Vedi COSTANTINOPOLI dell'anno: 1959 - 1973 - 1994
COSTANTINOPOLI (Κωνσταντινούπολις, o Κωνσταντίνου πόλις; Constantinopolis)
È l'antica capitale dell'Impero di Oriente.
La città sorse fin dalle origini su un promontorio trapezoidale che si protende nel mare con la sua punta arrotondata e leggermente ricurva verso N, la quale conferisce alla penisola l'aspetto di un berretto frigio. Sul lato N il promontorio è bagnato dal braccio di mare che si insinua nel Corno d'Oro (Χρυσόκερας o Κέρας) lungo 11 km, largo in media m 40o, creato in una vallata di erosione, e dove nel fondo serpeggiante sboccano i due fiumi, l'antico Kydaris, oggi Alibeysu, e l'antico Barbyzos, oggi Kagithanesu, A S il promontorio è bagnato dal Mar di Marmara, l'antica Propontide, e a N-E si protende nell'imboccatura del Bosforo (Βόσπορος o Στενόν) che mette in comunicazione l'antico Ponto Euxino, l'odierno Mar Nero, con il Mar di Marmara con un percorso di 31 km tra un'incantevole sequenza di alture e di frastagliature sulle due sponde asiatica ed europea, ed è percorso da una forte corrente (῾Ρεῦμα) dovuta alla minore evaporazione del Mar Nero e alla sua abbondante alimentazione con lo sbocco dei grandi fiumi.
Il rilievo del promontorio è vario e animato da modeste, ma continue, alture di non più di 50 m, che formano sei colline allineate parallelamente alla costa del Corno d'Oro e una settima sul lato meridionale, e delle quali la prima, più orientale e più vasta, costituisce lo sprone avanzato su cui sorse l'acropoli primitiva e che rimase sempre il cuore della città, oggi dominato da S. Sofia, dal Serraglio, dalla Moschea di Sultan Alimed. Sulla sommità della seconda collina si innalza la così detta Colonna bruciata di Costantino, e la vallata occupata oggi dal Gran Bazar segna la divisione con la terza collina, sul cui ripiano sorge oggi il Ministero della Guerra, divenuto Università (Seraskelik), e sui bordi si levano le Moschee di Bayzid a S e di Solimano il Magnifico a N. La vallata fra la terza e la quarta collina è scandita ancor oggi dalle monumentali arcate dell'Acquedotto di Valente, mentre la sommità della quarta collina è dominata dalla Moschea del Conquistatore Fatih. Sulla cima della quinta collina sorge la Moschea del sultano Selim, dominando il quartiere del Phanar. La sesta collina ha contorni irregolari, sia con pendici dolci sia con alture più marcate, ed è delimitata ad O dalle mura. La settima ha forma triangolare con tre sommità e reca al centro la cisterna di Mocius costruita da Anastasio, vicino alla chiesa di S. Mocius.
Un fiumicello, il Lykos (Λύκος, Lycus), lungo km 6 circa, scorre attraverso la penisola dividendo la settima collina dalla terza, quarta e quinta, attraversando la cinta teodosiana sotto il tratto tra Edirnekapi e Topkapi, e dopo aver girato attorno alle pendici della settima collina traversa la pianura di Aksaray gettandosi nel Mar di Marmara a Langa-Bostani, dove era l'antico Porto di Eleutherios.
La configurazione collinosa del terreno portò fin dalle origini a una sistemazione a terrazze raccordate con rampe e scalinate, dando un aspetto vario e mosso alla città. I terremoti e gli incendi, che hanno devastato con tanta frequenza C. fin dall'antichità, la vita intensa, la mancanza di sistematiche campagne di scavi tranne che per un piccolo tratto del Palazzo Imperiale, l'assenza di un servizio archeologico funzionante rendono tuttora ben poco nota la topografia di questa metropoli. Oltre alla cinta poderosa di Teodosio II, che ha sfidato i secoli e gli assedî, soltanto qualche monumento isolato come il peristilio del palazzo imperiale, qualche colonna onoraria, i due obelischi dell'Ippodromo e il sostegno serpentiforme di Platea, qualche cisterna, qualche rudero e muri di terrazzamento e di sostruzione, resti delle chiese primitive, oltre S. Sofia, quasi intatta, sono tutto quello che avanza della capitale dell' Impero di Oriente.
Per ricostruire la topografia della città dobbiamo pertanto rivolgerci alle fonti antiche, e alle notizie dei viaggiatori che videro alcuni monumenti ancora in piedi prima della loro distruzione per opera della barbarie turca.
Le fonti. - La più importante e la più antica fonte per la topografia della città è la Notitia Urbis Constantinopolitanae, che si può vedere nell'edizione della Notitia dignitatum di O. Seeck, Berlino 1875, pp. 227-243 e in A. Riese, Geographi latini minores, Heilbronn 1878, pp. 133-139, compilata da un anonimo del tempo di Teodosio II, opera simile alla Notitia e al Curiosum, cataloghi regionari dell'antica Roma, e comprendente un breviarium con il censimento delle case e dei monumenti diviso nelle XIV regioni costantiniane; può darsi che rappresenti l'aggiornamento di un catalogo regionario più antico. Sappiamo che anche Marcellinus comes al tempo di Giustiniano aveva redatto una descrizione della città molto minuta, che purtroppo non ci è pervenuta (Cassiod., Chron., P. L., lxx, c. 1139). Abbiamo poi alcune opere topografiche come i Πάτρια Κωνσταντινουπόλεως di Esichio di Mileto del VI sec.; le Παραστάσεις ούντομοι χρονικαί d'un anonimo della metà dell'VIII sec., (secondo G. Millet, Bull. Corr. Hell., lxx, 1946, pp. 393-402, scritte fra l'8 novembre del 742 e il 746) oltre alla Διήγεσια περὶ τῆς οἰκοδομῆς τῆς ῾Αγίας Σοϕίς di un altro anonimo, che sono state copiate nella compilazione storico-topografica dello Pseudo-Codinus della fine del X sec. e che possono vedersi tutte raccolte nell'edizione di Th. Preger, Scriptores originum Constantinopolitanarum, Lipsia, i, 1901; ii e iii, 1907 e lo Pseudo-Codinus nell'edizione di Bonn 1843 e nella Patrologia Graeca, clvii. Questo testo è stato rielaborato secondo un ordine topografico da un anonimo del tempo di Alessio Comneno (1081-1118) pubblicato da A. Banduri, Imperium orientale sive antiquitates Constantinopalitanae, i, p. 111, Parigi 1711, Venezia 1727 e nella Patrologia Graeca, cxxii, 1189-1316. Molte notizie topografiche si ricavano inoltre, specialmente per il Palazzo Imperiale e per i principali percorsi dei cortei imperiali, dal Libro delle cerimonie: ῎Εκϑεσις τῆς βασιλείου τάξεως, Bonn 1828; Patrologia Graeca, cxii; A. Vogt, Le livre des Cérémonies, i-ii, Parigi 1935, 1940, opera compilata da Costantino VII Porfirogenito con varî testi anonimi di epoche diverse. Oltre a Socrate, Sozomeno, Zosimo del V sec. importante è l'opera Περὶ κτισμάτων o De aedifciis, di Procopio, Bonn 1838, Lipsia 1913, che descrive gli edifici restaurati o costruiti da Giustiniano. Nel VI sec. abbiamo Malalas, e poco prima del 641 il Chronicon Paschale, Bonn 1887, Patrologia Graeca, cxii. I sette monumenti considerati le meraviglie più importanti della città, fra cui cinque colonne e cioè quella porfiretica di Costantino, quella crucifera di Costantino, quella coclide di Teodosio, quella coclide di Arcadio, quella di Giustiniano, l'Anemodoùlion, il Senato del Foro di Costantino, oltre alla descrizione della Chiesa dei SS. Apostoli, costituiscono l'argomento di un poema di Costantino Rodio, composto tra l'agosto del 931 e il dicembre del 944 indirizzato a Costantino Porfirogenito e edito da E. Legrand, in Rev. Ét. Gr., ix, 1896, p. 42 ss. Tra i più tardi cronisti bizantini vanno ricordati soprattutto Teofane, Niceforo, Leone grammatico per il IX sec., Cedreno e Zonara per il XII, Niceta Choniate per i primi del XIII. Varî epigrammi dell'Anthologia Palatina si riferiscono a monumenti e ad opere d'arte esistenti a C. e notizie riferentisi alla topografia si possono desumere anche dal Codice Teodosiano e dal Codice Giustinianeo.
Molti sono i viaggiatori arabi, persiani, italiani, russi, francesi, inglesi, tedeschi che ci hanno lasciato notizie su monumenti e riferimenti topografici e si possono vedere ricordati nell'opera di J. Ebersolt, Constantinople byzantine et les voyageurs du Levant, Parigi 1919. Particolarmente importante è il Liber insularum archipelagi di Cristoforo Buondelmonti dedicato al card. Virginio Orsini nel 1420, di cui si hanno due redazioni latine, una maggiore e una abbreviata del 1422, forse di un compendiatore, oltre a traduzioni in greco e in italiano. Varî codici dell'opera contengono una veduta planimetrica della città con didascalie che corrispondono fra loro solo in piccola parte e che sono state studiate da G. Gerola, Le vedute di C. di Cristoforo Buondelmonti, in Studî bizantini e neoellenici, iii, 1931, pp. 249-279, mentre per l'Isolario si veda l'edizione di G. R. L. De Sinner, Lipsia e Berlino 1824; altra di E. Legrand, Parigi 1897. Preziose notizie topografiche sono state raccolte e commentate durante i suoi soggiorni a Costantinopoli dal 1540 al 1547 e nel 1550, da P. Gylles (Petrus Gyllius) che oltre alle fonti antiche ha investigato con grande cura i monumenti superstiti al suo tempo, ha interrogato i vecchi del luogo per avere notizie dei monumenti già scomparsi e distrutti in precedenza, tentando una prima ricostruzione generale dell'antica topografia della città nell'opera: De topographia Constantinopoleos et de illius antiquitatibus libri quattuor, Lione 1561.
Tra le vedute della città che possono interessare per i monumenti antichi, oltre a quella del Buondelmonti, si possono ricordare una pianta pubblicata da A. Mordtmann, Ancien plan de Constantinople imprimé entre 1566 et 1574 avec notes explicatives, e il panorama della città di Melchior Lorichs di Flensbourg del 1557, a cui si devono anche disegni di alcuni monumenti della città, fra cui la base della Colonna di Costantino, la parte superiore della Colonna di Arcadio, la base dell'obelisco di Teodosio: A. Michaelis, in Jahrbuch, vii, 1892, p. 89 ss.; H. Harbeck, in Jahrbuch, xxv, 1910, p. 28 ss.
Questo artista olandese era al seguito dell'ambasciatore Augier Ghislen Busbeck che fu accreditato presso Solimano I dal 1556 al 1561; la veduta della città che si trova nella Biblioteca dell'Università di Leida è pubblicata da E. Oberhummer, Konstantinopel unter Suleiman dem Grossen, aufgenommen im Jahre 1559 durch Melchior Lorichs, Monaco 1902, il panorama misura m 11,52. Altro panorama è quello di Giovanni Temini, forse su modello di un disegno dell'olandese Pieter van der Keere del 1616 (A. M. Schneider, in Jahrbuch, lvii, 1942, p. 221 ss.; lix, 1944, p. 79 ss.) oltre a molti altri disegni e vedute di vari artisti occidentali.
Bisanzio. - La colonia è d'origine dorica, probabilmente megarese, fondata nel VII sec. a. C. Sono tramandate le date 660-659, 659-658, e 17 o 19 anni dopo la fondazione di Calcedonia. La leggenda etiologica riferita da Esichio, Arriano, Dionisio Bizantino, parla dell'eroe eponimo Byzas, che sarebbe stato figlio di una ninfa locale Semystra e marito di Phidaleia, figlia del re del luogo Barbyzos, il cui nome è di origine tracia. Accanto a Byzas è l'eroe Antes e dai loro nomi deriverebbe quello di Βυζάντιον (Preger, 42, 48). Si cercarono poi anche corrispondenze con le leggende di Roma, creando sette strateghi pari ai sette re romani, un fratello di Byzas, Strombos, in lite con lui come Remo con Romolo. La colonia megarese sarebbe stata fondata in quel luogo in seguito a un oracolo, che avrebbe definito ciechi i Megaresi stanziati prima a Calcedonia (Tac., Ann., xii, 63; Strabo, vii, 320), mentre Erodoto (iv, 144) riferisce il detto al persiano Megabazo.
La città greca. - La colonia sarebbe stata fondata presso l'ara di Semystra, e comunque occupò l'estremità del promontorio.
La posizione determinò la rapida fioritura della città, che fu conquistata dai Persiani alla fine del VI sec. a. C., ai quali si ribellò con gli Ionî ai primi del V sec. a. C., per ricadere però sotto il loro dominio, da cui fu liberata dopo la battaglia di Micale. Nel 478 entrò nella Lega delioattica, pagando un tributo annuo di ben 15 talenti, che ne indica la fioridezza. Si ribellò ad Atene nel 440 e nel 411 e fu sottomessa da Alcibiade nel 408, dallo spartano Lisandro nel 405, per tornare con Trasibulo nel 390 all'ordinamento democratico. Partecipò alle seconda Lega attica e respinse nel 340-339 l'assedio di Filippo II. Aderì alla Lega ellenica, riuscì a mantenere l'indipendenza nelle lotte dei diadochi, pagò dal 278 un tributo ai Celti, aiutò i Romani contro i Macedoni. Parteggiò per Pescennio Nigro e fu punita da Settimio Severo, perdendo la libertà che riebbe soltanto da Caracalla. Subì un saccheggio di soldati ribelli nella seconda metà del III sec. e divenne nel 323 con Costantino la nuova capitale dell'Impero d'Oriente con il nome di Costantinopoli.
Il perimetro generale delle rive e del tratto terrestre era di 35 stadî (Dion. Byz., 6 ss.) dei quali 5 si riferivano a quest'ultimo. La città era cinta di solide mura, di cui i Patria segnano il circuito riferendosi a monumenti e a quartieri di Costantinopoli: partiva ad E dalle mura dell'acropoli e andava lungo il lato N fino alla Torre di Eugenio, saliva sul lato O allo Stratègion arrivando alle Terme di Achille e all'Arco detto, nel Medioevo, di Urbicius, che corrisponderebbe a un'originaria porta delle mura, traversava il quartiere dei Chalkopratèia, fino al Mìlion, dove era un'altra porta, correva verso le Colonne tortili degli Τζυκαλαρεῖα (cioè delle fabbriche dei ceramisti), girava sul lato S intorno ai Tòpoi, ai quartieri delle Mangane e Arkadiane, per ritornare di nuovo all'acropoli. Zosimo (ii, 30, 3) accenna alla cinta seguendo un'altra direzione. La leggenda attribuiva l'erezione delle mura a Byzas con l'aiuto di Posidone e di Apollo. Pausania (iv, 31, 5) le ricorda fra le più forti accanto a quelle di Rodi e dopo quelle di Messene. Dione Cassio (lxxiv, 10, 3) parla di una cortina esterna di opera quadrata a blocchi legati da grappe di ferro, con χώματα all'interno, vani diversi (οἰκοδομήματα) e un corridoio coperto. Vi erano 27 torri aggettanti all'esterno. Più alte e più forti erano le mura sul lato terrestre, mentre sul mare erano più basse e protette da gettate (χηλαί) contro i marosi (Xenoph., Anab., vii, 1, 17). Sappiamo che la cinta fu restaurata da Leone, arconte che difese Bisanzio dall'assedio di Filippo II nel 340 a. C., usando anche pietre funerarie, tanto che un tratto prese il nome di Τυμβοσύνη (Hes. Mil., 27). È ricordata come cosa singolare e meravigliosa l'eco che si trasmetteva da una all'altra per sette torri, dalla porta tracia al mare (Cass. Dio, lxxiv, 14, 5; Georg. Cedren., i, 442; Suda, Βυζάντιον; Hes. Mil., 13). Si parla anche di una torre di Eracle (Fr. Hist. Gr., iv, 149) anch'essa dotata di particolare acustica. Ad O della punta del Bosforo doveva essere il primitivo porto già nel periodo greco.
Sulla cima orientale del promontorio era l'acropoli, dove poi sorgerà il Serraglio dei Sultani. Vicino alla porta tracia era la piazza detta Thràkion (Θρᾴκιον), pianeggiante, sgombra di costruzioni, destinata agli esercizi militari (Xenoph., Anab., vii, 1, 24). Forse qui lo stratega Protomachos aveva innalzato un trofeo sui Traci, dove poi sorse l'Augustèon. A N si stendeva lo Stratègion (Στρατήγιον), dove gli strateghi venivano investiti del loro potere (Hes. Mil., 39).
La piazza principale era l'agorà, che doveva stendersi nel luogo dove poi sorgerà S. Sofia; è probabilmente la μεγίστη ἀγορά nel cui centro è ricordata una statua bronzea di Helios (Malal., 291 ss.; Chron. Pasch., 1, 494 ss.) che sarebbe stato venerato dai Traci con il nome di Ζεύξιππος ϑεός, assimilandolo cioè alla divinità del cavaliere tracio. Settimio Severo fece togliere poi la statua di Helios e trasportarla sull'acropoli, ma dette il nome dell'antica divinità alle grandiose terme da lui costruite accanto all'agorà, che si chiamarono appunto di Zeuxippos (Preger, 15-16).
Sappiamo dell'esistenza in Bisanzio di stadî, di ginnasi vicino al tempio di Posidone, dove il terreno diventava pianeggiante (Dion. Byz., 10) e di cisterne (Hes. Mil., 24, δεξαμεναί). Il suolo roccioso della città non offriva sorgenti e fin dal periodo greco si cominciò a scavare cisterne sotterranee e a cielo aperto per raccogliere l'acqua piovana e quella condottavi con tubature; le cisterne si moltiplicheranno poi nel periodo imperiale e bizantino. Ad Adriano spetta il merito di aver creato, a quanto pare, il primo grande acquedotto alimentato con le sorgenti captate nelle foreste presso il Mar Nero (Chron. Pasch., i, 619; P. G., xcii, 869 B) e una disposizione di Teodosio Il e di Valentiniano (Cod. Iust., xi, 43, 6) ne riserverà poi l'acqua per i ninfei pubblici e per le terme del Palazzo Imperiale; questo acquedotto adrianeo sarà restaurato insieme a quello di Valente da Giustino II nel 576 (Cedren., i, 685, 9).
Molti sono i culti attestati in Bisanzio: sull'estremità del promontorio era l'altare di Atena Ekbasìa (ἐκβασία) la protettrice degli sbarchi, e vicino, presso il mare, era anche l'antico tempio di Posidone. Antico, e secondo Esichio (Preger, 6) fondato addirittura da Byzas, era il tempio di Rhea, il metròon, che serviva anche da Tychàion, da tempio della Tyche della città. Zeus aveva un tempio sull'acropoli (Kodin. 24, Bonn); Afrodite, oltre a un tempio sul mare, aveva come Praèia (πραεῖα) un tèmenos sul Bosforo fuori della città e un Aphrodìsion; Apollo aveva anche altari; Artemide come Orthosia (ὀρϑωσία) un altare (Herod., iv, 87), e come Phosphòros (ϕωσϕόρος) un témenos extraurbano sul Bosforo (Dion. Byz., 36, 29); è ricordato altresì (Dion. Byz., 36, 36) un hieròn di Artemide Diktinna (Δικτύννη); Demetra e Kore avevano un tempio sul kèras (Dion. Byz., 13, 10 d) con pitture. È ricordato anche un tempio di Dioniso (Herod., iv, 87); quello di Hera sappiamo che fu distrutto dai Persiani (Dion. Byz., 14, 10 e), e che quello di Plutone fu distrutto da Filippo. È attestato da iscrizioni il culto di Iside e di Serapide con un santuario fuori della città sul Bosforo, e abbiamo notizie di culti di Eracle, dei Dioscuri, all'estremità del Corno d'Oro, di Achille e di Aiace presso lo Stratègion, di Anfiarao nel sobborgo di Sykai, e di altri eroi.
La città severiana. - La città subì il grave assedio dell'esercito di Settimio Severo, diretto da L. Mario Massimo, dall'inverno del 193-194 fino all'estate del 196; e la fame spinse fino al cannibalismo. La città fu trattata duramente dall'imperatore e divenne una κώμη dipendente da Perinto. La cinta di mura fu atterrata (Cass. Dio, lxxiv, 6-14; Zonara, xii, 8; xiii, 3; Hist. Aug., Sever., 8, 12; Hesich., 36). Secondo Erodiano (iii, 1, 5; 2, 1; 6, 9) tutta la città sarebbe stata addirittura distrutta. Comunque il saccheggio e la dura punizione fecero molta impressione in Grecia (Philostr., v. soph., 11,27,2). Settimio Severo chiamò la città Antonia o Antonina (᾿Αντωνία o ᾿Αντωνινία), nome che presto decadde, e dopo la punizione decise in seguito di restaurarla, comprendendo l'importanza di questo centro. Creò anzitutto una nuova cerchia di mura a più di 300 m ad O delle mura greche, come si deduce dalle testimonianze di Zosimo (ii, 30, 2, 4) e di Esichio di Mileto (Preger, 27) che ci dicono che la cinta giungeva fino al futuro Foro di Costantino, sicuramente localizzato dalla Colonna tuttora esistente. Settimio Severo costruì anche un tratto di via porticata monumentale dall'agorà fino alla porta occidentale delle mura, che diventerà un tratto della Mese, segnando l'estensione della città nuova.
Che l'area del futuro Foro di Costantino rimanesse fuori della cinta severiana è confermato altresì dai resti di una necropoli romana trovati ai piedi della Colonna di Costantino. Oltre all'antica agorà circondata da portici e detta perciò Tetràstoos (μεγίστη ἀγορὰ τετράστοος) Settimio Severo restaurò anche lo Stratègion, ma il più importante monumento che egli costruì nella città fu il grande Ippodromo presso l'estremità orientale della grande via porticata, vicino all'agorà, in un'area precedentemente occupata da giardini e da case private, prendendo a modello il Circo Massimo di Roma. Costruì sostruzioni poderose nel lato S scosceso per creare l'arena pianeggiante, elevando gradinate lignee ((ἴκρια) e portici (στοαί; ἔμβολοι), ma non poté far eseguire che la metà dei gradini vicini alle Terme di Zeuxippos, perché fu richiamato in Italia dall'invasione dei Galli e morì poco dopo; l'opera interrotta sarà completata poi da Costantino. Nella costruzione del Palazzo di Giustizia negli anni 1948-1951, si è messa in luce una parte delle gradinate del lato E dell' Ippodromo, che secondo il Mamboury risalirebbero al periodo severiano e misurerebbero m 20,50 di larghezza. Un muro esterno delimita un corridoio circolare largo m 1,65, seguito da una muratura piena, larga m 9,35 e da un muro dim 1,90 che sosteneva i gradini, infine da un corridoio di m 4,40 con pilastri prismatici di m 2 × 2 all'esterno con contrafforte sporgente cm 40. Dal grande corridoio, pavimentato di lastre irregolari di calcare azzurro del Bosforo, porte immettevano nel corridoio intorno all'arena da cui si accedeva alle gradinate. I gradini sono larghi cm 75 e alti cm 38 rivestiti di marmo, ma pare che fino al periodo di Giustiniano le gradinate fossero lignee. Scavi fatti dal Mamboury e dal Wiegand nel 1918 e dal Casson nel 1927 permisero di rilevare la pianta della sphendòne che presenta 25 vani concentrici, aperti verso il corridoio esterno. Settimio Severo consacrò l'Ippodromo ai Dioscuri, di cui eresse le statue sotto i portici (Preger, 16; Zosim., ii, 31, Bonn, 97), inoltre costruì un teatro presso il tempio di Afrodite e un Kynègion (κυνήγιον), forse un anfiteatro per spettacoli di caccia alle belve (venationes), vicino al tempio di Artemide (Malal., 292; Ghron. Pasch., i, 495; Cedren., i, 443). Il teatro, detto nella Notitia, Theatrum maius, è stato localizzato da G. Martiny nelle pendici orientali in corrispondenza delle cucine del Serraglio, dove è visibile un incavo nel terreno, largo circa m 100. L'imperatore pensò anche a dotare la città di un sontuoso edificio termale, le Terme di Zeuxippos (τὸ Σευήρου λουτρόν; Zonar., xiv, 6: τὸ λεγόμενον Ζεύξιππον), nome che secondo Esichio (Preger, 15) deriverebbe dalla vicinanza del tempio di Zeus Hippios e dal bosco sacro ad Eracle, dove egli avrebbe domato le cavalle di Diomede; secondo il Chronicon Paschale (i, 529; P. G., xcii, 712 A) dalla statua bronzea di Helios nell'agorà Tetràstoos, con l'iscrizione Zeus Hippios, che Settimio Severo fece togliere e trasferire sull'acropoli, facendovi costruire un tempio dedicato ad Apollo, vicino ai santuarî di Artemide e di Afrodite. Anche le Terme saranno completate e restaurate da Costantino. Un altro edificio termale fu costruito da Settimio Severo fuori delle mura, nei sobborghi, detto Terme di Kaminia (Preger, i, 136); esse potevano ospitare 2000 persone al giorno, erano riccamente decorate e scaldate con fuoco persiano (ἧπτε δὲ μετὰ τοῦ Μηδικοῦ πυρός).
La città greca con Settimio Severo acquistava così una nuova ampiezza e un nuovo aspetto che rifletteva le caratteristiche più significative dell'urbanistica romana innestata sulla tradizione ellenistica orientale. Aveva i tipici luoghi di spettacolo cari ai Romani, il circo e l'anfiteatro per le venationes, il teatro; al ginnasio greco si erano sostituite le terme romane con sontuosa decorazione. L'agorà Tetràstoos, cinta di portici, diventava il centro monumentale, il nuovo Foro della città, da cui partiva l'ampia arteria colonnata secondo i canoni urbanistici delle grandi città asiatiche. Settimio Severo aveva attuato nella grandiosa ricostruzione di Leptis Magna analoghi principi, fondendo la tradizione orientale alle esigenze romane, e forse i monumenti leptitani a cui lavorarono artisti microasiatici e afrodisiensi, possono darci un'idea di quelli perduti nell'Antonina Sebaste Byzantion.
Non abbiamo particolari notizie di sviluppi e di abbellimenti della città durante il III sec. d. C., ma con Costantino si apre un nuovo periodo dopo una seconda grave distruzione da cui la città risorse come grandiosa capitale dell'Impero d'Oriente. Le distruzioni degli uomini e degli elementi, le vicende posteriori hanno cancellato quasi ogni traccia di Bisanzio greca ed imperiale, che sappiamo da Cicerone (De prov. cons., 6) refertissima signis, piena di opere d'arte, come ci conferma anche Dione Crisostomo (1, 621, R). Non sappiamo quanto di questo patrimonio artistico si era salvato dalle continue distruzioni e conservato fin nel periodo bizantino. Pur comparendo nella storia di Bisanzio molti nomi di poeti, letterati, scienziati, sofisti, rimane nel campo degli artisti il solo nome del pittore ellenistico Timomachos (v.).
La monetazione. - La monetazione, di ferro, era già in uso alla fine del V sec. a. C. ma non se ne conserva alcun esemplare; quella di argento e di bronzo sembra che cominci intorno al 400 a. C. Lo Head ha distinto varî periodi: 1) 400-350 con dracme secondo il peso del siclo persiano, 2) 350-280 secondo il peso fenicio, 3) 280-277 monete straniere con contromarca, 4) 277-270 monetazione in comune con Calcedonia, 5) 270-dominazione romana monete di Alessandro e di Lisimaco con contromarca BY e tridente, 6) epoca romana dal I sec. a. C. in poi. Le monete del IV sec. a. C. mostrano un vitello con un delfino, una testa di vitello e un quadrato incuso nel rovescio, il tridente, delfini; quelle più tarde teste o figure di divinità con o senza attributi: Artemide, Apollo, Atena, Demetra, Dioniso, Hermes, Posidone, spesso seduto su una roccia con l'àphlaston nella mano protesa e il tridente poggiato alla spalla, più raramente Eracle e Zeus; nei rovesci appaiono vari attributi. Notevole nella monetazione bronzea il tipo di Apollo e nel rovescio un obelisco. Sulle monete imperiali appare la testa dell'eroe Byzas barbato con elmo e una nave nel rovescio. Si hanno varie divinità: Tyche, Asklepios ed Igea, Iside, sotto Caracalla, Nemesi, Europa oppure Artemide Selene con il capo velato su un toro cavalcante sopra l'acqua. Nel III sec. si ha un'unione monetale con Nicea.
Costantinopoli. - Bisanzio nella lotta fra Licinio e Costantino partecipò per il primo, che fu sconfitto nel 324 d. C. dando al secondo il potere su tutto l'Impero. Costantino punì la città, come già aveva fatto Settimio Severo, esiliando i più importanti cittadini ed iniziando la demolizione delle mura; ma ben presto la città risorse ancora una volta più splendida perché l'imperatore stesso decise di farne la capitale dell'Impero per ragioni strategiche e politiche. Dalla nuova sede si potevano meglio sorvegliare le vaste ed inquiete frontiere orientali, e, abbandonando la vecchia Roma, più facile era svincolarsi dalle tradizioni pagane, dall'influenza della vecchia aristocrazia conservatrice.
L'imperatore dette il proprio nome all'antica Bisanzio greca trasformandola in Κωνσταντινού-πολις o Κωνσταντίνου πόλις sebbene il nome Βυζάντιον seguiti ad essere usato in molti scrittori bizantini. Gli abitanti furono detti Romani, ῾Ρωμαῖοι, sebbene più comunemente fossero designati come Βυζάντιοι. Mentre da un lato Costantino abbandonava l'antica Roma, dall'altro ne richiamava intenzionalmente molti aspetti dando alla città l'appellativo di Nuova Roma (Nova Roma, Νέα ῾Ρώμη) detta anche Seconda Roma (Secunda Roma, Δευτέρα ῾Ρώμη) o anche Βυζαντιὰς ῾Ρώμη, ἡ ἑῷα ῾Ρώμη.
In analogia con Flora romana, Costantinopoli fu detta Fiorente (᾿Ανϑοῦσα) e molti altri appellativi troviamo nelle fonti come Regina (βασιλίς, β ασιλεύουσα πόλις; ἡ βασιλὶς μεργαλόπολις; ϑεοϕύλακτος).
Il decreto che conferiva alla città tutti i diritti e i privilegi dell'antica Roma fu inciso su una stele posta nello Stratègion. Sulla data della fondazione non si hanno concordi notizie. Temistio (Orat., 303) dice che Costantino avrebbe dato allo stesso tempo la porpora al figlio Costanzo II e la cinta di mura alla città nel 324; è probabile che in occasione dei Vicennalia del 325 abbia cominciato a ricostruire e abbellire la città e che il 26 novembre del 328 abbia iniziato la costruzione delle mura. Comunque l'inaugurazione ufficiale avvenne l'11 maggio del 330 e a questa data ogni anno si festeggiò la nascita della città (τὰ ἐγραίνια, Fr. Hist. Gr., iv, 154). Quaranta giorni durarono le feste dell'inaugurazione con cerimonie di carattere sia pagano che cristiano, con una pompa circensis e con il canto del Kyrie eleison.
La città costantiniana. - La nuova cerchia di mura costantiniane cinse la città sia lungo il mare sia attraverso la terra con un ampliamento di circa km 2,800 verso occidente. I Patria (Preger, i, 141-142) descrivono la cinta dicendo che fu prolungata dalla Torre di Eugenio fino a S. Antonio sul lato N, e dai Tòpoi alla Chiesa della Theotokos della Rhabdos (che era sul litorale della Propontide) a S, che la cinta terrestre saliva dalla Rhabdos all'Exakiònion, poi scendeva fino all'antica Porta del Precursore, al Monastero di Dios e al quartiere di Ikasia; avanzando fino alla cisterna di Bonus e ai SS. Manuele, Sabele e Ismaele, stendendosi poi verso il quartiere di Harmatios fino a 5. Antonio. Questi i dati topografici bizantini che rimangono molto imprecisi, e in base agli elementi che finora si hanno a disposizione si è tentato da varî studiosi di tracciare un percorso approssimativo delle mura costantiniane, che rappresentarono un grandioso sviluppo della città severiana. Il quartiere dell'Exakiònion (τὸ ᾿Εξακιόνιον), nome che dapprima fu forse ‛dato a una larga parte della fascia tra le mura di Costantino e quelle posteriori di Teodosio II, era a N-E del quartiere detto Sigma, più ad O di quello detto Xeròlophos (Ξηρόλοϕος), dove sorgerà il Foro di Arcadio, ed era traversato generalmente dai cortei trionfali; v'era una porta (ἡ πόρτα τοῦ ᾿Εξακιονίου) che si fa corrispondere a Isakapi, e si è pensato che ad essa debba riferirsi la citazione del Buondelmonti di una antiquissima porta pulchra. Accanto alla porta dell'Exakiònion si innalzava una colonna con la statua di Costantino insieme ad altre statue che furono poi distrutte dall'imperatore Maurizio. Dopo aver salito la VII collina nel quartiere dell'Exakiònion, la cinta scendeva nella valle del Lykos; è incerto se la Porta di Atalos, citata nelle fonti, appartenesse alle mura costantiniane (ἡ ᾿Ατάλον πόρτα). Una porta doveva comunque aprirsi a N del Lykos in corrispondenza del tratto settentrionale della Mese.
La città costantiniana, come l'antica Roma, fu divisa da Costantino in XIV regioni (regiones, ῥεγιῶνες, κλίμαστα) tenendo presenti la conformazione orografica, con le varie colline, le due linee delle mura greche e severiane, la rete stradale. Questa suddivisione regionale ci è nota dalla Notitia Urbis Constantinopolitanae, redatta sotto Teodosio II. L'organizzazione amministrativa comprendeva, come quella romana, un curator o ῥεγιωνάρχης dipendente dal praefectus Urbi, i vicomagistri e i collegiati o corpo di polizia, soprattutto per casi di incendî. Delle XIV regioni le prime cinque sono comprese dentro la cinta severiana, altre cinque fra questa e le mura di Costantino, due regioni erano suburbane, la XIII nella zona peratica oltre il Corno d'Oro nel promontorio opposto, dove era sorto il quartiere di Sykai (Συκαί), che risale al periodo greco e che si trasformerà poi nella Galata dei Genovesi nel XIII sec.; la XIV regione era a 1 km dalle mura costantiniane nel quartiere delle Blacherne, come una piccola città a sé stante, con amministrazione particolare, con una chiesa, terme, teatro e un palazzo imperiale.
Come l'antica Roma, la nuova città ebbe un Capitolium (τὸ Καπετώλιον: Preger, 18), due sedi del Senato, una nel lato orientale dell'Augusteon e una presso il Foro di Costantino, ambedue molto sontuose, il Pretorio (Πραιτώριον) ad E del Foro di Costantino, un Mìlion che corrispondeva al Milliarium Aureum di Roma (τὸ Μίλιον), l'ufficio del questore, il Quaestòrion (κυαιστόριον), e i Fori monumentali. Costantino nelle monete vuoi apparire come Restitutor e come Conservator Rei Publicae. Come i grandi predecessori avevano fatto per Roma così Costantino crea un grande Foro nella Nuova Roma, che diverrà il Foro per eccellenza (ὁ Θόρος) e lo impiantò subito fuori della cerchia di Settimio Severo nell'area di una necropoli ellenistico-romana, allo sbocco occidentale della grande via porticata severiana, che Costantino prolungò ad oriente fino al Palazzo Imperiale con il portico detto Regia (῾Ρηγία) o più precisamente ῾Ρηγία τοῦ Παλατίου. Il Chronicon Paschale (P. L., xcii, 705 A, 709 A), lo dice ricco di statue e di marmi e Zosimo (Bonn 140) lo chiama βασίλειος στοά; vi stavano gli scrivani pubblici (Agathias, 138, Bonn), vi si preparavano i processi (Proc., De aedif., i, 11, Bonn iii, 206) e come tutti gli edifici di questa zona brucerà nella rivolta del Nika del 532. Per il suo Foro, invece della forma rettangolare più comunemente usata sia in Italia sia per l'agorà di tradizione greca ellenistica, scelse quella circolare che aveva già trovato formulazioni monumentali nelle città asiatiche. Le fonti cercheranno varie spiegazioni per questa forma, dicendola ispirata a quella della tenda dove Costantino si accampò dinanzi alle mura severiane di Bisanzio, oppure a quella dell'Oceano (Preger, ii, 174; iii, 318), ma è piuttosto da ricollegare alle agorài di centri carovanieri microasiatici orientali, le quali, inserendosi sul percorso dell'arteria maggiore colonnata o all'incrocio di due arterie, assumono questo impianto curvilineo per raccordarsi più strettamente con la via, di cui rappresentano quasi un allargamento monumentale. Mentre si cerca di non far attraversare in pieno dalla corrente di traffico il Foro rettangolare e l'agorà di tipo quadrangolare o isolandoli del tutto, o scartandoli su un lato della direttrice del traffico, o limitandone l'attraversamento a una parte, l'agorà circolare nelle città microasiatiche, come Gerasa o Apamea, è incrociata dal traffico e un tetràpylon ne costituisce il fuoco centrale, la nota monumentale che con il quadruplice fornice sottolinea la funzione di incrocio e di attraversamento. Il Foro circolare costantiniano era sorto al limite della via colonnata severiana, in stretto collegamento con essa, costituiva una zona monumentale della Mese, e pare che due archi o porte grandiose ne segnassero gli accessi; su quello occidentale si leggeva l'epigramma: "Menas ha fatto quest'opera aurea per tutti i passanti, glorificando la città degli imperatori ricchi d'oro" (Anth. Pal., ix, 785). Da uno degli archi sembra che provenga un frammento decorativo con gorgonèion, trovato nel 1870 ed ora nel museo di Istanbul. Intorno alla piazza si stendevano portici e tutta l'area era pavimentata di lastre tanto che il Foro era detto Plakotòn (Πλακωτόν, o Πλακωτὸς Θόρος). Nella piazza Costantino innalzò la grandiosa colonna porfirea ancora in gran parte conservata, ora detta la Colonna Cerchiata (ÇemberiitaŞ) per gli incendi che ha subìto, e che costituisce un importante riferimento topografico (ὁ πορϕυροῦς καὶ περίβλεπτος λίων: Hes. Mil., 4, 41). Le fonti narrano che Costantino avrebbe racchiuso nel basamento molte venerande reliquie di santi, i pani dell'eulogia, le croci dei ladroni, vasi di profumi e anche il pagano Palladio di Roma. Il basamento e la parte inferiore del fusto sono oggi nascoste da un rivestimento di muratura fatto per consolidamento nel 1799 dal sultano Abdul-Hamid I; il livello attuale del suolo è inoltre sollevato di circa m 2,15 rispetto a quello antico, che era pavimentato. C'erano quattro gradini di pietra e una piattaforma quadrata larga m 8 con balaustra, e altri gradini circondavano la base della Colonna, il cui fusto era costituito da 9 rocchi di porfido incastrati uno nell'altro con giunture mascherate da corone, le cui foglie erano un tempo placcate d'oro. Sembra che i rocchi di porfido provenissero da Roma (Preger, Il, 257). Ne rimangono oggi otto dei quali visibili soltanto 6, cerchiati di ferro, e la Colonna in origine doveva raggiungere i 36 metri di altezza secondo i calcoli di P. Gylies. Sopra il capitello, forse corinzio, era collocata la statua bronzea di Costantino con tratti apollinei per il culto prestato ad Apollo dalla seconda dinastia flavia (δίκην ἡλίου προλάμποντα τοῖς πολίταις: Hes. Mii., 4, 41). La statua reggeva nella mano destra il globo sormontato dalla croce e contenente una reliquia della vera Croce (Niceph. Call., vii, 49; P. G., cxlv, 1325 C D; Socr., 1, 17; P. G., lxvii, 120 B), nella destra aveva lo scettro o la lancia, che cadde per un terremoto nel 541 o 542 (Cedr., 1, 656, Bonn; P. G., cxxi, 716 B) e nell'867 cadde anche il globo (Leo gramm., 254, Bonn; P. G., cviii, 1035 C). La statua cadde insieme ai rocchi superiori del fusto per un ciclone nel 1105 (Mychael Glycas, 617 Bonn; P. G., clviii, 616 B) e fu rimpiazzata da una croce. Manuele I Comneno restaurò la Colonna con un capitello corinzio e fece incidere sulla terza assise l'iscrizione: "Manuele, pio imperatore, ha restaurato quest'opera divina rovinata dal tempo"
Τὸ ϑεῖον ἔργου ἐνϑάδε ϕϑαρὲν χρόνῳ
Καινεῖ Μανουὴλ εὐσεβὴς αὐτοκράτως.
Intorno alla base furono costruite, non sappiamo precisamente in quale epoca, quattro arcate coperte da tetto a spiovente, formando delle specie di cappelle; una fu dedicata a S. Costantino e dentro questi vani dovettero essere conservate le immagini della Vergine, dei Santi Mitrofane, Alessandro, Paolo.
È molto probabile che un disegno di M. Lorichs nel Gabinetto delle Stampe di Copenaghen, datato al 1561, ci conservi la scena che decorava la faccia principale della base della Colonna di Costantino, perché l'imoscapo del fusto appare decorato da una plastica corona di alloro con una gemma centrale che richiama quelle sui giunti dei rocchi porfiretici. Anche la scena ben si adatta presentando in alto entro una corona un busto imperiale con corona di raggi, sbarbato, che potrebbe essere un'immagine di Costantino, che appariva come Helios nella statua sopra alla Colonna. Ai lati sono due Vittorie con chitone altocinto che tengono un trofeo appoggiato alla spalla e con la mano spingono avanti due figure di fanciulli con exomìs che avanzano verso il centro recando una coppa colma di monete e che hanno alle spalle due figure di barbari; a sinistra un persiano con tiara, tunica e mantello e a destra un germano barbato con simile costume; ambedue spingono con la mano i due fanciulli che portano il tributo, simboleggiando l'omaggio dei popoli soggetti, d'Oriente e d'Occidente, all'Impero. La figura femminile, seduta su un ricco trono ornato di protomi d'ariete, vestita di tunica e con le mani sul grembo, rappresenta probabilmente la Tyche di Costantinopoli, che trova confronto sulle monete. Attraverso lo stile manierato del disegnatore olandese, che ha sfinato e allungato le figure, dando ai barbari quasi l'aspetto di vescovi o di santi, l'iconografia, la sintassi e il contenuto aderiscono a una decorazione allegorica costantiniana riferibile alla base della Colonna porfiretica.
Si ha notizia di molte opere d'arte che furono in varî tempi poste a decorazione del Foro: c'era un gruppo di Costantino e della madre Elena, una Croce monumentale innalzata dallo stesso Costantino, la Tyche della città con modio, due statue di corridori, dodici colonne porfiretiche sostenenti statue di Sirene, la statua di un elefante di cui si raccontava che per un terremoto si sarebbe spezzata rivelando all'interno un'iscrizione riferentesi al culto di Afrodite; inoltre varie statue di animali attribuite ad Apollonio di Tiana (Preger, 30-31; ii, 16o, 204, 210).
Sembra che la Colonna porfirea non si elevasse proprio al centro della piazza, ma che fosse spostata su un lato, perché abbiamo la testimonianza della Vita Constantini (iii, 48) che ricorda nel mezzo del Foro una fontana con simboli del Buon Pastore e con Daniele fra i leoni dorati, ma forse piuttosto da interpretare come Orfeo fra gli animali. Ornava il Foro anche una colossale statua bronzea di dea, un originale classico che fu fuso nel 1204 dai Crociati (Niceta Chon., 856 Bonn; P. G., cxxxix, 1044 B), ed è ricordata inoltre una statua di Paride.
Oltre alla creazione di questo nuovo sontuoso Foro circolare Costantino rinnovò anche l'antica agorà che era divenuta il Tetràstoon severiano, dedicandola alla madre Elena proclamata Augusta, onde la piazza si chiamò Augustèon (Αὐγουστέων, Αὐγουστεῖον, Αὐγουσταῖον).
Nella piazza innalzò su una colonna di porfido la statua di Elena (Preger, 17; ii, 138); vi sorsero anche le colonne con le statue di Costantino stesso con ai piedi quelle dei suoi tre figli, di Licinio e di Giuliano l'Apostata. L'Augustéon corrisponde all'incirca all'attuale piazza di S. Sofia, che è ad un livello di m 2,50 più alto dell'antico.
A Costantino spetta anche la fondazione del Palazzo Imperiale (τὸ μέγα παλάτιον, τὰ βασίλεια, τὰ ἀνάκτορα) che si svilupperà attraverso più secoli fino a raggiungere il massimo splendore nella seconda metà del X sec., divenendo un sontuoso e vasto complesso di varî edifici monumentali, con giardini, cortili, terrazze, chiese, come il Vaticano, o il Cremlino, o il Serraglio dei Sultani, che vi si impianterà in gran parte sopra e che lo sostituirà. Il Palazzo fu il cuore della vita politica dell'Impero d'Oriente, e il Libro delle Cerimonie, scritto da Costantino VII Porfirogenito, costituisce la fonte principale per le nostre conoscenze su questa fastosa dimora, ma è difficile enucleare dalla tradizione letteraria gli elementi dell'impianto e della decorazione che risalivano a Costantino. Sembra che costantiniana fosse la Chalkè (ἠ Χαλκή) così detta dalla porta bronzea d'ingresso alla dimora imperiale, mentre Cedreno (1, 647, Bonn; P. G., cxxi, 709 C) riferisce questo nome al tetto di bronzo dorato. Annesso alla Chalkè era il corpo di guardia, ma tutto l'edificio bruciò nella rivolta del 532 e fu ricostruito da Giustiniano. Un antico nucleo costantiniano era il Palazzo di Daphne con varie costruzioni, terrazze, portici e con la sala di rappresentanza detta Augusteus (Αὐγουστεύς).
Costantino portò a compimento la costruzione dell'Ippodromo impiantato da Settimio Severo, completando le gradinate (di cui resti su sostruzioni a vòlta si sono trovate nelle fondazioni del Palazzo di Giustizia), gli ambulacri, le metae. Secondo le osservazioni del Mamboury Costantino avrebbe allargato le gradinate e nel tratto orientale scoperto le avrebbe portate da m 20,50 del periodo severiano a m 31,50, creando un corridoio esterno largo m 9,60 limitato esternamente da un muro largo m 1,30, il cui modesto spessore ha fatto supporre un tetto ligneo. Questo corridoio era pavimentato di calcare azzurrognolo e serviva anche come luogo di mercato. In questo corridoio sboccava un portico a colonne, pavimentato di marmo, che si staccava forse dalla Mese, ed essendo a un livello più alto, era raccordato al corridoio con quattro gradini larghi m 3,85. Nella zona ad O di questo portico sono venuti in luce i resti di un bagno e una natatio ovale di periodo tardo, posteriore forse al V sec. d. C.; il bagno serviva probabilmente agli inservienti dell'Ippodromo. Secondo il Mamboury la larghezza complessiva dell'Ippodromo sarebbe stata di m 123,50 e dell'arena m 79,50; S. Casson dà m 117,5. La lunghezza complessiva dell'Ippodromo rimarrebbe più incerta ed è calcolata di circa m 450, dei quali 400 per l'arena, 22,50 per la sphendòne e il resto per i carceres. Questi ultimi, che delimitavano l'Ippodromo sul lato N, dovevano rimanere sempre aperti, perché il monumento costituiva anche un luogo di ritrovo e una passeggiata pubblica. Sopra ai carceres doveva elevarsi il tribunal per il presidente dei giochi con ai lati le logge per i funzionari dell'Ippodromo. Una parte sopraelevata sopra ai carceres corrispondente all'oppidum del Circo Massimo di Roma, era coronata dalla quadriga bronzea attribuita a Lisippo, che, secondo i Patria, sarebbe stata portata da Chio sotto Teodosio II; secondo altre fonti sarebbe stata ceduta da Corinto a Roma che la donò a Bisanzio, oppure sarebbe neroniana e trasportata da Roma per opera di Costantino. Il doge Dandolo nel 1204 la portò a Venezia e i quattro cavalli ornano ancora la facciata di S. Marco.
Alcuni studiosi hanno confuso la loggia sopra ai carceres con il Kàthisma imperiale, che è invece da collocare sicuramente sulla metà del lato E dell'Ippodromo, come per primo dimostrò il Piganiol, seguito dal Vogt, e cioè in faccia ai Demi che occupavano il lato occidentale. Come ci attesta il Chronicon Paschale (528) Costantino costruì il Kàthisma a imitazione di quello di Roma, collegandolo con il Palazzo Imperiale per mezzo di una scala a chiocciola. Il Kàthisma stesso faceva inoltre parte di una costruzione grandiosa, un vero e proprio palazzo che i Patria (Preger, ii, 256) chiamano τὸ παλάτιον τοῦ ᾿Ιππικοῦ e il Libro delle Cerimonie τὸ παλάτιον τοῦ Καϑίσματος (1, 73, 364), costituito da un piano terreno e due piani, e presentante un corpo avanzato con la loggia imperiale e due ali, per una lunghezza complessiva di circa 80 m, dotato di un salone di rappresentanza, di camere, anticamere, vestiboli, logge e gallerie per i dignitari e per la corte, come ha dimostrato il Guilland.
Probabilmente, come pensano il Mango e il Janin, nella zona immediatamente a N dell' Ippodromo e a O delle Terme di Zeuxippos è da collocare il quartiere detto Duppion, dove il Vogt pensa che fossero le scuderie degli Azzurri e dei Verdi e che, comunque, sembra collegato ai cavalli da corsa. Costantino abbellì l'Ippodromo con una ricca serie di opere d'arte, predate da tutte le parti dell'Impero, da Nicomedia, Cizico, Cesarea, Tralles, Sardi, Cipro, Creta, Rodi, Chio, Attalia, Smirne, Seleucia, Tiana, Iconium, dalla Sicilia (Preger, ii, 169; iii, 278). Un insigne monumento storico predato da Costantino era poi il tripode di Platea asportato da Delfi e collocato nell'Ippodromo a decorare la spina nel luogo dove ancor oggi rimane (Burmali direk). Era stato eretto nel santuario delfico nel 479 a. C. dai Greci confederati vittoriosi a Platea sui Persiani ed è costituito da un sostegno formato dalle spire di tre serpenti bronzei avvolti insieme come una colonna tortile, le cui code divaricate formano la base, e i cui colli allargandosi e curvando a collo di cammello a circa m 6,50, terminavano nelle teste piegate ad angolo all'infuori radialmente per sostenere il tripode aureo con un vaso del diam. di m 3, che era già scomparso prima del trasporto a Costantinopoli, rubato dai Focesi tra il 355 e il 345 a. C. Le tre teste furono progressivamente rovinate e mutilate dai Turchi dal sec. XVII in poi, mentre P. Gylles le aveva descritte ancora intatte verso il 1540, come altri viaggiatori della prima metà del sec. XVII, ma il Du Loir verso la metà dello stesso secolo notava che una delle teste era stata spiccata, lo Spon nel 1678 dice che la mascella inferiore di una testa era sparita, perché rotta dal sultano Murad IV, e nella prima metà del XVIII sec. l'Ottar dice che tutte e tre le teste sono tagliate. Una mascella superiore si conserva oggi nel Museo Arch. di Istanbul. Il sostegno serpentino doveva essere alto senza teste circa m 8; comprendeva 29 giri, nei quali, dal 30 al 130, sono incisi i nomi delle 31 città greche partecipanti alla guerra, scoperti e letti durante i restauri del 1856. Gli scavi del Casson nel maggio del 1927 hanno dimostrato che il sostegno bronzeo non poggia su fondamenta bizantine ma su una base che copre una canalizzazione tarda e quindi fu collocato o riadattato in questo luogo soltanto più tardi e fu utilizzato come fontana. Nei saggi praticati lungo la spina non è stata messa in luce alcuna traccia di un muro, che pure è raffigurato sulla base dell'obelisco di Teodosio. Il Buondelmonti nel ricordare l'Ippodromo dice riguardo alla spina che non altus erat murus, ma finora non se ne è trovato alcun avanzo. Sembra che nelle fonti bizantine la spina sia sempre chiamata Euripo, nel quale sono ricordate varie statue, fra cui quella bronzea di Scilla. Non doveva infatti mancarvi l'acqua, perché tanto l'obelisco di Teodosio, quanto quello di Costantino VII in muratura, quanto anche la colonna serpentina di Platea erano stati tutti adattati a fontane. Il Libro delle Cerimonie invece sembra l'unica fonte che dà il nome di Euripo al canale o corridoio che girava davanti alle gradinate nell'arena, come nel Circo Massimo di Roma. Questa distinzione delle fonti, proposta da C. A. Mango, non è accettata da tutti e il Vogt, ad esempio, pensa che l'Euripo fosse il corridoio intorno all'arena, diviso in sette settori chiusi da balaustre all'altezza del petto (σϑήϑη). Disegni del Panvinio e di altri mostrano ancora le colonne del Perìpatos sopra alla sphendòne.
Il grande Ippodromo non veniva coperto dal velano. Un piccolo Ippodromo coperto sorgerà invece dentro il complesso del Palazzo Imperiale, così come accanto al Circo Massimo in Roma esisteva il piccolo Stadio di Domiziano sul Palatino accanto ai palazzi imperiali. Costantino restaurò anche le Terme di Zeuxippos costruite da Settimio Severo, inaugurandole l'11 maggio del 330. Erano colme di opere d'arte di tutte le epoche e di tutte le tecniche; 75 raffiguravano varî personaggi dell'antichità (Anth. Pal., i, 23-36 Dübner; i, 60-79 Watz), letterati, filosofi, retori, strateghi (Cedren., i, 647-648 Bonn; P. G., cxxi, 705 C). Due basi rotonde iscritte che recavano statue di Ecuba e di Eschine provengono dagli scavi della zona. Le terme bruciarono nel 532, e furono restaurate da Giustiniano (Proc., De aedif., 1, 10, Bonn, iii, 202).
Non sappiamo con sicurezza se risalissero a Costantino i Portici Troadensi (οἱ Τρωαδήσιοι ἔμβολοι), così detti dai marmi della Troade che vi erano impiegati, e che sono ricordati dalla Notitia nella XII regione; sappiamo che furono danneggiati nel terremoto del 480 (Marcell. com., P. L., li, 932 D; F. W.Unger, 130-131); erano ad O del Foro di Arcadio.
Costantino dovette preoccuparsi anche dall'approvvigionamento dell'acqua per la città (Nicephor. Call., Hist. eccl., viii, 4; P. G., cxlvi, 20 A) e sappiamo che istitui magistrature delle acque (ταμεῖα ὑδάτων) e fontane (κρηναί), mentre Esichio parla addirittura di un acquedotto; forse creò canalizzazioni sotterranee. A Costantino viene attribuita la costruzione di una cisterna presso la Basilica, detta appunto Cisterna Regia (Βασιλικὴ κιστέρνα), che doveva trovarsi in faccia a S. Sofia (Preger, 67; ii, 171), e che poi Giustiniano avrebbe ampliato e approfondito nel quadriportico della Basilica, ponendovi sopra una statua di Salomone seduto che contemplava mestamente S. Sofia (Procop., De aedif., 1, 10, Bonn iii, 206,43 Hury). P. Gylles ricercò questa cisterna e volle identificarla con quella esistente tuttora nella località e detta Yerebatan Sarayi.
All'epoca costantiniana le fonti attribuiscono altre cisterne; quella di Filosseno, che sarebbe stato uno dei nobili romani portati dall'imperatore nella nuova capitale (Preger, I, 147-148), era situata presso il Foro di Costantino tanto che P. Gylles l'ha identificata con la cisterna delle mille e una colonna (Bin-bir-direk), che altri considerano, invece, quella ricordata insieme alla chiesa dei Quaranta Martiri, e che il Diehl ha datata all'epoca di Giustiniano; secondo il Mamboury i bolli di mattone sembra che risalgano in parte alla metà del V secolo e altri all'epoca di Giustiniano, e che non si possa perciò riferire a Costantino. A un altro patrizio condotto da Roma, Modesto, alcune fonti attribuiscono un'altra cisterna nella XI regione (Preger, i, 148), ma sembra invece che questo personaggio fosse piuttosto Demetrio Modesto praefectus urbi nel 369 (Idatius, Fasti, P. L., li, 910 B C).
La Vita Constantini (iv, 59; P. G., xx, 1209 B), la cui attribuzione ad Eusebio è discussa, afferma che Costantino costruì un edificio termale intorno alla chiesa del SS. Apostoli; incerte sono altre notizie di costruzione di terme costantiniane come quelle dette Kàtoptron (τὸ Κάτοπτρον Preger, 1, 145), quelle dette dell' Oikonomìon (τοῦ Οἰκονομίου) vicine allo Tzykanistèrion (Preger, i, 145) con sette sale rappresentanti i pianeti e dodici portici rappresentanti i mesi; quelle Costantiniane (αἱ Κωνσταντινιαναί) con molte opere d'arte (Preger, 67), ma sembra che si debbano forse attribuire piuttosto a Costanzo perchè il Chronicon Paschale (1, 534-535; P. G., xcii, 721 A) specifica che la costruzione cominciò il 17 aprile del 345 sotto il consolato di Amanzio e di Albino, e Temistio nella XIII orazione dice che Costanzo stava costruendo un magnifico bagno a cui darà il proprio nome (λουτρά τε ἐπώνυμα οἰκοδομούμενος). La costruzione fu completata sotto il praefectus urbi Hierius e inaugurata il 3 ottobre del 427; vi erano molte opere d'arte fra cui le statue di Perseo e di Andromeda (Preger, 72).
A Costantino risalirebbe la costruzione della chiesa di S. Irene e della prima S. Sofia.
La città post-costantiniana. - Poco sappiamo sui monumenti che sorsero durante l'impero dei successori di Costantino, sotto i quali la città dovette peraltro estendersi anche fuori della cerchia costantiniana.
Sappiamo che Costanzo, oltre che della costruzione delle terme, si occupò di arricchire di manoscritti la Biblioteca pubblica, che doveva essere nei pressi del Milion e della Mese e che non risulta da chi era stata precisamente costruita (Themist., Or., xiii), e altri manoscritti donerà poi Giuliano l'Apostata (Zosim., iii, ii, Bonn 140). Valente, con legge dell'8 maggio del 372 (Cod. Theod., xiv, 9, 2) designò alla Biblioteca quattro eruditi greci e tre latini. Un incendio distrusse gran parte dei manoscritti nel 475 e l'edificio fu ricostruito sotto Zenone (479-491) che ricostitui anche la dotazione dei volumi (Anth. Pal., xvi, 70, 71).
A Giuliano l'Apostata Zosimo (iii, ii, Bonn 140) attribuisce la costruzione, durante i dieci mesi passati a Costantinopoli nel 362, di un porto con un porticato a forma di sigma lunato (λιμὴν τοῦ ᾿Ιουλιανοῦ). Il porto fu poi dragato sotto Anastasio nel 509, che costruì una diga, e poi, sotto Giustinò II, da Narsete e Troilo (Preger, ii, 184; iii, 229-230), e allora si chiamò porto di Sofia (τῆς Σοϕίας, τῶν Σοϕιῶν), dal nome della moglie dell'imperatore che vi pose le statue di tutta la famiglia. Era sulla Propontide e i Turchi l'adoperarono per le loro galere (Kadirgalimani) ma P. Gylles nel 1540 lo trovò interrato, e oggi è ridotto ad una piazza con abitazioni.
Valente nel 368, secondo Cedreno (i, 544 B), costruì il monumentale acquedotto che in gran parte tuttora sussiste (Bozdogankemeri) nella vallata tra piazza dell'Università e la Moschea del Conquistatore, cioè tra la terza e la quarta collina. Una tradizione riportata dalle fonti bizantine lo diceva costruito con i blocchi delle mura di Calcedonia, distrutta per aver partecipato alla rivolta di Procopio (Socrat., iv, 8; P. G., lxvii, 476; Zonar., xiii, 16; Niceph. Call., xi, 4; P. G., cxlvi, 593-596); anzi una di queste pietre avrebbe avuto un iscrizione profetica annunciante che presto sarebbe giunta acqua abbondante nella città. In realtà l'esame della struttura dell'acquedotto, compiuto dal Dalman, non ha mostrato tracce di materiale reimpiegato. Si ricorda (Hieron., Chron., 2389) che nell'anno 373 Clearco praefectus urbi Constantinopoli agnoscitur, a quo necessaria et diu expectata votis aqua civitati inducitur, e Socrate (iv, 8; P. L., lxvii, 477 A) dice che fu costruito un bacino (ὑδρεῖον μέγιστον) dove terminava l'acquedotto di Valente, vicino al luogo dove poi sorgerà il Forum Tauri di Teodosio, un vero e proprio Ninfeo (νυμϕαῖον) come lo chiamano Cedreno (i, 543 B) e Zonara (Epit., xiii, 16, 35 B) che deve perciò identificarsi con il Nympheum maius della Notitia nella regione X. André Thévet lo vide ancora nel 1553 e dice che l'acquedotto: "se dégorge dans un grand vaisseau de marbre pour l'usage public des citoyens" (Gosmographie du Levant, xix, 3, Lione 1554, p. 53). Recenti incendi hanno liberato l'acquedotto da case turche che lo soffocavano e la costruzione del viale Atatürk lo ha messo meglio in vista, valorizzandolo.
Valente costruì anche le Terme Carosiane (αἱ Καρωσιαναί) dedicate alla figlia Carosia nel 375 in presenza del prefetto del pretorio Vindammeus Magnus (Socrat., ii, 9; P. G., lxvii, 480 A; Chron. Pasch., 1, 556, 560 Bonn; P. G., xcii, 756 A, 760 C; Idatius, Fast.; P. L., li, 910); la Notitia le ricorda sulla terza collina nella VII regione, ma la loro precisa ubicazione ci è ignota. Socrate (iv, 9; P. G., lxvii 480 A) e Sozomeno (vi, 9; P. G., lxvii, 1317 A) attribuiscono a Valente anche le Terme Anastasiane (αἱ ᾿Αναστασιαναί) dicendole dedicate alla figlia dell'imperatore, Anastasia, mentre Ammiano Marcernno (Rer. gest., xxvi, 526 Nisard) le riferisce invece alla sorella di Costantino.
L'acquedotto di Valente fu restaurato da Giustino II nel 576 (Cedren., 1, 685, 9 Bonn; P. G., cxxi, 784 B) insieme all'acquedotto di Adriano (τὸυ μέγαν ἀγωγὸν τοῦ Οὐάλεντος καὶ τὸν ἔτερον ἀγωγὸν τὸν λεγόμενον ᾿Αδράνην corruzione di ᾿Αδριανέιον) e poi in seguito da Costantino V nel 758, da Basilio II nel 1019, dai sultani Solimano I e Mustafà lì. Dal lato della quarta collina una parte dell'acquedotto fu distrutta nel 1912. Complessivamente in origine l'acquedotto era di circa m 1000, oggi ridotto a m 920. Dal 17° arco è a due piani di arcate fino a una altezza di m 18,50, largo da m 3,40 fino a m 5,65. I blocchi del piano inferiore sono più grandi di quelli del superiore; sono tenuti da grappe di ferro. Due strade passavano attraverso l'acquedotto. Fu sempre il principale della città, detto "dalle grandi arcate" (μεγάλαι ἀψίδες, οὐράνιαι καμάραι, Preger, ii, 188). Valente era stato proclamato imperatore nel 364 in Hèbdomon (v.), sobborgo che già in questo periodo doveva avere un palazzo imperiale, e ove Teodosio I costruirà la chiesa di S. Giovanni Battista.
La città di teodosio i. - Con Teodosio I Costantinopoli riceve un nuovo impulso edilizio monumentale. L'imperatore, riprendendo il programma dei grandi predecessori d'Occidente che avevano sviluppato la serie dei Fori monumentali di Roma, impianta un nuovo Foro detto Forum Tauri (ὁ Ταῦρος), sempre sulla linea della grande arteria della Mese, dotando così la città di un altro centro architettonico imponente, ad occidente di quello di Costantino.
L'impianto richiese ampî lavori di livellamento e la terra di risulta fu scaricata nel porto di Eleutherios (Preger, ii, 184; iii, 248); furono demolite anche alcune case del luogo detto Alonìtzion (᾿Αλωνίτζιον), che servivano ad ospitare ambasciatori stranieri e che erano state erette al tempo di Costantino (Preger, ii, 176; iii, 216). Nel 386, secondo Teofane (1, 70), Teodosio collocò, cioè votò, la Colonna coclide istoriata nel suo Foro, che fu inaugurato nel 393, e nell'agosto del 394 dedicò una grandiosa statua equestre all'incrocio di strade (κατ᾿ ἄμϕοδον) forse dinanzi al Foro (Ghron. Pasch., 565 Bonn; P. G., xcii, 776 B). Egli, oriundo di Spagna, voleva anche nella creazione del suo Foro riallacciarsi alla tradizione del grande compatriota e predecessore nell'impero, Traiano. Non sappiamo se la pianta di questo Forum Tauri richiamasse in qualche elemento quella traianea; sembra che ci fossero due absidi (ὀψίδες), che altri ha inteso meno verisimilmente come archi; comunque la Colonna coclide istoriata (v. colonna coclide) era un chiaro riferimento a quella traianea, di cui imitò la struttura, e anche la grande statua equestre nell'incrocio richiamava quella di Traiano che si ammirava nel centro del Foro di Roma. Nel mezzo del Forum Tauri c'era invece un'altra statua equestre, che nelle fonti è detta ora Giosuè ora Bellerofonte, portata da Antiochia, con rilievi sulla base indicanti profeticamente gli ultimi avvenimenti della città, e che fu fusa dai Crociati nel 1204 (Nicet. Chon., 856, Bonn; P. G., cxxxix, 1044 B; Preger, ii, 176).
La statua equestre di Teodosio aveva sulla base un epigramma conservatoci nell'Anthologia Palatina (xiv, 65): "Tu sorgi dall'oriente come un altro Sole, o Teodosio, illuminando con i tuoi raggi i mortali, e tu, mite d'animo, avendo ai piedi l'Oceano e la vasta distesa della Terra, con l'elmo splendente, domi facilmente il tuo bel cavallo impetuoso". È probabile che le due figure dell'Oceano e della Terra fossero sdraiate ai lati della statua e sostenessero con le mani i piedi dell'imperatore (παρὰ ποσσίν), a somiglianza dello schema iconografico dell'avorio Barberini (Delbrück, Die Consulardiptychen, n. 48) piuttosto che pensarle come rilievi sulla base. Cedreno (i, 566, Bonn; P. G., cxxi, 617 D) precisa che l'imperatore aveva il braccio destro proteso verso la città indicando i trofei scolpiti. Con questi trofei devono intendersi i rilievi trionfali scolpiti sul fregio della Colonna coclide, che doveva perciò trovarsi non lontano dalla statua equestre. Anche i rilievi della Colonna passavano nella tradizione bizantina come annuncianti la storia futura della città (Preger, ii, 176-177). La statua di Teodosio sull'alto del fusto cadde per un terremoto nel 480, nel 506 fu rimpiazzata da una di Anastasio, forse distrutta nel 512, per la sua damnatio memoriae.
L'ubicazione del Forum Tauri è stata potuta fissare nel luogo della Piazza Bayazid II, che secondo la testimonianza di P. Gylles (iii, 6) distrusse la Colonna per far posto ai Bagni da lui costruiti, nei quali infatti sono stati messi in opera alcuni frammenti del fusto, ora in parte nel Museo Archeologico di Istanbul, ma nulla di preciso si sa sulla pianta e sulla estensione del Foro per mancanza di scavi regolari e di una registrazione dei varî trovamenti sporadici fatti nel sottosuolo.
Nel lato meridionale dell'area nel 1928 si misero in luce le parti inferiori di piloni di un arco marmoreo fronteggiati da colonne con fusto modellato a clava, con ricche cornici attribuibili all'epoca di Teodosio. L'arco è stato ricostruito erroneamente ora a tre fornici, ora come un tetràpylon, ora lo si è considerato, altrettanto poco verisimilmente, come una delle due ἀψίδες ricordate nelle fonti. È probabile che costituisse uno degli ingressi monumentali al Foro. Nelle due ἀψίδες, che sono da intendere come absidi vere e proprie, sappiamo che s'innalzavano le statue di Arcadio e di Onorio, rispettivamente in quella E e in quella O, su basi di blocchi quadrati (Preger, ii, 176); quella di Arcadio, eretta nel 425 (Marcell. com., P. L., li, 924 C), cadde il 14 dicembre del 558 (Theophan., i, 231). Le fonti bizantine ricordano anche varie opere d'arte esistenti nel Foro come la statua equestre di Aspare (Preger, 30; ii, 204), un gruppo di insetti bronzei opera di Apollonio di Tiana, distrutti da Basilio il Macedone (Preger, iii, 221), quattro statue femminili provenienti dall'Artemìsion di Efeso.
Vicino alla Colonna istoriata si usava ricevere gli ambasciatori (Preger, ii, 176), uso forse che ripeteva la tradizione del tempo di Costantino.
Sul lato S della piazza Bayazid si sono scoperte, a 10 m di profondità, sostruzioni con due corridoi sovrapposti, lunghe una quarantina di metri, attribuite ai terrazzamenti creati sulle pendici meridionali della terza collina per l'impianto del Foro. Sempre sulle pendici S altri muri di sostegno sono stati scavati nel 1948, attestando un sistema di quattro terrazze digradanti verso il mare. A N del Foro nel punto più elevato della terza collina, a quota 6o m, rimane nella corte dell'attuale Università la cisterna che si attribuisce al ninfeo dell'acquedotto di Valente.
Una statua grandiosa, forse d'argento, fu eretta a Teodosio su una colonna nell'Augustèon nel 390 secondo Marcellino comes (P. L., li, 919 D), e ai piedi erano le statue dei figli Arcadio e Onorio (Preger, 65). Zonara (xiv, 6, Teubner iii, 274) attribuisce il monumento a Teodosio II e dice che la statua pesava 7400 libbre; Giustiniano demolirà poi la colonna di Teodosio rimpiazzandola con un proprio monumento equestre.
Varî edifici sorgevano intorno al Forum Tauri; la Notitia cita nell'VIII regione la Basilica di Teodosio, e si dice che nel terremoto del 447 caddero grossi blocchi nel Foro; notizia che fa appunto pensare all'esistenza di edifici monumentali (Marcell. com., P. L., li, 927 D).
A Teodosio si deve anche l'abbellimento della spina dell'ippodromo con l'erezione dell'obelisco egiziano che tuttora vi rimane (DikiltaŞ = pietra ritta). L'obelisco di granito di Syene, monolitico, misura m 19,59, ma, come mostrano le iscrizioni geroglifiche, manca di una parte inferiore per circa due quinti dell'altezza originaria. Era stato eretto ad Heliopolis in onore di Thutmosis III della XVIII dinastia e le iscrizioni celebrano le sue imprese. Già Costantino aveva richiesto agli Egiziani un obelisco per decorare la spina dell'Ippodromo, senza ottenerlo, e Giuliano l'Apostata aveva rinnovato la richiesta in una lettera agli Alessandrini (Hertlein, ii, n. 57) sollecitando l'invio di τριγώνου λίϑου χαράγματα ἔχοντος Αἰγύπ-τια. L'obelisco, come ha riconosciuto il Breasted, è riprodotto sulla parete con gli annali del tempio di Ammone a Karnak in bassorilievo, dal quale possiamo ricostruire l'altezza originaria. La data dell'erezione nell'Ippodromo è testimoniata da Marcellino comes (Mommsen, Chron. min., ii, 62) che all'anno 390 registra: Valentiniano Aug. IV et Neoterio coss. ... obeliscus in circo positus est. L'obelisco era sormontato da una pigna bronzea che cadde nel terremoto dell'865 (Nicetas Paphlagonius, v, Parigi 1714, Vita s. Ignatu, p. 989). È ricordato dal Buondelmonti e da molti altri viaggiatori; i rilievi della base furono designati da M. Lorichs.
Poggia sopra un canaletto largo cm 30, prof. cm 50 che corre lungo l'asse della spina, con un gradino basamentale di calcare sul quale sta la base marmorea inferiore che reca le due iscrizioni, latina a S-E e greca a N-O:
Difficilis quondam dominis parere serenis
iussus et extinctis palmam portare tyrannis
omnia Theodosio cedunt subolique perenni.
Ter denis sic victus ego domitusque diebus
iudice sub Proclo su[pera]s elatus ad auras
Κίονα τετράπλευρον, ἀεὶ χϑονὶ κείμενος ἄχϑος,
μοῦνος ἀναστῆσαι Θευδόσιος βασιλεὺς
τολμήσας Πρόκλος ἐπεκέκλετο . καὶ τόσος ἔστη
κίων ἠελίοις ἐν τριάκοντα δύο.
Da queste due iscrizioni si deduce che si erano avute difficoltà nell'erezione dell'obelisco in precedenza, che era stato a lungo giacente a terra e che finalmente l'operazione ardua era riuscita sotto Teodosio durante la prefettura di Proculo o Proclo in trenta giorni secondo l'iscrizione latina, in trentadue secondo la greca, differenza dettata forse da semplici ragioni metriche. Il nome di Proclo è stato scalpellato e riscritto in ambedue le epigrafi e poiché sappiamo che questo prefetto cadde in disgrazia per gli intrighi di Rufino e fu allontanato nel 392, è verisimile che la damnatio memoriae con la rasura del nome cada in quest'epoca e che, dopo la sua riabilitazione sotto Arcadio nel 396, sia stato reinciso. La palma per gli estinti tiranni è da riferire alla vittoria sugli usurpatori Massimo e Vittorio, mentre l'espressione subolique perenni fa pensare ad Arcadio. Gli studiosi sono arrivati a contrastanti opinioni nel tentativo di metter d'accordo questi dati storici con quelli deducibili dall'analisi del monumento e delle sue vicende.
La base marmorea inferiore con le iscrizioni sorge su un'ampia piattaforma che si alza con due alti gradini sul livello del terreno (della spina). Misura m 3,87 e m 3,84 sui lati N-O e S-E, e m 3,77 e 3,76 sui lati N-E e S-O; forma una rientranza sulla faccia superiore, larga circa cm 30, sui primi due lati e cm 40 sugli ultimi due; dopo la quale si eleva con un nucleo centrale alto cm 55 leggermente a sguscio, che è decorato con una serie di scanalature verticali arrotondate in alto con rosette superiori, e i cui quattro angoli sono stati scalpellati per inserirvi quattro blocchi di granito rosa egiziano, che sembra abbiano avuto la funzione di rinforzare questi angoli e di allargare il piano di posa per la base marmorea superiore sui lati S-E e N-O, sporgendo rispetto al filo più arretrato del basamento scanalato e a sguscio. Infatti la base superiore presenta una differenza di lunghezza dei lati, maggiore di quella sottostante, tendendo ancor più alla forma rettangolare poiché misura m 3,21 a N-E, 3,15 a S-O, 2,86 a S-E e 2,85 a N-O ed è alta m 2,85. È decorata con rilievo su tutte e quattro le facce che hanno anche un listello di coronamento in alto. Su questa base marmorea superiore poggiano agli angoli quattro dadi bronzei alti cm 49,7, con tre uncini angolari, che servono di sostegno all'obelisco la cui base misura m 2,30 × 2,57 × 2,21 × 2,41 risultando così di forma molto irregolare.
I rilievi della base costituiscono uno dei rari e preziosi documenti di arte ancora superstiti nella generale distruzione di tanti monumenti della città e la loro comprensione riveste perciò una particolare importanza.
Nella base superiore, che come l'inferiore è di marmo proconnesio bluastro, sono raffigurate quattro scene, tutte con strette analogie tematiche e compositive:
Lato N-O: entro una loggia con due colonne sormontate da un arco, e che deve intendersi chiusa da un velum che era dipinto e sostenuto da una stanga poggiata sui capitelli, siede un gruppo frontale di quattro figure maschili con tunica e clamide allacciata sulla spalla con ricche fibule, gruppo di personaggi imperiali la cui identificazione è controversa; tutti hanno il volumen in mano, ma i primi due a destra hanno ambo le mani in grembo, gli altri due a sinistra, che sono di statura minore e quindi di età più giovanile, hanno la mano destra sollevata sul petto. Ai lati della loggia sono allineati un togato e due clamidati a destra in prima fila e quattro guardie con scudi e lance in seconda fila; a destra due clamidati nella prima fila e tre guardie con lance nella seconda. Una balaustra con transenne bronzee traforate, rette da erme, distinte in losanghe nel tratto corrispondente alla loggia imperiale e in diagonali con volute ai lati, divide il piano superiore dall'inferiore dove due schiere opposte di barbari si inginocchiano, offrendo larghe ciotole cilindriche e basse dove erano contenuti i tributi, forse in denaro. A destra sono tre Germani con barbe a pizzo, tuniche, brache e, sulle spalle, mantello di pelle con maniche, dietro una figura di negro con naso camuso e una figura, forse di un libico, con capelli calamistrati. A sinistra tre orientali con tuniche manicate, brache e berretto frigio, barbari, forse Persiani e, dietro, due figure di altri orientali. Una cancellata con erme e transenne a diagonali con volute chiude in basso la scena.
Lato S-E: entro una loggia con due colonne e architrave appare al centro una figura di imperatore clamidato che tiene nella destra abbassata una corona, fiancheggiato da due fanciulli, quello a destra togato, quello a sinistra clamidato; dietro appaiono due guardie a destra e un personaggio dalla grande testa ritratto e una guardia a sinistra; il parapetto della loggia è costituito da due transenne a rombi e da un pannello liscio centrale, retti da erme. Ai lati della loggia sono tre togati con mappa e le teste di sei guardie con lance a sinistra; tre togati con mappa e le teste di sei guardie con lance in secondo piano a destra; di una di queste è appena delineata la sommità dietro il primo togato. Le cancellate laterali, rette da erme, hanno transenne di vario tipo a semicerchi, a rombi, a diagonali con volute. Nel piano inferiore si allineano due file di personaggi barbati e sbarbati tutti di prospetto, dinanzi ai quali si svolge un'ammata danza con due organi ad aria alle estremità dinanzi ai quali siede l'organista, mentre due figurine di fanciulli muovono con i piedi il mantice; a sinistra segue un gruppo di tre danzatrici con nacchere con un braccio sollevato, poi un suonatore di siringa di prospetto; seguono tre danzatrici che formano un choròs tenendosi per mano, poi un'altra danzatrice con nacchere, un flautista di prospetto e poi forse un suonatore di tibia.
Lato N-E: nella loggia con due colonne ed arco con velum siede al centro un imperatore clamidato fiancheggiato da due figure giovanili, togata quella a destra, clamidata quella a sinistra, dietro una guardia con lancia e un personaggio il cui volto è corroso. A destra della loggia la colonna è distrutta da un canale che corre verticalmente e che ha lasciato però un labaro con chrismòn all'altezza del capitello, e al di là del canale sono tre togati, di cui uno, con mappa, in primo piano, e quattro guardie con lancia e scudo in secondo; a sinistra tre togati, di cui uno con mappa nella prima linea, e quattro guardie con scudo e lancia nella seconda. La cancellata, retta da erme, ha transenne a rombi; ma le due transenne centrali sui lati della loggia hanno diagonali e volute. Sotto, dinanzi alla loggia, è una scalinata terminante in una porta ad arco, a destra dopo il canale è una figura di clamidato stante con mappa nella sinistra e poi due file di tre clamidati, dei quali tre alzano il braccio destro con la mappa. A sinistra una figura stante di clamidato, maggiore di quella opposta, e poi due file di quattro clamidati dei quali due alzano la destra con la mappa. Una cancellata con erme e transenne a diagonali con volute chiude la scena in basso (il motivo delle transenne centrali è però del tutto perduto).
Lato S-O: dentro la loggia con due colonne ed arco con velum siedono quattro figure clamidate, la maggiore ha le mani sul grembo, mentre le altre tre, con la mano destra sollevata, hanno il volumen. A destra si allineano un togato fra due clamidati in prima fila e dietro quattro guardie con lance, e un gruppo di due guardie con scudo e lancia chiude all'estremità la scena. A sinistra in prima fila sono due clamidati, nella seconda tre guardie con lancia e all'estremità il gruppo di due guardie con scudo e lancia. Una cancellata con erme e transenne a rombi chiude la loggia e sotto di essa corre un'altra analoga cancellata, che divide il ripiano sottostante con scalinata dinanzi alla loggia, che termina con una porta ad arco. Sul gradino inferiore della scalinata stanno due clamidati alle estremità, quello a destra con mappa. A destra della scalinata in basso si allineano su due file Otto clamidati, a sinistra altri otto dei quali tre sollevano la destra stringendo la mappa. Una cancellata con erme e transenne a diagonali e volute chiude la scena in basso.
Al rilievo del lato S-O corrisponde nella base inferiore una scena che rappresenta le corse dei carri nell'Ippodromo. Al centro è la spina come un basso muro su cui poggiano ai lati due obelischi con base sagomata e dadi angolari, l'ovarium costituito da un architrave retto da due coppie di colonnine, e un'altra colonna; alle estremità sono le metae. In basso sono rappresentati quattro carri in corsa, più o meno deteriorati, alternati a tre figure di factionarii con fruste. In alto, oltre la spina, appaiono ai lati due cavalieri che corrono verso il centro, uno seguito e uno preceduto da un factionarius con frusta; al centro, nello spazio tra l'ovarium e la colonna, appare una scena costituita da due clamidati, da un altro personaggio dinanzi a cui si inginocchia una figura molto danneggiata, seguita da un'altra che si china su di lei, scena che si è interpretata come la consegna di premi a un vincitore.
Al rilievo del lato N-E corrisponde nella base inferiore una scena che rappresenta l'erezione dell'obelisco nell'Ippodromo. È divisa in due campi dall'obelisco stesso ancora giacente orizzontalmente, sul cui fusto sono abbozzati alcuni dei geroglifici, e sotto a cui passano i fasci molteplici di corde tese, suddivisi, a sinistra, in due parti corrispondenti a due serie di argani, forse due più in alto molto rovinati e due più in basso con quattro uomini ciascuno che ne girano i quattro bracci, mentre due ragazzi seduti sulla corda arrotolata in basso stanno avvolgendo il capo di una fune e due sorveglianti su suppedanei, sui due registri, sorvegliano l'operazione. Altri quattro personaggi, dei quali il secondo con mappa, sorvegliano la scena in alto su un piano retrostante all'obelisco e, nel registro inferiore, un uomo con tunica e mantello si volge verso un ragazzo, forse per trasmettere un ordine; seguono i musicanti, un suonatore dal grande timpano circolare poggiato su uno sgabello pieghevole, e un suonatore di siringa, poi viene il canale scavato nel registro inferiore del blocco, che può aver distrutto un'altra figura di musicante, forse un flautista; dopo il canale segue una scena diversa che fa centro intorno alla piccola immagine dell'obelisco già alzato con accenno ai geroglifici e ai cui lati sono due coppie di figure; in quella a sinistra, con due figure contrapposte e piegate di lato, si è visto operai in atto di segare le funi che reggevano l'obelisco e in quella a destra un operaio inginocchiato in atto di sciogliere le funi con un sorvegliante in piedi, mentre chiude la scena a sinistra un portatore di anfora. All'estremità di questo registro inferiore è rappresentata la base quadrangolare in muratura che doveva sostenere l'obelisco che poggia sull'orlo, circondato dal fascio arcuato delle funi; forse in pittura erano espressi i legami che avvolgevano l'obelisco che doveva essere trascinato su una rampa artificiale all'altezza della base. Dietro l'obelisco giacente appare nello sfondo una facciata architettonica con colonne sormontate da arcate.
Sul lato N-E era dunque raffigurato il gruppo imperiale che assiste all'erezione dell'obelisco, sul lato S-O mentre assiste alle corse nello stesso Ippodromo.
La loggia imperiale su tre lati presenta più o meno gli stessi caratteri architettonici con colonne ed arco e deve intendersi, secondo la Bruns, come il kloùbion (κλούβιον) stando a un passo del Libro delle Cerimonie (i, 72, Bonn, p. 360), che così indica la loggia che stava nel podio imperiale (καϑισμα) sul lato E dell'Ippodromo in diretta comunicazione con il Palazzo e dalla quale una scalinata, raffigurata nei rilievi, permetteva all'imperatore di scendere in un ripiano inferiore e nell'arena per particolari cerimonie. La loggia con architrave sul lato S-E secondo la Bruns sarebbe invece lo Stàma (στάμα), dove si svolgevano le premiazioni e che sarebbe stato detto anche Pi per la forma corrispondente a un Π della loggia architravata (Libro delle cerimonie, i, 69, Bonn, 310).
Controversa è l'identificazione dei personaggi nel kloùbion. Lo Wace e il Traquaire ritennero che la differenza di proporzioni fra la base inferiore e la superiore dipendesse dall'adattamento di quella superiore, ritenuta preesistente e destinata ad altro monumento di periodo costantiniano, all'obelisco di Teodosio, e quindi i personaggi nel kloùbion sarebbero Costantino e i suoi tre figli; il canale sul lato N-E sarebbe stato scavato dopo la messa in opera. La datazione costantiniana della base superiore fu accettata dallo Wolters e dal Dalton. Ma la maggior parte degli studiosi, fra cui il Rodenwaldt, il L'Orange, il Delbrùck, hanno sostenuto la datazione al tempo di Teodosio, e il Delbrück riportando la base al 369, ha visto nei personaggi nel kloùbion tre Augusti e due prìncipi. La Bruns pensa che l'inserzione dei blocchi di granito agli angoli della base inferiore confermi un primo tentativo non riuscito di erigere l'obelisco e che essi siano stati inseriti nel 390 quando l'operazione riuscì; si sarebbero incise allora le iscrizioni sulla base inferiore e si sarebbero scolpite le facce S-E e S-O. A S-E apparirebbero nello stàma il figlio di Teodosio, Onorio, ed Eucherio, figlio di Stilicone e di Serena, ai lati di un Augusto, che potrebbe essere o Teodosio, o Valentiniano II o Arcadio, e il magistrato dal volto caratterizzato dietro l'imperatore sarebbe Proculo, il prefetto che curò l'erezione. A S-O, dentro il kloùbion sarebbero da sinistra Valentiniano II, Teodosio, Arcadio, distinti dal diadema, e Onorio. Ma nel 391 Proculo fu allontanato e il lavoro cessò, il suo nome fu scalpellato e la decorazione della base sarebbe stata ripresa nel 396 sotto Arcadio per opera di un altro scultore che avrebbe cercato di intonarsi alle due facce già scolpite, raffigurando a N-O i tre Augusti e Onorio come nel lato S-O, e a N-E l'Augusto con Onorio ed Eucherio come nel lato S-E, insieme a Proculo, il cui nome fu reinciso; in questo momento si sarebbe altresì adattato il basamento dell'obelisco a fontana, scavando il canale in un punto dove danneggiava meno il rilievo della base inferiore e adattando la scena del lato N-E a questo canale facendo più ristretto il kloùbion e la scalinata, e ponendo un bacino bronzeo tutt'intorno sul ripiano della base inferiore in modo anche da mascherare la parte con scanalature e blocchi angolari di granito. Lo scultore dei lati S-E e S-O secondo la Bruns ha uno stile più mosso, con ricerca di varî aggruppamenti, con figure più allungate, con più ricco gioco di piani; lo scultore dei lati N-E e N-O mira alla simmetria compositiva con precisi allineamenti orizzontali, con grande chiarezza, con più fermo plasticismo. Il Krauss non ritiene invece contemporanei la sistemazione della fontana bronzea e lo scavo del canale verticale, che avrebbe danneggiato i rilievi e che considera fatto dopo; mentre per la fontana pensa che servissero i ganci bronzei agli angoli dei dadi superiori, reggendo un doccione da cui zampilli d'acqua potevano cadere nel bacino bronzeo sottostante, senza così danneggiare i rilievi.
Tenendo presenti tutti i dati storici, tecnici e stilistici sembrerebbe peraltro più verisimile concludere che in in primo tempo si progettò una base per l'obelisco costituita dal grande dado inferiore sormontato da quello minore a sguscio scanalato, che doveva servire di posa per l'obelisco con un motivo decorativo e una sagoma adatti appunto alla funzione di raccordo fra la base e il fusto di granito. Potrebbe darsi che nel trasporto o nel primo infelice tentativo di innalzamento l'obelisco si fosse rotto in basso e che fosse stato necessario ridurlo all'altezza attuale. Questa diminuzione di due quinti suggerì forse la necessità di sopraelevare la base originaria con la seconda base, che si calcolò un po' più rettangolare per meglio corrispondere alla base irregolare dell'obelisco? rinforzando e allargando gli angoli della sottostante base a sguscio con i blocchi di granito, che provengono probabilmente dai frammenti della parte inferiore rotta dell' obelisco, essendo del medesimo granito e presentando parti levigate lavorate. Forse l'adattamento con gli angoli di granito, tecnicamente necessario, suggerì la mascheratura di questa parte con il bacino bronzeo per fontana, ma il canale verticale fu certo scavato dopo l'esecuzione dei rilievi sulle due basi, che sembra più logico considerare avvenuta contemporaneamente per tutti i lati, anche se vi hanno lavorato due scultori diversi. Poiché l'obelisco fu innalzato nel 390, prima dell'allontanamento di Proculo nel 392 c'era tutto il tempo per terminare tutta la decorazione e non c'è bisogno di pensare ad una interruzione dei lavori. I rilievi dovettero essere eseguiti subito dopo l'erezione dell'obelisco e le scene si riferiscono a questo fatto e a questo momento. Sui due lati principali che guardavano i lati lunghi dell'Ippodromo furono incise le due iscrizioni in basso, quella greca nel lato N-O che era rivolto verso il kàthisma imperiale e quindi più importante, dove la faccia superiore celebra infatti l'omaggio dei popoli barbarici d'Oriente e d'Occidente all'Impero, qui pertanto impersonato dai due imperatori, Valentiniano II di Occidente, allora diciannovenne, diademato, accanto a Teodosio I di Oriente, diademato, ambedue uniti nella posa; e accanto a loro i due figli di Teodosio: il giovane Arcadio allora tredicenne, che non sembra diademato come vuole la Bruns, e il piccolo Onorio allora seienne, uniti anch'essi, come prìncipi, dalla posa e dai gesti. Nel lato opposto S-E, con l'iscrizione latina, si celebra invece la festività e la solennità dell'avvenimento con lo spettacolo di danza e di musica a cui assiste, forse dallo stàma, Teodosio, non fra Onorio e Eucherio, la cui presenza mal si giustificherebbe qui, ma fra i due figli: Arcadio, a destra, togato, dalla faccia più marcata e piena, e Onorio, a sinistra, clamidato, dal volto più fanciullesco e minuto, anche se la differenza di età non si avverte nell'altezza, eguagliata dallo scultore per il gusto della simmetria. La corona in mano a Teodosio è forse non in funzione di premio per qualche vincitore delle corse, che qui non sono raffigurate, ma di ricompensa per l'opera compiuta felicemente, e non è improbabile che alle sue spalle debba vedersi lo stesso Proculo che l'aveva condotta a termine. Sui due lati volti verso la spina abbiamo ugualmente due scene diverse, una più generica e una più realistica. A S-O è uno spettacolo di corse nell'Ippodromo e la presenza della maestà imperiale è personificata ugualmente dai due imperatori d'Oriente e d'Occidente, Teodosio e Valentiniano II, il primo qui distinto nel gesto, forse perché è una scena con riferimento più locale, e dai due prìncipi Arcadio e Onorio aggruppati nel costume e nell'atteggiamento. A N-E è la scena realistica ed episodica dell'erezione dell'obelisco a cui assistono dal kloùbion Teodosio fra i due figli, l'uno togato, l'altro clamidato, come nel lato S-E.
Al vivace naturalismo delle scene delle corse, dell'innalzamento dell'obelisco, delle danzatrici, fanno contrasto la composizione gerarchica, la simmetria, la centralizzazione di quelle con il gruppo imperiale fra guardie e dignitarî mostrando un elevato linguaggio espressivo che sa aderire alla varietà del contenuto, con grande chiarezza sintattica, con sorvegliata modulazione ritmica, come nel progressivo inginocchiamento dei barbari, nella leggera convergenza delle figure verso il gruppo imperiale, nelle pose delle teste, nel rigoroso simbolismo dei gesti, nel fluido e delicato modellato delle superfici contenute, senza gioco di trapano, con vivo senso calligrafico, che è quanto di più opposto alle sculture occidentali, come quelle dell'Arco di Costantino, a cui meraviglia che sia stato da alcuni avvicinato.
La viva tradizione classica porta a queste auliche espressioni artistiche costantinopolitane che dànno forma ai concetti del nuovo mondo spirituale di questa corte d'Oriente, tendenti all'astrazione, all'allegoria, alla celebrazione della divina maiestas dell'imperatore. Questo stesso modellato e questo stesso stile teodosiano si riconoscono nei frammenti di rilievi del fregio della Colonna Coclide del Forum Tauri ritrovati nei Bagni di Bayazid (Bayazid hamami) testimoniando l'unità di questa corrente artistica. I frammenti si trovano tuttora inseriti nei muri di fondazione dei bagni, insieme a frammenti dell'arco del Foro.
Non sembra sostenibile l'ipotesi formulata dal Ducange e illustrata con vari argomenti dallo Strzygowski dell'attribuzione della Porta Aurea delle mura di Teodosio II all'epoca di Teodosio I, pensando che l'espressione post fata tyranni nella iscrizione sull'archivolto dovesse riferirsi alla vittoria sull'usurpatore Massimo del 388, e immaginando la porta a tre fornici, fiancheggiata dai due piloni quadrangolari, come una specie di arco di trionfo isolato, eretto all'inizio dei sobborghi per celebrare il vittorioso ingresso dell'imperatore in città. La struttura della porta e dei piloni sembra infatti che leghi con le mura, nonostante l'opinione contraria di O. Davies; comunque l'iscrizione si può bene riferire anche a Teodosio II.
Sotto Teodosio I si costruirono invece alcuni palazzi imperiali nella città, indipendenti dal grande Palazzo. Dalla moglie Flaccilla prendeva nome quello costruito nella X regione nel quartiere dei SS. Apostoli, il Palatium Flaccillianum, nel quale al tempo di Giustiniano si conservavano le insegne del potere imperiale (Procop., De beh. Pers., i, 24; Bonn, 1, 125), e doveva rivestire pertanto molta importanza. Un Palatium Placidianum era nella I regione insieme a una Domus Placidiae Augustae, il primo forse residenza della seconda moglie di Teodosio, la domus invece della figlia, ambedue di nome Galla Placidia.
La città di Arcadio. - Il programma di abbellimento monumentale della città sviluppato da Teodosio I fu continuato sotto il figlio Arcadio, che creò un altro Foro sempre sul proseguimento della Mese, più ad occidente.
Sorpassando la zona già occupata dal Forum Bovis e da altri quartieri, fu scelta una terrazza sulla VII collina, detta dello Xeròlophos (Ξερόλοϕος). Il luogo era chiamato prima Thèama ed era sacro al culto apollineo (Preger, 67; ii, 161) poiché le fonti vi ricordano un tripode, una statua di Artemide e vi sarebbe stata sacrificata anche una vergine. Non conosciamo la pianta del Foro, che le fonti dicono identica a quella del Forum Tauri di Teodosio. Anche qui dominava infatti una Colonna coclide istoriata che narrava le imprese belliche di Arcadio, la guerra contro Gainas e l'esercito goto del 400-401; il basamento, molto deteriorato dal tempo e dagli incendi, rimane ancora in piedi nel quartiere di Avratpazari o mercato di oggetti femminili, serrato in gran parte da case turche, permettendo comunque la precisa localizzazione del Foro. La piazza doveva essere rettangolare come il Foro di Teodosio; la Colonna secondo Teofane (i, 77) fu elevata nel 402, ma questa data va corretta in 401 in base alla cronologia ugualmente posticipata di un anno che Teofane dà della guerra contro Gainas. Non sappiamo quanti anni durò la costruzione della Colonna, che soltanto il 10 luglio del 421 ricevette, dopo la morte di Arcadio, la statua dell'imperatore sull'alto, collocata dal figlio Teodosio II, che innalzò poi la propria e quella di Valentiniano II ai lati della base. Il Foro fu inaugurato invece dallo stesso Teodosio nel 435 (Marcell. com., P. L., li, 926 A). Un terremoto fece cadere il 16 agosto del 543 la mano destra della statua di Arcadio e il 24 giugno del 550 un fulmine danneggiò la parte alta della Colonna insieme con la statua stessa, che cadde poi, nel terremoto del 26 ottobre 740 (Theophan., i, 222, 226). Nel 1715 il sultano Ahmed III fece demolire tutto il fusto della Colonna, che era ormai gravemente lesionato da profonde fenditure, come testimoniano i disegni Freshfield e della Bibliothèque Nationale di Parigi, e che minacciava di rovinare sui quartieri circostanti, (v. colonna coclide).
Alla bella e intrigante Eudossia moglie di Arcadio fece innalzare, nel 403, (Marcell. com., P. L., li, 922 A) una statua d'argento su una colonna nella piazza dell'Augustèon, vicina alla Cattedrale, e gli onori che essa riceveva furono oggetto di aspre rampogne da parte di Giovanni Crisostomo. La base della Colonna fu rinvenuta nel 1847 nel fare le fondazioni del Tribunale di Commercio a S-E di S. Sofia e a m 3 di profondità, con due iscrizioni, greca e latina, che la dicono eretta per opera del prefetto della città Simplicio nel luogo dove i sovrani amministravano la giustizia alla città, (C. I. G., iv, 8614; C. I. L., iii, 736).
Κι]όνα πορϕυρέην καὶ ἀργυρέην βασιλείαν
Δερκέο ἔνϑα πόληι ϑεμιστεύουσιν ἄνακτες
Τ]οῦ νομάδ᾿εἰ ποϑέεις Εὐδοξία τίς ἀνέϑηκεν
Σιμπλίκιος μεγάλων ὑπάτων γόνος ἐσϑλὸς ὕπαρχος.
Dominae Aeliae Eudoxiae semper Augustae
v. c. Simplicius praefectus urbis dedicavit.
Anche un edificio termale portava il nome di Eudossia (αἱ Εὐδοξιαναί), ricordato dalla Notitia nella V regione. Ad Arcadio la Notitia attribuisce una cisterna oggi scomparsa, nella XI regione e nella I regione sono ricordate le Terme Arcadiane (αἱ ᾿Αρκαδιαναί) che Marcellino comes (P. L., li, 920 C) attribuisce ad Arcadio, che le avrebbe costruite nel 395 (cfr. Preger, ii, 221), mentre il Chronicon Paschale (i, 566 Bonn; P. G., xcii, 777 A) le riferisce alla figlia Arcadia; le terme davano il nome anche ad un quartiere detto Arcadianae.
Due patrizi e prepositi del tempo di Arcadio ebbero ricchi palazzi vicino alla parte settentrionale dell'Ippodromo, Antioco (τὰ ᾿Αντιόχου) e Lauso (τὰ Λαύσου). Nella zona ad O dell'Ippodromo, durante gli sbancamenti per la costruzione del Palazzo di Giustizia, sono venuti in luce varî edifici, di piante diverse, formanti un complesso architettonico monumentale dietro un portico semicircolare (porticus rotunda), forse un grandioso palazzo nel cui asse centrale è un ambiente a pianta esagonale con absidi su cinque dei lati, forse un bagno o un ninfeo del IV-V sec., dove si impiantò poi il Martyrion di S. Eufemia.
La città di Teodosio II. - Un nuovo grandioso sviluppo la città ebbe infine con Teodosio II, a cui spetta l'erezione nel 413 della colossale cinta di mura a circa 1 km e mezzo di distanza dalla cerchia costantiniana, inglobando e proteggendo i quartieri extraurbani, attestandosi al quartiere settentrionale delle Blacherne, che doveva avere una fortificazione a parte (Socrat., vii; P. G., lxviii, 740 A), prolungando poi nel 439 la cinta lungo le coste della Propontide e del Corno d'Oro (Chron. Pasch., i, 583 Bonn; P. G., xcii, 801 B; Zonara, xiii, 22). Teodosio dette l'incarico della gigantesca costruzione al prefetto Antemio e tutta la popolazione dovette partecipare attivamente all'opera; le fazioni del Circo, i Verdi e gli Azzurri, avrebbero fornito 16.000 uomini forse adoperati in lavori secondarî, mentre maestranze specializzate eressero le mura di buona tecnica, lavorando contemporaneamente in vari settori e riuscendo a completare l'opera in breve tempo, forse un anno. Nel gennaio del 447 un violento terremoto abbatté gran parte delle mura con 57 delle 96 torri e Teodosio, intanto, era battuto da Attila in Tracia; ma il barbaro non osò attaccare la città e fece trattative di pace versando anche un tributo annuale. Il prefetto del pretorio Costantino nello stesso anno si dette a restaurare le mura e completò l'opera in soli due mesi, come dicono le iscrizioni tuttora esistenti nella Porta detta Yeni mevlevi hane kapi:
Theodosii iussis gemino nec mense peracto
Constantinus ovans haec moenia firma locavit
tam cito tam stabilem Pallas vix conderet arcem
???SIM-08??? ἥμασιν ἑξήκοντα ϕικοσκήπτρῳ βασιλῆι ???SIM-08???
Κωνσταντῖνος ὕπαρχος ἐδείματο τείχει τεῖχος ???SIM-08???
Oltre a rialzare le parti cadute della cinta, Teodosio creò anche un antemurale con 82 torri minori e scavò un grande fossato antistante che andava dal Mar di Marmara al Corno d'Oro. Restauri alle mura furono poi eseguiti sotto Giustino II (565-578), Leone III (717-741), Costantino V (741-775); l'angolo N fu ampliato da Eraclio nel 627 e questo tratto fu raddoppiato nell'813 da Leone Armeno, ebbe un completamento forse sotto Teofilo (829-842), mentre il Palazzo delle Blacherne fu poi fortificato con una cerchia di mura con torri, ma senza fossato, da Manuele Conineno nel 1150, riallacciandosi all'angolo estremo delle mura di Teodosio II a N del Tekfur Sarayi.
La poderosa fortificazione teodosiana, che sviluppa circa 19 km e mezzo, resistette a tutti gli attacchi successivi dei barbari fino all'assedio del 1453, quando il 29 maggio attraverso tre brecce l'esercito turco di Maometto II penetrò nella città, ponendo termine all'Impero d'Oriente.
La fortificazione di Teodosio II è costituita dal muro interno (μέγα τεῖχος, τὸ κάστρον τὸ μέγα, τὸ ἔσω τεῖχος) spesso dai 3 ai 4 m e alto in media m 11, con 96 torri a intervalli di m 55 in media, di forme diverse: 74 quadrate, 1 pentagonale, 5 esagonali, 2 eptagonali, 14 Ottogonali, a due o a tre piani, alte dai 15 ai 20 m, larghe da 8 a 10 metri. Il muro aveva un cammino di ronda e scale di accesso dall'interno; vi si aprivano Io porte che si sono distinte in civili e militari, le prime munite di ponte sul fossato; non sappiamo se le militari avessero un numero d'ordine, ipotesi suggerita dal nome di Deuteron, Trìton, Pèmpton, ecc. di alcuni quartieri adiacenti. Seguiva un peribolo largo dai 18 ai 20 m, fra il muro interno e quello esterno. Il muro esterno o antemurale (ἕξω τεῖχος, προτείχισμα, ἔξω κάστρον, μικρον, τεῖχοσ) è spesso circa m 2, alto circa m 8, rinforzato da 82 torri, alte da 9 a 10 m, larghe da 4 a 5 m, di varia forma, delle quali ne restano 16, 34 quadrate, 18 semicircolari, 4 esagonali. Un secondo peribolo (περίβολος o ἐξωπαρατείχιον) correva tra il muro esterno e la scarpata del fossato, largo da 12 a 15 metri. Il fossato (τάϕρος, σοῦδα), largo da 15 a 20 m, profondo da 5 a 7 m, è retto da una scarpata in muratura verso le mura e da una controscarpa verso la campagna; è diviso da 19 muri trasversali (διαταϕράσματα) che servivano forse a trattenere l'acqua nei tratti in declivio e a sostenere le condutture in terracotta e, davanti alle porte principali, i ponti lignei. Non si sa peraltro se il fossato venisse veramente riempito d'acqua in caso d'assedio o se rimanesse sempre asciutto.
La porta principale era quella Aurea, che si apre fra l'ottava e l'undecima torre, fiancheggiata dai suoi due piloni marmorei ed oggi è all'interno compresa e circondata dal Castello delle Sette Torri (Yedikule hisari), edificato nell'inverno del 1457-1458, che si appoggia alle due torri teodosiane con una cinta poligonale munita di tre torri rotonde agli angoli, ben visibile dietro l'acquedotto di Valente nel disegno della città di M. Lorichs.
La Porta Aurea è a tre fornici, di cui il centrale maggiore, oggi in gran parte bloccati, ed è fiancheggiata da due possenti torrioni quadrati di blocchi marmorei. Sull'archivolto centrale era l'iscrizione in lettere bronzee, di cui rimangono parte dei fori, sul lato E: Haec Zoca Theudosius decorat post fata tyranni; sul lato O: aurea saecla gerit qui portam construit auro. Lo Strzygowski, come si è visto, pensò che la Porta preesistesse alla cinta teodosiana come un monumentale ingresso isolato eretto per il ritorno trionfale di Teodosio I dopo la vittoria su Massimo, e che fosse stata poi inglobata nelle mura da Teodosio II. I saggi di scavo fatti nel 1927 dal Casson e da Macridi bey, sebbene molto limitati, hanno dimostrato che la Porta lega con i piloni e questi con le mura, come hanno riconfermato gli studî di A. M. Schneider e di B. Meyer-Plath, onde bisogna considerare la Porta Aurea costruita da Teodosio II. Il Weigand ha del resto notato che l'espressione post fata tyranni può riferirsi a Teodosio II che aveva sconfitto l'usurpatore Giovanni, detto τύραννος da Socrate (7, 22), che aveva scacciato il piccolo Valentiniano III, il quale grazie a Teodosio potè così riacquistare il trono, vittoria che fu festeggiata a Roma e Costantinopoli il 23 ottobre del 425. La particolare architettura della Porta con tre fornici e piloni aderisce alla sua speciale funzione rappresentativa, essendo la porta a cui faceva capo la Via Egnatia e donde entravano sempre in città i cortei trionfali, moventi da Hèbdomon (v.). In questa occasione soltanto si aprivano i battenti della grande porta centrale che Teodosio II aveva fatto dorare (Malalas, 360 B), mentre quelli laterali rimanevano sempre aperti. Dalla doratura dei battenti, e non da un significato magico-allegorico come voleva R. Paribeni, prendeva il nome di Aurea, come ha bene dimostrato il Gerola. Questo tipo di porta con piloni trova confronti con quelle onoriane Flaminia, Appia, Latina della cerchia di Roma e per il triplice fornice con la Porta Pretoria di Aosta.
Non solo i battenti erano dorati, ma varie statue decoravano questo solenne ingresso alla città, e abbiamo notizia dell'esistenza di una statua di un Teodosio, non sappiamo se il I o il II, che fu abbattuta da un terremoto sotto Leone III Isaurico, di una statua di Nike, di una altra di Tyche e di quattro elefanti di bronzo dorato provenienti, pare, da Atene (Cedren., 2; i, 567 B; Preger, 182, 150; Theophan., 412; Zonar., 3, 263 B).
Ai lati della Porta si leggono iscrizioni con dediche militari fra le quali di Zeones iuniores e cornuti appartenenti agli auxilia palatina e acclamazioni augurali agli imperatori (πολλὰ τὰ ἔτη τῶν βασιλέων, ὁ Θεὸς καλῶς ἤνεγκέν σε).
Dinanzi alla Porta Aurea l'antemurale ha un Propileo con vòlta a botte, con facciata decorata da due colonne di marmo verde agli stipiti dell'arco; i muri laterali sono scompartiti da colonnine e lesene ed erano decorati da dodici rilievi di varia provenienza, sei a destra e sei a sinistra su due file sovrapposte, descritti da molti viaggiatori e illustranti il supplizio di Prometeo, un giovane che tira giù un altro da cavallo, un satiro e una figura femminile e una maschile, tre scene con le fatiche di Eracle, a N; Endimione, Eracle e Cerbero, due contadini con uva, Pegaso e tre Ninfe, la caduta di Fetonte, Eracle e la Cerva, a S. Nel 1625 Sir Thomas Roe tentò invano di asportarne quattro a Londra; l'abate Sestini nel 1778 ne ricorda alcuni ancora in posto, ma gli ultimi rimasti di Eracle e di Prometeo andarono in rovina nel 1795 come narra J. Dallaway; oggi si hanno solo alcuni frammenti.
La Porta di Xylòkerkos (Ξυλόκερκος) corrisponde a Belgradl:api e il nome era dovuto ad un ippodromo ligneo; della porta rimangono solo gli stipiti; sopra si leggeva l'iscrizione: "L'imperatore Teodosio e il prefetto d'Oriente Costantino hanno costruito queste mura in sessanta giorni":
Θευδόσιος τόδε τεῖχος ἄναξ καί ὕπαρχος ῾Εῴας
Κωνσταντῖνος ἔτευξαν ἐν ἥμασιν ἑξήκοντα.
Seguono una seconda porta militare e la Porta detta di Pege o della Sorgente (Πύλη τῆς Πηγῆς) oggi Balildi Kapisi), detta poi di Selybria; dopo si trova la Porta di Sigma, cosiddetta per l'inflessione a sigma lunato che le mura fanno a questo punto, da altri identificata con la porta militare di Kalagròs (τοῦ Καλαγροῦ, o τοῦ καλοῦ ᾿Αγροῦ); la Porta di Rhèsion (πόρτα ῾Ρησίου) o di Rhègion (῾Ρηγίου) o di Polyandros (Πολύανδρος) o Myrìandros (Μυρίανδρος) o volgarmente Koliandros (Κολίανδρος), nomi questi ultimi derivati dalla tradizione riguardante la costruzione nel 449 (Preger, II, 182) quando gli Azzurri, che costruivano il tratto movente dalle Blacherne verso S, e i Verdi, che costruivano quello dalla Porta Aurea verso N, si sarebbero incontrati nel luogo dove sorse la Porta che fu detta perciò di Poöandros (oggi Mevlevi hane). Questa parte centrale delle mura era detta Mesoteichion (μεσοτείλιον). Sulla prima torre della Porta si legge l'iscrizione greca e latina che ricorda la costruzione ad opera del prefetto Costantino e che è stata già citata.
Dopo la quarta porta militare si apre quella di Topkapi, detta di San Romano (τοῦ ἁγίου ῾Ρωμανοῖ) e fra le due porte le mura sono molto rovinate per l'assedio del 1453. Dopo la vallata del Lykos segue la Porta di Pèmpton (πόρτα τοῦ Πεμπτου, Preger, iii, 258) e sull'architrave è l'iscrizione:
Portarum val + ido firmavit limine muros
Pusaeus magno non minor Anthemio.
Questo Pusaeus, che non inferiore al grande Antemio ha consolidato le mura con le salde porte, non sappiamo esattamente quando visse; un Pusaeus fu console nel 467, ma non è certo che sia quello dell'iscrizione. Il nome della Porta si riferiva al villaggio al quinto chilometro dal Milion.
Seguiva la Porta di Charisios (πόρτα Χαρισίου, Χαρσίου, Χάρσου, Χαρσῆ, Χαρσία, Χαρισοῦς, Χαρσοῦς) oggi Edirne kapi o di Adrianopoli. Charisios era il capo della fazione degli Azzurri o dei Verdi quando si costruirono le mura (Preger, ii, 182; iii, 259). Questo era il punto più alto e più debole della cinta e qui furono sempre sferrati gli assalti più violenti; le mura furono restaurate da Alessio Commeno (1195-1203). Nell'ultimo tratto delle mura teodosiane andrebbe posta, secondo Ducas, la Kerkòporta (κερκόπορτα: Ducas, 282 Bonn, P. G., cl, vii, 1096 A), passaggio segreto che fu forzato dai Turchi nel 1453. Una postierla si dice che fu vista in scavi del 1864 fra l'ultima torre delle mura teodosiane e l'angolo N-O del Palazzo di Tekfur Sarayi.
Le mura lungo la costa del Corno d'Oro furono costruite in parte da Costantino e poi prolungate, nel 439, da Teodosio II fino alle Blacherne per 5 km dandone l'incarico al praefectus praetorio Ciro di Panopoli (Malal., 361, Bonn; Theophan., 96, de Boor); ma furono distrutte più volte da terremoti e ricostruite da Giustiniano (527-565), Tiberio III (698-7o5), Leone III (717-741), da Teofilo e Michele III (829-842), da Giovanni VI (1347-1354), Bayazid II nel 1505, Murad IV nel 1635 e Ahmed III (1703-1730). Il Buondelmonti descrive questa cinta come un muro alto 10 m e fiancheggiato da 110 torri con 14 porte. A O di Balatkapi, che forse ricorda nel nome la Βασιλικὴ πόρτα esisteva una triplice porta che era decorata con due rilievi raffiguranti l'Annunciazione; quello con la Vergine è perduto, quello in cui si riconosceva l'Arcangelo si conserva al Museo Archeologico di Istanbul e rappresenta una Nike che regge una palma; è datato dal Wegner al periodo di Costantino e dal Kollwitz a quello di Teodosio II. Anche le mura lungo la costa del Mar di Marmara erano dovute prima a Settimio Severo, poi furono prolungate da Costantino e da Teodosio verso occidente, ma furono ugualmente distrutte e rifatte più volte come quelle del Corno d'Oro; il Buondelmonti al suo tempo le descrive con 188 torri e 8 porte e molte postierle, con 5 porti.
Ma oltre questa grandiosa impresa costruttiva della cinta fortificata Teodosio II fece costruire il Boukolèon, mentre controversa è l'attribuzione a lui della parte finora scavata nel complesso del Palazzo Imperiale.
Gli scavi a cura dell'Università di St. Andrews sono stati praticati in un'area di 5000 m2 a S della Moschea di Sultan Ahmed nella terrazza superiore del palazzo, che doveva comprendere gli edifici più importanti, sale di rappresentanza, appartamenti, chiese, mentre le terrazze inferiori verso il mare contenevano, oltre ad altri edifici, giardini, impianti sportivi, il Boukolèon e le scale che mettevano al porto con i vari apprestamenti. In quest'area scavata è venuto in luce un grande peristilio di m 55,50 × 66,50 circondato da un colonnato, che nel lato N-O è largo m 10. La corte interna era tenuta a prato, ma era traversata al centro da N-O a S-E da una via pavimentata di lastre di marmo, larga m 5,80 sostenuta da un viadotto; questa strada è peraltro più antica del peristilio, perché prosegue sotto il colonnato N-O. Gli ambulacri del peristilio hanno due pavimentazioni: l'inferiore, più antica, a mosaico su tutti e quattro i lati sviluppante 250 m2; la superiore, più recente, di lastre di marmo con tracce d'incendio. In questo secondo periodo, a cui appartiene la pavimentazione marmorea, il colonnato fu rimaneggiato e chiuso. I capitelli del colonnato sono simili a quelli trovati negli scavi della seconda S. Sofia di Teodosio II, datata nel 404-415, a due file di foglie con la parte inferiore della fila superiore non lavorata secondo l'uso bizantino. Le basi sono atrico-corinzie; i fusti alti m 5,58 sono di marmo bianco, lisci, l'altezza complessiva delle colonne era di m 7; si sono trovate parti della trabeazione.
Il mosaico che decorava gli ambulacri nel primo impianto è conservato per larghi tratti ed è uno dei più importanti monumenti figurati di arte costantinopolitana, variamente datato dalla fine del IV sec. al 550, che trova confronti con la corrente artistica dei mosaici di Siria. È a fondo bianco nel quale sono rappresentati vari soggetti isolati, senza un preciso collegamento, ricavati da singoli cartoni e distribuiti sul campo con varia spazieggiatura e prevalentemente su due registri, con una scelta dettata unicamente dal fine decorativo di creare una policroma e attraente superficie figurata. Ciascun elemento, sia di animali, sia di figure umane, sia di piante, sia di architetture, è concepito in uno stile vivacemente naturalistico, pittorico, spaziale, prospettico e anche illusionistico, accompagnato sia dalla ricca gamma di colori, sia dalla disposizione delle tessere, ma viene inserito sullo sfondo neutro bianco, tessuto a squame, con un netto contrasto isolante senza riguardo ai rapporti proporzionali, che fanno apparire come ritagliate e avulse da un contesto originario le singole immagini. Queste si possono infatti riportare tutte alla grande tradizione del più puro ellenismo, qui rivissute con notevole freschezza di toni e con abile tecnica, ma in una astratta sintassi che le trasporta su un piano ornamentale. Non ci si preoccupa così di ripetere quattro volte nelle parti conservate il cartone dell'uomo che combatte un animale, due il gruppo dei cavalli, due il gruppo delle capre; tuttavia ogni motivo è ancora sentito con organico e sciolto pittoricismo: sono soprattutto scene pastorali, di caccia, o di ambiente africano alessandrino con cammelli, elefanti, scimmie, palme, o con piccoli santuari ed edicole all'ombra di alberi nodosi cari alla tradizione ellenistica, accanto a motivi fantastici del grifo alato, della chimera, dell'unicorno, di mostri, di gruppi di animali in lotta come l'aquila che addenta un serpente, le tigri che sbranano una gazzella, l'elefante contro il leone, scene di giocbi in un circo, Pan che porta sulle spalle il piccolo Dioniso.
Il campo figurato è compreso fra due larghe e ricche bordure floreali con girali di acanto dalle plastiche ed esuberanti volute inframezzate a grandiosi mascheroni con un elaborato gusto ornamentale. Il progetto del mosaico è certamente frutto di un unico artista che ha avuto varî aiuti nell'attuazione pratica; se ne sono distinti cinque sul lato N-E, due a N-O e due a S-O e altri per i bordi floreali.
Gli scavatori Martiny e Brett pensarono che questo grandioso e sontuoso peristilio potesse identificarsi con lo Heliakòn, nome che le fonti danno a varî cortili, uno di Nea, uno di Giustiniano, e uno detto del Chrysotrìklinoq o del Phàros o della Theotokos del Phàros. Quest'ultimo sarebbe appunto da riconoscere per loro nel peristilio scavato, e poiché si sa che era adiacente alla chiesa di S. Demetrio, eretta da Leone VI (886-912), si volle identificare quest'ultima in un edificio a pianta quadrata scavato a SE, mentre in un altro simile a S-O si vide la chiesa di S. Elia, eretta da Basilio I (867-886), attribuendo inoltre alcune sostruzioni adiacenti a E al Faro, che il Vogt ricostruiva invece più in basso e più vicino al mare. Tra il Faro e il supposto S. Demetrio si immaginava la chiesa della Theotokos. Ma gli ultimi scavi hanno dimostrato che l'edificio identificato con S. Elia e già di periodo turco, e nella zona a S-E del peristilio è stata messa in luce invece una vasta aula absidata e bipartita da due pilastri, della quale si conservano le sostruzioni a vòlta, insieme con resti di un precedente edificio di pietra verdastra, che aveva subito un ampliamento prima della distruzione. La sala absidata è in asse con il peristilio a cui deve considerarsi collegata.
Molto controverse rimangono l'identificazione e la cronologia di questo complesso, anche in relazione alla datazione molto oscillante dei mosaici. Il Vogt volle riconoscervi la Phiàle dei Verdi, che fu però rimossa da Basilio I per la costruzione di una chiesa, di cui mancherebbero le tracce. Il Mango ha attribuito il complesso e i mosaici a Mardano, che sappiamo aver costruito i περίδρομοι (Preger, II, 256). Il Talbot Rice escluderebbe un'attribuzione a Teodosio II, mentre ammette la possibilità di fare il nome di Marciano o per la costruzione in pietra verdastra e per la via pavimentata, che potrebbe dirsi un perìdromos, oppure per il peristilio e l'aula absidata, ma sembra preferire far scendere il peristilio e i mosaici al periodo di Giustiniano o di Giustino II (568-578). Sul lato N-E del peristilio correva una strada pavimentata oltre la quale sono apparsi due edifici contigui, ma non contemporanéi, dei quali quello a S-E si è supposto la chiesa della Theotokos Proseuchè. Lungo il lato N-O del peristilio si sviluppa un lungo corridoio largo m 4, e si è pensato che nell'area retrostante si stendesse il Chrysotrìklinos (Χρυσοτρίκλινος) costruito o completato da Giustino Il e che nel lato S-O oltre la sala si sviluppasse il complesso della Porphöra (Πορϕύρα), così detta dai rivestimenti di porfido (dove in periodo bizantino le imperatrici davano alla luce i figli che erano appunto chiamati Porfirogeniti) e che era vicina alla sala dei banchetti detta ᾿Αριστη-τήριον τοῦ χρυσοτρικλίνου. Sappiamo anche che la camera da letto dell'imperatore (κοιτῶν) era vicina al Faro. In un gruppo di ambienti a N-E accanto alla chiesa della Theotokos Proseuchè si è pensato di riconoscere la Zecca e il Tesoro; è una costruzione del 500 circa.
Sotto alla grande terrazza del Faro si stendeva la spiaggia che sarà detta del Boukolèon, a cui si scendeva per mezzo di una scala e dove sarà ricavato il porto omonimo riservato agli imperatori. Questo stesso nome fu dato anche a due palazzi marittimi costruiti da Teodosio II (Preger, ii, 256), che faceyano parte integrante del grande complesso del Palazzo Imperiale, dentro la cui cinta erano racchiusi. Il primo sorgeva a E del luogo dove Giustiniano costruirà la chiesa dei SS. Sergio e Bacco, vicino all'antica Porta del Leone, corrispondente a Çatladi-Kapi, dinanzi al gruppo del leone atterrante un toro che dava il nome di Boukolèon alla spiaggia e agli edifici. Il palazzo teodosiano era addossato alle mura marittime con la facciata verso il mare su cui si aprivano in alto tre finestre decorate con leoni. Il Gylles lo chiama palazo di Leone Macellus. Doveva segnare il limite più occidentale del complesso del Palazzo Imperiale. Il secondo palazzo secondo il Guilland doveva elevarsi circa a m 100 più a oriente sotto le terrazze del Faro ed è da alcuni confuso con quello di Giustiniano.
Nel 421 sarebbe stata costruita una cisterna a cielo aperto a cura di Aetius praefectus urbi nel 419 e praefectus praetono nel 425 (Marcell. com., P. L., li, 924); lo Strzygowski volle identificarla in quella presso Tekfur-Sarayi il Mordtman in quella nel cortile della Moschea di Kefeli, il Siderides in quella a cupole detta Zina Yoku, su Bodrumi, ma sembra invece più probabile riconoscerla in quella di Çukurbostan (Giardino infossato) presso la Porta d'Adrianopoli e che misura m 244 x 85, profonda circa m 8, con muri spessi m 5,20, già asciutta quando la vide P. Gylles nel 1540.
Con Teodosio II la città aveva raggiunto la massima estensione e si era articolata nella sua fondamentale struttura che conserverà anche in seguito. Il von Gerkan ha negato un organico impianto urbanistico in Costantinopoli, parlando piuttosto di campagna abitata, ma sebbene per la grande estensione che vennero ad abbracciare le mura teodosiane il tessuto urbanistico appaia a maglie molto larghe, pure non si può negare una organicità nell'impianto rispondente a precise esigenze di vita pubblica, a determinate direttrici di traffico, e sviluppatosi attraverso una successione di piani regolatori. Vediamo che la città si evolve e si amplia progressivamente verso l'unica direzione possibile, il retroterra occidentale, attraverso successive cinte di mura sempre più allargate e allontanate dal vecchio centro, inflesse verso l'esterno per abbracciare un più vasto spazio e opporre al nemico una curva più salda con un fuoco incrociato, a partire dalle antiche mura della greca Bisanzio, a quelle di Settimio Severo, di Costantino, fino all'ampia cerchia di Teodosio II.
La spina dorsale di questo organismo urbano fu la via principale che sarà poi detta Mese, la quale, partendo dall'antico centro, dal Milion a cui faceva capo tutta la rete stradale dell' Impero d'Oriente, costituiva l'arteria monumentale della città con uno sviluppo progressivo verso O, a somiglianza delle grandi vie colonnate delle città carovaniere e delle altre metropoli dell'Oriente microasiatico. Il primo tratto fu opera di Settimio Severo e Costantino lo collegherà al Palazzo Imperiale con il Portico detto Regia. Il suo percorso è segnato da una serie di Fori grandiosi e, dopo quello di Costantino, con un percorso rettilineo, raggiungeva il Forum Tauri di Teodosio I costeggiandolo sul lato S, per poi biforcarsi, secondo alcuni studiosi, nel punto detto Philadèlphion (τὸ Φιλαδέλϕιον) per ricordare lo storico incontro dei due figli di Costantino, Costanzo e Costante, che qui si raggiunsero dopo la morte del padre, nel maggio del 337, e dove sorgeva la Croce dorata su base quadrangolare di porfido eretta da Costantino con ai piedi le statue di Elena e dei tre figli. Il Mamboury afferma che nello scavo compiuto tra il 1945 e il 1950 per la costruzione di alcuni edifici dell'Università si è accertato che dal lato occidentale del Forum Tauri partivano due strade importanti, una all'angolo S-O e una all'angolo N-O divergendo ad angolo, mentre il Janin pone più a O la biforcazione della Mese.
Con l'allargarsi dell'area occidentale della città la Mese si sdoppiava secondo le due più importanti direttrici di traffico, forse trasformando in un percorso monumentale urbano preesistenti vie extraurbane, e un ramo piegava verso S-O seguendo parallelamente la curva della costa della Propontide probabilmente sul tracciato dell'antica Via Egnatia, lungo il quale si sono trovate infatti stele ellenistiche e sarcofagi romani delle necropoli. Questo ramo della Mese veniva così a raccordare fra loro i tre Fori, l'Amastrianum, il Forum Bovis e il Forum Arcadii. Il primo (τὸ ᾿Αμαστριανόν, τὰ ᾿Αμαστριανοῦ) non si sa bene donde avesse derivato il nome, o da un mercante di Amastris di Paflagonia qui morto, oppure dall'esposizione dei cristiani a cui si dava l'epiteto infamante di Paflagoni (Cedren., i, 566 Bonn; P. G., cxxi, 616 C). Vi sarebbero state erette due statue di un signore di Paflagonia e del suo schiavo di Amastris, quest'ultima lordata dalle immondizie (Preger, ii, 180); il luogo serviva per le esecuzioni (Cedren., i, 818; ii, 315, Bonn; P. G., cxxi, 900 B; cxxi, 48 CD; Leo gramm., 253 Bonn; P. G., cviii, 1081 A, 1085 C) e aveva molte statue pagane, fra cui uno Zeus Helios su un carro, un Apollo, un Eracle sdraiato, tartarughe, uccelli, draghi, alcune colonnette in semicerchio (Preger, ii, 179-180) e una piramide sormontata da un modio fra due mani bronzee come ammonimento per i mercanti di grano disonesti, onde probabilmente vicino dovevano essere horrea. Il Forum Bovis, che come l'Amastrianum non sappiamo a quale periodo risalga nell'impianto, prendeva nome da un'enorme protome taurina bronzea proveniente da Pergamo e che serviva da fornace, dove sarebbero stati bruciati S. Antipa (Cedren., i, 566 Bonn; P. G.,cxxi, 6116 C) e sotto Giuliano l'Apostata molti cristiani, e poi Foca nel 610 (Theophan., i, 299); il bronzo fu infine fuso da Eraclio per ricavarne moneta (Preger, 47; ii, 170). La piazza era circondata da portici incendiati nel 562, ornati di statue e di rilievi storici (Cedren., i, 679 Bonn; P. G., cxxi, 741 B); vi si innalzava una croce dorata tenuta dalle statue di Costantino e di Elena (Preger, 54).
Il Foro di Arcadio richiamava, nell'impianto e nella Colonna coclide istoriata, il Forum Tauri e rappresentava l'ultima grande piazza monumentale, oltre la quale la Mese faceva capo a una delle porte della cerchia costantiniana, che si è pensato corrispondente all'antiquissima porta pulchra nominata dal Buondelmonti, per poi uscirne piegando ancor più in direzione S-O per allinearsi alla costa, giungendo alla Porta Aurea della cerchia di Teodosio II. Questo percorso, che unisce e raccorda tutti i centri più monumentali della città, è quello che compivano sempre i cortei trionfali come risulta anche dal Libro delle Cerimonie, che ne descrive le varie tappe. Le truppe vittoriose al loro ritorno nella capitale, insieme con i prigionieri e le spoglie e tutto il bottino si raccoglievano nel sobborgo di Hèbdomon (v.), distante cioè 7 km dalla città, e l'ampia pianura intermedia, detta Kàmpos, traversata dalla Via Egnatia, costituiva come il Campo Marzio di Roma, un luogo per esercizî, per manovre militari, per raccolta delle truppe e, in occasione del trionfo, per l'organizzazione del corteo. Alla Porta Aurea e in altri punti della città lungo questo percorso della Mese l'imperatore vittorioso riceveva l'omaggio dei magistrati, delle fazioni del Circo, delle varie deputazioni con preciso cerimoniale.
Accanto a questo ramo della Mese che era il più importante, l'altro che si staccava dopo il Forum Tauri, correva parallelamente alla costa del Corno d'Oro verso N-O, allineandosi a S dell'acquedotto di Valente, non sappiamo a quale precisa distanza da esso, verso la chiesa dei SS. Apostoli, con un percorso prevalentemente rettilineo lungo il versante della quarta collina che guarda la valle del Lykos, costeggiando a S la cisterna, forse di Aetius, e facendo capo alla Porta di Charisios o di Adrianopoli della cinta teodosiana, donde usciva la via verso le regioni settentrionali della Tracia.
Nell'ampia zona triangolare definita da questi due bracci della Mese, con il vertice al Forum Tauri, e dall'arco delle mura di Teodosio II, suddivisa in due parti dall'altro arco della cinta costantiniana, dovevano certamente aprirsi altre vie, il cui tracciato va messo in relazione alle porte delle due cinte, ma che rimane del tutto ipotetico. È probabile che dall'antica porta delle mura costantiniane dove la Mese piegava fortemente a S, si dipartisse un'altra via in direzione O attraverso il quartiere detto Sigma dirigendosi alla Porta detta di Pege della cinta teodosiana, come è probabile che sulle pendici settentrionali della settima collina declinanti verso la valle del Lykos corresse un'altra via più o meno parallela al tratto della Mese sulle pendici opposte, collegando la zona del Forum Bovis alla Porta di s. Romano. L'acquedotto di Valente era attraversato almeno da due strade, distanti circa 200 m, che andavano dalla riva del Corno d'Oro verso la Mese, delle quali la principale, muovendo dalla zona del Ponte di Galata, doveva incrociare la Mese vicino alla Moschea di Sehzade e si pensa che nell'attraversamento sorgesse il Tetrapylum aeneum (χαλκοῦν τετράπυλον: Chron. Pasch., 698 B) nominato nelle fonti, ed è probabile che questa via trasversale proseguisse verso S arrivando fino alla zona del porto di Teodosio. Ad O della Moschea di Sehzade e a circa 400 m a S dell'acquedotto di Valente, nel costruire il nuovo Palazzo del Comune son venuti in luce mosaici policromi, appartenenti certamente ad un ricco edificio e datati sia nel III sec. d. C., sia nel IV secondo il Duyuran, il Del Medico e il Talbot Rice; raffigurano una Vittoria, una fanciulla con frutti, un uomo che porta ortaggi con la iscrizione ΕΥΣΕΒΙΣ, un pastore con agnello sulle spalle e paniere di formaggi in mano con l'iscrizione ΠΟΙΜΕΝ, un terzo uomo con un cesto di uova sulle spalle e due polli' in mano con l'iscrizione ΕΥΦΡΑCΙC. Un altro mosaico raffigura le quattro Stagioni, un fanciullo che gioca al cerchio, una caccia al leone, una baccante con cembalo. Tra il Foro di Costantino e il Forum Tauri, nella zona degli Artopolia, una via doveva scendere a N all'altro porto sulla riva del Corno d'Oro, e era fiancheggiata da portici, costituendo il μακρὸς ἔυβολος.
I varî, dislivelli dovuti alla collinosità del terreno erano in parte raccordati, specialmente verso le due sponde, da scalinate di cui ci parlano le fonti e che dovevano costituire una nota caratteristica nell'impianto urbanistico di Costantinopoli; nella Notitia si elencano almeno 52 strade ad arcate, cioè con portici e 117 rampe a scalini, che si trovavano in relazione alle varie terrazze create nelle diverse regioni. Alcuni tratti della Mese sono attestati da condutture messe in luce, ma purtroppo molti elementi affiorati in occasione di lavori stradali ed edilizi e che avrebbero offerto dati preziosi per la ricostruzione della rete stradale e per la topografia della città sono andati dispersi per mancanza di un servizio archeologico e di interesse. La pianta della città ha inoltre subito continue e profonde trasformazioni attraverso i tempi a causa del frequente ripetersi di terremoti e di incendî, della costruzione delle moschee orientate verso la Mecca, dei conventi e chiese bizantine che formavano spesso un nucleo a sé stante, dell'apertura di strade moderne e della costruzione di alcuni grandi edifici, sicché l'impianto antico risulta in gran parte alterato.
La città costantiniana doveva avere un tracciato stradale più regolare e un impianto più sistematico del vecchio centro greco, mentre la zona dell'ampliamento teodosiano, destinato anche all'accantonamento di truppe e che rimase fuori della divisione in XIV regioni, ebbe un impianto a più larghe maglie.
Molte delle vie urbane oltre alla Mese dovevano essere fiancheggiate da portici (ἔμβολοι) di cui abbiamo il ricordo nelle fonti, e Manuel Chrysoloras (Epist. ad Iohannem imp., P. G., clvi, 41 B) afferma che erano così numerosi che tutti potevano trovarvi rifugio contro la pioggia e il sole; alcuni erano a due piani con scalinate, creando in quello superiore passeggiate coperte ornate di statue. La Notitia nel V sec. segnala 54 portici distribuiti in tutte le regioni.
Molti portici ospitavano botteghe come quello degli argentieri (ἔμβολος τῶν ἀργυροπρατείων) fra il Foro di Costantino e il Miìlion, che bruciò nell'incendio del 532 (Chron. Pasch., i, 623, Bonn; P. G., xcii, 88o A; Theophan., i, 184). All'epoca di Costantino sembra che risalissero i Portici di Domninos (οοἱ τοῦ Δομνίνου ἔμβολοι: Preger, i, 148) che avrebbero preso nome da uno dei dodici personaggi venuti da Roma sotto Costantino, portici che sono ricordati nel V secolo (Chron. Pasch., i, 571 Bonn; P. G., xcii, 785 A); non sappiamo quando e dove fu costruito il Portico di Fanion (Porticus Fanionis) citato nella Notitia sotto la IV regione. Anche altri mestieri, oltre gli argentieri, avevano quartieri determinati, come oggi nei varî settori di un bazar. Sappiamo, per esempio, che fra il Foro di Costantino e il Forum Tauri lungo la Mese erano i fornai (ἀρτοπωλεῖα); i calderai e i toreuti (χαλκοπρατεῖα) avevano le botteghe ad O di S. Sofia, dove sorse la chiesa della Vergine di Chalkoprateia; i carbonai (τὰ καρβουνάρια) avevano le botteghe nel quartiere dove era la chiesa di S. Teodoro; in altro quartiere erano i fabbricanti di chiodi, soprattutto per ferrare i cavalli (τὰ κινϑήλια), e questi diversi quartieri artigiani si andarono moltiplicando nel periodo più tardo.
Le case che si allineavano dietro i portici delle strade dovevano comunicare con essi ma prender luce da cortili interni.
La città post-teodosiana. - La città continuò ad abbellirsi di vari monumenti sotto i successori di Teodosio II. Nel quartiere detto Constantinianae sorse la Colonna in onore dell'imperatore Marciano (450-457), che si trovava dentro un giardino privato e quindi poco nota ai viaggiatori; fu però descritta e disegnata nel 1754 dal Flachat (Observations sur le commerce ecc., Lione 1766, tav. 13), oltre che dal Gylles. Un incendio nel 1908 distrusse il quartiere circostante e oggi rimane isolata in un crocicchio. In origine doveva trovarsi al centro di una piazza della città alta, sostenuta a S-O da un muro di terrazzamento, alto circa m 10, dal lato della Propontide.
La Colonna si erge su tre scalini, con un basamento marmoreo scolpito a N con due Vittorie vivamente plastiche e mosse delle quali una abbastanza conservata, che reggono un clipeo circondato da una ghirlanda e recante il monogramma cristiano che entro una ghirlanda si ripeteva isolato anche su altri tre lati. Sulla base poggia il fusto monolitico di granito grigio di Syene, alto m 8,74, con capitello marmoreo corinzio sormontato da un basamento, che reca agli angoli un'aquila scolpita e che serviva di sostegno alla statua di Marciano oggi perduta (si è anche supposto che fosse il celebre Colosso di Barletta). Sul lato N della base rimangono gli incassi dell'iscrizione (C. I. L., iii, i, 738) che era in lettere bronzee:
PRINCIPIS HANC STATVAM MARCIANI
CERNE TORVMQUE
PRAEFECTVS VOVIT QUOD TATIANVS
OPVS
Questo Taziano è ricordato come praefectus urbi nel 450 e nel 452. Con torus deve intendersi qui tutta la colonna, una parte per il tutto.
Non sappiamo invece da chi fu eretta la Colonna detta dei Goti, oggi nel parco del Serraglio, dal fusto monolitico di granito, alto m 15 con capitello corinzio e basamento un tempo scolpito, oggi martellato, in cui si legge fortunae reduci ob devictos gothos; si è attribuita ora a Costantino, ora a Claudio II Gotico, facendo anche l'ipotesi che il fusto provenga dal Theatrum minus o Kynègion costruito da Settimio Severo, mentre Niceforo Gregoras (viii, 5, Bonn i, 305; P. G., cxlviii, 481 A B) dice che avrebbe sostenuto una statua del fondatore della città Byzas. All'imperatore Leone I (457-474) la sorella Eufemia innalzò una colonna onoraria nell'Augusteon vicino ai Pittàkia (τὰ Πιττάκια; Preger, i, 166). A 55 m dalla colonna furono scavati alcuni ambienti comunicanti a S di un muro di facciata leggermente ellittico fronteggiato da un portico largo m 5 con colonne alternate a pilastri collegati con arcate sostenute da due colonne. Si è pensato che questi resti facessero parte del Kynègion costruito da Settimio Severo e restaurato più volte.
Al generale goto Aspar, ucciso da Leone I nel 471, spetta la costruzione della cisterna cominciata nel 459 vicino alle antiche mura della città (Chron. Pasch., i, 583 Bonn; P. G., xcii, 820 A), ma non si è d'accordo sulla sua ubicazione, i più la riconoscono nel Çukurbostan vicino alla Moschea del Sultano Selim sulla quinta collina, di m 152 × 152, costruita con tecnica di 5 filari di mattoni alternati a 5 filari di pietre.
La città possedeva anche alcuni singoli monumenti che non si possono precisamente ubicare, come l'Anemodoùlion (ἀνεμοδούλιον), un anemometro che è attribuito da Costantino Rodio (vv. 178-201) e da Cedreno a Teodosio I (1, 555, Bonn; P. G., cxxi, 616 B), ma che i Patria (Preger, iii, 253) riportano invece al periodo di Leone Isaurico (717-741), nominando come costruttore un certo Eliodoro. Era una piramide quadrata ornata di scene con amorini, fiori, frutta, uccelli e altri animali, simbolo delle stagioni, coronata da una statua femminile che girava secondo il vento; alcuni degli ornamenti bronzei provenivano da Dyrrachium e furono fusi dai Crociati nel 1204 (Nicetas Chon., 856-857 Bonn; P. G., cmxix, 692 A, 1044-1045). V'erano anche vari orologi, uno a S. Sofia (P. G., cxii, 152), un altro presso il Milion costruito da Giustiniano nel 535 (Theophan., 1, 216), uno nel Foro di Costantino proveniente da Cizico (Preger, iii, 218), uno nell'atrio della Basilica dei SS. Apostoli, oltre ad altri di epoca più recente. Nella IV regione era una nave di marmo detta Liburna, forse innalzata in ricordo di una battaglia navale.
Una serie di porti sulle due sponde del Corno d'Oro e della Propontide assicurava un rifugio alle navi e alle varie imbarcazioni necessarie ai traffici di questa città protesa nel mare. Quelli della costa meridionale erano molto esposti ai forti venti del S e alle mareggiate oltre che soggetti all'interramento per i detriti scendenti dalle colline retrostanti.
Il più occidentale sembra che fosse quello di Eleutherios, che le fonti fanno risalire a Costantino (Preger, II, 184) e in cui Teodosio avrebbe scaricato le terre di risulta dagli sterri del Forum Tauri, ampliandolo peraltro verso O, tanto che, in seguito, si chiamò Portum Theodosiacum secondo la Notitia. In genere il porto di Eleutherios viene localizzato a Langa-Bostani nella XII regione. Vi sboccava il Lykos e forse la parte più orientale fu per questo interrata, spostando il bacino più ad occidente. Secondo il Guilland il porto di Teodosio nel VI sec. avrebbe preso il nome di porto di Caesarius e sarebbe stato ingrandito durante il regno di Leone III Isaurico sotto la direzione di Agallianos Kontoskeles che dette il nome al porto, chiamato da allora Kontoskèlion, e alla vicina porta. In seguito Michele VIII Paleologo avrebbe rifatto e fortificato il porto esterno; Giovanni V Catacuzeno lo avrebbe dragato e questo stesso porto avrebbe assunto anche l'altro nome di Heptaskàlon. Un solo porto dunque dovrebbe riconoscersi in tutti questi varî nomi e non altrettanti porti come pensano alcuni studiosi. Il Porto Giuliano (Λιμήν τοῦ ᾿Ιουλιανοῦ) creato da Giuliano l'Apostata nel 362, ornato di un portico semicircolare a sigma lunato e poi detto di Sofia (τῆς Σοϕίας) da Giustino Il, si localizza a Katerga-Limeni, a meno di 300 m a O di SS. Sergio e Bacco. Poiché questo porto si trovava in origine al limite occidentale del quartiere di Hormisdas, che si stendeva fra la Sphendòne e il mare, fu detto anche porto di Hormisdas ed è noto altresì con il nome di Portus Novus, secondo il Guilland, mentre il Millingen voleva identificare il porto di Hormisdas con quello palatino del Boukolèon. Quest'ultimo era il più orientale (Λιμὴν τοῦ Βουκολέοντος) ai piedi del Palazzo Imperiale, a cui era collegato da una scalinata. È molto probabile che già nel IV sec. esistesse uno scalo palatino, poi trasformato in un vero porto, con bacino interno artificiale, non sappiamo a quale epoca precisa. Sulla banchina era un gruppo statuario di un leone che atterrava un toro, poggiato su due colonne; e vicino al porto sorgeva il Palazzo detto appunto Boukolèon, che sarebbe stato costruito da Teodosio II (Preger, iii, 256). Sulla costa del Corno d'Oro il primitivo porto di Bisanzio, ad O del capo ricurvo del promontorio, fu ampliato sotto Settimio Severo verso occidente e la zona adiacente ad O costituiva il Neòrion (Νεώριον) con il porto commerciale e i cantieri navali, dove erano anche i fabbricanti di remi (κοπὰρια). Presso il porto era la Porta del Neòrion (Πόρτα τοῦ Νεωρίου) detta anche ῾Ωραία Πύλη,, corrispondente al luogo di Bayce Kapu, secondo A. M. Schneider. Nel Neòrion l'apostolo Andrea avrebbe predicato e sostato. Non è chiaro quale parte di questa zona portuale sul Corno d'Oro corrispondesse al Portus Prosphorianus con l'annesso mercato (βοσπόριον); forse era più ad oriente, verso la Torre di Eugenio.
Come organismo urbano Costantinopoli non poteva certamente gareggiare con Roma, il cui volto monumentale si era organicamente articolato e composto attraverso tanti secoli di storia e di attività edilizia, ma nel periodo del tardo Impero aveva avuto anch'essa una serie imponente di Fori in una successione che rappresentava un organico sviluppo lungo l'arteria trionfale della Mese, e il vecchio centro attorno al Mìlion aveva visto sorgere un grandioso complesso di monumenti, dal Palazzo Imperiale all'Ippodromo, alle Terme di Zeuxippos, alla Basilica, all'Augustèon, a S. Sofia; una ingente quantità di opere d'arte predate da tutti i centri del mondo antico era migrata nella nuova capitale; le piazze e le vie avevano grandi statue equestri e onorarie su basi, e specialmente elevate su colonne, secondo il gusto tipico del tardo Impero; erano abbellite da fontane e da ninfei, mentre gli edifici risplendevano di crustae marmoree policrome, di mosaici pavimentali e parietali, di pitture, di rivestimenti bronzei nelle porte e nei soffitti, in un insieme intensamente coloristico secondo la visione fastosa e ricca del tempo. L'architettura acquistava sempre maggior movimento di masse e di linee con absidi, arcate, nicchie, cupole, che diventavano sempre più frequenti, mentre le singole membrature si coprivano sempre più di motivi ornamentali con forti chiaroscuri, assumendo anche forme barocche, come i fusti a dava dell'arco teodosiano del Forum Tauri. Molteplici colonnati, terrazze e scalinate creavano una vivace e mossa prospettiva.
La città di Giustiniano. - Un incendio, frequente flagello della città, distrusse sotto Basilisco e sotto Zenone la Biblioteca, la Basilica, il Palazzo di Lausus (un patrizio che ebbe molti onori e cariche sotto Arcadio e la cui dimora si trovava a sinistra dell'inizio della Mese). Ma un nuovo impulso edilizio e una nuova fioritura di costruzioni monumentali e di abbellimenti artistici la città ebbe infine sotto il fortunato regno di Giustiniano (527-565), durante il quale raggiunse il massimo splendore.
Tutta la zona centrale attorno al Mìlion era stata gravemente danneggiata dagli incendî durante la sanguinosa rivolta del 532 e fu in gran parte ricostruita, restaurata e abbellita da Giustiniano. Lavori di restauro furono fatti sul Kàthisma dell'Ippodromo (Marcell. com., 528) e sembra che a Giustiniano si debba la trasformazione in marmo delle gradinate, che erano state fino allora lignee, e causa di vari incendi. Giustiniano, secondo alcune fonti, avrebbe rivestito di marmo quasi tutto il lato occidentale e il popolo lo avrebbe accusato di aver sepolto sotto le lastre i corpi degli uccisi nella sanguinosa rivolta, trasformando l'Ippodromo in un carnaio (σάπρα) (Glykas, 476; Preger, ii, 278). Nel X sec. abbiamo la testimonianza di Leone Grammatico (325) che le gradinate erano marmoree. Dopo il terremoto del 551 che fece crollare la cupola di S. Sofia e danneggiò l'Ippodromo, si chiusero le aperture dei 25 vani concentrici della Sphendòne e si costruirono enormi pilastri nel corridoio circolare, le vòlte furono consolidate e tutta la struttura fu rinforzata. Il Palazzo Imperiale fu ampliato e arricchito, fu rifatta su un nuovo piano la Chalkè che era rimasta distrutta, annettendo, forse con un passaggio sopraelevato e attraverso i peridromi di Marciano, anche la casa di Hormisdas fratello maggiore di Sapore I, che messo in prigione e liberato dalla moglie si era rifugiato a Costantinopoli, dove Costantino gli aveva regalato un palazzo che portava il suo nome (τὰ ῾Ορμὶσδου) e che si elevava a una certa distanza dal muro marittimo, tra la Sphendòne e il luogo dove Giustiniano fece costruire la Chiesa dei SS. Sergio e Bacco. Quando Giustiniano donò poi i suoi beni alle chiese dei SS. Sergio e Bacco e dei SS. Pietro e Paolo, dipendenti dal Palazzo Imperiale, vi annesse anche il Palazzo di Hormisdas, che divenne un monastero.
Giustiniano ricostruì il Senato dell'Augustèon (Procop., De aedif., 1, 10; Bonn iii, 202) più splendido di prima, pieno di colonne e di opere d'arte; ingrandì la cisterna adiacente alla Basilica approfondendola dentro un quadriportico (Chron. Pasch., 1, 619, Bonn; P. G., xcii, 869 C) e vi pose una statua di Salomone assiso che guardava S. Sofia (Preger, ii, 171). Non sappiamo se Giustiniano ricostruì l'Ottagono (Τετραδήσιον ᾿Οκτάγωνον), una specie di Università che bruciò nel 532. Nella piazza dell'Augusteon Giustiniano demolì la Colonna di Teodosio, ne fuse la statua bronzea e la rimpiazzò nel 543-544 con una colonna che sosteneva la propria statua equestre di bronzo, volta verso E, con la mano sinistra alzata nel gesto rituale di apoteosi e con la destra reggente il globo, simbolo della potenza sulla terra. La base aveva sette gradini, il fusto era placcato e aveva corone di bronzo dorato (Cedren., 1, 556 Bonn; P. G., cxxi, 716 C; Zonar., xvi, 6, Teubner, iii, 274; Procop., De aedif., 1, 2, 5-12; Const. Rhod., vv. 42-51, 364-372). L'imperatore aveva la testa sormontata da un enorme lophos piumato detto toùfa (τούϕα), che cadde al tempo di Teofilo (Leo gramm., 227 Bonn; P. G., cviii, 106o B) e fu ricollocato da un operaio, che, tesa una corda dal tetto di S. Sofia fino alla statua, vi si avanzò audacemente tra l'ammirazione degli spettatori. La statua grandiosa di Giustiniano è riprodotta in un disegno del 1340 dalla Biblioteca del Serraglio e aveva impressionato i molti viaggiatori che ce ne parlano. P. Gylles nel suo soggiorno a Costantinopoli dice che i Turchi avevano spogliato la colonna dei rivestimenti bronzei e intorno al 1540 fu demolita la base costruendo al suo posto un serbatoio d'acqua, mentre la statua, portata in un cortile del Serraglio, dove P. Gylles la vide ancora (egli ci dice che la coscia del cavallo era più alta di lui stesso), fu poi fusa per farne cannoni. Doveva elevarsi all'angolo S-O di S. Sofia. Secondo R. Guilland la piazza dell'Augusteon non sarebbe stata pubblica, ma in relazione a S. Sofia, e sarebbe stata collegata alla città con poche porte, forse due soltanto.
Sembra che, in base ai bolli di mattone esaminati dal Mamboury, all'epoca di Giustiniano possa datarsi la cisterna delle mille e una colonna (Bin-bir-direk); misura m 64 × 56,40, ha una superficie di m2 3610 con 16 file di 14 colonne (224 in tutto), alte m 12,40, con due fusti sovrapposti, con capitelli lisci, che hanno monogrammi dei nomi dei tagliapietre bizantini; è sormontata da cupole; un angolo a S-O è murato nelle fondazioni delle case sovrastanti che inglobano 12 colonne.
Giustiniano restaurò nel 528 l'acquedotto di Adriano (Chron. Pasch., 1, 619; P. G., xcii, 869 B), ma di epoca turca è invece l'acquedotto che passa sotto il nome di Giustiniano. Completò inoltre le terme costruite da Anastasio, dette di Dagiste, accanto alle quali era il Palazzo omonimo (Δαγισϑαῖος: Chron. Pasch., 1, 618 Bonn; P. G., xcii, 869 B; Theophan., 1, 176), e restaurò quelle di Zeuxippos che erano bruciate nel 532 (Cedren., 1, 647 Bonn; P. G., cxxi, 705 C; Zonar., xiv, 6; Procop., De aedif., 1, 10; Bonn iii, 202).
Si deve a Giustiniano anche il ponte a N delle Blacherne e della XIV regione attraverso il Corno d'Oro, e che rimase il solo ponte almeno fino al XIV secolo.
Ma l'opera più grandiosa dovuta al suo regno rimane la ricostruzione di S. Sofia con cui la città acquistava il più importante monumento della cristianità, dopo l'antico 5. Pietro di Roma, creando l'insuperato modello di tutta l'architettura bizantina.
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Per la topografia, i monumenti, gli scavi: O. Wulff, Die sieben Wunder von Byzanz und die Apostelkriche nach Konstantinios Rhodios, in Byzant. Zeitschrift, VII, 1898, pp. 318-319; C. Gurlitt, Antike Denkmalsäulen in K., Monaco 1909; Th. Preger, Studein zur Topographie K., in Byzantinische Zeitschr., XIV, 1905, p. 272 ss.; XIX, 1910, pp. 450-461; S. Salaville, Note de topographie constantinopolitaine, in Échos d'Orient, XII, 1909, pp. 262-264; F. W. Unger, Grabungen an der Seraispitze von K., in Arch. Anz., 1916, cc. 1-48; C. Emereau, Le Philopation, le "Vincennes" de Byzance, in Échos d'Orient, XXI, 1922, pp. 171-185; D. Lathoud-P. Pezaud, Le sanctuaire de la Vierge aux Chalcoprateia, in Échos d'Orient, XXIII, 1924, p. 36 ss.; J. B. Papadopoulos, Les palais et les églises des Blachernes, Atene 1928; M. Schede, Archäologische Funde in K., in Arch. Anz., 1929, c. 326 ss. e 358; 1930, c. 432 ss.; E. Dallegio D'Alessio, Les fouilles archeologiques au pied de la Colonne Brulée à C., in Échos d'Orient, XXXIX, 1930, pp. 339-341; D. T. Rice, Exavations at Bodrum camii 1930, the Messel Expedition, in Byzantion, VIII, 1933, p. 151 ss.; E. Mamboury, Un nouvel élément pour la topographie de l'antique Byzance, in Arch. Anz., 1934, c. 50 ss.; A. Müfid, Balaban aga mescidi hafriyage 1930, Türk tarih, in Arkeolojya ve Etnografya dergisi, III, Istanbul 1936, p. 49 ss.; E. Mamboury, Les fouilles byzantines à Istanbul, in Byzantion, XI, 1936, pp. 229-283; XIII, 1938, p. 301-310; XXI, 1951, pp. 425-459; R. Janin, Le Pétrion de C., Étude historique et topographique, in Échos d'Orient, XXXVI, 1937, pp. 31-51; R. Janin, Études de topographie byzantine: ῎Εμβολοι τοῦ Δομνὶνου. Τὰ Μαυριανοῦ, in Échos d'Orient, XXXVI, 1937, p. 133 ss.; G. Martiny, Theatrum maius, in Antiquity, 1938, pp. 89-93; R. Demangel-E. Mamboury, Le quartier des Manganes et la première Région de C., Recherches Françaises en Turquie, II, Parigi 1939; A. Vogt, Notes de topographie byzantine, in Échos d'Orient, XXXIX, 1940, pp. 78-90; A. M. Schneider, Topographica, in Byzantinische Zeitschr., XLI, 1941, pp. 60-69; R. Janin, Notes sur les régions de C. byzantine, in Rev. Étud. Byz., III, 1945, pp. 29-42; R. Janin, Topographie de C. Byzantine. Quelques quartiers mal connus, in Memorial L. Petit, 1948, pp. 218-232, Archivs de l'Orient chrétien, I; R. Guilland, Περὶ τὴν βασὶλεων τάξιν Κωνατανκτίου Ζ΄ τοῦ Πορϕυργενήτου. ῾Η Χαλκῆ καὶ τὰ πέριξ αὐτῆς, ᾿Επετ. ῾Ετ. Βυζ. Σπουδ., XVIII, 1948, pp. 153-173; G. Millet, Le forum d'Arcadius, la dénomination, les statues, in Mémorial Louis Petit, Parigi 1948, pp. 361-365; R. Guilland, À propos du Livre des Cérémonies de Costantin VII Porphirogenite. Le Delphax, in Mélanges H. Gregoire, II, Annuaire Inst. de Phil. et d'Hist. Or. et Sl., X, 1950, pp. 295-306; R. Janin, La topographie de C. Byzantine, Études et découvertes 1938-1950, in Revue d'Études Byzant., 1950, p. 197 ss.; G. Downey, Justinian a Builder, in Art Bulletin, XXXII, 1950, 4, pp. 262-266; R. Guilland, Autour du Livre des Cérémonies de Constantin Porphyrogénète; la Mese ou Regia ῾Η Μέση, ἡ ῾Ρηγία, in Actes VI Congr. Int. Étud. Byz., Parigi 1948, II, 1951, pp. 171-182; R. Janin, Les sources de la topographie de C. Byzantine, in Actes VI Congr. Int. Étud. Byz., Parigi 1948, II, 1951, pp. 197-200; E. Mamboury, Contribution à la topographie générale de C., in Actes VI Cong. Int. Étud. Byz., Parigi 1948, II, 1951, pp. 243-253; C. A. Mango, Le Diipion, Étude historique et topographique, in Rev. Ét. Byz., VIII, 1950 (1951), pp. 152-161; G. Downey, Notes on the Topography of C., in Art Bulletin, XXXIV, 1952, pp. 235-236; R. Duyuran, First Report on the Excavations on the Site of the New Palace of Justice at Istanbul, in Annual of the Arch. Museums of Istanbul, V, 1952, pp. 33-38; id., Second Report, ibid., VI, 1953, pp. 21-27, 74-80; E. Mamboury, Le Forum de Costantine, la Chapelle de st. Constantin et les mystères de la Colonne Brulée, in Πεπραγμένα Θ᾿ Διεϑν. Βυζ. Συνεδρίου, 1955, pp. 275 ss.; R. Janin, Du Forum Bovis au Forum Tauri, Étude topographique, in Rev. Ét. Byz., XIII, 1955, pp. 85-108; H. E. del Medico, À propos d'une mosaîque découverte à Istanbul, in Byzantino-slavica, XVI, 1955, pp. 256-264; A. M. Schneider, Regionen und Quartiere in K., in Kleinasien und Byzanz, Berlino 1955, pp. 149-158; P. Verzone, Il "Tetrapilo aureo", in Mon. Ant. Lincei, LXIII, 1956, c. 125 ss.; id., Quartadecima Regio, in Festshrift Zaloziecki, 1956. Per le due Colonne di Teodosio e di Arcadio, v. la bibl. cit. s. v. colonna coclide.
Per i palazzi imperiali: J. Labarte, Le Palais impérial de C. et ses abords, Sainte Sophie, le Forum Augustéum, tels qu'ils étaient au dixième siècle, Parigi 1861; J. Ebersolt, Le Grand Palais de C. et le Livre des cérémonies, Parigi 1910; J. Ebersolt, Les ruines et les substrictions du Grand Palais des empereurs byzantins, in Comptes-rendus Acad. Inscr. et Bell. Lettres, 1913, pp. 31-39; A. Vogt, L'Hippodrom "couvert" in Échos d'Orient, XXXVII, 1938, pp. 23-35; G. Brett, G. Martiny, R. Stevenson, The Great Palace of the Byzantine Emperors, Oxford 1947: R. Guilland, Autour du Livre des cérémonies. L'Augusteus, La Main d'or et L'Onopodion, in Rev. Ét. Byz., VI, 1948, pp. 167-180; R. Guilland, C. byzantine. Le Boukoléon. La plage du Boucoléon, in byzantinoslavica, X, 1949, pp. 16-27; R. Guilland, Les Palais du Boukoléon, in Byzantinoslavica, XI, 1950, pp. 61-71; R. Guilland, Études sur le Palais du boukolén, in Byzantinoslavica, XII, 1951, pp. 210-237; C. A. Mango, Autour du Grand Palais de C., in Cahiers Archéologiques, V, 1951, pp. 179-186; R. Guilland, Les palais de Boukoléon. L'assassinat de Nicéphòre II Phokas, in Byzantinoslavica, XIII, 1952, pp. 101-136; R. Guilland, La Basilique, la bibliothèque et l'Octogone de Byzance, in Mélange d'histoire litter. et la bibliographie offerts à J. Bonnerot, Parigi 1954, pp. 97-107; D. Talbot Rice, Les mosaîques du Grand Palais des empereurs byzantins a C., in Rev. des Arts, V, 1955, pp. 159-166; R. Guilland, Études sur le Grand Palais de C., in ῾Ελληνικά, XIV, 1955, pp. 106-122; S. Miranda, El gran Palacio Sagrado de Bizancio, Mexico 1955; D. Talbot Rice, The Great Palace of the Byzantine Emperors, Second Report, Edinburgo 1958.
Per l'Ippodromo: O. Frick, Die Inschriften der Schlangensäule im Hippodrom zu K., in Arch. Zeitschrift, 1855-1856; O. Frick-E. Curtius, Ausgrabung der Schlangensäule auf dem Hippodrom zu Konstantinopel, in Monatsberichte der Kgl. Preuss. Akad. d. Wissensch. zu Berlin, 1856, pp. 162-181, 286-287; A. Rambaud, De byzantino Hippodromo et circensibus factionibus, Parigi 1870; F. W. Unger, Zur Geschichte der Schlangensäule, in nachrichten der Gesellschaft der Wissenschaften in Göttingen, 1876, pp. 397-401; B. Paluka, Die Säule Konstantins VII Porphyrogenetos auf dem Hippodrom zu K., in Byzant. Zeitschrift, V, 1896, pp. 158-159; H. Swoboda, Epigraphisch-historische Beiträge, II, Die Inschrift der Schlangensäule von K., in Arch. Epigr. Mitteilungen aus Österreich, Vienna 1897, pp. 130-150; Th. Weigand, Das Hippodrom von K. zur Zeit Suleimans d. Gr., in Jahrbuch, XXIII, 1908, pp. 1-11; A. Rambaud, Études sur l'histoire byzantine. Le sport et l'Hippodrome à C., Parigi 1919; A. Piganiol, La loge impérial de l'Hippodrom de Byzance, in Deuxième Congrès Int. des Étud. Byz., Belgrado, 1929, p. 56; St. Casson-T. Rice, Second Report upon the Excavations Carried out and near the Hippodrom of C. in 1929, Londra 1929; Kluge, in Jahrbuch, XLIV, 1929, pp. 3-27 per la fusione del sostegno serpentiforme; St. Casson, Les fouilles à l'hippodrom de C., in Gazette des Beaux Arts, III, 1930, pp. 213-242; G. Bruns, Der Obelisk und seine Basis auf dem Hippodrom zu K., Istanbuler Forschungen, Istanbul 1935; A. Vogt, L'Hippodrome de C., in Byzantion, XI, 1936, pp. 383-390; R. Guilland, The Hippodrom at Byzantium, in Speculum, XXIII, 1948, pp. 676(82; A. A. Vasiliev, The Monument of Porphirius in the Hippodrom at C., in Dumbarton Oaks Papers, IV, 1948, pp. 67 ss.; C. A. Mango, L'Euripe de l'Hippodrome de C. in Rev. Ét. Byz., VII, 1949 (1950), pp. 180-183; R. Guilland, Les dèmes Οἱ δῆμοι, in Mélanges L. Halphen, Parigi 1950, pp. 297-306; R. Guilland, Μελέται περὶ τοῦ ῾Ιπποδρόμου τῆς K., in ᾿Επετ. ῾Ετ. Βυζ. Σπουδ., XX, 1950, pp. 33-55; R. Guilland, L'Hippodrome de Byzance in Miscellanea Galbiati, III, Fontes Ambrosiani, XXVI, 1951, pp. 205-218; R. Guilland, l'Hippodrome. L'escalier privé en colimaçon, ῾Ο μυστικὸς χοχλίας. Itinéraire du Salon d'or à l'escalier privé en colimaçon, in Jahrbuch Oesterr. Byz. Gesel., II, 1952, pp. 3-12; R. Guilland, Les portes de l'Hippodrome, in Jahrb. Oesterr, Byz. Gesel., IV, 1955, pp. 51-85; R. Guilland, Études sur l'Hippodrome de Byzance; le palais du Kathisma, Τὸ παλάτιον τοῦ καϑισματος, in Byzantinoslavica, XVIII, 1957, pp. 39-76.
(G. Becatti)
Le chiese. - In Bisanzio, già prima della fondazione di Costantinopoli, sorsero chiese per il culto della nuova religione: le fonti, infatti, ricordano la chiesa di S. Irene con l'apposizione di ecclesia antiqua. Nel 330 Costantino fondò la nuova capitale che da lui prenderà il nome. Con gli edifici civili sorgono quelli destinati al culto; la nuova città diventa uno dei maggiori centri dell'attività architettonica religiosa come è dimostrato dal fatto che gli architetti della chiesa del S. Sepolcro di Gerusalemme sono mandati da Costantinopoli. L'imperatore stesso sovrintende alle fondazioni ecclesiastiche (cfr. W. Telfer, Studia Patristica, i, Berlino 1957, pp. 698 ss.). La mancanza però di sicuri reperti archeologici non permette di ritenere esatti i riferimenti delle fonti letterarie, per la maggior parte medievali, e ciò sia per quanto riguarda il numero sia per quanto attiene all' entità architettonica delle fondazioni stesse. A tale proposito, anzi, è da pensare che nemmeno le principali tra quelle attribuitegli, siano completamente sue: le chiese dei SS. Apostoli e di S. Sofia, forse, furono solo iniziate sotto il suo impero, per essere poi compiute dal figlio Costanzo.
L'epoca più importante per la formazione e per lo sviluppo dell'architettura religiosa in Costantinopoli è quella dei Teodosî. Parecchie sono le fondazioni di chiese attribuite a Teodosio I, ma ancora più numerose sono quelle che si fanno risalire al tempo di Teodosio II: è lui che fa ricostruire con più magnificenza la costantiniana chiesa di S. Sofia.
Il periodo aureo però dell'architettura sacra costantinopolitana si ha con Giustiniano. La tecnica della costruzione a vòlta e a cupola raggiunge tale perfezione da rendere realizzabili progetti di monumenti unici per dimensioni e spazialità. La decorazione architettonica, specialmente quella plastica, è in pieno rigoglio. Il fenomeno architettonico dell'età giustinianea, di cui S. Sofia è l'esempio più cospicuo, esercita una forte influenza sull'architettura contemporanea di quasi tutte le province dell'Impero.
Tra gli elementi che caratterizzano l'edificio sacro a Costantinopoli sono il matroneo, che si sviluppa oltre che sulle navate laterali anche sul nartece, e l'abside esternamente poligonale, come nella chiesa di S. Giovanni di Studios. Il marmo usato nelle colonne, nei capitelli, fra i quali quello d'imposta destinato ad avere grande diffusione, negli architravi e nelle cornici, lavorato nelle officine della stessa città o delle immediate vicinanze dove affluiva dalla vicina Propontide, presenta quasi sempre grande accuratezza di fattura e raffinatezza di gusto ornamentale, sconosciuto in genere alla produzione di scultura architettonica delle altre regioni del tardo Impero. Già nel sec. V, ma con maggior intensità nel VI, marmi lavorati a Costantinopoli vengono esportati in quasi tutte le regioni litoranee dell'Impero, cosicché diventa sempre più ampio e più ricco il fenomeno di diffusione di forme e soluzioni architettoniche inventate a Costantinopoli.
I monumenti: 1. S. Irene. ῾Η ἁγία Εἰρήνη. Ricordata dalle fonti come ecclesia antiqua (Not. Dignitatum, p. 231, ed. Seeck), essa sorse sull'acropoli di Bisanzio prima ancora che fosse fondata Costantinopoli. Purtroppo di quella prima costruzione nulla ci è pervenuto se non la memoria delle fonti: distrutta dal fuoco nel 332 e nel 532, fu ricostruita la prima volta da Costantino, la seconda da Giustiniano. La ricostruzione giustinianea, tutta ex novo, è quella esistente ancora oggi, peraltro ripetutamente restaurata, in special modo dopo il terremoto del 740. È l'esempio più importante. di basilica coperta da cupola e da vòlte.
Bibl.: W. George, The Church of St. Eirene, Londra 1913; A. M. Schneider, p. 60; Dölger-Schneider, p. 274.
2. SS. Apostoli. Οἱ ἅγιοι ῾Απόστολοι. Questa chiesa, della quale manca ogni traccia archeologica, è variamente attribuita: fondazione di Costantino secondo Eusebio (Vita Const., iv, 58, 59), di Costanzo secondo Procopio (De aed., i, 4, 19). Alcuni studiosi ritengono invece che a Costanzo debba attribuirsi soltanto l'annesso mausoleo dell'imperatore. La sommaria descrizione di essa che ci dà Eusebio non fornisce purtroppo indicazioni e dati sufficienti per una schematica ricostruzione dell'edificio: forse fu una basilica con annesso nell'asse il mausoleo imperiale a pianta centrale con nicchie, simile a quello dell'imperatrice Elena a Roma (Tor Pignattara). Rifatta da Giustiniano, la chiesa, sempre secondo le fonti, avrebbe assunta la pianta a croce greca con navi laterali e matronei. La copertura a vòlte nelle navate minori, avrebbe avuto vòlte a cupola nelle mediane e nel quadrato centrale. Indubbiamente, nelle linee generali, la chiesa dei SS. Apostoli, sarà stata molto vicina a quella di S. Giovanni a Efeso, anch'essa fondata da Giustiniano e Teodora.
Bibl.: Forschungen in Ephesos, IV 3, Vienna 1951, specialmente tavv. 68-70; A. Heisenberg, Grabeskirche und Apostelkirche, II, Lipsia 1908; J. Ebersolt, Sanctuaires, p. 31. A. M. Schneider, Byzanz, pp. 52-53; S. Bettini, L'architettura di S. Marco, Padova 1946, pp. 53-84; G. Downey, in Dumbarton Oaks Papers, 6, 1951, pp. 53 ss. con bibliografia; Deichmann-Tschira, in Jahrbuch, XXII, 1957, pp. 87-88 con bibliografia.
3. S. Sofia. ῾Η μεγάλη ἐκκλησία; ἡ ἁγία Σοϕία. Poi Aya Sofya cami; oggi Aya Sofya Müzesi. Della prima S. Sofia, che forse nei disegni di Costantino era destinata ad essere la chiesa principale della nuova capitale e che fu consacrata da Costanzo il 15 febbraio del 360, non rimane alcuna traccia. Si sa che, distrutta dal fuoco nel 404, fu ricostruita da Teodosio II (consacrazione 8 ottobre del 415). Di questa seconda costruzione sono venuti alla luce, sotto l'atrio dell'edificio giustinianeo, i resti del sontuoso pronao consistente di un propileo centrale con fastigio e portici laterali, primo esempio di architettura monumentale cristiana a Costantinopoli, con chiari moduli strutturali e ornamentali provenienti dalla tradizione architettonica dell'Asia Minore occidentale. Mancano però del tutto le tracce del corpo principale della chiesa che forse fu una basilica a cinque navate. Anche la chiesa teodosiana fu distrutta dal fuoco durante la rivoluzione del Nika nel 532. Giustiniano la ricostruì più sontuosa che mai e la inaugurò il 27 dicembre del 537. Nel 562 la chiesa fu ancora una volta consacrata dopo essere stata chiusa per lavori di restauro eseguiti in seguito al crollo della cupola. Gli architetti della chiesa giustinianea furono Anthemios di Tralles e Isidoros di Mileto. S. Sofia è l'esempio più importante, più perfetto e meglio conservato di costruzione tardo-antica con copertura a cupola e a vòlte. In essa culmina lo sviluppo dell'architettura non solo costantinopolitana, ma di tutta la tarda antichità. La pianta è data dalla fusione della basilica con l'edificio centrale: sul quadrato d'innesto insiste la grandiosa cupola sorretta da pennacchi sferici. Tutta la costruzione si regge su un complicato sistema "a scarico" di vòlte, archi, pilastri, contrafforti. La decorazione architettonica, specialmente quella plastica dei capitelli, dei fregi, ecc., mostra a quali alti gradi di perfezione fosse giunta la plastica bizantina caratterizzata dal chiaroscuro cromatico. Forse solo in epoca tardoe post-giustinianea l'edificio fu ornato anche di mosaici. Di essi, però, rimane poco: si conservano ancora i pannelli ornamentali di alcuni sottarchi e di alcune vòlte delle navatelle, questi ultimi a fondo d'oro con grandi croci, nonché quelli con tralci d'acanto su fondo bianco che rivestono le vòlte di due ambienti annessi al matroneo Ovest.
Bibl.: A. M. Schneider, Byzanz, pp. 73 s. Opere generali: E. M. Antoniades, Εκϕρασις τῆς ῾Αγίας Σοϕίας, Atene 1907; W. Zaloziecki, Die Sophienkirche von K.pel, Città del Vaticano, 1936; A. M. Schneider, Die Hagia Sophia zu K., Berlino 1939; E. H. Swift, Hagia Sophia, New York 1940; G. A. Andreades, in Kunstwiss. Forsch., I, 1931, p. 85 ss. Portico teodosiano: A. M. Schneider, Die Grabung im Westhof der Sophienkirche zu Istanbul, Berlino 1941; F. V. Deichmann, pp. 56 ss., 63 ss. Cupola: K. J. Conant, in Am. Journ. Arch., XLIII, 1939, pp. 589 ss.; O. Strub-Roessler, in Byzantin. Zeitschrift, XLII, 1943-9, pp. 178 ss. Decorazione architettonica: F. W. Deichmann, pp. 76 ss. Mosaici: W. Salzenberg, in Altchristiliche Baudenkmäler von C., Berlino 1854, tavv. 23-25. Mosaici tardo-antichi recentemente scoperti: P. A. Underwood, in Dumbarton Oaks Papers, 9-10, 1956, pp. 291 ss. Battistero: A. M. Schneider, Byzanz, p. 74. Skeuophylakion: A. M. Schneider, Byzanz, p. 74. Per le fonti letterarie cfr. Richter, op. cit. nella bibl., pp. 12 ss.
4. SS. Carpo e Papilo. Μονὴ τῶν ἁγίων κάρπου καὶ Παπύλου. Erroneamente attribuita a S. Elena imperatrice (cfr. Script. Orig. Const., 245, ed. Preger), la costruzione, senza dubbio, appartiene alla fine del sec. IV o al principio del V. Di tutto il complesso architettonico rimangono le sole sostruzioni consistenti in un corridoio anulare che si sviluppa intorno a un ambiente circolare absidato, con cupola. I resti inducono senz'altro alla ricostruzione del piano superiore secondo il noto schema del vano centrale con ambulacro a colonne (vedi s. costanza a Roma).
Bibl.: A. M. Schneider, Byzanz, p. i ss. e tav. 1-3.
5. Theotokos Chalkopratia. ῾Η Θεοτόκος εἰς τοῖς Χαλκοπρατείοις. Oggi Acem Aǧa mescidi. Costruita da Marciano e Pulcheria (450-457), fu forse una basilica a tre navi, della quale rimane solo parte del muro perimetrale e l'abside esternamente poligonale.
Bibl.: J. Ebersolt, Églises, 256; A. M. Schneider, Byzanz, 56, fig. 14.
6. Ayasma della chiesa della Theotokos Hodegetria. Nelle adiacenze del Palazzo delle Mangane sono stati trovati i resti di un edificio a pianta esagonale con nicchie, che molto probabilmente appartengono alla chiesa che Pulcheria fondò, negli ultimi decenni del sec. V, col titolo di Hodegetria: secondo Script. Orig., Const., p. 223 (ed. Preger) qui si trovava una fonte sacra.
Bibl.: Secondo lo Schneider, Byzanz, p. 90, si tratterebbe però di resti di terme. Dölger-Scheider, Byzanz, p. 275; R. Demangel-E. Mamboury, Le quartier des Manganes, Parigi 1940.
7. S. Giovanni di Studios. Μονὴ τοῦ Στουδίου. Oggi Mirahor Camii. Fatta costruire dal patrizio Studios nel 463, la chiesa segue lo schema della basilica costantinopolitana con matronei sulle navatelle e sul nartece. La decorazione architettonica molto affine a quella del pronao della S. Sofia teodosiana, presenta già alcune caratteristiche che saranno proprie della scultura decorativa dell'età giustinianea.
Bibl.: J. Ebersolt, Églises, p. 3 ss. e tavv. 1-4; A. M. Schneider, Byzanz, p. 76 s.; Deichmann, p. 69 ss.
8. SS. Sergio e Bacco. Ναὸς τῶν ἁγίων Σεργίου καὶ Βάκχου. Oggi Küçük Aya Sofya. Fu costruita da Giustiniano e Teodora nel complesso del Palazzo di Hormisdas, fra il 527 e 536. Un ambiente ottagonale costituisce il corpo centrale dell'edificio che si completa di un ambulacro chiuso da un muro perimetrale a pianta quasi quadrata con nicchie angolari. Il vano centrale comunica con l'ambulacro attraverso grandi nicchie che si aprono in sette lati dell'ottagono, alte fino al matroneo. La chiesa è, dopo S. Sofia, l'esempio più perfetto di una costruzione omogenea a vòlte costantinopolitana. Di tutta la decorazione plastica che un tempo decorava l'armonioso interno dell'edificio, rimangono i capitelli e le trabeazioni, primi esempi datati del chiaroscuro del rilievo bizantino del periodo aureo. Sul lato settentrionale dell'edificio era addossata, come fanno supporre le tracce, la chiesa dei SS. Pietro e Paolo, che servì al culto latino (Procop., De aed., i, 4, 1-7).
Bibl.: J. Ebersolt, Églises, p. 21 ss. e tavv. 5-12; A. M. Schneider, Byzanz, p. 71 s.
9. Durante la costruzione della nuova università vennero alla luce i resti di un gruppo di tre edifici sacri due dei quali appartenenti al tempo di Giustiniano. L'edificio A, che dovette essere una basilica a cupola, ebbe capitelli molto simili a quelli principali di S. Sofia.
Bibl.: N. Firatli, in Cath. Archéol., VI, 1951, pp. 163 ss.
10. Nel cortile di Topkapi Sarayi furono trovate le fondazioni di una basilica con transetto, appartenente al tempo di Giustino II.
Bibl.: A. M. Schneider, in Arch. Anz., 1943, pp. 249 ss.
11. S. Giovanni Battista a Hebdomon. Per quanto non compresa entro le mura della città, giova ricordare la famosa chiesa, sita nell'odierno Baltirköy; costruita da Teodosio I, fu ingrandita da Giustiniano. Della chiesa, che secondo le fonti fu un edificio a pianta centrale con cupola, sono venuti alla luce alcuni avanzi: i più consistenti si riferiscono all'abside.
Bibl.: Script. Orig. Const., p. 260, ed. Preger; Procop., De aed., i, 8; J. Ebersolt, Sanctuaires, p. 100; R. Demangel, Topographie de l'Hebdomon, Parigi 1945, p. 17 ss. e tav. 3.
12. Theotokos delle Blacherne. Della fondazione di Pulcheria non esistono avanzi.
Bibl.: J. Ebersolt, Sanctuaires, p. 44; A. M. Schneider, Byzanz, p. 54 ss.; R. Krautheimer, Arte del Primo Millennio, Torino 1953, p. 23 s.
13. S. Andrea. Μονὴ τοῦ ᾿Ανδρέου ἐν τῇ Κρίσει. Oggi Koca Mustafapasa Camii. La fondazione di Arcadia è stata sostituita da una costruzione del sec. VIII.
Bibl.: J. Ebersolt, Sanctuaires, p. 31; A. M. Schneider, Byzanz, p. 52 s.
14. Chiesa del Convento Chora. Μονὴ τῆς Χώρας. Oggi Kariye Camii. Della costruzione più antica che esistette già all'epoca giustinianea non si sono scoperte finora (1958) delle tracce.
Bibl.: A. M. Schneider, Byzanz, p. 57 s.
Per tutti i monumenti menzionati nelle fonti, ma di cui manca ogni traccia, cfr. le fonti presso Richter, passim.
Bibl.: Fonti: J. P. Richter, Quellen der byzantinischen Kunstgeschichte, Vienna 1897; Scriptores Originum Constantinopolitarum, ed. Th. Preger, Lipsia 1901; F. Dölger-A. M. Schneider, Byzanz, Berna 1952, p. 276 ss.; F. W. Deichmann, Studien zur Architektur Konstantinopels im 5. und 6. Jahrhundert, Baden-Baden 1956; J. Ebersolt, Sanctuaires de Byzance, Parigi 1921; J. Ebersolt-A. Thiers, Les Églises de Constantinople, Parigi 1913; C. Gurlitt, Die Baukunst Konstantinopels, Berlino 1912; R. Janin, Constantinople byzantine, Parigi 1950; E. Mamboury, Les fouilles byzantines à Istanbul et dans sa banlieu aux XIXe et XXe siècles, in Byzantion, I, 1936, pp. 229-283; A. Millingen, Byzantine Costantinople, Londra 1899; W. Salzenberg, Altchristliche Baudenkmäler von Konstantinopel, Berlino 1854-55; A. M. Schneider, Byzanz, Berlino 1936, con catalogo delle chiese esistenti e pianta topografica; P. Verzone, in Corsi di cultura sull'arte ravennate e biz., II, 1958.
(F. W. Deichmann)
Musei di Istanbul. - La storia dello sviluppo del Museo delle Antichità di Istanbul è degna di interesse perché mostra in quale breve spazio di tempo questa collezione è assurta al rango di grande museo.
Le origini di questo museo sono molto modeste. Il Gran Maestro dell'artiglieria, Fethi Ahmed Pascia, che era allo stesso tempo un grande amatore di cose d'arte, nella metà del XIX sec. riunì, nella chiesa di S. Irene, situata nell'interno delle mura dell'antico Serraglio, e allora adibita a deposito di armi, una piccola collezione formata dai pezzi più disparati e di svariate provenienze ed epoche. Questa raccolta a mano a mano crescente non mancò di attirare l'attenzione degli studiosi. Già nel 1868 la Revue Archéologique ne pubblicò un breve catalogo, compilato da A. Dumont (1868, ii, p. 237 s.). Sotto il Gran Visir Ali Pascia la collezione ebbe il nome di "Museo Imperiale" (1869). Il suo primo direttore, un inglese di nome Goold, ne pubblicò un catalogo (1871). A lui successe il Terenzio e poi lo studioso tedesco Dethier. Durante la sua direzione, nel 1875, i tesori vennero trasportati nello splendido Cinili-Kiösk, una delle più antiche costruzioni turche di Istanbul, situata nel giardino dell'antico Serraglio, che, ormai, come Museo di Antichità, passò alla amministrazione dei musei.
Nell'anno 1881 Osman Hamdi fu nominato successore del Dethier, e questa data segna l'inizio di un grande sviluppo per il museo; di notevole importanza fu la scoperta dei meravigliosi sarcofagi fenici e greci del sepolcro dei re di Sidone, che, accuratamente dissotterrati e trasportati a Istanbul, accrebbero il patrimonio artistico della raccolta. Questi pezzi monumentali non poterono essere trasportati nel Cinili-Kiösk, e fu eretto, di fronte ad esso, un semplice edificio a due piani, di stile classicistico, dove i detti sarcofagi trovarono nel piano terreno una degna sistemazione. O. Hamdi fece istituire, in pari tempo, una legge sulle antichità che le dichiarava, in massa, proprietà dello Stato e ne impediva l'esportazione all'estero. La direzione del museo provvedeva ai fondi necessari per gli scavi e relativi viaggi nelle province. Così le collezioni si accrebbero rapidamente, e fu necessario aggiungere all'edificio, prima un'ala a N, e, quando dopo qualche tempo anche questa non fu più sufficiente, un'ala a S. In questo modo fu eretto un edificio largo circa 150 m, con una facciata munita di doppio portico di ingresso; l'area totale è all'incirca di 4500 m2. Halil Edhem, fratello e successore di O. Hamdi (1910-1931), continuò il lavoro del suo predecessore, curando specialmente la classificazione scientifica, il riordinamento e la catalogazione delle collezioni, sorretto in questo suo intento da parecchi studiosi. Fra questi va citato anzitutto G. Mendel, il compilatore del grandioso Catalogue des sculptures grecques romaines et byzantines, in tre volumi (1912-1914). Fu anche allestito un Museo dell'Antico Oriente nel fabbricato annesso alla direzione del museo, che era stato adibito a scuola di belle arti.
Il Museo delle Antichità di Istanbul, che occupa oggi un posto considerevole fra i principali musei del mondo, contiene le collezioni seguenti:
1) Al piano terreno del grande edificio sono collocate le sculture fenicie, greche, romane e bizantine. Sarcofagi (fra i quali il cosiddetto Sarcofago di Alessandro), e stele sepolcrali e votive; inoltre una collezione di statue dell'epoca ellenistico-romana. Il museo contiene inoltre una importante raccolta di sculture bizantine, che, con le opere in porfido collocate davanti al museo, costituiscono una delle più ricche del genere. Al 1° piano sono sculture palmirene e cipriote, oggetti di Palestina e di Siria, terrecotte, bronzi e vasi. Il museo possiede anche una grande collezione di monete e di medaglie, ed una biblioteca di circa 40.000 volumi.
2) Il Museo dell'Antico Oriente contiene, oltre ad una piccola collezione egiziana, un gran numero di antichità sumeriche, babilonesi, assire, hittite, parthiche ed aramaiche. Sono ancora da citare le sculture nabatee e himyarite, oltre ad una raccolta di tavolette di terracotta.
3) Il Cinili-Kiösk, che una volta formava il nucleo del museo e che fu ordinato da Halil Edhem in Museo islamico-turco, è stato inaugurato come Museo Fatih.
Bibl.: Hail Edhem, Das Osmanische Antikenmuseum in K., Hilprecht Anniversary Volume (1909), p. 370 s.; G. Mendel, Les nouvelles salles du Musée de Constantinople, in Revue de l'Art Ancien et Moderne, XXVI, 1909, p. 251 s.; E. Unger, Das Antikenmuseum in Konstantinopel, in Minerva-Zeitschrift, I, 1924-25, p. 59 s.; Ch. Picard, Au Musée de Constantinople, in Revue des Étudies Anciennes, XXXII, 1930, p. 153 s.; H. Edhem, Le rang et l'importance de nous musées des Antiquités parmi les musées européens, in La Turquie Kemaliste, n. 5, 1935, p. 2 s.; P. Decambez, Visite au Musée pre-romain d'Istambul, in La Turquie Kemaliste, n. 14, 1936, p. 2 s.; Y. Béquignon, Musées d'Antiquités de Stamboul, in Rev. Arch., VI, 1937, p. 286 s.; XI, 1938, p. 343 s. Una lista completa dei cataloghi e di altre pubblicazioni del museo si può trovare nella bibliografia di Arif Müfid Mansel, Türkiyenin arkeoloji, epigrafi ve tarihî cografyasi için Bibliografya, Ankara 1948, p. 533 ss.
(A. M. Mansel)
Iconografia. - Le personificazioni di C. hanno inizio con Costantino: su monete di questo imperatore la personificazione della città appare (vestita di una lunga tunica e di un mantello, con la corona turrita sul capo, nella destra un ramo e nella sinistra una cornucopia, simbolo di prosperità) seduta su un trono molto decorato; posa i piedi su una prua, simbolo dell'attività marinara. Manca qualsiasi accenno alla nuova religione cristiana e lo schema è prettamente ellenistico. In monete coniate nel 343 sotto Costanzo II vediamo le personificazioni di Roma e C. che sostengono uno scudo con l'iscrizione vot xx mult xxx; lo stesso tipo continua su monete di Costanzo nel 353, nelle quali tra Roma e C. è posto uno scudo simile con o senza il monogramma cristiano nel campo. In alcune monete del 350, Roma e C. sono sedute di fianco ed indossano lo stesso vestito che abbiamo visto nelle monete precedenti: ma C. ha nella destra tesa l'emblema proprio di Roma: la Vittoria sul globo. In monete d'oro battute a Nicomedia, Sirmio ed Antiochia, di data incerta, C. è ritratta da sola: seduta su un trono dall'alto schienale molto decorato, ha i piedi su una prua, una corta tunica stretta al petto, una collana e calzari molto ornati; molto originale è il copricapo che non è l'elmo o la corona, ma un diadema: nella destra C. sostiene la Vittoria sul globo e nella sinistra uno scettro. Le figure sulle monete continuano con poche varianti, ma accentuando sempre più la differenza e l'esaltazione nei confronti di Roma.
Una figurazione di C. si ha in un rilievo bronzeo del IV sec. su supporto di legno di cedro, trovato in Croazia: Roma è al centro del riquadro, alla sua sinistra sono Nicomedia e Siscia, a destra Cartagine e C. rappresentata velata e turrita. Una figurazione molto importante è sul Calendario di Filocalus del 354, che ci è conservato nella copia Barberini (Biblioteca Vaticana) del 1620 nella versione dell'VIII o IX secolo. C. vi è raffigurata secondo il modo tradizionale: visione frontale, corona turrita, collana, lunga tunica e mantello, nella destra una corona d'alloro, nella sinistra una spada, che forse è un errore del copista invece dello scettro: due eroti trattengono sul capo della figura una corona d'alloro, a sinistra un Eros posato sul dorso di un compagno alza una torcia, simbolo di prosperità; a destra un altro Eros corre con una torcia accesa. Un'altra raffigurazione è sulla Tabula Peutingeriana in cui C. appare sulla spiaggia del Bosforo: si vede la Colonna di Costantino con una statua sulla sommità. Una statuetta d'argento scoperta nel 1793 sull'Esquilino, ora al British Museum, rappresenta C. con l'elmo, la cornucopia ed una patera.
Bibl.: J. M. C. Toynbee, Roma and Constantinopolis in Late-antique Art from 312 to 365, in Journ. Rom. Stud., XXXVII, 1947, pp. 135-144; id., Roma and Constantinopolis in Late-antique Art from 365 to Justin II, in Studies Presented to D. M. Robinson, II, Saint Louis 1953, pp. 261-277; Calendario di Filocalus: J. Strzygowski, Die Calenderbilder des Chronographen vom Jahre 354, in Jahrbuch, Ergänzungsheft, I, 1888, tavv. 4-7; C. H. Stern, Le Calendrier de 354, Parigi 1954. Tabula Peutingeriana: K. Miller, Itineraria Romana: Römische Reisewege an der Hand der Tabula Peutingeriana, Stoccarda 1916, tav. XXX-XXXII. Statuetta: J. M. C. Toynbee, art. cit., in Journ. Rom. Stud., tav. VI. Rilievo bronzeo di Croazia: B. Thomas, Archaeologische Funde in Ungarn, Budapest 1956, p. 250.
(L. Rocchetti)