COSTANTINOPOLI (ufficialmente oggi Istanbul; A. T., 13-14)
Città della repubblica di Turchia, situata a 41° di lat. N. e 28°55′ di long. E. di Greenwich.
Sulle rive della Propontide (Mar di Marmara) all'ingresso del Bosforo i Megaresi fondarono Bisanzio (v.) verso la metà del sec. VII a. C. La nuova colonia che, situata sul luogo ove s'incontrano l'Europa e l'Asia, dominava gli stretti congiungenti il Mar Nero col Mediterraneo, e oltre a questi vantaggi geografici possedeva il porto meraviglioso formato dal Corno d'Oro, divenne ben presto intermediaria naturale del commercio del grano tra il Ponto Eusino e la Grecia e per conseguenza una città prospera e potente. E tale si mantenne fino al giorno in cui Settimio Severo, per punirla d'avere parteggiato per il suo rivale Pescennio Nigro, ne fece radere le mura e demolire una parte dei monumenti, togliendole allo stesso tempo i privilegi di città libera (196 d. C.). Quando, al principio del sec. IV, Costantino volle fondare in Oriente una nuova capitale dell'Impero, la posizione impareggiabile di Bisanzio attirò la sua attenzione per i vantaggi economici e militari che essa presentava. La città magnifica da lui costruita e inaugurata solennemente il giorno 11 maggio 330, fu d'allora in poi chiamata Costantinopoli, e per undici secoli fu la sontuosa capitale dell'Impero romano d'Oriente, detto pure Impero bizantino. Di fronte a Roma antica essa fu "la nuova Roma", fu anche "la città custodita da Dio" e "la città regina", capitale ellenica e cristiana, arricchita dei più insigni capolavori dell'arte classica, adorna di templi splendidi e per la ricchezza, il lusso, la bellezza dei monumenti, lo splendore della civiltà, ebbe in tutto il Medioevo un prestigio enorme e un'influenza senza pari. Per tutto il mondo orientale fu la città per eccellenza, e all'Occidente apparve come una città fantastica circonfusa d'uno scintillio d'oro, come la città che secondo l'espressione di Villehardouin "de toutes lei autres était souveraine". Quando il 29 maggio 1453 Maometto II la prese e pose fine all'Impero bizantino, Costantinopoli divenne capitale dell'Impero ottomano; e ancora per più di quattro secoli Stambul fu una delle città dell'Oriente più incantevoli e seducenti. Gli avvenimenti di questi ultimi anni, con la traslazione della capitale ad Angora, l'hanno momentaneamente fatta decadere dalla passata grandezza, ma, per quanto cambiata, la città non ha perduto nulla del suo fascino.
Sommario: Il nome (p. 611); Situazione e clima (p. 612); Topografia attuale della città: a) Stambul (p. 612); b) Galata e Pera (p. 613); c) Scutari (p. (14); Il porto (p. 614); Popolazione (p. 614); Condizioni economiche (p. 615); Comunicazioni (p. 615); Amministrazione (p. 616); Biblioteche e Musei (p. 616). - I monumenti: Costantinopoli bizantina (p. 616); Costantinopoli turca (p. 618). - Storia: Epoca bizantina (p. 620); Epoca musulmana (p. 623). - Il patriarcato di Costantinopoli (p. 625); I concilî di Costantinopoli (p. 627). - Trattati e conferenze di Costantinopoli: La Conferenza del 1881 (p. 627); I trattati del 1913 (p. 627). - La Zecca di Costantinopoli (p. 627).
Nella grafia dei nomi proprî turchi o entrati nel turco, dato il carattere largamente storico della voce e la difficoltà di prescindere dall'uso tradizionale, si è usata la trascrizione abituale dell'arabo-turco, aggiungendo tra parentesi, per le località di speciale importanza geografica, la grafia ufficiale nel nuovo alfabeto turco-latino.
Il nome. - Costantinopoli (gr. Κωνσταντινούπολις o Κωνσταντίνου πόλις; lat. Constantinopŏlis) fu chiamata dagli scrittori arabi medievali al-Qusṭanṭīniyyah; dall'espressione greca εἰς τὴν πόλιν (ἡ πόλις "la città" per antonomasia era anche detta Costantinopoli), derivò il nome di Stānbūl, Istānbūl, il cui uso è attestato da autori arabi fino dal sec. X d. C. e che prevalse nell'uso comune dopo la conquista turca. Però negli scritti ufficiali e nelle opere letterarie arabe e turche si conservò la denominazione al-Qusṭanṭīniyyah (alla turca, senza articolo, Qosṭanṭīniyyeh), talora sostituita dalla denominazione persiana Āsitāneh "La Soglia" e dall'arabo-persiana Der-i Seādet "La porta della felicità". Più raramente in scritti letterarî e anche in epigrafi di monete si usò la denominazione Islāmbōl. Dal 1929 il nome turco di Costantinopoli nel nuovo alfabeto è scritto Istanbul (si adopererà qui la forma Stambul).
I due nomi Costantinopoli e Stambul si applicano in senso stretto e più appropriato al sito dell'antica Bisanzio, in senso più lato comprendono tutta l'area urbana con i sobborghi vicini e lontani sottoposti all'amministrazione municipale.
Situazione e clima. - La città propriamente detta (Stambul-Galata-Pera) è situata sulle rive del Mar di Marmara e del Corno d'Oro (in greco Chrysókeras, in turco-arabo Khalīǵ [Halic]), un'insenatura che s'addentra nella terra ferma in direzione O.-NO. con uno sviluppo costiero di circa 12 km. Nel tratto di maggiore ampiezza, tra Stambul e Qāsim Pascià, l'insenatura è larga 750 metri. Stambul (Bisanzio) è posta a SO. di questa insenatura su un terreno ondulato che tende a salire leggermente, toccando i 61 metri s. m. alla Porta di Adrianopoli. Una profonda depressione percorre la sua parte occidentale dentro la quale scorre il torrente Lycus, che passa sotto le mura tra Edirneh Qapusu e Top Qapusu e si getta nel Mar di Marmara in corrispondenza del quartiere Vlanga. Galata e Pera sono edificate sull'altura a NE. del Corno d'Oro e collegate a Stambul da due ponti che l'attraversano.
Il clima presenta inverni assai freddi con frequenti nevicate; le temperature medie sono le seguenti: gennaio, 5°,2; aprile, 11°,9; agosto 23°,6; ottobre 16°,8; la temperatura media annuale è di 15°,8; le piogge, prevalentemente invernali, sono in media di 733 mm.; i venti dominanti sono la tramontana (poirāz) e il vento di sud (lōdos); in estate il caldo è mitigato dal vento del Mar Nero.
Topografia attuale della città. - a) Stambul. - Da Emīn Önü, località precedente il ponte dalla parte di Stambul, si staccano diverse strade che conducono lungo il Corno d'Oro e nell'interno della città; una via larga percorsa da linee tramviarie passa a sinistra della Yeni Giāmi‛, traversa il popoloso quartiere commerciale di Sirkegi (dove è la stazione dell'Orient Express), lascia da parte Bāf-i ‛Ālī e procede per i quartieri di Bāyezīd e Fātiḥ.
Vie di grande traffico sono la Dīwān Yolu, che unisce il quartiere Bāyezīd e quello di Santa Sofia, la via Koska che prolunga la precedente fino a Yedi Qulleh, alla Porta di Belgrado e alla Porta di Silivri, alla Porta Mevlevikhāneh e a Ṭop Qapusu. Dalla piazza Bāyezīd altre strade traversano il mercato (Ciarshu) e conducono a Suleimāniyyeh e a Fātiḥ, donde partono le comunicazioni per la Porta di Adrianopoli (Edirneh Qapusu), la moschea Selīmiyyeh e il Fanar; strade e viuzze lungo il Corno d'Oro tra le rovine delle antiche mura portano all'incontro delle mura terrestri del Corno d'Oro e più avanti al quartiere tranquillo di Eyyūb. Il nome Uzun Ciarshu "Mercato Lungo", dato alla via che dal Gran Bazar scende al Corno d'Oro, riproduce il nome bizantino Makrón Èmbolon. La parte della città corrispondente all'antica Bisanzio è delimitata da un perimetro di quasi 20 km. di mura, ben conservate sul lato di terra (mura di Teodosio, di Manuele Comneno, d'Eraclio e di Leone V), in gran parte distrutte sul Corno d'Oro e sul Mar di Marmara.
Le porte attualmente esistenti sono: a) sul lato di terra: Yedi Qulleh Qapusu (antica Porta Aurea), Belgrad Qapusu (Porta Deuteron), Silivri Qapusu (Porta Pegana), Mevlevikhāneh Qapusu (Porta Rhegium). Ṭop Qapusu (Porta Sancti Romani), Edirneh Qapusu (Porta Charisii), Egri Qapu (Porta Caligaria); b) sul Corno d'Oro: Ayvān Serāy Qapusu (Porta Lignea), Balāṭ Qapusu (Porṭa Regia), Fener Qapusu (Porta Phari). Petri Qapusu (Porta Petrion), Yeni Aya Qapu, Giubbali Qapusu (Porta Putea), Un Qapan Qapusu (Porta Platea), Odun Qapusu (Porta Viglae Drungara), Zindān Qapusu (Porta Sancti Iohannis de Corniis), Balïq Pazār Qapusu (Porta Peramatis o Porta Hebraica o Tudescha), Baghce Qapusu (Porta Neorion); c) sul Mar di Marmara: Deyirmen Qapusu (turca?), Ciatladï Qapu (Porta Ferrea), Langa Yeni Qapusu (Porta Vlanga), Dāwūd Pascià Qapusu (Porta Sancti Aemiliani), Samatia Qapusu (Porta Psamathia), Narli Qapu (Porta di s. Giovanni Studios). Queste mura sono protette da torri, meglio conservate sul lato di terra che nei due lati marini. Il tracciato delle mura lungo il Corno d'Oro dista attualmente fin a duecento metri dall'acqua per il progressivo riempimento del Corno d'Oro; alcune delle porte antiche sono state distrutte.
Oltre alle moschee famosissime (vedine qui appresso la descrizione), abbondano in Stambul piccoli santuarî detti mesgid e chiostri (tekkeh) delle confraternite (abolite nel 1925); accanto alle moschee sorgono edifici accessorî per le abluzioni rituali, tombe (türbeh), scuole religiose (medreseh), fontane (ceshmeh) e biblioteche (kütübkhāneh). Le türbeh più notevoli storicamente e artisticamente sono quelle annesse alla moschea di Maometto II (ove sono sepolti Maometto II e sua madre), a Santa Sofia (sultani Selīm II, Murād III, Mustafà I, Ibrāhīm I), a Shāhzādeh (Ibrāhīm Pascià, Rustem Pascià, i principi Mustafà e Gihānghīr, figli di Solimano, ecc.), alla Sulei māniyyeh (Solimano, la favorita Rosselana, etc.) alla Ahmediyyeh (Aḥmed I, ‛Osmān II, Murād IV, principi e principesse). Altre türbeh sorgono a poca distanza dalle moschee: quella detta di Sulṭān Maḥmūd, non lontano da Santa Sofia, contiene le spoglie di Maḥmūd II, ‛Abd ul-‛Azīz, ‛Abd ul-Ḥamīd II.
I cimiteri musulmani comuni di Stambul si stendono fuori delle mura terrestri fra Top Qapusu e Edirneh Qapusu; il terreno preferito dai musulmani è il sito attorno a Eyyūb e a Ayvān Serāy. Delle fontane monumentali la più caratteristica è quella del sultano Ahmed III, terminata nel 1728. Una fontana modernissima, costruita nel 1895 a cura dell'imperatore di Germania Guglielmo II, di stile orientale, sorge nella piazza dell'Ippodromo (At Meidān).
A Stambul sono anche il Palazzo Vecchio (Eski Serāy) edificato da Maometto II, ora sede dell'università, e il Palazzo Nuovo (Yeni Serāy) sulla punta tra il Corno d'Oro e il Mar di Marmara (vedine appresso la descrizione). A O. del Serraglio sorge ancora l'edificio detto Bāb-i ‛Ālī (la Sublime Porta), che fu sede del gran vizir e poi del Ministero degli esteri: la Sublime Porta diventò perciò sinonimo di Governo dell'Impero Ottomano nei rapporti con l'estero. Caratteristici di Stambul sono i mercati coperti (detti con parola persiana bazār, in turco più spesso pazār o, con parola turca, ciarshu). I principali sono due: il grande bazar (büyük pazār o büyük ciarshu) tra la moschea Nūr-i ‛Osmāniyyeh e la piazza di Bāyezīd, di forma quadrata intersecata da due grandi arterie e da un corridoio che gira sui quattro lati; fu costruito da Maometto II, più volte restaurato, ultimamente nel 1898; ora ha perduto molto della sua importanza commerciale che lo faceva il principale emporio di traffico (vi si vendevano anche schiavi fin verso il 1850). Vicino alla moschea Vālideh sta il Miṣir Ciarshusu, così detto perché vi si vendevano soprattutto spezie e droghe che venivano dall'Oriente per la via dell'Egitto (arabo Miṣr). In relazione con il commercio sono pure i khān, fondachi, cioè alberghi e magazzini a un tempo; numerosi a Stambul specialmente nella zona di maggiore attività mercantile verso il Corno d'Oro: Balqapan Khān (deposito del miele), che si tende a credere abbia servito da fondaco ai Veneziani fino alla conquista turca, Vālideh Khān, Büyük Yeni Khān, Ḥasan Pascià Khān (tra Bāyezīd e Āq Serāy), costruito nel 1593, Khurmalï Khān (presso la moschea di Rustem Pascià, costruzione bizantina).
Per i monumenti bizantini di Stambul vedi appresso.
b) Galata e Pera. - Dall'altra estremità del Ponte Nuovo, detta Qarakiöi, nome del quartiere più basso di Galata all'imbocco del Ponte, varie strade salgono per l'antica cittadina genovese; la strada più ampia, girando a sinistra, lentamente sale alla moderna Pera e ai quartieri modernissimi di Taqsīm (Taksim), Shishli e Panqaldi, mentre un'altra a destra raggiunge la zona del porto e della dogana passando per Ṭopkhāneh e Beshikṭāsh, e prosegue fino a Bebek.
L e comunicazioni tra le due sponde del Corno d'Oro sono disimpegnate anche da un altro ponte, più a nord del primo, detto Ponte Vecchio, che congiunge Azap Qapusu (Galata) con Un Qapan Qapusu (Stambul). Poco rimane delle mura genovesi che cingevano Galata; nel secolo scorso (specialmente nel 1864) furono demolite per larghi tratti. Un magnifico panorama si gode dalla torre genovese di Galata, che domina dall'alto della collina il Corno d'Oro, il Mar di Marmara e il Bosforo.
Oltre Galata sorge la moderna città di Pera (in turco Beyoghlu [Beyoǧlu]), formatasi dal sec. XVI dove prima erano le cosiddette Vigne di Pera (greco πέρα "al di là"). Gli ambasciatori cristiani stabilirono qui le loro sedi; Galata e Pera ebbero uno straordinario sviluppo dopo la guerra di Crimea: nuovi quartieri si stesero lungo le pendici della collina fino al Bosforo; moderne abitazioni, istituti, fabbriche si allinearono a nord di Pera nei quartieri di Taqsīm, Panqaldi, Nishānṭāsh; gli stessi sultani preferirono le rive del Bosforo e vi costruirono i palazzi di Dolma Baghče (1853), Beylerbei (1865), Cerāghān (1874), Yildiz. La vita del commercio e anche della politica si concentrò sempre più in questa nuova città, dove maggiore era il miscuglio delle razze confuse sotto una vermce di civiltà europea. Le pendici di Pera erano fino verso il 1860 adibite in larghe zone a cimiteri, chiamati Grandi Campi e Campetti (nome ancor oggi sopravvissuto, in turco Küčük e Büyük Mezāristān). A NO. di Galata si stende il quartiere di Qāsim Pascià (dove è la moschea di Piale Pascià del 1573); sotto questo, sulla riva del Corno d'Oro, sorge l'ampio arsenale (Terskhāneh o Tersāneh) con l'antico Ministero della marina.
c) Scutart. - Scutari (antica Χρυσόπλις, in turco Üsküdar con i sobborghi di Ḥaidar Pascià, Qāḍīkiöi e Moda) fronteggia sulla costa asiatica de Mar di Marmara, Stambul e Galata. Scutari ha notevole importanza e raccoglie tuttora circa un quarto della popolazione di Costantinopoli. In passato ebbe anche importanza politica e militare, essendo la prima tappa delle spedizioni asiatiche dei Sultani ottomani, e fu adornata di moschee e palazzi; grandi estensioni sono adibite a cimitero (il più grande è quello detto di Qarāgia Aḥmed). Negli ultimi decennî si è molto sviluppata la zona di Haidar Pascià, capolinea della ferrovia d'Anatolia che, per Izmīt, porta ad Angora, all'Anatolia meridionale e alla Siria.
Presso la costa di Scutari, su un isolotto, si leva una torre (Torre di Damalis o Arcla, dei Bizantini; Torre di Leandro, degli Europei; Qïz Qullesi "Torre della ragazza", dei Turchi). La città di Costantinopoli comprende amministrativamente anche la zona del Bosforo, popolato lungo le rive di villaggi, ville, rovine di castelli, come Rūmeli Ḥiṣār e Rūmeli Qawaq sulla costa europea, Anadolu Ḥiṣār e Anadolu Qawaq sulla riva asiatica, stazioni climatiche (Bebek e Therapia sulla riva europea, Qandilli sulla riva asiatica). Anche le Isole dei principi (in turco Adalar) sono comprese nell'amministrazione della città di Costantinopoli.
Il porto. - Comprende tutto il Bosforo e il Corno d'Oro, restando delimitato dai fari delle coste europea e asiatica a N. e dalla congiungente Santo Stefano - Fener Baghče a sud. Il porto è diviso in tre parti: porto esterno (ossia la zona al di là della congiungente Punta del Serraglio-sbarcadero di Qabace, verso il Mar di Marmara); porto di Galata (compreso fra la congiungente predetta e il ponte di Galata); porto interno o di Stambul propriamente detto (dal ponte di Galata a Kiāghad Khāneh, antica "cartiera").
Il porto di Galata e quello interno sono bene ridossati; il primo ha m. 758 di banchine, con fondali di accosto di m. 7 a bassa marea, alle quali non più di sette piroscafi contemporaneamente possono affiancare. Nel porto interno invece (m. 474, fondali uguali a Galata) tutte le navi (non più di nove contemporaneamente) devono ormeggiarsi di punta facendo operazioni su chiatte. Esistono anche alcune boe di ormeggio.
Nel porto esterno le navi possono liberamente dar fondo entro determinate zone a condizione di non intralciare la circolazione; in esso esiste, oltre il piccolo scalo dei Chemins de fer orientaux a Sirkegi, anche un porto moderno, Ḥaidar Pascià, appartenente dal 1928 allo stato, protetto da una diga lunga 595 m.; ha 302 m. di banchine con fondali di 8 metri. Esistono anche altri posti di ormeggio (porto petrolî della Standard Oil a Umur Yeri; depositi infiammabili a Cibriqli). Il porto è scarsamente arredato: parecchie grue della portata di 2,8 tonn. ciascuna; qualche bigo fino a 80 tonnellate Esistono tre bacini di carenaggio in muratura, il più grande lungo 510 m. e largo 62; due bacini galleggianti (uno dei quali della portata di 8500 tonn.); quattro piccoli scali di alaggio. Uri gruppo finanziario estero ha chiesto recentemente l'autorizzazione a impiantare un grande deposito di carbone nel porto esterno.
Ottima è la situazione geografica del porto, posto nel punto di intersezione di due grandi vie di traffico internazionale: una marittima, l'altra terrestre. Nella prima convergono tutte le rotte che collegano il Mar Nero al Mediterraneo. La seconda, che è la migliore e la più naturale, unisce l'Europa all'Asia; è da rilevare che Costantinopoli penetra nel retroterra europeo mediante la ferrovia per Lüleburgaz, Adrianopoli, Kirklareli, mentre il retroterra asiatico è servito dalla Haidar Pascià-Angora (576 km.) che da Eski Shehir raggiunge Conia (533 km.) e dopo altri 445 km. Yenige (ferrovia di Baghdād).
La Grande Assemblea ha approvato, il 21 giugno 1927, la legge che istituisce una zona franca nei limiti del comune di Costantinopoli, ma ancora nulla si è fatto.
Il porto è gestito dallo stato in regime di monopolio mediante un'amministrazione del monopolio del porto che ha dato risultati poco buoni a causa della grande complicazione burocratica e della mancanza di personale sperimentato. Anche il semplice transito per gli stretti, senza comunicazioni con la terra turca, è molto ostacolato dall'obbligo di fermarsi per le formalità sanitarie sia a Cianaq sia a Büyük Dere; esso deve conformarsi, come è noto, alle disposizioni determinate dalla convenzione di Losanna (24 agosto 1923) e dalla commissione permanente per gli stretti.
Popolazione. - I Greci stabiliti prima del 1914 a Costantinopoli furono esclusi dallo scambio delle popolazioni deciso dalla conferenza di Losanna nel 1923; tuttavia l'esito della guerra turco-greca del 1919-1922 e l'abolizione delle Capitolazioni hanno influito alquanto sulla composizione etnica dell'antica capitale.
Nel 1914 Costantinopoli, compresi i sobborghi dipendenti, aveva una popolazione valutata a 1.125.000 ab., dei quali 500.000 Musulmani, 200.000 Greci, 180.000 Armeni, 70.000 Europei, 65.000 Ebrei. Nel 1924 una statistica dava per Costantinopoli 1.065.866 ab., dei quali 656.281 Musulmani, 279.788 Greci, 73.407 Armeni, 56.390 Ebrei; di essi 404.175 (334.875 Musulmani, 44.366 Greci, 12.851 Armeni, 12.083 Ebrei) abitavano a Stambul, 343.605 (145.202 Musulmani, 124.874 Greci, 39.270 Armeni, 34.259 Ebrei) a Galata e Pera, il resto a Scutari e nei sobborghi. Alla cifra totale suddetta erano da aggiungere circa 70.000 stranieri.
Ma un vero censimento non si fece mai a Costantinopoli, né in tutto il resto della Turchia, fino all'ottobre del 1927. In tale censimento (che diede per la Repubblica di Turchia un totale di circa 14 milioni di ab.) la popolazione di Costantinopoli città risultò essere di 690.857 ab., dei quali 625.522 Turchi, 25.419 Greci, 7190 Italiani, 5647 Russi, 3470 Bulgari, 3046 Iugoslavi, 2475 Inglesi, 2245 Francesi, 1387 Tedeschi, 1355 Albanesi, ecc. Si noti che gli oriundi albanesi di Costantinopoli sono varie migliaia, ma la maggioranza di essi hanno preso la cittadinanza turca. Riguardo alla religione gli abitanti erano così divisi: 447.851 musulmani, 99.082 ortodossi, 52.579 armeni, 46.698 ebrei, 22.596 cattolici, 4289 protestanti, il rimanente di altre religioni; 1204 erano senza religione o di religione non precisata. La classificazione secondo la lingua materna diede le seguenti cifre: 477.554 parlavano turco, 89.757 greco, 44.531 armeno, 38.890 ebraico, 5771 francese, 5713 albanese, 4760 italiano, 4414 tedesco, 3861 russo, 3363 bulgaro, 2913 arabo, 1673 curdo, 1287 inglese, 1066 persiano, 446 tartaro, 86 circasso, 458 georgiano, 413 ungherese, 585 serbo, 617 bosniaco, 707 polacco, 244 rumeno, ecc. Gli Ebrei di Costantinopoli sono quasi tutti Sefarditi provenienti dalla Spagna; essi parlano lo spagnolo con caratteristiche particolari anche agli altri ebrei levantini.
I 690.857 abitanti di Costantinopoli erano così distribuiti: 245.982 nella città propriamente detta di Stambul, 12.310 nelle Isole, 13.419 a Baqïrkiöi, 294.790 a Galata-Pera e dipendenze, 124.356 a Scutari.
Costantinopoli città conta circa un ventesimo della popolazione dell'intera Repubblica; nessun'altra città della Turchia le si avvicina per numero di abitanti: solo Smirne nel 1927 aveva 150.000 abit., mentre la capitale Angora non ne aveva che 70.000. Nel 1928 i morti a Costantinopoli furono 9950 e i nati 15.088. Il nuovo codice civile turco consente il matrimonio tra Turchi e stranieri. Dal 1° gennaio 1929 è andata in vigore la nuova legge sulla nazionalità in Turchia che tende ad assimilare gli stranieri nati in territorio turco.
L'elemento straniero più numeroso di Costantinopoli sono i Greci: nel 1929 essi vi erano calcolati a 89.757 dei quali 25.666 erano sudditi ellenici, gli altri venivano considerati come sudditi turchi ma solo una metà erano provvisti di documenti comprovanti tale sudditanza; con l'accordo greco-turco del 10 giugno 1930 quasi tutti i Greci di Costantinopoli (circa 90.000) sono diventati sudditi turchi. I 7190 italiani sono così distribuiti: 163 a Stambul, 149 nelle Isole, 36 a Baqïrkiöi, 6425 a Galata-Pera, 417 a Scutari. La città di Costantinopoli e il suo vilāyet assorbono la maggior parte delle minoranze etnico-religiose soggette alla Turchia (Greci, Armeni, Ebrei, Cristiani); la politica dell'attuale regime tende a turchizzare nella lingua e nei costumi queste minoranze.
L'intero vilāyet di Costantinopoli nel 1927 (con l'aggregazione di parte del territorio che costituiva il vilāyet di Scutari soppresso) comprendeva 806.863 abitanti (261.504 nel cazà di Stambul, 155.092 nel cazà di Scutari, 11.691 nel cazà delle isole, 294.025 nel cazà di Pera, 20.441 nel cazà di Baqïrkiöi, 13.495 nel cazà di Shile, 50.615 nel cazà di Ciatalgia). Di essi il 65% erano Musulmani, il 7,5% Armeni gregoriani, il 7% Ebrei, il resto Greci ortodossi e d'altre regioni.
Condizioni economiche. - La perdita di territorî subita dalla Turchia nella guerra europea e poi il trasporto della capitale ad Angora hanno ridotto assai l'importanza commerciale di Costantinopoli; a ciò hanno contribuito anche la partenza di molti commercianti stranieri, specialmente greci e armeni, e la diminuita attività di ditte europee intralciate dalle disposizioni di legge imposte dall'attuale governo o non adattatesi ai tempi nuovi. L'importanza economica di Costantinopoli rimane nulladimeno notevole come emporio d'importazione per i paesi turchi d'Europa e d'Asia e, in minor misura, d'esportazione dei prodotti turchi per l'estero, come porto di transito per le merci dalla Persia e dalla Russia all'Europa e viceversa, come centro di consumo e di produzione industriale. Ancora nel 1926 il 64% delle importazioni in tutta la Turchia faceva capo a Costantinopoli; nel 1927 il 15% delle esportazioni turche si effettuò attraverso Costantinopoli; d'altra parte l'attività dei porti di Smirne, Mersina e Samsun tende a crescere a scapito di Costantinopoli; anche la maggiore attività del porto del Pireo assorbe parte del lavoro del porto di Costantinopoli.
Nella zona periferica di Costantinopoli prosperano alcune industrie; altre ne sorgono spesso con partecipazione di capitali stranieri: lavorazione del tabacco, concerie di pelli, tessitura di tappeti, industrie di calzature, abiti, conserve, olî, sapone, carta.
Dal censimento del 1927 risultò che 67.215 dei 690 mila abitanti di Costantinopoli erano dediti al commercio, 62.761 all'agricoltura (molti a Scutari, sul Bosforo e intorno a Costantinopoli), 50.712 alle industrie, mentre 16.191 erano in servizio nell'esercito, 12.756 professionisti, 12.613 impiegati. Nel 1929, i lavoratori occupati nelle manifatture dei tabacchi erano 10.000 e di essi ben 6000 erano donne.
Il movimento di classe, quasi inavvertito altrove, ha trovato qualche seguito tra gli operai delle industrie, specialmente tra quelli delle manifatture dei tabacchi. Le donne di Costantinopoli da pochi anni sono ammesse negli uffici; già un centinaio di dattilografe risultavano impiegate nel 1929 in uffici comunali o governativi.
Non trascurabile è il contributo del turismo straniero all'attività economica di Costantinopoli: nel 1920 circa 50.000 turisti visitarono la città; di essi 35.000 vi giunsero per via marittima. A Costantinopoli ha sede un Touring Club (nel nuovo alfabeto Turing Klüp) turco, che cerca di promuovere il movimento dei forestieri e istituisce corsi per guide, eliminando gli elementi non propriamente turchi e svolgendo una propaganda nazionale. L'attività economica degli stranieri in Turchia, benché diminuita rispetto all'anteguerra, è ancora notevole a Costantinopoli più che in altri centri della Repubblica e appoggiata da agenzie e rappresentanze di grandi ditte (società di elettricità, fabbriche di macchine e automobili, imprese di costruzione, ecc.) e di banche.
Comunicazioni. - Costantinopoli è ben servita da comunicazioni che la uniscono per via di terra, di mare e d'aria con il resto della Turchia e del mondo.
Tra le comunicazioni terrestri la più importante è la linea cosiddetta dell'Orient Express (Parigi-Milano-Belgrado-Sofia-Costantinopoli), la quale si prolunga in Anatolia, con trasbordo dalla stazione di Sirkegi (Stambul) a Haidar Pascià; di qui la ferrovia procede per Izmit fino ad Eski Shehir, donde si biforca per Angora e per Adana -Aleppo- Beirut.
A Costantinopoli fanno capo moltissime linee marittime di passeggeri e merci; le principali provengono dai porti della Grecia, della Francia, dell'Egitto, dell'Inghilterra e della Germania; molte proseguono per il Mar Nero o per Smirne e i porti del Levante. L'Italia è collegata a Costantinopoli mediante una linea celere settimanale (Lloyd Triestino) e una celere quindicinale (Sitmar) nonché da altre sette linee quindicinali con partenza ogni quattro settimane (delle società predette, una della Società generale di navigazione a vapore).
Nel 1928 toccarono il porto di Costantinopoli 11.577 piroscafi con un tonnellaggio globale di 9.339.121 tonn.; di essi 2233 erano di transito. Nella cifra totale dei piroscafi la bandiera italiana figurò con 778 piroscafi, l'inglese con 709, la turca con 690, la greca con 565, la tedesca con 298, la russa con 265, la francese con 263, la rumena con 250. Una statistica del movimento portuale di Costantinopoli nel 1929 dava le seguenti cifre: passate navi con tonnellaggio totale di 9.787.718 tonn. (circa 450.000 più che nel 1928), approdate navi con 5.515.000 tonn. (189.000 più che nel 1928), transitate navi per 4.594.000 tonn. (282.000 più che nel 1928). Questi dati mostrano che il porto di Costantinopoli mantiene un buon movimento e denota un certo incremento; il movimento marittimo che era stato nel 1875 di circa 5.000.000 di tonn., toccò il massimo di 17 milioni nel 1913, poi diminuì gradatamente e riprese a salire nel 1922. È da notare il crescente sviluppo della marina mercantile turca, alla quale, in base al Trattato di Losanna, è riservato il cabotaggio tra i porti della Turchia.
Le comunicazioni aeree, non ancora molto sviluppate, sono tutte affidate in concessione a società straniere; un servizio settimanale esercito da società italiana unisce Costantinopoli ad Atene e a Brindisi; altre linee la collegano a Bucarest, all'Europa Centrale e ad Angora.
Il traffico cittadino fra gli sparsi quartieri di Costantinopoli, le rive del Mar di Marmara e il Bosforo è disimpegnato da società tranviarie e di navigazione; le comunicazioni tra i quartieri situati sulle due rive del Corno d'Oro sono agevolate sia dai battelli della Compagnia del Corno d'Oro, sia dai due ponti i quali uniscono le due sponde (v. sopra). Il percorso dalla collina di Pera alla spiaggia di Galata è abbreviato da una funicolare che percorre il tunnel inaugurato nel 1873. Dal Ponte nuovo partono battelli che percorrono il Bosforo toccando alternativamente gli scali delle due rive; al quai di Galata approdano i piccoli piroscafi della società turca di navigazione Seir-i Sefā'in, i quali fanno servizio di cabotaggio sulle coste del Mar di Marmara. Nel 1929 si calcolava che i battelli del Ponte nuovo trasportassero quotidianamente 52.000 passeggeri, i piroscafi della Seir-i Sefā'in 41.000, i battelli della Compagnia del Corno d'Oro 16.364. Sui due ponti gettati sul Corno d'Oro passano giornalmente circa 100.000 persone.
Amministrazione. - La città di Costantinopoli è amministrata da una prefettura di città (shehir emāneti), a capo della quale sta un prefetto di città (shehir emīni) assistito da ispettori (müfettish). Essa è divisa amministrativamente in nove circoli (dā'ireh, nuovo alf. daire), ciascuno diretto da un müdīr, che sono i seguenti: Bāyezīd (nel nuovo alfabeto Bayazït, Fātiḥ (Fatih, Beyoghlu (Beyoğlu = Pera, Yenikiöi (Yeniköy = riva europea del Bosforo), Anadolu Ḥisār (A. Hisar = riva asiatica del Bosforo), Üsküdar (Scutari). Qāḍīkiöi (Kadikoy), Adalar (= Isole dei Principi), Baqïrkiöi (Bakirköy = Makrikiöi).
Il prefetto di città è nominato dal Ministero degli interni; egli è assistito da un Consiglio generale municipale (Belediyyeh 'Umūmī Meg???lisi) e presiede ai servizî municipali propriamente detti, gli uffici di stato civile, l'assistenza sanitaria, la nettezza urbana, ecc.
Costantinopoli è anche sede del vilāyet omonimo, che si estende di poco oltre i confini della città: esso abbraccia, oltre alla città di Stambul in senso ristretto (presso a poco l'antica Bisanzio), nove cazà: Beyoghlu, Adalar, Üsküdar, Shile (Sile), Qartal (Kartal), Beiqos (Beykoz), Baqïrkiöi, Ciatalgia (Çatalca), Silivri. I cazà di Qartal, Beiqos e Silivri furono istituiti solo nel 1928. A capo del vilāyet sta un vālī nominato dal Ministro degli interni; nei nove cazà egli è rappresentato dai luogotenenti detti qā'im maqām. Dal vilāvet dipendono gli affari generali della provincia. Con apposita legge andata in vigore il 10 settembre 1930 è avvenuta la fusione delle cariche di shehir emīni e di vālī di Costantinopoli e quindi del Consiglio municipale e del Consiglio di vilāyet. Il sindaco (belediyyeh re'īsi) di Costantinopoli è ora anche vālī di Costantinopoli; la città è stata divisa con la nuova legge in cazà e nāhiyeh (nahie).
Biblioteche, musei. - Le biblioteche pubbliche a Costantinopoli sono numerosissime, ma non adatte agli scopi dell'insegnamento moderno. Quasi tutte le moschee più importanti comprendono tra i loro annessi una biblioteca (kütübkhāneh) costituita con lasciti (vaqf, plur. evqāf) dei fondatori e talora di successivi legati, con centinaia o migliaia di manoscritti arabi, turchi e persiani: le più famose sono quelle armene a Santa Sofia, alle moschee di Maometto II, di Solimano I, ecc. Il governo attuale intende far raccogliere in un'unica sede le molte migliaia di manoscritti, farli riordinare e catalogare; tuttavia il progetto non avuto ancora inizio di attuazione.
Soltanto accanto alla moschea Bāyezīd sulla piazza omonima fu aperta una biblioteca pubblica, comprendente manoscritti e stampati e anche libri europei con cataloghi; biblioteche speciali di tipo quasi occidentale sono annesse all'università (Dār ùl-Fiinūn) e al Museo delle Antichità.
Notevoli biblioteche speciali esistevano presso istituti europei prima della guerra; particolarmente importanti quelle dell'Istituto russo di archeologia e del Sillogo letterario greco (ora chiuse) a Pera, e dei padri assunzionisti a Qāḍīkiöi.
I principali musei di Costantinopoli sono alla Punta del Serraglio. Il maggiore, già chiamato Museo imperiale (Müzeh-i Humāyūn) e ora (dal 1923) Museo delle antichità ('Atīqāt Müzesi), ebbe inizio nel 1846-47 con raccolte incominciate dal Dāmād Fetḥī Aḥmed Pascià e continuate da altri; i suoi direttori furono dapprima europei (dal 1872 al 1881 il Déthier), poi turchi: Hāmid Bey dal 1881 al 1910 e poi suo fratello Khalīl Edhem Bey. L'edificio attuale fu inaugurato nel 1896; comprende varie sale in un pianterreno e in un piano superiore, ricche di monumenti dell'arte greca, romana e bizantina; in una sala è esposto il sarcofago famoso detto d'Alessandro scoperto da Hāmid Bey negli scavi di Ṣaydā (Sidone). Una sala è dedicata alle memorie latine medievali (genovesi e veneziane di Galata e altre località del Levante).
In un edificio accanto al Museo delle antichità sono raccolti monumenti dell'arte asiatica anteriore all'età classica; in un altro piccolo edificio turco del sec. XV, detto Cinili Kiöshk per la finissima decorazione di maioliche, sono ordinati oggetti d'arte musulmana.
Nel recinto del Serraglio, nell'edificio bizantino che fu già la chiesa di Santa Irene, è sistemato un interessante Museo militare (‛Askerī Müzesi), che conserva armi specialmente orientali, bandiere e cannoni presi nelle guerre passate e, nel piano superiore, un'ordinata esposizione di manichini rappresentanti le uniformi della milizia dei Giannizzeri abolita nel 1826.
Molto importante è anche il Museo degli Evqāf (Evqāf Müzesi) sistemato dal 1908 in un tranquillo chiostro presso la Moschea di Solimano (Suleimāniyyeh); vi si trovano oggetti d'arte musulmana in legno, in stoffa e in metallo, molti libri miniati e modelli calligrafici.
Parziali raccolte d'arte si trovano anche altrove, ad esempio nella Millet Kütübkhānesi presso la moschea di Maometto II.
Le riforme introdotte in Turchia dal regime attuale vanno modificando anche l'aspetto esteriore della città e degli abitanti; dal 1925 sono scomparse le variopinte foggie d'abiti e di copricapi; dal 1929 i caratteri arabi delle insegne sono stati sostituiti con l'alfabeto latino. Gli usi tradizionali scompaiono nell'uniformità di un tenore di vita che si sforza di diventare europeo.
Bibl.: V. Hammer, Costantinopolis und der Bosphorus, Pest 1822; P.A. Déthgier, Der Bosphor und Konstantinopel, 2ª ed., Vienna 1876; J. Mordtmann, Esquisse topographique de Costantinople, Lilla 1892; Grosvenor, Constantinople, Londra 1895; v. anche le guide abbastanza accurate delle collezioni Baedeker, Meyer, Hachette; buona la recente guida di E. Mamboury, Constantinople, Costantinopoli 1925. Delle opere in turco le due più recenti sono Meḥmed Ziyā, Istānbūl ve-Bughāz Īči (Costantinopoli e il Bosforo), voll. 2, Costantinopoli 1920-28; Fa'iq Sabri, Türkiye Gioghrafiasï, Costantinopoli 1929. Per i musei vedi i cataloghi di S. Reinach (1892), Joubin (1893), Mendel (1914); S. Mukhtar, Musée militaire ottoman, Costantinopoli 1923; Baḥriyyeh Müzesi Qataloghu (Catalogo del Museo di marina), Costantinopoli 1917. Sul porto di Costantinopoli, v.: Le port de Stambul, Costantinopoli 1828; Le port de Stambul en 1929, Costantinopoli 1930; Economic conditions in Turkey (Rapporto consolare britannico), Londra 1930; Rapport de la Commission des détroits à la Société des Nations, Costantinopoli 1930.
I monumenti.
Del suo passato bizantino, come di quello turco, Costantinopoli ha conservato monumenti mirabili, che coi loro ricordi storici e coi pregi artistici ne fanno una delle più belle città dell'Oriente e del mondo.
Costantinopoli bizantina. - Si è detto giustamente che "a Costantinopoli Dio aveva Santa Sofia, l'imperatore aveva il Sacro Palazzo e il popolo aveva l'Ippodromo". Di questi tre poli della vita bizantina si conservano le tracce, ma in modo ineguale. Del palazzo imperiale, costruito sul pendio che dalla moschea del Sultano Aḥmed scende verso il Mar di Marmara, rimane ben poco, appena qualche costruzione qua e là; e se il Libro delle cerimonie che l'imperatore Costantino VII Porfirogenito scrisse nel sec. X ci permette di farci un'idea esatta della pianta di questo gruppo di edifici e della sua magnificenza, non possiamo deplorare abbastanza che sul posto non siano mai stati intrapresi scavi metodici, simili a quelli che a Roma ci hanno restituito i palazzi dei Cesari sul colle Palatino. Dell'Ippodromo la piazza dell'At Meidān ha conservato la forma ellittica e tre monumenti che indicavano la linea mediana del gran circo, ossia l'obelisco di Teodosio il Grande coi curiosi bassorilievi sul piedestallo (secolo IV), la colonna di bronzo formata da tre serpenti attorcigliati che commemorava la vittoria di Platea nel tempio di Delfi, e la colonna, già rivestita di bronzo dorato, innalzata dall'imperatore Costantino VII (sec. X). All'estremità della piazza si vedono ancora dal basso in alto gli avanzi delle costruzioni colossali che sostenevano la parte estrema dell'Ippodromo. Ma gli scavi eseguiti recentemente per iniziativa del Museo Britannico hanno in conclusione aggiunto ben poco a quanto si conosceva del circo. Fortunatamente Santa Sofia, edificata dal 532 al 537, è giunta a noi meglio conservata, e forma a un tempo la meraviglia di Costantinopoli, il monumento tipico e il capolavoro dell'arte bizantina (per l'architettura, v. bizantina civiltà; VIII, p. 155). I rivestimenti di marmi policromi che ricoprono le mura, specialmente nell'abside, sembrano tappeti meravigliosi appesi alle pareti; e ai giri delle vòlte, delle cupole e dell'abside mosaici scintillanti formano una decorazione sontuosa. I Turchi hanno lasciato in vista solamente i mosaici puramente decorativi, in gran parte del tempo di Giustiniano, ma quando trasformarono la chiesa in moschea fecero scomparire sotto una mano di calce quelli contenenti figure umane. Pure, essi si conoscono abbastanza bene per i lavori di restauro che il sultano ‛Abd ul-Megīd fece eseguire dall'architetto italiano Gaspare Fossati. I mosaici nei pennacchi della cupola rappresentano quattro figure colossali di cherubini, nell'abside la Madonna orante, tra le finestre dei muri di sostegno dei grandi archi laterali i profeti e i dottori della Chiesa, nell'arco orientale l'"etoimasia" tra le figure della Vergine e del Precursore, e sul timpano della Porta reale, nel nartece, il Cristo in trono dinnanzi al quale si prostra un imperatore. Questi mosaici risalivano alla fine del sec. IX e alcuni alla fine del X, quando la caduta d'una parte della cupola rese necessarie diverse riparazioni: e certamente la loro assenza altera l'effetto voluto da un'arte essenzialmente coloristica, come è fuor di dubbio che la decorazione turca (miḥrāb, minbar, maqṣūrah o loggia del sultano, grandi dischi verdi coperti di lettere d'oro appesi in alto sui pilastri) alteri sgradevolmente la bellezza di Santa Sofia; ma l'armonia delle linee, l'ampiezza delle proporzioni, la scienza e l'audacia delle combinazioni d'equilibrio, la ricchezza sfarzosa delle decorazioni sono tali, che la Grande Chiesa, come la chiamava il Medioevo bizantino, è pur sempre una meraviglia di stabilità e d'arditezza.
Nell'immensa Stambul esistono molte altre chiese bizantine quasi tutte trasformate in moschee. Cronologicamente vanno dal sec. V al XIV e artisticamente rappresentano i tipi più diversi di costruzione; né forse in altro luogo si può seguire meglio che qui lo svolgersi dell'architettura bizantina nella sua varietà complessa e pittoresca. La più antica è la grande basilica di S. Giovanni Battista dello Studion, ora moschea di Mīr Akhōr Giāmi‛, vicino al castello delle Sette Torri. È della metà del sec. V ed è assai guasta. Poi vengono due chiese contemporanee di S. Sofia, quella di S. Irene, trasformata oggi in museo d'armi, bell'esempio di basilica con cupola, e quella dei Santi Sergio e Bacco, chiamata, non si sa per qual ragione, Küčük Aya Sofia (la piccola Santa Sofia), giacché non rassomiglia sotto nessun riguardo alla Grande chiesa, nella sua pianta ottagonale con cupola. Segue la Qalenderkhāneh, già S. Maria Diaconissa, edificata al principio del sec. VII, uno dei pochi santuarî di Costantinopoli che, come Santa Sofia, abbia conservato quasi intatto il bel rivestimento di marmi policromi; poi la Gül Giāmi‛ (moschea delle rose) della metà del sec. IX, già chiesa di S. Teodosia. Ma i più interessanti sono senza dubbio gli edifici nella pianta classica bizantina, ossia cruciformi; in essi possiamo seguire dal sec. XI al XIII l'evoluzione di questo tipo architettonico e scorgere all'esterno lo studio di dare alle linee una morbidezza più elegante e alla decorazione dei muri maggior varietà pittoresca e cromatica, nell'interno lo sforzo di accrescere l'ampiezza, la leggerezza e la grazia sveltendo le colonne sostenenti i grandi archi e innalzando le cupole: da Budrun Giāmi‛ (sec. X), molto danneggiata dall'incendio del 1911, a Kilīseh Giāmi‛ (metà del sec. XI), piccolo capolavoro dell'arte bizantina, e al gruppo di chiese dell'epoca dei Comneni. A questa epoca appartiene la triplice chiesa del Pantocrator, oggi Zeirek Giāmi‛ (metà del sec. XI), notevole tanto per vaste proporzioni, quanto per ricche decorazioni, costruita per mausoleo ai principi della famiglia imperiale; contemporanee le chiese del Pantepopte (Eski Imāret Giāmi‛), della Vergine Panachrantos (Fenari Īsā Giāmi‛), del Cristo di Chora (Qahriyyeh Giāmi‛) e, ultima in ordine cronologico delle chiese bizantine rimaste a Stambul, la squisita chiesa della Vergine Pammakaristos (Fetḥiyyeh Giāmi‛), costruita verso la fine del sec. XIII. La piccola cappella mortuaria addossata al lato sud di questa moschea è graziosissima per la bell'armonia delle proporzioni, per l'eleganza delle cupole festonate e per la ricchezza della decorazione esterna. Fra tutte la Qahriyyeh Giāmi‛ va ricordata per i bei mosaici del doppio nartece abbastanza ben conservati con episodî della vita di Gesù e della Madonna (principio del sec. XIV), capolavoro di quel rinascimento magnifico e inatteso che illumina di un ultimo sprazzo di luce l'impero morente dei Paleologi e da cui è veramente rinnovata l'arte bizantina.
Costantinopoli conserva anche altri monumenti del suo passato bizantino. Anzitutto l'imponente acquedotto fatto costruire dall'imperatore Valente verso la metà del sec. IV, che per la lunghezza di 625 metri svolge al disopra di Stambul le sue salde arcate a due piani; poi le numerose cisterne destinate ad assicurare alla città la provvista d'acqua, alcune allo scoperto e talvolta così vaste da abbracciare una superficie di 25.000 mq. (per esempio Ciükur bostān), altre sotterranee, delle quali almeno due, del sec. VI, sono capolavori d'architettura: la Bin bir direk (Mille e una colonna), di cui si è detto giustamente che per l'abilità tecnica della struttura e per l'audacia della concezione gareggia con Santa Sofia (e forse è, come questa, opera di Antemio di Tralle), e il Yereh batan Serāy (il Palazzo affondato), al quale negli ultimi anni è stata ricondotta l'acqua. Occorre infine ricordare in fondo al Corno d'Oro, presso la Grande muraglia, il padiglione di Tekfūr Serāy, dalla graziosa facciata policroma, forse avanzo del palazzo imperiale delle Blacherne e uno degli esempî più curiosi dell'architettura civile di Bisanzio.
Di fronte a Costantinopoli, dall'altra parte del Corno d'Oro, si trovava il sobborgo detto Sykai (ficaia), dove nel 1267 i Genovesi stabilirono la colonia di Galata, che durante il sec. XIV ampliò a poco a poco la sua cinta abbracciandovi anche una parte di Pera attuale, e che fino al 1453 andò crescendo in prosperità, giacché il suo porto aveva ben presto superato in attività il porto della stessa capitale bizantina. Oggi resta ancora qualche monumento a ricordo di quel passato, come la Torre di Galata, chiamata anticamente la Torre di Cristo, che i Genovesi nel sec. XIV sopraelevarono e racchiusero entro i loro confini, e che da quel tempo fu più volte restaurata e modificata; la chiesa di S. Benedetto, edificata nello stesso secolo, che ha conservato alcune parti della costruzione primitiva; l'‛Arab Giāmi‛, antica chiesa bizantina ceduta poi ai Latini e finalmente trasformata in moschea, dalla quale provengono le numerose pietre tombali latine oggi nel museo di Costantinopoli.
Costantinopoli turca. - Anche i sultani eressero dalla metà del sec. XV alla fine del XVIII numerosi edifici, molti dei quali sono graziosi e alcuni meravigliosi. Sulla punta del Serraglio, estremo promontorio dell'Europa, sembra che dorma nel silenzio e nel mistero dei giardini una città bianca, ombreggiata dal verde scuro dei platani e dei cipressi: è l'antico palazzo cominciato nel 1467 e fino alla metà del sec. XIX residenza dei sultani. È circondato da mura merlate con alte porte fiancheggiate da torri del sec. XV; dentro il suo vasto recinto ha vasti cortili porticati, dove all'ombra dell'alta torre quadrata che li domina s'innalzano numerosi fabbricati: la sala del divano, quella del trono, l'edificio per la biblioteca, quello del tesoro, e soprattutto, nella parte più vicina al mare, eleganti padiglioni dalle cupole inargentate, rivestiti di ceramiche chiare, seminati capricciosamente tra i giardini in fiore, in vista del Bosforo luminoso e della costa asiatica. V'è pure l'harem costruito da Solimano il Magnifico; il chiosco dove sono racchiuse le pretese reliquie del Profeta e che all'interno si dice sia un capolavoro dell'arte ottomana; il padiglione di Qara Muṣṭafà pascià, ornato di fini intarsî in legno del sec. XVIII; v'è specialmente il magnifico chiostro di Baghdād, costruito tra il 1634 e il 1639 dal sultano Murād IV, che è d'una bellezza e d'un incanto senza pari, con le mura tappezzate di ceramiche persiane, le porte incrostate di madreperla e d'avorio, i soffitti azzurro e oro, le cupole di maiolica color rosa, i divani ricoperti di stoffe cangianti, i vetri colorati da cui filtra una penombra misteriosa. Non v'è certamente nella Stambul attuale nessun luogo in cui meglio che in questo palazzo malinconico si senta rivivere la Turchia guerriera, selvaggia e magnifica d'una volta; e quantunque sembri oggi abbandonato, il Vecchio Serraglio è sempre uno dei monumenti che più destano meraviglia.
Da questo palazzo imperiale dipendeva un tempo un edifizi0 vicino, che è il più antico dei monumenti turchi di Costantinopoli, cioè il Cinili Kiöshk, fatto costruire da Maometto II nel 1471, vero gioiello dell'arte turca col portico dalle sottili colonne di marmo, con la loggia elegante ornata di ceramiche stupende. Accanto a queste meraviglie non meritano neppure di ritenere l'attenzione, nonostante la loro pretensione e la loro magnificenza costosa, i palazzi più recenti di Dolma Baghče (1853), Beilerbei (1865), costruiti sulle rive del Bosforo, e di Yildiz Kiöshk edificato sulle colline che dominano il mare.
Molto interessante è invece la serie delle grandi moschee di Stambul, che per importanza artistica gareggiano con le chiese bizantine e spesso ne richiamano il ricordo. Dal giorno in cui i Turchi presero Costantinopoli il modello magnifico che presentava Santa Sofia colpì profondamente gli architetti che lavoravano per i sultani, tanto più che parecchi di essi erano d'origine cristiana: tutti sognarono di uguagliare e di sorpassare la Grande chiesa, sì che le moschee di Stambul, sebbene nella loro decorazione si ispirino all'arte persiana o all'araba, nella parte architettonica derivano da tradizioni bizantine. La moschea di Fātiḥ ("il Conquistatore" Maometto II), costruita tra il 1463 e il 1471 sul luogo della chiesa dei SS. Apostoli demolita da Maometto II, conserva poco del suo aspetto primitivo, essendo stata ricostruita dopo il terremoto del 1766, ma è ancora pittoresca nel bel cortile rimasto quasi intatto e nei molteplici edifici che la circondano, mentre il suo profilo svelto ed elegante ricorda solo da lontano l'opera dell'architetto greco Cristodulo che l'edificò. La più antica delle moschee di Stambul è quella di Bāyezīd, innalzata nel 1497-1504 su pianta quasi simile a S. Sofia; ha una corte con arcate di marmi bianchi e rossi, colonne di porfido e verde antico e può dirsi, nella decorazione policroma, una delle più notevoli architetture ottomane. Ma solo nel sec. XVI l'arte turca a Costantinopoli giunse all'apogeo. Sotto il regno di Solimano il Magnifico e dei suoi successori, Sinān, architetto di gran genio e di origine cristiana, innalzò nella capitale alcuni monumenti meravigliosi. Tra questi ricordiamo: la Shāh-Zādeh (Moschea del princicipe, del 1548), la cui pianta ricorda la moschea di Maometto II, con un cortile che sorpassa in ricchezza e bellezza perfino quella della Suleimāniyyeh; accanto alla moschea, la türbeh dove riposano due figli di Solimano, capolavoro di grazia e d'armonia, che le ceramiche d'un verde delicato colorano deliziosamente; la moschea di Rustem pascià, costruita verso il 1560, in cui le ceramiche decorative tutte a fiorami vivaci sono senza dubbio quanto di più squisito si conserva a Stambul in questo genere; la moschea di Meḥmed Soqolli (1571), ricca anch'essa di pregevoli ceramiche, e la moschea assai originale di Piale pascià (1573). Ma la più insigne è la Suleimāniyyeh, la grande moschea del sultano Solimano, certamente la più bella delle moschee di Stambul. Costruita dal 1550 al 1557 secondo la pianta di Santa Sofia, essa cercò di sorpassare la Grande chiesa in bellezza e maestà: e forse per ampiezza di proporzioni, per armonia di linee e anche per splendore di decorazione fa un'impressione più completa e più forte che Santa Sofia, troppo guastata dalla trasformazione in moschea. All'esterno la facciata maestosa e graziosamente pittoresca nonché il profilo imponente dell'alta cupola presentano linee robuste e armoniose. L'interno presenta un fasto incomparabile, nei rivestimenti di marmo, nello sfondo del miḥrāb tappezzato di magnifiche ceramiche persiane, sulle quali attraverso le splendide vetrate piove una penombra misteriosa.
Intorno alla moschea v'è poi un quartiere turco rimasto quasi intatto, dove un tempo esistevano scuole coraniche, cucine per gli studenti poveri, foresterie, ospedali, abitazioni per gl'imām; e in uno di questi locali è stato sistemato il già ricordato Museo degli Evqāf. Dietro alla Suleimāniyyeh v'è il giardino, dove tra le tombe antiche s'innalzano le due türbeh, rivestite di ceramiche chiare, che servono di riposo alle ossa di Solimano il Magnifico e di Rosselana, la sultana favorita.
Dalla scuola di Sinān provengono le grandi moschee del sec. XVII: quella del sultano Ahmed, edificata dal 1609 al 1614, la più vasta delle moschee di Stambul, imponente coi sei minareti, e la moschea della Yeni Vālideh (cominciata verso il 1614, ma realmente costruita tra il 1665 e il 1682). Ambedue notevoli per la ricchezza della decorazione interna di maioliche, che non sono certamente pregevoli come quelle del sec. XVI, di cui si è parlato più sopra e alle quali sono da aggiungere quelle della türbeh di Selīm II (1576) e quelle degli appartamenti di Murād III nel Vecchio Serraglio, ma nel loro insieme producono l'effetto d'un'armonia ben riuscita, e fanno onore alle fabbriche di Nicea, che nel sec. XVI avevano portato all'apogeo l'arte della ceramica. Tra le moschee di Scutari prevalgono per pregi artistici la Vālideh Giāmi‛ costruita per incarico di Nūr Bānū, moglie di Selīm II (1566-1573), la Cinilī Giāmi‛ edificata da Khōgia Qāsim nel 1640 per la sultana Kösüm Māhpeiker, sposa di Aḥmed I, decorata di belle maioliche, la Yeni Vālideh costruita per ordine di Aḥmed III in onore della madre sua Gülsün Ummetullāh e terminata nel 1708.
Alcuni anni or sono Stambul era una delle città più pittoresche. Sul grande ponte che unisce Galata a Stambul era per tutto il giorno un'animazione variopinta e l'aspetto delle strade incantava con la folla frettolosa e con lo splendore dei costumi. Nei quartieri un po' più lontani, nei dintorni della moschea di Fātiḥ o di quella di Selīm v'erano vie graziosissime, fiancheggiate da vecchie case di legno con le loro mushārabiyyeh, e piccole piazze tranquille, dove sotto l'ombra di alberi centenarî i gravi musulmani in turbante si sedevano a caffé rustici. Ora di tutto ciò non rimane che il ricordo. Nel decennio dal 1911 al 1921 più d'un terzo di Stambul fu distrutto dal fuoco e di quei graziosi quartieri restano solo le rovine, tra le quali qualche casa moderna ha preso il posto delle abitazioni turche d'altri tempi. D'altra parte il cambiamento di regime ha portato profonde mutazioni nei costumi e nelle consuetudini; le vie di Stambul, ora mezzo spopolata, hanno un colore neutro e sbiadito. E quasi a simboleggiare tale trasformazione profonda, quel che si vede prima di tutto arrivando a Costantinopoli è la statua di Musţafà Kemāl sulla punta del Serraglio dinnanzi all'antico palazzo dei sultani. Tuttavia non è cancellata ogni traccia del passato. Sussistono ancora, per chi si dà la pena di cercarli, alcuni angoli graziosi in cui persiste qualcosa della Turchia d'una volta: col quartiere vicino alla Suleimāniyyeh, già ricordato, un altro non meno grazioso nelle vicinanze della Küčük Aya Sofia. A un'estremità della città addossato alla Grande muraglia, il castello delle Sette Torri, bastiglia turca d'un tempo, costruito da Maometto II nel 1475, rievoca anch'esso ricordi di storia che fu. E sul Corno d'Oro dietro le mura dell'Arsenale in una sala del Museo della marina, dove si conserva una galea di lusso, della metà del sec. XVII, e attorno tutto un corteo di caicchi dorati e sontuosi, rivive, come nel Vecchio Serraglio, qualcosa delle pompe e degli splendori d'una volta. Un tempo il Gran bazar appariva a Théophile Gautier come il cuore dell'Islām, ma il terremoto del 1894 l'ha trasformato profondamente; pure nella penombra delle sue vòlte, nel dedalo delle sue stradicciole conserva ancora una certa grazia, e i grandi caravanserragli e i khān vicini, di cui parecchi risalgono al sec. XVI o XVII, hanno conservato dentro le loro mura di fortezze un po' dell'aspetto pittoresco d'una volta (per esempio il Vālideh Khān). Così pure nelle vie di Stambul si trovano ancora ottimi ricordi del passato; tali le fontane eleganti, di Aḥmed III o di Ṭopkhāneh; tali, sul Corno d'Oro nei quartieri di Fanar, alcune case antiche dei secoli XVII e XVIII, tra le quali ha speciale interesse l'antica legazione di Venezia; tali i cimiteri islamici, all'ombra delle moschee, e le türbeh magnifiche ove riposano i sultani, tra le quali, oltre quelle ricordate più sopra, bisogna citare quella di Selīm II (1576); ma tutto ciò non dà più che una pallida idea di quello che erano le vie e la vita aella Turchia d'una volta. Conviene andare molto lontano, in fondo al Corno d' oro fuori delle mura, nel sobborgo sacro di Eyyüb, per trovare ancora qualche cosa dell'Oriente nella città funebre e deliziosa che il secolo XVIII fece edificare attorno alla moschea, nel gran cimitero coperto da cipressi, da cui si gode una bella vista del Corno d'oro e di tutta la città; convien andare specialmente dall'altra parte del Bosforo, a Scutari d'Asia, sotto le ombre cupe del gran cimitero, che nel suo abbandono malinconico appare veramente come una cosa unica al mondo. Si è parlato molto della morte di Stambul, ed è certo che il progresso della civiltà, come pure i mutamenti recenti della politica, le hanno fatto perdere molto della sua prosperità, della sua grandezza e della sua bellezza pittoresca; ma Costantinopoli conserverà sempre l'incanto della sua posizione, che è senza pari, la vista fantastica del Bosforo, che è quasi il prolungamento della città, i magnifici monumenti del suo doppio passato glorioso.
Bibl.: W. Salzenberg, Altchristliche Baudenkmäler von Costantinopel, Berlino 1854; A. Choisy, L'art de bâtir chez les Byzantins, Parigi 1884; C. Gurlitt, Die Baukunst Konstantinopels, Berlino 1908 esegg.; J. Ebersolt, Étude sur la topographie et les monuments de Constantinople, in Revue arch., II (1909); idem, Le grand palais de Constantinople et le Livre des cérémonies, Parigi 1910; id. e A. Thiers, Les églises de Costantinople, Parigi 1913; C. Diehl, Constantinople, Parigi 1924, con ampia bibliografia; K. Wulzinger, Byzant. Baudenkmäler in Constantinopel, Hannover 1925; C. Diehl, Manuel d'art byzantin, 2ª ed., Parigi 1925-26; A. Gabriel, Les mosquées de Constantinople, in Syria, VII (1926), pp. 353-419; Brounoff e M. Alpatoff, Rapport sur un voyage à Constantinople, in Revue des études grecques, 1926.
V. tavv. CXXXV-CXLII.
Storia.
Epoca bizantina. - Quando Costantino decise di trasferire la sede dell'Impero dall'Occidente in Oriente, la sua scelta cadde su Bisanzio (v.), principalmente per la sua posizione strategica.
La città negli ultimi anni aveva molto sofferto per la guerra civile; nel 312-313 era stata espugnata da Massimino; dieci anni dopo era stata occupata da Licinio e in parte devastata. Costantino divisò di ricostruirla su un piano enormemente più vasto, determinando che la nuova cinta fosse a una distanza, verso occidente, di circa 3 km. da quella di Settimio Severo. Fra il settembre e il novembre 326 fu posta la prima pietra delle nuove mura e tre anni e mezzo dopo l'opera era compiuta. Nello stesso tempo s'innalzarono numerosi edifici pubblici e privati, terme, chiese; si aprirono strade e piazze; si costruirono mercati. L'11 maggio del 330 la città fu solennemente inaugurata e da allora portò il nome di Costantinopoli.
Quale fosse il tracciato delle mura costantiniane è difficile stabilire con esattezza essendo troppo vaghe le indicazioni degli antichi scrittori e non essendosi fatti finora degli scavi. Le opinioni degli studiosi moderni differiscono specialmente per la parte delle mura che andava dalla vallata del Lycus, il piccolo torrente che attraversa la città da nord-ovest a sud-est, fino al Corno d'Oro. Secondo il Mordtmann e il van Millingen la cinta cominciava a oriente della stazione Samatia Qapu della linea ferroviaria; da qui volgeva a ‛Īsà Qapu Megīdiyyeh, oltrepassava il Lycus presso la moschea Gia‛fer Ṣü Bāshi, passava a occidente della moschea Sulṭān Meḥmed e, prima di raggiungere la moschea di Selīm, piegava ad angolo retto verso est finendo sul Corno d'Oro presso Un Qapan Qapusu. Il Déthier accetta questo tracciato fino al Lycus; ma da questo punto egli ritiene che la linea si mantenesse più a ovest, avvicinandosi alla moschea di Selīm e sboccando sul Corno d'Oro presso Aya Qapusu; mentre lo Strzygowski la fa terminare più a nord-ovest, al Fanar. A ogni modo, è certo che la cinta costantiniana abbracciava le prime quattro delle sette colline dell'odierna Costantinopoli e parte della settima. La città sin d'allora fu divisa in quattordici regioni, dodici dentro la cinta, una (la XIV) a occidente, e una sulla sponda opposta, a Sycae (odierna Sycai). Le mura di Settimio Severo furono abbattute e dove una volta era la porta principale fu fatta una grande piazza (Forum Constantini). Gli edifici principali sorsero sulla prima collina dentro la cerchia dell'antica città greca, sulle pendici incantevoli del Bosforo e della Propontide. L'agorà fu ampliata, circondata di portici e ornata di statue. In onore dell'augusta Elena, madre di Costantina, alla quale fu anche innalzata una statua, fu detta Augusteon. Essa corrispondeva all'odierna Aya Sofia Meidān. Le terme di Zeusippo furono ornate di marmi, di colonne e di statue, e fu completato l'lppodromo di Settimio Severo che fu, per tutto il Medioevo, oltre che la grande arena dove si davano i grandi spettacoli, il centro della vita pubblica di Costantinopoli. Qui si celebravano i trionfi militari e qui scoppiavano le sommosse popolari, delle quali la più famosa fu quella del 532 contro Giustiniano. A oriente dell'Augusteon sorse l'edificio del Senato, una costruzione di forma basilicale, con un portico decorato di statue e un'abside terminale; a sud, sul fianco dell'Ippodromo, la dimora imperiale, il Sacro Palazzo.
Quali fossero gli edifici che componevano questa dimora al tempo di Costantino non è possibile determinare con esattezza. È fuori di dubbio, tuttavia, che a Costantino risale la costruzione del Palazzo Dafne, della Calce (ἡ Χαλκῆ), per la quale il sovrano accedeva alla loggia imperiale nell'Ippodromo detta Cathisma (Κάϑισμα), e della Magnaura dove si trovava la sala del trono, il gran triclinio, in cui il monarca riceveva gli ambasciatori e gli ospiti illustri. La tradizione attribuisce a Costantino la fondazione di quattordici chiese dentro la cinta urbana: di queste le più importanti erano: quella di S. Irene, ancora esistente nel recinto del Serraglio, ma trasformata in arsenale dai Turchi; e quella dei SS. Apostoli che, ampliata poi ed abbellita, accolse le tombe degli imperatori. Essa fu distrutta nel 1456 per dar posto alla moschea di Meḥmed (Fātiḥ).
Benché le mura costantiniane fossero state innalzate a una notevole distanza dalle antiche sí da quintuplicare l'area urbana, fu tale l'incremento della popolazione che già alla fine del sec. IV molti quartieri si erano formati fuori della cinta. Per difendere questi, sotto il regno di Teodosio II (408-450) i prefetti Antemio e Ciro-Costantino fecero innalzare una nuova cinta fortificata a circa 1500-2000 m. a occidente dalle mura costantiniane, comprendendo in essa il resto della 7ª collina e la 5ª e la 6ª che erano rimaste fuori. La città, quindi, si estese, come già Roma, su sette colli. Fu quella l'opera più imponente e formidabile che si innalzasse a difesa di Costantinopoli dalla parte di terraferma. Era costituita: da un muro interno (ἔσω τεῖχος) largo, alla sommità, m. 4,5 e alto m. 15; da una galleria (περίβολος) larga m. 18; da un muro esterno (ἔξω τεῖχος) largo m. 3, alto m. 8; e da un profondo fossato che, all'occorrenza, mercé un ingegnoso sistema di chiaviche, poteva essere per tratti o totalmente riempito di acqua. I due muri erano rafforzati da numerose torri - circa 120 nel muro interno, 71 nell'esterno - di diversa grandezza e di forme svariatissime, e avevano quattro grandi porte per le comunicazioni fra l'interno e l'esterno, e cinque porte secondarie di carattere militare.
Queste mura rimasero sempre il limite della città verso terraferma. Soltanto nel tratto adiacente al Corno d'Oro tale limite fu spostato più a occidente con la costruzione (625) del muro eracliano, detto per la sua struttura unitaria μονότειχος, per includervi il basso quartiere delle Blacherne che era rimasto fuori della cinta teodosiana. Con questo ampliamento le mura terrestri, dal Mar di Marmara al Corno d'Oro, si svolgevano per una lunghezza di 6671 m. Anche i lati costieri della città erano difesi da mura. Queste partivano dal Castello Rotondo o Cyclobion, che era all'estremità meridionale della cinta teodosiana, seguivano la riva della Propontide fino alla punta del Serraglio, ripiegavano verso nord ovest lungo il Corno d'Oro e andavano a saldarsi con l'estremità del muro eracliano presso l'odierna Ayvān Serāy Qapusu. Oltre che da questo complesso di fortificazioni, Costantinopoli era difesa dalla parte di terra da un altro muro che si estendeva a grande distanza dalla cinta teodosiana, da Selimbria, sulla Propontide, al Mar Nero, per circa 50 miglia; e, dalla parte verso mare, dagli stretti, il Bosforo e i Dardanelli. In guerra l'entrata nel porto del Corno d'Oro era sbarrata da una catena che si tendeva fra Sycae e il porto Prosforio (Λιμήν προσϕόριος) detto poi Porto bosforio, alla testata dell'odierno ponte nuovo di Galata. Delle mura medievali non son rimaste che quelle di Teodosio. Dentro la cerchia delle mura, Costantinopoli nel corso della sua millenaria esistenza di capitale dell'Impero d'Oriente subì molte variazioni edilizie, sia per l'immancabile azione che il tempo esercita sui gusti e sugli edifici, sia per le necessità che la vita continuamente crea, sia finalmente per la smania costruttiva di alcuni imperatori, che vollero lasciare il loro nome legato a qualche grande opera di architettura. Antichi monumenti caddero in rovina e al loro posto sorsero nuovi edifici; si aprirono nuove strade e piazze, s'innalzarono nuove chiese e conventi, si costruirono opere pubbliche, come acquedotti, cisterne, mercati, porti, a seconda delle esigenze della popolazione e del traffico. Ma, nonostante le variazioni, ci furono alcuni punti fermi nella topografia della città; e nel suo complesso architettonico questa conservò sempre una linea e un'impronta tutta propria. Punti fermi nella topografia furono: l'Ippodromo, la grande via detta Λεωϕόρος μέση o senz'altro ἡ Μέση, che attraversava tutta la città da est a ovest, e le porte principali delle mura teodosiane, che costituivano un passaggio obbligatorio per le comunicazioni fra l'esterno e l'interno. La Mese aveva inizio a nord dell'Ippodromo sul limite occidentale dell'Augusteon, dov'era posta, come nel Foro romano, la pietra miliaria dorata (Milion) e finiva alla Porta aurea. Nel tratto orientale corrispondeva alla odierna Dīwān Yolu, nel tratto occidentale alle vie percorse dalla linea tranviaria che va da Aq Serāy a Yedi Qulleh. Essa era, oltre che l'arteria principale del traffico cittadino, la Via triumphalis attraverso la quale si svolgevano i cortei imperiali e le grandi processioni religiose. Sul suo percorso si trovavano i più insigni palazzi privati, molti edifici pubblici, i mercati principali e le grandi piazze; cioè il Forum Constantini, il Forum Theodosii o Taurus, dove sorgeva un'imponente colonna a rilievi sormontata dalla statua di Teodosio (essa ricordava la Colonna Traiana di Roma), il Forum Arcadii. Dal Tauro, la cui area corrispondeva al Seraschierato e alla piazza della moschea di Bāyezīd di oggi, si diramava un'altra grande arteria che, passando accanto alla chiesa dei ss. Apostoli, andava a finire alla Porta Carisio.
Il Palazzo imperiale, i portici dell'Augusteo e della Piazza di Costantino, la chiesa dei SS. Apostoli sorta al tempo di Costantino e di Santa Sofia, innalzata da Giustiniano su disegno degli architetti Antemio di Tralle e Isidoro di Mileto fra il 532 e il 537, diedero il tono e la linea a tutti gli altri edifici civili e religiosi di Bisanzio medievale. Al primitivo palazzo imperiale di Costantino, fra il sec. V e il X altre costruzioni si aggiunsero per opera principalmente di Giustino II (575-578), di Tiberio (578-582), di Giustiniano II (685-711), di Teofilo (829-842), di Basilio I (867-886). Esso raggiunse la massima estensione e il massimo splendore nel sec. X, sotto la dinastia armeno-macedonica. Più che un palazzo era una città a sé, ricca di appartamenti pubblici e privati, di oratorî, di monumenti, di statue, di giardini, di fontane. Per farsene un'idea bisogna pensare al Cremlino di Mosca, alla Città imperiale di Pechino, alla Città del Vaticano in Roma, ma in una situazione più bella e incantevole. Rimase la residenza degli imperatori e della corte fino al sec. XII. A partire da quel tempo gli imperatori preferirono abitare all'altra estremità della città, nel Palazzo delle Blacherne che i Comneni fecero ampliare e abbellire. Ma abbandonata del tutto non fu se non dopo la dominazione latina, nel sec. XIII. Cominciò allora la decadenza, e questa fu così rapida e completa che quando, alcuni decennî prima della conquista ottomana, il fiorentino Cristoforo Buondelmonte visitò Costantinopoli, al posto dell'antica reggia non vide che degli informi ruderi. Imponente era il numero delle chiese: 392 secondo Paspates, 428 secondo Ducange, 463 secondo Gedeon; esse e i numerosi conventi davano a Costantinopoli un'apparenza di città ecclesiastica.
La popolazione di Costantinopoli riguardo alla sua provenienza ebbe diversa origine. In essa possiamo distinguere: 1° l'elemento primitivo greco: 2° i coloni latini o latinizzati venuti al tempo di Costantino; 3° gli immigrati orientali; 4° i gruppi più o meno numerosi di barbari germani e slavi infiltratisi nella città, o come mercenarî o come schiavi. Quale fosse la proporzione di tali elementi è difficile stabilire, non possedendosi dati sicuri. Prima di Costantino la popolazione non oltrepassò certamente le 30.000 anime. Nel sec. V essa aveva già superato le 500.000 e fra il secolo IX e il X si calcola raggiungesse circa 800.000 anime. Questo porta ad ammettere che gli elementi eterogenei superassero di gran lunga l'elemento originario. Nonostante ciò, la popolazione di Costantinopoli ebbe nel medioevo caratteri proprî e costituì un insieme organico con una anima e una mentalità personalissime. A questo risultato contribuirono prima di tutto la lingua da tutti usata che, nonostante il tentativo fatto da Costantino e dai suoi immediati successori d'introdurre il latino, rimase sempre la greca; in secondo luogo, la religione che si mantenne sempre, nonostante le lotte confessionali che spesso l'agitarono, sulla linea dell'ortodossia e dell'avversione a Roma; e, finalmente, la presenza della corte imperiale. Come tratti distintivi della popolazione si possono additare: il gusto, tutto greco-orientale, per le discussioni teologiche; la passione per gli spettacoli pubblici; l'indisciplina e l'impulsività nella vità pubblica; l'estrema superstizione.
Del gusto per le discussioni Gregorio di Nissa, fratello di Basilio il Grande, vissuto nella seconda metà del sec. IV, ci ha lasciato un quadro gustosissimo. Parlando appunto di Costantinopoli così egli notava: "Quando si domanda a qualcuno di barattarvi del denaro, egli vi regala una dissertazione sulla differenza che passa fra il Padre e il Figlio; domandate il prezzo del pane a un altro ed egli vi risponde che il Padre è più del Figlio; e quando v'informate se il bagno è pronto vi sentite annunziare che il Figlio è nato dal nulla". Quanto all'impulsività e indisciplina sarebbe tedioso elencare le sommosse, spesso sanguinose e devastatrici, alle quali Costantinopoli si abbandonò in ogni tempo, da quella del 532 contro Giustiniano - detta della Nika dalla parola d'ordine degli insorti - nella quale fu incendiato e devastato il centro della città e perirono circa 40.000 uomini, a quella del 1205 contro Isacco e Alessio IV che provocò la conquista latina e la prima caduta dell'Impero. Tutto poteva porgere il pretesto a una rivolta popolare: una controversia dogmatica, un contrasto tra le fazioni dell'Ippodromo, un rovescio militare, un trattato coi nemici dello stato, una concessione fatta a mercanti stranieri specialmente se veneziani. Il governo imperiale cercò sempre di infrenare il popolo serrandolo nelle maglie di un ordinamento corporativo. Le fazioni del Circo, che furono fiorentissime nei primi secoli di Costantinopoli capitale, e le corporazioni che inquadrarono poi tutti i mercanti e gli artigiani della città, oltre che a regolare gli spettacoli dell'Ippodromo e la vita economica, furono senza alcun dubbio rivolte a quello scopo. Sappiamo infatti che i demarchi, capi delle fazioni, avevano un posto nella gerarchia dello stato e dall'editto dell'imperatore Leone il Filosofo (886-912) sulle corporazioni di Costantinopoli si rileva che queste erano alle dirette dipendenze del prefetto della città, al quale spettava l'elezione dei capi, il reclutamento degli aderenti e, in generale, la soluzione di tutte le questioni che si riferissero al loro funzionamento e ai loro interessi giuridici ed economici. Ma questa politica non riusci allo scopo, giacché solo una parte della popolazione, e cioè la media borghesia, poté a lungo andare essere infrenata, mentre la grande maggioranza, nobiltà e popolo minuto, che era la più pericolosa e turbolenta, rimase fuori di ogni quadro. Economicamente poi l'azione del governo, per il modo come furono organizzate e dirette le corporazioni, tolse agl'industriali e ai mercanti ogni libertà d'iniziativa.
Numerosissima era a Costantinopoli la massa degli stranieri, formata principalmente da soldati mercenarî, germani, slavi, scandinavi; da mercanti veneziani, amalfitani, genovesi, pisani, armeni, bulgari, russi; da viaggiatori e pellegrini. I mercanti di alcune nazioni erano organizzati in colonie e avevano un quartiere con fondachi, chiesa e magistrati proprî sotto l'autorità di un console o baiulo che li rappresentava di fronte alle autorità bizantine. Le più fiorenti di tali colonie furono quelle dei Veneziani (secoli X-XII), degli Amalfitani (sec. XI), dei Genovesi (secoli XIII-XV), dei Pisani. I loro quartieri erano situati sul Corno d'Oro in una posizione vantaggiosissima per il commercio; quello dei Veneziani tra Porta Drungarii o Viglae (l'odierna Odun Qapu, secondo il Mordtmann) e Porta Peramatis, che si trovava nei pressi della testata dell'odierno Ponte Vecchio di Galata, e quelli degli Amalfitani, dei Pisani e dei Genovesi più a oriente fino alla porta S. Marco o dell'Icanatissa, alla Porta Neorü (ora Baghče Qapu) e alla Porta Eugenii presso l'odierno ospedale Gülkhāneh. Più tardi i Genovesi ebbero un ampio quartiere sulla riva opposta, in Galata, che sotto di loro s'ingrandì. La presenza di questi stranieri giovava alla città, ma fu anche causa di gravi torbidi sia per le rivalità che scoppiavano di frequente fra gli uni e gli altri - si ricordi che le lunghe guerre fra Venezia e Genova ebbero origine proprio a Bisanzio e per ragioni commerciali - sia per l'animosità dei cittadini contro di loro.
Il clero costituiva in Costantinopoli una classe numerosa privilegiata e potente. È noto come nei primi secoli del Medioevo tanto in Oriente quanto in Occidente il clero, sia per la confusione che si faceva fra religione e politica, sia per i benefici che dalla sua azione ritraeva lo stato, esercitasse una diretta ingerenza negli affari civili; ma mentre in Occidente tale ingerenza col tempo fu eliminata o circoscritta, in Oriente si accrebbe sempre più. A ciò contribuirono principalmente il crescere dell'autorità e della giurisdizione del patriarcato di Costantinopoli e la parte che qui ebbe la religione nella vita pubblica e privata. Non è questo il luogo di esporre in che modo e attraverso quali lotte il patriarca di Costantinopoli si affrancasse da Roma e divenisse il capo supremo di una chiesa - l'ortodossa - che abbracciò tutto l'Oriente cristiano; basta notare il fatto per mettere in rilievo quale importanza e quanta autorità venisse con ciò ad acquistare il patriarca in una città, come Costantinopoli, così profondamente religiosa, almeno nelle forme esteriori. Egli tentò anche, analogamente a quanto facevano i papi di fronte agli imperatori d'Occidente, di imporre agli imperatori la dottrina della supremazia del potere ecclesiastico sul potere civile. In questo fallì, ma rimase sempre di fronte allo stato e all'autorità imperiale un personaggio altissimo sia per la sua giurisdizione ecclesiastica, sia per le sue enormi ricchezze, sia per l'ascendente che esercitava sul popolo. Era lui che consacrava l'imperatore e ne riceveva il giuramento di difendere l'ortodossia e di rispettare i privilegi del clero. Il suo atteggiamento poteva essere decisivo sulle sorti dell'imperatore e dello stato e non di rado egli impose la sua volontà al sovrano. Nel sec. IV, essendo stato il patriarca Giovanni Crisostomo esiliato per avere levato la voce contro il lusso della corte, il popolo insorse costringendo l'imperatore Arcadio a richiamarlo e a reintegrarlo nella sede; nel sec. VII il patriarca Sergio rese possibile la riscossa di Eraclio contro i Persiani mettendo a sua disposizione le sue immense ricchezze e quelle della Chiesa; nel sec. X l'imperatore Leone il Filosofo venne in conflitto col patriarca Nicola per avere violato i canoni ecclesiastici relativi al matrimonio; egli riuscì a vincere l'opposizione, ma i suoi successori Niceforo Foca e Giovanni Zimisce dovettero piegarsi dinnanzi alla volontà del patriarca Poliucto. Insomma, per quanto in Oriente la Chiesa fosse sottomessa all'autorità imperiale, i patriarchi rappresentarono sempre una forza che non si poté ignorare nè trascurare. Fra il clero avevano una posizione preminente i monaci, che a Costantinopoli erano numerosissimi. Non meno di 90 monasteri erano in città e alcuni di essi erano vastissimi e disponevano di ricchezze favolose. "Meno chiuso ai rumori del mondo che i monasteri d'Occidente, il convento bizantino esercitava una grande azione sulla società laica. I monaci erano i direttori di coscienza più ricercati dall'aristocrazia femminile; le sante immagini che possedevano molti conventi mantenevano intorno a essi un'atmosfera di venerazione e di miracoli. E l'armata fanatica dei monaci, con le sue tumultuose dimostrazioni, turbava spesso le vie della capitale e si spingeva fino al Sacro Palazzo per presentare al sovrano le sue richieste" (Diehl, Byzance,.p. 113). La potenza dei monaci costituì talvolta una minaccia per lo stato e gli imperatori dovettero impegnare serie lotte contro di loro promulgando leggi che limitavano il numero dei conventi e ne confiscavano i beni. Ma a nulla valsero i provvedimenti eccezionali, e i monaci si rifacevano presto dei danni subiti, tanta era la devozione del popolo. Diverso, ma non meno importante, fu l'influsso della corte sulla vita cittadina (v. corte).
Costantinopoli, oltre che la capitale dell'Impero e la sede del patriarcato ortodosso, fu un centro culturale ed economico di primo ordine. Per la cultura particolare importanza ebbe la sua università. Fondata da Costantino, riordinata da Teodosio, essa fu sempre oggetto di speciali cure da parte degli imperatori e annoverò nella sua secolare esistenza maestri insigni, come Leone di Tessalonica e Fozio nel sec. IX; Xifilino, Costantino Lichudes, Michele Cerulariti, Giovanni Mauropo, Psello, Niceforo di Bisanzio nel sec. XI; Crisolora, Argiropulo, Gemisto Pletone nel sec. XV. Vi si insegnavano, come nelle scuole d'Occidente, retorica, matematica e discipline teologiche e giuridiche aggruppate nel trivio e nel quadrivio; ma si leggevano anche e commentavano gli antichi scrittori greci. I Bizantini non si segnalarono per originalità di pensiero né crearono, nel campo della letteratura, una sola opera d'arte, ma essi ebbero questi due meriti insigni: di avere, cioè, iniziato alla vita dello spirito molti popoli d'Oriente e di avere mantenuto costante, attraverso tutto il Medioevo, la tradizione dell'antica cultura greca, trasmettendone il patrimonio, attraverso il Rinascimento italiano, alla società moderna.
Come centro economico Costantinopoli nel Medioevo e fino alla conquista latina superò tutte le altre città del bacino del Mediterraneo. Già la sua posizione, passaggio obbligatorio per tutte le grandi vie di transito del commercio fra l'Occidente e l'Oriente, il Mar Nero e il Mediterraneo, faceva di essa un grande emporio. Nel suo porto, rigurgitante sempre di navi, afluivano le mercanzie dell'India, della Cina, della Russia e della Caucasia, dei paesi occidentali; ma essa era anche una città industriale e una città di consumo. Delle sue industrie si ha un minuto e interessante elenco nell'ordinanza di Leone il Filosofo, detta anche Libro del Prefetto, che è stata ricordata sopra. Fra le più fiorenti e redditizie sono da segnalare: l'industria della seta, l'oreficeria, la fabbrica di profumi e di essenze. Nei lavori a smalto e in avorio e nel mosaico gli artigiani di Costantinopoli non ebbero eguali e furono maestri a tutti gli altri popoli. Da quest'attività, che era meticolosamente regolata dal governo, lo stato ricavava un reddito che, per certi periodi, è stato valutato a circa 8.300.000 soldi d'oro all'anno, pari al valore nominale di lire oro 550.000.000, cifra enorme per quei tempi.
Nessuna capitale, nemmeno Parigi per la Francia e Vienna per l'Austria nell'epoca moderna, ha mai avuto un'importanza e una funzione così decisiva per lo stato come quella che nel Medioevo ebbe Costantinopoli per l'Impero d'Oriente. Essa non fu soltanto il centro della sua vita politica, religiosa, culturale, economica, ma anche la sua più valida difesa. Solo una volta nel corso della sua millenaria esistenza, cioè durante l'occupazione latina, l'Impero esistette senza Costantinopoli e la restaurazione imperiale mosse dalla provincia verso la capitale; ma per tutti gli altri tempi Costantinopoli stette sempre salda contro i nemici e dalla capitale si iniziò l'azione di riconquista e di restaurazione nelle provincie. "Al tempo di Romano Lacapeno e di Simeone, scrive A. Rambaud, essa era quasi tutto ciò che restava alla monarchia dei suoi possedimenti d'Europa. Al tempo degli Eraclî e dei Comneni era quasi tutto ciò che le rimaneva delle sue provincie d'Asia. Ma quando veniva l'occasione propizia, essa reagiva, qui contro i Bulgari, lì contro gli Arabi o i Selgiūqidi, e ristabiliva la fortuna della monarchia" (Rambaud, L'Empire grec au Xe siècle, p. 540). Per questa sua particolare posizione e funzione solo in parte la storia di Costantinopoli si confonde con quella dell'Impero, e anche in tal caso rappresenta quasi sempre una parte principale.
Appartiene in proprio a Costantinopoli bizantina la storia degli assedî sostenuti. Tutti i nemici dell'Impero apparvero sotto le sue mura e l'attaccarono: i Goti e gli Unni nel sec. V, gli Slavi, gli Avari e i Persiani nei secoli VI-vII (famoso è l'assedio posto dagli Avari e Persiani nel 626 mentre Eraclio combatteva contro questi ultimi in Armenia); gli Arabi e i Bulgari nei secoli VIII-IX; i Bulgari, i Russi e i Magiari nel X; i Normanni e i Serbi nel XII.
Ma fra i più memorabili assedî di questo periodo fu quello che per ben due volte le posero i Veneziani e Crociati all'inizio del sec. XIII, e che terminò con la presa (1204) della città a opera dei Latini, col rovesciamento dell'Impero bizantino, con lo smembramento del suo vastissimo territorio, con la costituzione dell'Impero latino d'Oriente. In quell'assedio, fatto prevalentemente per mare, rifulsero il valore, l'ardimento, l'abilità dell'armata navale veneziana, sotto l'energico comando del doge in persona, Enrico Dandolo. Gli effetti della caduta di Costantinopoli furono immensi, e disastrosi per la Cristianità; lo smembramento dell'Impero che non fu ricostituito, integralmente, neppure dopo il 1261, offrl più facile la via alla conquista turca.
Bibl.: Intorno alla topografia e ai monumenti di Costantinopoli antica e medievale, oltre agli accenni contenuti negli storici, esistono alcune fonti bizantine speciali. Esse si riferiscono ai primi secoli. Sono la Πατρια Καπολεως di Esichio; le Origines Pseudo-Codini (la migliore edizione è quella curata dal Preger, Teubner, Lipsia, fasc. 1°, 1901; fasc. 2°, 1907); e il libro De Aedificiis (Περι χτισματοων) di Procopio (Lipsia 1913). Preziosissime sono le indicazioni contenute nell'opera di Costantino Porfirogenito, De Ceremoniis, Bonn 1829-30. Per la Costantinopoli degli ultimi tempi bizantini: C. Buondelmonti, Lib. ins. Archipel., Lipsia 1823. Il Buondelmonti visitò Costantinopoli nel 1422; sui numerosi mss. della sua opera e le piante topografiche che l'accompagnano v. G. Gerola, Le vedute di Costantinopoli di Cr. Buondelmonti, in Studi bizantini e neoellenici, III, Roma 1931, pp. 247-280; P. Gyllius, De topogr. C. poleos, lib. 4, Lione 1561; id., De Bosporo thracio, lib. 3, Lione 1561. Fondamentali sono le opere del Ducange, C. christiana seu descript. urbis Constantinopolitanae (p. II della Hist. byz.), Parigi 1680, e Banduri, Imp. orientale, voll. 2, Parigi 1711. Fra le opere e gli studî più importanti notiamo soltanto: A.G. Paspates, Βψυϕαντιναι μελεται τοποηραζικαι και ιστορικαι, Costantinopoli 1877; Mordtmann, Esquisse topographique de Constantinople, in Revue de l'art chrétien, Lilla 1892; E.A. Grosvenor, Constantinople, voll. 2, Londra 1895; A. Déthier, Der Bosphor und K.pel, Vienna 1873; J. Strzygowski e Forchheimer, Die byz. Wasserbehälter von Konstantinopel, Vienna 1897; Preger, Studien zur Topograph. Konstantinopels, in Byz. Zeitschr., 1905, 1910; A. van Millingen, Byz. Constantinople, Londra 1899; id., Byz. churches in Constantinople, Londra 1912; Ebersolt, Le grand Palais de Constantinople et le livre des Cérémonies, Parigi 1910; id., Études sur la vie publique et privée à la cour byz., in Mél. d'hist. et d'archéologie byz., Parigi 1917; Th. von Lüpke, Die Landmauer von Konstantinopel, in Atlantis, 1930, p. 695 e segg.; gli articoli s. v. Byzantion di Kubitschek e s.v. Constantinopolis di Oberhummer, nella Real-Encycl., di Pauly-Wissowa, III e IV.
Epoca musulmana. - I Musulmani mirarono presto alla conquista della capitale bizantina e vi condussero diverse spedizioni, che sono riferite dagli storici arabi con molte notizie leggendarie; le spedizioni sarebbero state sette, secondo altre fonti nove: la critica storica le riduce a cinque, compiute nel corso di più d'un secolo. Soltanto due, quella comandata da Yazīd, figlio del califfo omayyade Mu ‛āwiyah nel 48-49 dell'ègira (668-669 d. C.) e quella guidata dal generale Maslamah nel 97-98 dell'ègira (715-717 d. C.), giunsero ad assediare effettivamente la città; le altre spedizioni si esauriscono in Asia Minore o in scontri navali. A queste spedizioni si collegano le notizie non storicamente sicure sulla partecipazione dei venerati "compagni" del Profeta ai combattimenti avvenuti sotto le mura di Bisanzio; la tradizione musulmana vuole che durante la spedizione di Yazīd fosse morto in combattimento il "compagno" Eyyūb la cui tomba trovata dai Turchi ottomani all'epoca della loro conquista diventò luogo di venerazione specialmente dopo che vi fu edificata la celebre moschea omonima. Ugualmente leggendarie sono le notizie di moschee fondate al tempo di quelle prime spedizioni dentro Bisanzio e Galata. Poi la lunga pausa delle Crociate e l'indebolimento del califfato di Baghdād distolsero da Bisanzio il pericolo musulmano, che risorse con lo stabilirsi dei Selgiūqidi nell'Asia Minore. Però questi non riuscirono a minacciare da vicino la capitale dei Rūm; invece la susseguente dinastia dei Turchi ottomani diventò l'erede delle aspirazioni musulmane su Costantinopoli, aspirazioni che avevano trovato già espressione in ḥadīth, cioè in detti attribuiti al profeta Maometto, esaltanti l'esercito musulmano che avrebbe conquistato al-Qusṭanṭīniyyah.
I Turchi ottomani, costituito il loro regno nella Bitinia sul finire del sec. XIII, impadronitisi del territorio sul mar di Marmara, varcato nel 1354 l'Ellesponto ed estese le conquiste fino ad Adrianopoli (Edirneh) che diventò nel 1361 la loro capitale, mirarono a Bisanzio.
Il sultano Bāyezīd I assediò Costantinop0li dal 1391 al 1396 e si ritirò a patto di poter tenere nella città un qāḍī, che amministrasse la giustizia per i Musulmani stabilitivisi, ed erigervi una moschea per il loro culto; l'invasione di Tamerlano (1400-1402) gli impedì di concentrare un nuovo potente sforzo contro la città, minacciata ancora da suo figlio Mūsà Celebī nel 1410 e dal Sultano Murād II nel 1422, infine conquistata dal figlio di questi Maometto II perciò detto Fātiḥ "il conquistatore", nel 1453.
Maometto II strinse d'assedio la città il 6 aprile 1453 con tutte le sue forze di terra e di mare. Queste, intente a precludere alla città assediata ogni soccorso che le potesse giungere per mare; quelle, disposte tutto all'intorno della cinta terrestre, appoggiate a castelli, o fortezze, e corazzate di piombo e munite delle più potenti artiglierie che allora si conoscessero. Erano, secondo testimonianze autorevoli, quasi 200.000 uomini, di cui quaranta mila cavalieri, che, costruite solide trincee e robuste macchine d'assedio, iniziarono i lavori d'assedio. Si ricorda fra le artiglierie la famosa Maometta, bombarda che per la sua enorme mole era trascinata da settanta coppie di buoi e lanciava proiettili di marmo, la cui circonferenza era di 11 palmi, e il cui peso raggiungeva, secondo una fonte forse esagerata, 1800 libbre.
I Greci opponevano a difesa della capitale circa 5000 soldati imperiali e 2000 ausiliarî latini, quasi tutti Italiani, la maggior parte Genovesi e veneziani, questi ultimi col loro baiulo, o console, Minotto e con Gabriele Trevisan, comandante di due galere. Fra i Genovesi che parteciparono alla difesa, i coloni di Scio, venuti a Costantinopoli con due navi prima che fosse compiuto il blocco, si batterono con grande ardimento, sotto la guida del loro capo, Giovanni dei Giustiniani, a cui l'imperatore Costantino XI affidò la suprema direzione della difesa. Equivoco invece fu il contegno dei coloni genovesi di Pera, i quali, prevedendo inevitabile la rovina, mantennero di fronte ai combattenti una neutralità, dalla quale speravano la conservazione della loro colonia.
Le navi latine, racchiuse nel porto, contribuirono con le loro artiglierie a prolungare la difesa. Un piccolo, ma glorioso combattimento navale ebbe luogo ai primi di maggio fra tutta l'armata turca e tre navi genovesi, che volevano rompere il blocco e portare soccorso di armi e di viveri agli assediati. Nonostante gli sforzi degli Ottomani, incoraggiati dalla presenza dello stesso Maometto, il quale spinse, dicono le fonti, il suo cavallo nell'acqua, le tre navi, abilmente manovrando e concentrando il fuoco quasi a bruciapelo sui più vicini legni nemici, riuscirono a passare illese, nec uno homine perdito, dice il vescovo Leonardo da Scio, testimone oculare. Maometto, volendo togliere agli assediati qualsiasi speranza di salvezza, fece trasportare per terra, spianando la via a forza di braccia, le sue navi nel porto interno. L'idea gli fu suggerita da un Italiano, che aveva assistito ad un consimile trasporto di navi fatto dai Veneziani pochi anni prima dall'Adige al Garda durante la guerra col duca di Milano. Vano riuscì il tentativo dei Latini di bruciare quelle navi con due incendiarie, guidate dal veneziano Cocco: esse furono affondate dalle artiglierie turche prima di giungere a tiro. Anche la guerra di mine, iniziata dai Turchi sotto la guida di rinnegati cristiani, trovò valida opposizione nelle contromine, alla cui direzione insieme con un Tedesco stavano arditissimi marinai italiani, che in una notte fecero saltare in aria molta parte di una grossa trincea eretta dai Turchi.
Il giorno 29 di maggio, compiute tutte le opere preparatorie, Maometto ordinò l'assalto generale: ferito gravemente il Giustiniani, messi fuori di combattimento i valorosi marinai di Venezia, guidati dal Minotto, caduto ucciso l'imperatore Costantino XII, i difensori greci presero la fuga: la città fu saccheggiata per tre giorni; poi il sultano fece il solenne ingresso in città, cavalcò fino a Santa Sofia già liberata dagli emblemi del culto cristiano e vi fece la prima preghiera. C. Man.
Costantinopoli non diventò subito la capitale di fatto del Sultano; fino al 1465 Maometto II rimase con la sua corte e il governo ad Adrianopoli, che anche in seguito fino al sec. XVIII restò favorito soggiorno di riposo e di caccia dei sultani.
Galata (Pera), benché si fosse mantenuta neutrale durante l'assedio di Costantinopoli, cessò di essere colonia genovese; Maometto II trattò generosamente la popolazione cristiana latina (franca), riconoscendone alcuni privilegi, in base ai quali si costituì la "Magnifica comunità di Pera", ma abolì la carica di podestà e nominò proprî funzionarî. I culti dei cristiani furono in complesso rispettati. (Per la condizione in cui venne a trovarsi il patriarcato di Costantinopoli, v. oltre).
Amministrativamente Costantinopoli comprese, oltre Stambul e Galata, anche Scutari, sull'opposta sponda asiatica del Bosforo, e i quartieri che sorgevano alla periferia dei principali nuclei cittadini. Sulla sommità della collina, alle cui pendici si stende Galata e che all'epoca della conquista turca era occupata da vigne (donde il nome di Vigne di Pera, con il quale era designata), si formò nei secoli XVI-XVII un nuovo quartiere abitato a preferenza dai cristiani e specialmente dai Franchi e dagli ambasciatori europei presso il Sultano. Questo sobborgo, che doveva diventare il più importante per la vita politica ed economica della Turchia nel sec. XIX, cominciò d'allora ad essere chiamato Pera, mentre il nome di Galata restò all'antico sobborgo genovese; i Turchi chiamarono questo Galata e quello Beyoghlu. Questo nome, che significa "figlio di Bey" derivò dal fatto che un Alvise Gritti (figlio avuto a Costantinopoli da Andrea Gritti diventato poi doge di Venezia), il quale godette molto favore presso la corte del sultano Solimano ed era dai Turchi chiamato appunto Beyoghlu, alludendo all'alto ufficio del padre, si fece edificare su quell'altura un magnifico palazzo.
I Turchi non arrecarono ai monumenti di Costantinopoli gravi danni dopo quelli causati dall'assedio; però lasciarono andare in rovina tutto ciò che non adibirono a loro uso. Di nuovo i Turchi aggiunsero a Costantinopoli, come si è visto, numerose belle moschee, palazzi dei sultani (Serāy) e di qualche pascià, fontane (ceshmeh), bagni (ḥammām), caserme, scuole e biblioteche per lo più annesse alle moschee, l'arsenale (Terskhāneh) e la fonderia delle artiglierie (topkhāneh). La toponomastica turca riprodusse spesso, traducendo, quella bizantina, come nel nome Al Meidān dato all'Ippodromo.
L'importanza della conquista di Costantinopoli fu grandissima per la successiva evoluzione dell'Impero Ottomano. Maometto II, già signore di quasi tutta l'Anatolia e della penisola balcanica fino al Danubio, dopo che ebbe occupata la capitale dell'Impero d'Oriente, acquistò una maggiore influenza nella politica del mondo d'allora; padrone di gran parte delle terre dell'Islām e di quasi tutti i paesi dell'ortodossia greca, apparve come l'antagonista del mondo cattolico, suo principale avversario. Le successive conquiste rinfozarono la posizione dei sultani ottomani, che raggiunsero la massima potenza con Solimano il Magnifico (1520-1566).
Il possesso di Costantinopoli influì per diverse vie sui Turchi, dando ispirazione alla loro architettura, ponendoli in più frequenti contatti con l'Occidente e mettendo a loro disposizione una massa di popolazioni che, insieme con gli avventuirieri e i rinnegati di altri paesi, ebbero parte importantissima nella direzione delle cose politiche e delle azioni militari.
La popolazione di Costantinopoli fu sempre numerosa e varia e alimentata continuamente da spontaneo afflusso di gente da ogni parte dell'Impero e anche da forzate importazioni di famiglie; nel 1454 vi furono portati 4000 prigionieri serbi, poco dopo 2000 famiglie della Morea; nel 1472, 600 abitanti dell'isola di Lesbo (Midilli); nel 1475 seguirono la stessa sorte 500 famiglie latine di Caffa. Si può dire che tutte le popolazioni dell'Impero erano rappresentate a Costantinopoli: Turchi, Curdi, Albanesi (Arnauti), Bosniaci, Greci delle isole e della terraferma, Arabi della Siria, dell'Egitto e della Barberia, Ebrei, Latini. Gli elementi della popolazione non erano rigorosamente distinti; tuttavia si erano naturalmente formati quartieri prevalentemente abitati da determinate comunità etniche e religiose: i Latini e i Franchi prevalentemente a Galata ed a Pera, gli Ebrei a Balat e a Khāṣṣkiöi sul Corno d'Oro, i Greci a Galata e sul Bosforo, i Bulgari alle porte di terra, gli Armeni intorno a Yedi Qulleh (castello delle Sette Torri), i Musulmani in generale a Stambul e a Scutari.
Non si conoscono dati precisi sulla popolazione di Costantinopoli, non avendo mai il governo ottomano proceduto a un regolare censimento. Possiamo ritenere che nei periodi di maggiore affluenza la città contasse circa un milione di abitanti, calcolando anche le truppe di terra e di mare. Il baiulo veneziano Moro nel 1590 diceva che la popolazione di Costantinopoli superava la cifra di 800.000 e che la gente delle provincie affluiva volontieri alla capitale per sottrarsi alla tirannia dei governatori locali. Un calcolo approssimativo dei non Musulmani nel 1637 dava le seguenti cifre: 50.000 Greci, 46.000 Ebrei, 30.000 Armeni, 600 cattolici. Nella popolazione erano da annoverare alcune migliaia di schiavi cristiani presi nelle spedizioni marittime nel Mediterraneo e nel Mar Nero o nelle campagne in Ungheria e impiegati in lavori o venduti a privati. Centinaia di avventurieri o di schiavi liberati rinnegavano la loro fede e si mettevano al servizio dei Turchi, raggiungendo spesso i più alti posti.
Amministrativamente Costantinopoli era divisa in quattro mevleviyyet (Stambul, Eyyūb, Galata, Scutari) governate da un mullā; la polizia della città era affidata a diversi funzionarî: ṣubashï, bustāngïbashï ecc. L'amministrazione cominciò a modernizzarsi nel sec. XIX; nel 1858 la città fu divisa in sei circoscrizioni municipali. Dei molti incendî che spesso devastarono la città, dotata di edifici generalmente in legno, particolarmente rovinosi furono quelli del 1453 (durante la presa della città), del 1660, del 1696 che arse tutta Galata, del 1717, del 1725 e del 1728 che distrussero gran parte di Stambul; Galata fu devastata dal fuoco nel 1870; ancora nel 1911 e nel 1917 violenti incendî incenerirono i quartieri di Aq Serāy e di Fātiḥ a Stambul, dove tuttora si vedono i vuoti lasciati dal fuoco. Attualmente la città è fornita di un servizio moderno con autopompe.
Costantinopoli fu spesso devastata anche da terremoti; quello del 1509 distrusse gran parte della città, tanto che il sultano Bāyezīd II dovette provvedere a larghe ricostruzioni e restauri. Violente scosse sismiche si succedettero negli anni 1592,1718,1729,1763,1766 e 1894. Per effetto dell'agglomeramento di popolazione e delle deficienti precauzioni sanitarie le epidemie covavano a Costantinopoli allo stato endemico e spesso falcidiarono gli abitanti della città, come negli anni 1592-93, 1616, 1626, 1660. Essendo la capitale del più potente stato musulmano, Costantinopoli fu nei secoli XVI-XVIII il centro della superstite cultura musulmana; le sue medreseh molto frequentate accoglievano i più illustri insegnanti; le biblioteche numerose si arricchivano di manoscritti preziosi per donazioni di sultani, di capi e di dotti. I contatti con il mondo occidentale non furono soltanto bellici; relazioni di commercio con l'Italia, la Francia e più tardi con l'Olanda e con l'Inghilterra facevano si che Costantinopoli non fosse totalmente esclusa dal movimento di idee dell'Europa. Al tempo di Maometto II la venuta di un pittore come Gentile Bellini poteva far presagire un vivo scambio di rapporti culturali tra l'Europa e Costantinopoli, ma si trattò di fenomeni superficiali. Con Solimano il Magnifico prevalse l'indirizzo orientale della Corte; i successivi sultani trascurarono le cose politiche e la direzione dello stato. Solo alla fine del sec. XVI e agl'inizî del XIX con Selīm III e Maḥmūd II l'Impero, pur continuando nell'irreparabile decadenza politica, ebbe un risveglio di vitalità, che si rifletteva anche sulla popolazione di Costantinopoli, dove si formava una nuova classe di Efendi educati con idee quasi europee. Solo dal 1729 era stata introdotta nella capitale l'arte della stampa e nel 1846 vi fu istituita un'università (Dār ul-Funūn).
La storia politica di Costantinopoli si confonde con quella dell'Impero; le sue particolari vicende e trasformazioni si desumono dalle relazioni dei viaggiatori europei meglio che dalle cronache di solito retoriche e reticenti degli annalisti turchi.
La potenza dell'Impero e la lontananza delle frontiere tennero Costantinopoli al sicuro da minacce straniere durante le frequentissime guerre; gli arditi disegni veneti di forzare i Dardanelli durante la guerra di Candia non ebbero fortuna; una squadra inglese nel 1807 giunse davanti a Costantinopoli, ma dovette rinunziare all'attacco e riguadagnare gli stretti; più tardi i Russi arrivarono fino alle porte della capitale (febbraio 1878) a imporre l'armistizio di Santo Stefano. Poi la rivalità anglo-russa e l'appoggio tedesco impedirono altri interventi. Dopo la guerra europea, il cui esito rischiò di far perdere ai Turchi l'antica capitale, oggetto delle aspirazioni dei Russi e dei Greci, truppe degli Alleati (Inghilterra, Italia, Francia e America) sbarcarono a Costantinopoli (16 marzo 1920) mentre continuava a combattersi in Anatolia la guerra tra Greci e Turchi; in seguito alla vittoria turca in Anatolia e all'accordo di Losanna, le truppe alleate sgombrarono Costantinopoli (ottobre 1923). Ma già nel novembre del 1922, abolito il sultanato dall'Assemblea Nazionale di Angora, Costantinopoli era rimasta soltanto sede del califfato ottomano; abolito anche questo (marzo del 1924) dalla stessa Assemblea, Costantinopoli perdette completamente la posizione di capitale mantenuta da secoli; dal 13 ottobre 1923 l'Assemblea aveva scelto Angora come capitale del nuovo stato turco. Da allora Costantinopoli è soltanto capoluogo del vilāyet (provincia) omonimo.
Bibl.: M. Cauard, Les expéditions des Arabes contre Costantinople, in Journal Asiatique, CCVIII (1926); A. D. Mordtmann, Belagerung und Eroberung Konstantinopels durch die Türken im Jahre 1453, Stoccarda e Augusta 1858; G. Schlumberger, Le siège, la prise et le sac de Constantinople par les Turcs, Parigi 1914; M. A. Belin, Histoire de la latinité de Constantinople, 2ª ed., Parigi 1894; E. Oberhummer, Konstantinopel unter Suleiman dem Grossen, disegni di M. Lorichs del 1559, Monaco 1902; F. Täschner, Altstambuler Hof-und Volksleben, Hannover 1925; L. T. Belgrano, Documenti riguardanti la colonia di Pera, in Atti soc. Ligure di st. patria, XIII (1887); Pears, The distruction of the Greek Empire and the story of the capture of C. by the Turks, Londra 1903.
Il patriarcato di Costantinopoli.
Dal lato ecclesiastico, Bisanzio (v.) dipendeva dalla sede vescovile (ben presto metropolitana) di Eraclea di Tracia. Non sembra aver avuto vescovi proprî prima del 211-217, e la serie è regolare soltanto dal 306-307. Molto più tardi, cioè verso la fine del sec. V o il principio del VI, si formò la leggenda dell'apostolato di S. Andrea, il discepolo "primo chiamato" di Cristo, allorché Costantinopoli, capitale dell'Impero, cominciò a pretendere anche il primato ecclesiastico. La leggenda mirava a dare a Bisanzio un'origine apostolica, che nel medesimo tempo giustificasse in qualche modo le nuove pretese. Essa ottenne credito ben presto, ma oggi è abbandonata da tutti, salvo che dalla storia ufficiale del patriarcato di Costantinopoli.
La quarta grande prefettura dell'Impero romano, quella di Oriente, comprendeva cinque diocesi, e queste diocesi civili diedero origine a cinque grandi circoscrizioni ecclesiastiche, che vediamo già riconosciute in parte dal canone 6° del primo conciclio ecumenico (Nicea, 325): la diocesi Augustale, quella di Egitto, costituiva già la primazia di Alessandria; quella di Oriente, con la sua capitale Antiochia, una seconda primazia chiamata di Antiochia; la diocesi detta dell'Asia formava la primazia asiatica, di cui Efeso era il centro politico e religioso; quella del Ponto, con capoluogo Neocesarea, si estendeva a tutta la regione pontica; finalmente quella della Tracia, avente per capitale Eraclea, formava una quinta circoscrizione ecclesiastica. Nel secondo concilio ecumenico (Costantinopoli, 381) la suddetta divisione venne confermata: così si ebbero non ancora i patriarcati, ma i cinque esarcati, come si diceva allora, di Alessandria, Antiochia, Efeso, Neocesarea ed Eraclea. Il 3° canone del medesimo concilio dava inoltre a Costantinopoli una preminenza puramente onorifica su tutte le altre sedi, dopo quella di Roma.
Da quell'epoca i vescovi di Bisanzio, benché ancora sottomessi gerarchicamente all'esarca di Eraclea, estesero la loro autorità sopra i tre esarcati di Asia, Ponto e Tracia, dimodoché, almeno in via di fatto, andava delineandosi una nuova grandissima circoscrizione ecclesiastica. Non soltanto prelati ambiziosi, ma anche santi come S. Giovanni Crisostomo (398-404) e S. Proclo (434-446) seguirono questa linea di condotta, trascinati come erano dall'influenza grande, spesso eccessiva, degl'imperatori negli affari ecclesiastici, e dalle continue richieste che venivano fatte dai vescovi delle provincie al loro collega residente presso la corte imperiale. Intanto cresceva l'influenza della sede costantinopolitana anche sulle due altre grandi circoscrizioni ecclesiastiche di Antiochia e di Alessandria. Antiochia (v.) era molto indebolita dal celebre scisma; e la rivalità nella direzione generale degli affari ecclesiastici dell'Impero d'oriente tra Costantinopoli e Alessandria ebbe termine nel 451, allorché il gerarca d'Egitto, Dioscoro, gravemente compromesso nell'eresia monofisita, fu condannato e deposto in nome del papa S. Leone I dai legati romani e dal concilio ecumenico di Calcedonia. Da quel concilio, i titolari delle grandi sedi non furono più chiamati esarchi o arcivescovi, ma patriarchi; venne eretto, con smembramento del patriarcato di Antiochia, quello di Gerusalemme; soppressi gli esarcati di Asia, Ponto e Tracia a profitto della sede costantinopolitana, fu riconosciuta giuridicamente una situazione di fatto e creato un grande patriarcato, di cui Eraclea, a ricordo delle sue antiche prerogative, rimaneva il "prototrono", ossia la prima metropoli. Costantinopoli riceveva il diritto di ordinare tutti i vescovi missionarî nei paesi barbari: e ciò, come dice apertamente il concilio, perché Costantinopoli era la Nuova Roma, sorella dell'antica, residenza dell'imperatore e del senato. È il famoso 28° canone di Calcedonia, contro il quale protestò energicamente il papa S. Leone I. Tuttavia, ciò che da molto tempo esisteva già in via di fatto continuò a essere osservato, e il concilio detto in Trullo (692), anch'esso non mai riconosciuto formalmente da Roma, confermò la divisione dell'Oriente nei quattro patriarcati di Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme. Soltanto all'epoca delle Crociate, quando i Latini ebbero posto a Costantinopoli un patriarca latino, Innocenzo III riconobbe, nel concilio lateranense del 1215, il secondo posto alla sede di Costantinopoli, ma a profitto del patriarca latino (quello bizantino s'era rifugiato a Nicea). Soltanto per estensione di quel tardivo riconoscimento oggi Roma non avrebbe più difficoltà di concedere anche a un patriarca greco, ciò ehe nel 451 gli si attribuì con un procedimento non ammesso dalla Chiesa cattolica.
Nell'antichità ecclesiastica la precedenza e va regolata secondo l'ordine di precedenza dell'ingresso nella fede, e una città riconosceva per sua metropoli quella che le aveva dato l'iniziazione cristiana. Per attribuirsi una dignità superiore, occorreva poter testimoniare la predicazione di qualcuno degli apostoli. Invece, col 28° canone di Calcedonia, l'origine del primato costantinopolitano appare del tutto civile, e solo più tardi si sentì il bisogno di ricorrere all'invenzione della leggenda dell'apostolato di S. Andrea. Il patriarcato di Costantinopoli è stato creato da tre fattori: le circostanze storiche e geografiche, la politica imperiale, e l'ambizione dei gerarchi di Bisanzio.
Nel 421, l'imperatore Teodosio II aveva già tentato di sottomettere all'arcivescovo-esarca di Costantinopoli l'Illirico, cioè la Grecia, la Macedonia e la Dalmazia, amministrate a nome del papa dal vicario apostolico residente in Tessalonica: ma per le proteste del papa S. Bonifacio I tale disposizione non era stata applicata, e sotto Giustiniano si era raggiunto un accordo. Nel 535 lo stesso imperatore, per onorare la propria città nativa, corrispondente alla moderna Skoplje, denominata per la circostanza Iustiniana Prima, ne fece il centro di una nuova prefettura civile e di un arcivescovato maggiore ecclesiastico, con parecchi metropoliti e rispettivi suffraganei; tuttavia il papa continuò a esercitarvi direttamente la sua giurisdizione. Ma nel 733 l'imperatore Leone III Isaurico, scomunicato dal papa S. Gregorio III a causa dell'eresia iconoclasta, sottrasse al papa le provincie dell'Illirico e dell'Italia Meridionale, per sottometterle al patriarcato di Costantinopoli, col pretesto che il papa era sottomesso ai barbari. Il medesimo pretesto fu addotto per staccare dal patriarcato di Antiochia tutta l'Isauria con la sua metropoli Seleucia e i suoi 24 vescovati: l'Isauria rimase sottomessa a Costantinopoli fino al ricupero della provincia da parte dell'Impero nel 968. La Bulgaria, disputata tra Roma e Costantinopoli, finì per avere un patriarca proprio, appunto in virtù del principio che era servito all'ingrandimento del potere del vescovo di Bisanzio: cioè che, avendo essa un sovrano indipendente, doveva avere anche un proprio patriarca. Verso l'anno 650, il patriarcato di Costantinopoli contava 33 metropoli, 34 arcivescovati minori, cioè dipendenti dal patriarca senza il tramite di un metropolitano, e 352 vescovati suffraganei di metropoli: in tutto 419 titoli. Sul principio del sec. X, si contavano 51 metropoli, 51 arcivescovati minori e 522 vescovati suffraganei: in tutto 624 titoli.
Non soltanto il patriarcato bizantino cresceva in estensione e splendore con la sua numerosa gerarchia, ma all'interno l'autorità era vigorosamente concentrata. Da quando l'imperatore fu cristiano, ebbe sempre alla sua corte numerosi vescovi, venuti per affari di ogni genere, e che talvolta preferivano passare il tempo nella capitale piuttosto che nelle loro eparchie. Così nacque, già all'epoca di Nettario (381-397), un "sinodo permanente", σύνοδος ἐνδημοῦσα, cioè l'assemblea di tutti i vescovi presenti nella capitale, col concorso dei quali il patriarca pronunziava in ultima istanza, salvo sempre il diritto di appello al papa riconosciuto dal concilio di Sardica (343). I canoni 9° e 17° di Calcedonia confermarono quell'istituzione sinodale, la quale, sia pur trasformata, si trova ancora alla base dell'organizzazione presente del patriarcato.
Il patriarca, quando non era eletto da un concilio, veniva per lo più designato dall'imperatore; egli doveva mandare agli altri patriarchi, e specialmente a quello di Roma, sommo pontefice di tutta la Chiesa, una "lettera sinodica" che era l'equivalente delle moderne professioni di fede; e soltanto nel caso di divergenze dogmatiche, di elezione troppo burrascosa o di scelta manifestamente ingiusta o anticanonica, il nuovo patriarca non era riconosciuto, e nasceva un conflitto nel quale, fino alla separazione definitiva (v. ortodossa, chiesa), l'ultima parola rimase a Roma.
Quando nel 1453 Costantinopoli cadde, s'iniziò per il patriarcato bizantino un periodo che, se fu di schiavitù da una parte, fu di potenza dall'altra. Maometto II, in conformità delle norme del diritto musulmano sui sudditi cristiani, chiamato Gennadio Scolario a occupare la sede patriarcale greca, costituito poco dopo un patriarca per gli Armeni, firmate convenzioni speciali con i Genovesi e Veneziani (e riconosciuta così l'esistenza di tre nazioni cristiane nel seno dell'Impero ottomano), confermò tutti i privilegi civili già concessi ai vescovi dalla legislazione bizantina, e li ampliò ancora. Il patriarca non era più soltanto capo religioso, bensì un vero etnarca, personaggio ufficiale nell'Impero: ma nel medesimo tempo era il primo degli schiavi del sultano. I Turchi vendevano la dignità patriarcale, il patriarca vendeva le metropoli e i vescovati. Come si è visto, le più belle chiese della capitale cominciando da S. Sofia, furono cambiate in moschee: il patriarca dovette rifugiarsi presso quella Pammacaristos, poi verso la metà del sec. XVII nel sobborgo del Fanar. Pochissimi patriarchi terminarono la loro vita nell'esercizio della loro carica: molti furono deposti dai loro metropoliti o dai Turchi, e alcuni uccisi, talvolta in modo particolarmente umiliante.
Se nel Medioevo il patriarca aveva dovuto rassegnarsi a riconoscere l'indipendenza della chiesa serba, e per più secoli l'autocefalia dell'arcivescovato di Ochrida, approfittò poi della sua posizione privilegiata nell'Impero per assorbire man mano tutte le giurisdizioni indipendenti, salvo quelle dei tre patriarchi melchiti; i titolari delle tre sedi meridionali furono ben presto esclusivamente greci, come pure quasi tutti i metropoliti e vescovi, anche dei paesi slavi e rumeni. Prima dell'erezione del patriarcato russo di Mosca (1589), il patriarca del Bosforo poteva sembrare il papa orientale. La sua giurisdizione si estendeva fino a Venezia, per mezzo dell'arcivescovo titolare di Filadelfia che era a capo della numerosissima colonia greca della città dei dogi. Comprendeva l'Asia Minore come ai tempi più floridi dell'Impero bizantino, ma con un numero di cristiani molto minore, la Grecia, la Tracia, la Bulgaria attuale, i paesi romeni, le regioni al sud e al nord dei Carpazî, la metà della Polonia e tutta la Russia europea. Ma la Russia si fece riconoscere nel 1589 quale patriarcato indipendente; la metropoli di Kiev sottomessa alla Polonia ritornò nel 1595 alla comunione romana, e la gerarchia ortodossa non unita vi fu ristabilita soltanto nel 1623, per passare ben presto, col decadimento della potenza polacca, parzialmente sotto l'influenza di Mosca. Nel 1393 il patriarcato nazionale bulgaro era stato riunito al trono bizantino; il patriarcato serbo di Peć, già assorbito dall'arcivescovato autocefalo di Ochrida dopo la caduta dell'Impero serbo tra il 1457 e il 1463, è ristabilito nel 1557 a profitto del monaco Macario, fratello del gran visir Sokolović, cristiano apostata, ma è poi soppresso nel 1766; l'anno seguente (1767) scompare a sua volta l'arcivescovado di Ochrida: tutto ciò per ingrandire la gerarchia sottomessa al patriarca bizantino, in compenso della Russia perduta. Ma col sec. XIX, sempre per il principio che ogni stato indipendente deve avere la sua chiesa indipendente (v. autocefalia), comincia la rapida decadenza che prosegue ai giorni nostri. La Grecia si staccò nel 1833, e a ogni accrescimento dello stato ellenico corrisponde un nuovo smembramento del patriarcato ecumenico: le provincie riunite alla Grecia dopo la guerra mondiale dipesero ancora, ma per poco tempo, da Costantinopoli. La Serbia non ha più, dal 1830, che un legame di mera forma col Fanar, ed è totalmente indipendente dal 1879; tale è la Rumenia dal 1873, e i Bulgari dal 1870. La guerra mondiale ha accelerato il decadimento del patriarcato di Costantinopoli: i Serbi non hanno nemmeno tollerato nelle provincie da loro conquistate la giurisdizione, ammessa finora dalla Grecia nei suoi nuovi territorî, di un patriarca della stessa razza e lingua; con l'eliminazione forzata dell'elemento greco dall'Asia Minore e dalla Tracia orientale fatta dai Turchi, non vi sono Greci altro che in Costantinopoli e sobborghi; l'Albania si è dichiarata ecclesiasticamente indipendente, e si può prevedere non lontano il giorno in cui anche le isole del Dodecanneso avranno una chiesa autocefala che difficilmente il Fanar potrà negare all'Italia. Invano, per nascondere lo sfacelo, sono state moltiplicate le metropoli, soppressi tutti gli arcivescovati minori e tutti i vescovati suffraganei; tolte le provincie della nuova Grecia, le colonie elleniche degli Stati Uniti di America, e il piccolo gruppo occidentale costituito dall'esarcato residente in Londra, il patriarca di Costantinopoli non comanda più che a circa 200.000 Greci. Le altre chiese ortodosse non unite non gli riconoscono che un primato onorifico, esattamente quello che esso riconosce a Roma, e se la chiesa ortodossa di Polonia e qualche altra dei nuovi stati baltici gli hanno chiesto il riconoscimento della propria esistenza, è stato soltanto perché era impossibile rivolgersi ad altra autorità. Quando nel 1925 la Rumenia si è dichiarata patriarcato, il gerarca del Bosforo è stato appena consultato.
Bibl.: v. ortodossa, chiesa.
I concili di Costantinopoli. - L'importanza che Costantinopoli come sede imperiale acquistò anche per la Chiesa, appare dal fatto che nell'antichità vi si tennero molti grandi concilî (v. concilio), quattro dei quali ecumenici. II primo, del 381, detto anche secondo ecumenico, perché sebbene convocato da Teodosio I solo per l'Oriente fu poi accettato quanto alle sue decisioni dottrinali anche in Occidente, compì l'opera del concilio di Nicea per la questione trinitaria, definendo, contro i Macedoniani, che non solo il Figlio, ma anche lo Spirito Santo è consustanziale al Padre. La nuova definizione è stata formulata nel simbolo niceno-costantinopolitano, che, secondo la tradizione, impugnata tuttavia da alcuni critici (v. credo), proviene dal detto concilio.
Quanto alle questioni cristologiche (v. cristologia), la loro storia si è svolta in gran parte a Costantinopoli, sebbene le prime decisioni conciliari siano state prese altrove. Nella storia della controversia fra nestoriani e monofisiti (v.) s'inserisce il secondo concilio di Costantinopoli (quinto ecumenico) convocato nel 553 da Giustiniano allo scopo di far cosa grata ai monofisiti e di ristabilire l'unione religiosa dell'Impero. Il concilio condannò i tre capitoli (v.), e Giustiniano riusci a ottenere per le sue sanzioni anche il consenso di papa Vigilio, che dapprima si era mostrato contrario (tanto che sebbene presente a Costantinopoli non volle intervenire al concilio); le decisioni poi del concilio seguitarono per qualche tempo a essere respinte in Occidente, specialmente nelle provincie di Milano e di Aquileia. Contro la dottrina monotelita (v. monoteliti) affermante un'unica volontà, divina, in Cristo, e tentativo più chiaro e deciso di conciliazione con i monofisiti, si pronunciò nel 680 il terzo concilio di Costantinopoli (sesto ecumenico, detto anche, dalla sala delle adunanze, concilio in Trullo o trullano), convocato per volere dell'imperatore Costantino Pogonato, che non aveva più a temere, come i suoi predecessori, l'opposizione dei monofisiti delle provincie di Alessandria e di Antiochia cadute in potere dell'Islām. Pochi anni dopo, nel 692, i vescovi greci, in gran parte quelli stessi che avevano assistito al concilio precedente, ne tennero un altro nella medesima sala, perciò detto Trullano secondo, o anche quinisextum, perché inteso a completare i concilî quinto e sesto nella parte disciplinare di cui mancavano. Egso però nelle sue decisioni fu ispirato da una grande animosità contro gli usi della chiesa latina, la quale perciò lo respinse come scismatico, sebbene alcuni tra i Greci (Teodoro Studita, Niceforo, ecc.) l'abbiano riguardato come ecumenico.
Terminate per opera dei suddetti concilî le questioni trinitarie e cristologiche, nel sec. VIII si accese la lotta contro il culto delle immagini sacre, nella quale di nuovo stavano in prima linea i cesari di Bisanzio, e in specie Costantino V Copronimo (741-775), che da un concilio di 338 vescovi adunato a Costantinopoli nel 754 fece condannare il culto delle ímmagini come idolatrico. Ma l'imperatrice Irene, vedova di Leone IV, d'intesa col papa Adriano I convocò nel 787 il settimo concilio ecumenico, che prima ebbe sede a Costantinopoli, ma poi per ragione dei tumulti a cui porse occasione fu trasferito di là dal Bosforo, a Nicea; esso approvò il culto delle immagini e rigettò gli atti del concilio del 754.
Nelle ultime lotte teologiche si era fatta sempre più palese la scissione tra l'Oriente e l'Occidente; la quale divenne ancora più acuta nel sec. IX, e diede luogo a diversi e opposti concilî in Costantinopoli. Il cesare Bardas, tutore dell'imperatore Michele III, depose nell'858 il patriarca Ignazio e gli diede per successore Fozio (v.). Nicolò I dichiarò nulla la deposizione del vecchio patriarca e la nomina del nuovo; Fozio nell'861 da un concilio di 318 vescovi, presenti gl'imperatori e i legati pontifici, riuscì a far confermare come legittimo l'attuale stato di cose, e poiché Nicolò persisteva nella sua opposizione, in un altro concilio dell'867 lo scomunicò e depose, e inoltre determinò, condannandoli, i punti in cui la chiesa d'Occidente si era col tempo discostata da quella d'oriente. L'Imperatore Basilio il Macedone, succeduto a Michele, esiliò Fozio e richiamò Ignazio, e dietro sua proposta convocò nell'869 l'ottavo concilio ecumenico, quarto di Costantinopoli, presieduto dai legati di papa Adriano II, il quale condannò Fozio e affermò il primato della Chiesa di Roma anche sull'Oriente, e quanto agli altri patriarcati stabilì il loro ordine assegnando il primo posto a quello di Costantinopoli. Ma le sorti cambiarono di nuovo in favore di Fozio; il quale, morto Ignazio (877), fu restituito da Basilio nella sede patriarcale, consenziente anche papa Giovanni VIII sotto certe condizioni, più tardi non rispettate da Fozio, che inoltre nel concilio dell'879 proclamò l'ingiustizia della sua precedente deposizione, e criticò l'aggiunta della parola filioque fatta dai latini al simbolo di Nicea. Così si fece sempre più profonda la scissione tra la vecchia Roma e la nuova (Costantinopoli), nella quale non fu più possibile alcun concilio comune alle due parti dell'Impero, cioè ecumenico.
Bibl.: v. concilio.
Trattati e conferenze di Costantinopoli.
La conferenza del 1881. - L'art. 24 del trattato di Berlino (13 luglio 1878) stabiliva che, nel caso in cui la Turchia e la Grecia non riuscissero a intendersi sulla rettifica di frontiera, indicata dal tredicesimo protocollo del Congresso di Berlino sulla base dei corsi del Kalamas (che si getta nel canale di Corfù) e del Salambria (Peneo), la Germania, l'Austria-Ungheria, la Francia, l'Italia, la Gran Bretagna e la Russia si riservavano di offrire la loro mediazione alle due parti per agevolare le trattative. Una conferenza, riunita a Berlino nel 1880 in esecuzione di tale clausola, condusse a far proporre (15 luglio) una linea di frontiera che attribuiva alla Grecia Janina e Métsovo in Epiro e quasi tutta la valle del Salambria in Tessaglia. Ma la Sublime Porta non volle accettare. Una nuova conferenza ebbe luogo a Costantinopoli nel marzo 1881: lasciando immutato il tracciato nella parte orientale, essa, dopo il monte Peristeri, portò la frontiera sulla riva sinistra del fiume Arta, lasciando alla Turchia Métsovo e Janina. La Grecia accettò con riserva e il trattato di cessione fu firmato il 22 maggio 1881.
Trattati del 1913. - A Costantinopoli furono firmati nel 1913 due trattati: il 29 settembre quello della pace turco-bulgara, e il 13 novembre quello della pace turco-greca; ambedue sono da considerarsi come un'appendice della pace di Bucarest del 10 agosto e come la conclusione della guerra interbalcanica.
Dopo il trattato di Bucarest la Bulgaria aveva chiesto alle Grandi Potenze che la Porta, in rispetto al trattato di Londra del 30 maggio, sgombrasse Adrianopoli, che aveva occupata di sorpresa. Siccome tutte le pressioni morali e materiali delle Potenze erano state inutili, alla Bulgaria non rimase altro che trattare direttamente coi Turchi. Il generale Savov, nell'aprire le trattative a Costantinopoli l'8 settembre, dovette cedere senz' altro Adrianopoli. La pace fu firmata il 29 settembre; se non che, invece della linea Enos-Midia, il nuovo confine fu tracciato dallo sbocco della Marizza fino a 20 km. a nord di Kara-Burnn sul Mar Nero. Il trattato di Costantinopoli diede alla Turchia 7053 kmq. e 300 mila abitanti più del trattato di Londra. Malgrado la perdita da parte dei Bulgari, le relazioni fra i due paesi divennero immediatamente migliori.
Durante queste trattative continuavano le ostilità fra la Grecia e la Turchia per la poco buona volontà, specie da parte turca, di adottare certe regole internazionali. Il 13 ottobre erano state iniziate ad Atene le trattative di pace, ma le cose andavano per le lunghe, a causa degl'intrighi delle Grandi Potenze. La decisione fu provocata dall'intervento energico del ministro romeno Take Ionescu che, per salvaguardare la pace di Bucarest, partì nel novembre per Atene e Costantinopoli e indusse, in sei giorni, i contendenti a firmare (13 novembre) i preliminari della pace finale turco-greca. I Greci mantennero le isole di Chio, Lemno, Mitilene e Samotracia.
Bibl.: D. Iancovici, La crise balcanique (1912-1913), Parigi 1916.
La zecca di Costantinopoli.
Costantinopoli è stata sede della zecca principale dell'Impero d'Oriente; ivi sono state coniate nel maggior numero di pezzi, e in una serie quasi ininterrotta di emissioni, le monete d'oro, d'argento e di bronzo che costituiscono la monetazione bizantina. Questa serie prende inizio praticamente con Anastasio I, che con una importante riforma inaugurava nel 498 la coniazione del follis di bronzo, che costituisce coi suoi sottomultipli la prima caratteristica moneta della serie, e che venne a sostituire il miserabile piccolissimo bronzo sino allora coniato e corrente nell'Impero. Il nominale più importante e rappresentativo di questa serie è il soldo d'oro (solidus aureus) istituito già da Costantino nella sua riforma del 312 e dagli scrittori bizantini denominato comunemente nomisma. Di gr. 4,55 appare 1/72 della libbra di gr. 327; esso sino al regno di Costantino V è accompagnato dal semisse, la sua metà, e dal tremisse, il suo terzo. Il peso, conservato il più esatto possibile per varî secoli, e l'oro purissimo sino dopo il 1000, contribuirono alla sua larghissima notorietà e circolazione in tutta l'Europa medievale.
Sino a Costantino V nell'esergo del rovescio il soldo porta la sigla CONOB da reintegrarsi Con(stantinopolis) ob(ryzum). Tale esergo segna tutto l'oro, anche quelle serie che si ha ragione di ritenere coniate da altre zecche imperiali, quali Cartagine, Roma, Ravenna, ovvero dagli Ostrogoti in Italia, dai vandali in Africa, ecc. Sotto Basilio II e Costantino VIII venne inaugurato un nuovo pezzo d'oro, di più largo modulo e con tondino più fino, che comincia subito ad apparire concavo e che conserva il peso di 1/72 di libbra: s'inizia cioè l'emissione di quei curiosi caratteristici pezzi detti nummi sciphati o scodellati, sovente citati nei documenti del più tardo Medioevo, che dominano con Alessio I, giacché presto il vecchio soldo d'oro, ormai diminuito di peso sino a gr. 4,05, viene eliminato. La forma curiosa non è stata ancora soddisfacentemente spiegata, pur potendosi presumere che sia stata scelta per distinguere la serie, e mantenuta di poi per quel principio conservatore che ha dominato e dominerà sempre la moneta di corso internazionale.
Già sotto Michele VII l'oro del nomisma tende a diventare elettro, una lega di oro e di argento; sotto Alessio I il pezzo viene simultaneamente coniato in più metalli, oro, elettro, billone e bronzo, a causa delle note difficoltà finanziarie, onde vennero fusi i tesori delle chiese e i monumenti pubblici di bronzo. Con Giovanni II Comneno si hanno almeno sette tipi di nomisma, dei quali tre in oro, due in elettro e due in billone; con Manuele I otto sono i tipi in elettro e quattro in bronzo e mistura. L'emissione del nomisma appare sospesa nella seconda metà del sec. XIV, sotto il lungo regno di Giovanni V; scarse ne sono le emissioni sotto il successore Manuele II, che fa sforzi eroici per ristabilire la moneta auroimperiale, e sono esse le ultime dell'Impero bizantino.
L'argento, coniato nella quasi totalità anch'esso a Costantinopoli, pare abbia rappresentato una percentuale non trascurabile della moneta corrente nell'Impero. Però il piccolo quantitativo di pezzi giunto sino a noi, e la grande varietà di tipi e di pesi, non hanno ancora permesso di identificare adeguatamente né le serie né i nominali. Sino a Eraclio I (610-645 d. C.) il nominale maggiore pare essere stato il miliarense, introdotto insieme col soldo da Costantino, del peso di circa gr. 4,55, del valore di un millesimo di libbra d'oro, equivalente a un pezzo d'oro di gr. 0,327 e nella pratica a 1/14 del soldo stesso. Nominali di corso e di uso più comune, secondo le fonti, sarebbero stati la siliqua di gr. 2,60, identificata poi col mezzo miliarense, e la mezza siliqua. Sotto Eraclio I nel 615, il miliarense diminuisce a 1/96 di libbra cioè a gr. 3,41 e viene coniato il doppio miliarense, detto esagramma, di gr. 6,81, che dura sino a Costantino V (741-775 d. C.). Questi inaugura un nuovo pezzo con tondino largo e fino, il cui tipo del rovescio è costituito essenzialmente da una leggenda. Del peso di gr. 3,80-2,07, il pezzo viene coniato a lungo e rimane praticamente la sola moneta rappresentativa dell'argento fino ad Alessio I (1081-1118 d. C.). Questi conia piccoli e spessi pezzi d'argento, con vari tipi, della stessa fabbrica e apparenza del bronzo contemporaneo. Dopo la conquista di Costantinopoli da parte dei Veneziani e dopo la IV Crociata (1203-1204 d. C.) né Baldovino né il suo successore sino al 1261 coniarono moneta; si suppone verosimilmente che i veneziani stessi abbiano avuto il controllo della Zecca di Costantinopoli, e che la moneta corrente fosse il loro matapane o grosso d'argento, istituito da Enrico Dandolo, il doge che tanta parte ebbe nella conquista, da cui si accrebbero grandemente l'importanza e l'influenza dei Veneziani in oriente. Riattivata la zecca e ristabilita la coniazione imperiale, con Andronico II (1282-1328), la moneta argentea è l'imitazione del grosso veneziano. Il lungo regno di Giovanni V Paleologo (1341-1391) non ha lasciato monete: la zecca non deve aver funzionato a Costantinopoli e ivi corse verosimilmente la moneta delle due rivali, Venezia e Genova. Ricca è di nuovo la monetazione argentea di Manuele II (1391-1425) in varî nominali, di gr. 8,70-3,60-1, 10-0,70 circa, e di Giovanni VIII col quale viene definitivamente sospesa anche pei l'argento l'attività della zecca di Costantinopoli, che cinque anni più tardi doveva cadere.
Con la sua riforma del 498 Anastasio I inaugurava la coniazione del grande follis di bronzo di 40 nummia, con i sottomultipli di 20,10,5 nummia, ecc. Ogni pezzo portò il segno del valore costituito dalle lettere M = 40; K = 20; I = 10; C = 5 nummia ecc., la sigla della zecca e dell'officina, e, con Giustiniano, l'anno d'emissione. Le serie enee principali più abbondanti furono coniate a Costantinopoli e in misura minore nelle zecche imperiali provinciali, che in numero diverso lavorarono nei varî periodi, cioè Cizico, Nicomedia, Antiochia, Tessalonica, Cartagine, Alessandria, Chersoneso, Roma, Ravenna, ecc. Alcune delle quali coniarono proprî speciali nominali, distinti da numeri diversi.
I nominali maggiori (M, K, I) all'inizio furono coniati in due serie, l'una di largo modulo e pesante, l'altra di stretto modulo e più leggiera (circa la metà) della prima, sistema presto abolito. Il peso massimo raggiunto dal nominale M è di gr. 20; ma in generale il peso del bronzo accennò presto a diminuire: con Giustino II il 40 nummia raggiunse solo gr. 13, con Eraclio e la sua dinastia pesa circa gr. 12-9, con Costanzo II scende a gr. 6,50. I pezzi più pesanti che sporadicamente si ritrovano sono quelli riconiati su vecchi pezzi, secondo un uso invalso già dall'età di Foca, e divenuto poi generale. Ciò avvenne per varie ragioni, di convenienza e di comodità, d'urgenza e anche per trascuratezza. In Sicilia i larghi bronzi di 40 nummia dei secoli precedenti sono ora, con Costanzo II, contromarcati da un lato con l'effige imperiale e dall'altro con la sigla SCI. Dopo tali e tante vicissitudini, la monetazione enea inaugurata da Anastasio I venne sospesa sotto Costantino IV, il quale conia solamente un piccolo follis (M), con o senza segno del valore e con varî tipi, in parte imitati dalla moneta di oro. Con Alessio I detto follis raggiunge solo il peso di gr. 4,40. Con Leone V ricompare il vecchio tipo costituito dal segno del valore e la data; con Teofilo, circa dall'839, sul rovescio domina una leggenda mentre al dritto compaiono le effigi del Salvatore e della Vergine. Il bronzo assegnato a Giovanni I e suoi successori, il cui peso varia da gr. 16,85 e 7,50, è anonimo, con l'effige del Salvatore e una leggenda religiosa: Jesus Christus rex regnantium. Costantino X vi ristabilisce la sua effige e il suo nome, e Alessio I ne diminuisce il peso a gr. 4,66-2,20 imponendovi varî tipi imitati dall'argento.
Tipi, leggende, arte. - Scarsi sono i tipi monetarî della moneta bizantina, monotoni nelle secolari ripetizioni e nella ispirazione religiosa cui attingono esclusivamente, ma non trascurabili sotto particolari punti di vista e nelle loro varietà. Rozza, quasi barbara, è l'arte di questa monetazione nel succedersi dei secoli, ma caratteristica appunto per le varie epoche. Sotto i primi imperatori il soldo imita i tipi delle precedenti emissioni auree. Sul dritto è il busto dell'imperatore con elmo e scudo, o laureato o diademato, di fronte o di lato; Giustiniano introduce la variante del busto con elmo visto di fronte e con globo crucigero; Giustino vi sostituisce il globo niceforo; Tiberio Costantino porta le insegne del consolato, la mappa e lo scettro aquilifero; Foca appare con lunga barba, a differenza di tutti i suoi predecessori imberbi; Costantino IV condottiero, vincitore dei Saraceni, ricompare con abito militare con asta e scudo. Quanto alla iconografia deve subito notarsi che si tratta costantemente di effigi convenzionali stereotipate, che si ripetono di regno in regno con poche varianti, che vorrebbero raffigurare caratteri individui, ma che non riescono alcuna volta nemmeno a differenziare il ritratto maschile da quello femminile. Vi contribuiscono la rozzezza dell'arte e della tecnica, la trascuratezza della coniazione, e di poi la nuova tecnica degli scifati, per cui le figurazioni, allungate inverosimilmente e sproporzionate, assumono l'aspetto duro, stecchito, quasi di arcaici idoli. Sul rovescio del soldo è sulle prime ripetuto il tipo convenzionale della vittoria con lunga croce o col monogramma cristiano, inaugurato già da Teodosio II e da Placidia; Giustino II v'impone il tipo di Costantinopoli seduta con asta e globo crucigero, cui Tiberio Costantino sostituisce la croce, che da ora in poi predominerà sovrana sull'oro. Con Eraclio e la sua dinastia (610-641) si stabilisce l'uso d'imporre, al dritto e al rovescio, i busti o le effigi dei varî personaggi conreggenti della famiglia imperiale, iniziando quelle serie famigliari che perdurano per varî secoli. Da Giustiniano II (685-695) viene introdotta l'effige del Salvatore in due varianti, effige che l'iconoclasta Leone III sostituisce con la semplice croce. Questa assume la forma patriarcale sui soldi di Teofilo (829-842), sui quali l'imperatore si denomina servus Christi. Teodora, la madre di Michele III, restituito il culto delle immagini, restituisce sul soldo l'effige del Salvatore; Basilio I v'introduce la figurazione di Cristo in trono con nimbo crucigero; Teodora, figlia di Costantino VIII, v'impone una figura di Cristo su base rettangolare, detta il Cristo di Calce.
Leone VI (886-912) inaugura il busto della Vergine Madre chiusa nel velo e nel manto, unica figurazione trattata con finezza e grazia particolare, e che conserva il suo fascino per lungo tempo. Il fratello Alessandro si pone sotto la protezione del santo omonimo che lo incorona. Sul soldo di Niceforo II (963-969) la Vergine a mezzo busto, presso l'imperatore, sorregge con lui la croce patriarcale; sul pezzo di Giovanni Zimisce, la vergine incorona l'imperatore, mentre la manus dei è aperta su di lui benedicendo; Romano III è incoronato dalla vergine in piedi accanto a lui, mentre Romano IV con la moglie sono incoronati dal Salvatore in piedi in mezzo a loro, soggetto noto dall'avorio di Parigi.
Giovanni II Comneno (1118-1143) introduce il tipo di S. Giorgio, il successore Manuele I S. Teodoro e S. Demetrio; Michele VIII infine appare sul suo nomisma incoronato dal Salvatore e protetto da S. Michele, mentre sul rovescio è la raffigurazione convenzionale della città di Costantinopoli, consistente nel giro delle mura sezionate da torri, nel cui centro emerge il busto della Vergine orante. Il tipo perdura con Andronico II, che nel dritto appare prostrato ai piedi del Salvatore come sul mosaico di Santa Sofia. Col tipo di Costantinopoli si conchiude sotto Manuele II (1391-1425) la coniazione del nomisma bizantino.
Egualmente scarsi e ugualmente monotoni sono i tipi dell'argento, sul quale però prende più notevole sviluppo la leggenda, per la quale possiamo meglio sorprendere l'interessante evoluzione della lingua latina nella lingua greca che s'inizia sulle monete di Irene, madre di Costantino VI (797-802) e si conchiude al tempo di Romano IV (1067-1071), attraverso forme ibride nelle quali parole greche sono scritte con lettere latine, e parole latine con lettere greche. Sotto i primi imperatori domina sull'argento la croce o una leggenda riferentesi ai vota imperiali. Giustino II vi ripete il tipo del bronzo, cioè la coppia imperiale seduta in trono, che verosimilmente allude alle statue loro klevate sulla piazza di Costantinopoli. Un argento di Giustino è inscritto felix republica, uno di Tiberio II, accanto alla croce, lux mundi, e uno di Maurizio Tiberio salus mimdi. Sul doppio miliarense Eraclio impone la croce sui gradini con la leggenda deus adiuta Romanis, e Costantino V Jesus Christus nicai Romano I inaugura la figurazione della croce processionale con al centro la capsula ovale o quadriloba, dove era conservato un frammento della vera croce, tipo ripetuto poi da Niceforo II e Giovanni Zimisce. Questi su un suo pezzo, coniato probabilmente nel 972, impone il busto della vergine che soregge davanti al seno un medaglione circolare col busto del divin Figlio, tipo che ricorda il mosaico di S. Apollinare Nuovo di Ravenna. Le due leggende del dritto e del rovescio suonano Θεοτόκε βοήϑει τοῖς Βασιλεῦσι − Μῆτερ Θεοῦ δεδοξαμένη ὁ εἰς σἐ ἐλπίζων οὐκ ἀποτυγχάνει.
Anche Romano III ha un nuovo tipo della Vergine, che viene espressamente detta di Blacherne (Panagia Blachernitissa); con Costantino IX è quello della Vergine orante, in piedi su base, da paragonarsi col tipo del mosaico di S. Marco o del duomo di Torcello. A Romano IV si attribuisce un argento con un altro tipo della Vergine, che sorregge sul suo braccio sinistro il divin Figlio, il tipo cioè della Π. ΟΔΗΓΗΤΡΙΑ, il più noto dai numerosissimi monumenti bizantini e bizantineggianti. La leggenda iscritta, parte al dritto parte al rovescio, dice Παρϑένε σοι πολύαινε ὃς ἤλπικε πάντα κατορϑοῖ. Sull'argento coniato in buona quantità da Alessio I si alternano i varî tipi noti di Cristo e della Vergine; su quello di Andronico II (1282-1328) si nota l'imitazione servile del grossso veneziano, laddove sulle ultime serie, di Manuele II e di Giovanni VIII, il busto dell'imperatore nimbato del dritto fa riscontro al busto del Salvatore del rovescio, mentre al nome dell'imperatore viene aggiunta la formula ΘΥ (Θεοῦ) XAPIT (Dei gratia).
Bibl.: J. Sabatier, Description générale des Monn. byzantines, voll. 2, Parigi-Londra 1862; W. Wroth, Catalogue of the imp. buzant. Coins in the British Museum, voll. 2, Londra 1908; E. Babelon, Traité des monnaies grecq. et rom., I, i, Parigi 1901, passim alle singole voci.