupato da truppe nemiche. Il Basso Po si era trovato presto in questa condizione, preso nella tenaglia tra le truppe austriache e quelle di Gioacchino Murat che risalivano la penisola, solo con una riduzione della pressione in coincidenza del fatto d’armi di Roverbella dell’8 febbraio 1814, che appunto aveva visto la vittoria delle truppe italiche di Eugenio di Beauharnais. Zacco, in obbedienza agli ordini, era partito da Ferrara una prima volta negli ultimi mesi del 1813, per poi rientrare di nuovo in sede, muovendo infine definitivamente per Milano il successivo 27 gennaio.
Come lui stesso raccontò in una lettera del 13 febbraio 1814 al ministro dell’Interno Luigi Vaccari, mentre ancora si trovava a Milano, le recenti vicende, oltre ad averlo lasciato senza posto, avevano inferto gravi danni ai suoi possessi fondiari (Archivio di Stato di Milano, Uffici e tribunali regi, p.m., c. 671).
Rientrato a Padova, dove appunto si trovava al momento della definitiva caduta del Regno d’Italia, la sua condizione, avendo obbedito all’ingiunzione di abbandonare il dipartimento, era tale da non consentirgli di essere annoverato tra gli amministratori da confermare provvisoriamente in carica dal nuovo governo. Timidamente avrebbe scritto all’austriaca Reggenza provvisoria di governo, il 6 luglio 1814, avanzando un «qualora non piaccia all’autorità dell’Eccelso Governo e alla Sovrana Clemenza di destinarmi a nuovo impiego secondando gli umili fervidissimi miei voti» (ibid.): ma ormai la sua carriera appariva compromessa. La fama, inoltre, di coltivare simpatie liberali non solo gli avrebbe precluso per sempre la carriera degli uffici, ma addirittura avrebbe fatto sì che venisse, sia pure discretamente, sorvegliato (Elenchi di compromessi o sospettati politici (1820-1822), a cura di A. Alberti, Roma 1936, p. 65).
Ebbe ancora qualche carica locale. Nel 1834 lo si ritrova procuratore nel seminario vescovile di Padova (Almanacco diocesano di Padova per l’anno 1834, Padova). Sostanzialmente si ritirò a vita privata, con la consueta partecipazione alla vita di società, dedicandosi all’amministrazione dei propri beni. Si può ricordare il faticoso tentativo per farsi riconoscere una modesta pensione dallo Stato pontificio in quanto cessato prefetto a Ferrara, contro la cui erogazione continuava a giocare il fatto che alla caduta del Regno Italico, nell’aprile del 1814, non era presente in sede. Così Zacco raccontava la cosa in modo arguto all’amico Giuseppe Albrizzi, vicesegretario di governo in Venezia: «Non è elle una vergogna che vi vogliano tante mene perché S[ua] S[antità] si determini a pagare 53 scudi e 57 baiocchi? Bell’esempio in carità il capo della religione ci dà mostrando di credere che un buon cristiano per così piccola cosa volesse darsi per vivo quando fosse morto! Basta, il papa è il papa e noi siamo cafoni; purché paghi sia fatta la sua volontà» (Verona, Biblioteca civica, Carteggio Albrizzi, b. 198, 1° luglio 1833).
Dopo lunga lotta contro gli «insulti di una malattia organica» (Cittadella Vigodarzere, 1856, p. 10) si spense a Padova il 27 febbraio 1841.
Zacco fu coautore con Girolamo Francesco Zanetti di una pubblicazione d’occasione, Per occasione delle faustissime nozze della nobile donna Caterina Querini Stampalia e del nobile signor conte Girolamo Polcastro cavaliere della corona di ferro, Alvisopoli 1818.
Fonti e Bibl.: Notizie in Archivio di Stato di di Milano, Uffici e tribunali regi, p.m., c. 671. Lettere di Zacco a Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, Fondo Rangone, CII; Verona, Biblioteca civica, Carteggio Albrizzi, b. 198; Archivio di Stato di Padova, Archivio Polcastro, b. 85.
Profili biografici in F. Schröder, Repertorio genealogico delle famiglie confermate nobili e dei titolati nobili esistenti nelle provincie venete, II, Venezia 1831, p. 376 (con notizie sulla famiglia); A. Cittadella Vigodarzere, C. Z., in Memorie funebri antiche e recenti raccolte dall’Ab. Gaetano Sorgato, Padova 1856, pp. 9-11 (ricco di notizie sul carattere e sul profilo culturale di Zacco); T. Casini, Di alcuni cooperatori italiani di Napoleone I, in Id., Ritratti e studi moderni, Milano-Roma-Napoli 1914, pp. 454 s.; Dizionario del Risorgimento nazionale, a cura di M. Rosi, III, Milano 1930, p. 616. Notizie sull’attività di prefetto in L. Antonielli, I prefetti dell’Italia napoleonica, Bologna 1983, pp. 335 s. Inoltre, R. Marconato, La famiglia Polcastro (sec. XV-XIX): personaggi, vicende e luoghi di storia padovana, Camposampiero 1999, passim.