Costantinopoli
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
A poche settimane dalla vittoria sul rivale Licinio colta a Crisopoli, Costantino decide di fondare una nuova capitale, e la sua scelta cade su Bisanzio; data l’opposizione di altre metropoli che si sentono indebitamente scavalcate, per ottenere il riconoscimento di effettiva capitale Costantinopoli deve rinnovarsi, ridisegnando la propria fisionomia e assicurandosi un arredo urbano consono alla nuova dignità imperiale. Inizialmente, la presenza di monumenti cristiani è limitata, e solo dal V secolo Costantinopoli comincia ad assumere le caratteristiche di vera capitale della cristianità d’Oriente; sotto Teodosio, poi, la superficie cittadina viene ampliata; Giustiniano è invece protagonista di una imponente campagna di costruzione e ristrutturazione di monumenti religiosi e civili tesa a rendere Costantinopoli il manifesto dell’utopia politica giustinianea. Dopo questo periodo, si apre un’età di stasi per la città, colpita da violente epidemie che causano un forte calo demografico. Solo con Basilio I, nel IX secolo, appaiono segni di ripresa.
Nel novembre del 324, a distanza di due mesi dalla vittoria colta a Crisopoli contro il rivale Licinio (250-324 ca.), Costantino (285 ca. - 337, regnante dal 306) decide di fondare una nuova capitale.
La scelta dell’imperatore, che negli anni precedenti aveva soggiornato in diverse città dei Balcani e della Tracia, cade infine su Bisanzio; l’antica colonia megarese, pur con i miglioramenti di età severiana – un mix di mura urbane, piazze porticate, impianti termali la cui costruzione va in realtà diluita nel corso del III secolo – rimaneva una città di modeste proporzioni, ben lontana per importanza storica e per prestigio culturale dalle grandi metropoli d’Oriente come Alessandria e Antiochia. Quali sono allora le ragioni che inducono Costantino a trasformare questa città, posta su un promontorio della riva settentrionale del Mar di Marmara all’imboccatura del Bosforo, in Costantinopoli, la Nuova Roma e la futura capitale dell’Impero bizantino?
È significativo che tutte le fonti antiche ricolleghino la vittoria su Licinio alla creazione di Costantinopoli, con un nesso che non è solo temporale ma che indica un rapporto causale: l’antica Bisanzio è la città della secessione dall’autorità romana (a fianco di Pescennio Nigro (135/140-194) contro Settimio Severo (146-211), quindi sotto la bandiera di Licinio contro lo stesso Costantino); Costantinopoli, invece, è la città dell’unificazione dell’Impero romano e come tale, quindi, non intende essere un sostituto dell’antica Roma, bensì il suo naturale prolungamento, il suo avamposto collocato proprio nel punto di contatto tra Occidente ed Oriente, legata alla città madre da tutta una serie di rimandi istituzionali e formali.
Le resistenze di alcuni ambienti romani, il risentimento delle metropoli che si sentono indebitamente scavalcate, l’enorme pressione fiscale determinata dalle spese per la costruzione dei monumenti della Nea Rhome creano una serie di difficoltà per le quali solo intorno alla fine del IV secolo, attraverso un articolato sviluppo formativo, Costantinopoli può realmente ottenere il riconoscimento di effettiva capitale dell’impero (pur mantenendo Roma un primato di natura ideale), nonché di centro ecumenico della Chiesa d’Oriente, equiparato alla sede episcopale romana nell’ambito della gerarchia ecclesiastica (Concilio di Costantinopoli del 381).
Dal novembre del 324 all’11 maggio del 330 (data dell’inaugurazione ufficiale della città) si lavora febbrilmente per disegnare la fisionomia della futura metropoli. Ma tuttavia, quella che si presenta dinanzi agli occhi dell’imperatore è, per buona parte, una città in cui le mura precedono le abitazioni e le abitazioni i loro abitanti. Le mura costantiniane racchiudono un’area più di tre volte superiore a quella dell’antica Bisanzio.
All’interno sono tracciati i principali assi viari ed esistono, o sono in fase di ultimazione, gli edifici amministrativi e di rappresentanza, dislocati tutti entro o a ridosso della cinta muraria antica. L’ippodromo, che la tradizione attribuisce a Settimo Severo, raggiunge con Costantino una lunghezza di circa 450 metri, con la parte terminale ad emiciclo poggiante su poderose sostruzioni. La spina o euripo è dotato di numerose statue e gruppi scultorei prelevati da ogni parte dell’impero (ad esempio il tripode bronzeo serpentiforme che gli Ateniesi avevano offerto al santuario di Delfi per celebrare la vittoria sui Persiani a Platea del 479 a.C.), mentre a metà dell’ala sud-orientale è posto il kathisma, la loggia dalla quale l’imperatore si mostra alla folla. Questa loggia è collegata al palazzo imperiale, della cui fisionomia poco conosciamo per le trasformazioni di epoca ottomana. Dalla piazza dell’Augusteion, verso cui l’ippodromo prospetta, partiva una ampia strada colonnata, la Mese, che conduceva ad un foro ellittico, il Forum Constantini, punto di raccordo tra la città antica e l’ampliamento costantiniano; la conformazione particolare della piazza, che richiama analoghi impianti delle città orientali (Gerasa, Apamea), si spiega con la necessità di regolarizzare e armonizzare l’articolazione degli spazi urbani: il foro, circoscritto da un colonnato su due ordini, comprendeva un tempo gruppi statuari e vari edifici pubblici, come il Senato. Come unica reliquia della piazza monumentale sorge oggi la colonna composta da sette rocchi di porfido, appesantita dallo sgraziato basamento in muratura di epoca ottomana, che sosteneva sulla sommità una statua bronzea di Costantino riprodotto nelle fattezze di Apollo Helios (corona radiata sul capo, lancia nella mano destra, globo sormontato da una Tyche nella sinistra), abbattuta nel 1105 da una tempesta di vento e rimpiazzata per ordine di Manuele I Comneno (1143-1180) da una croce. L’ambiguo carattere religioso di questo monumento, nel quale l’imperatore cristiano si faceva ritrarre come una divinità pagana, è ribadito dalle fonti, le quali affermano che, all’interno del basamento della colonna – forse decorato da rilievi di cui è memoria in un disegno di Melchior Lorichs (metà sec. XVI) – Costantino avrebbe fatto collocare una congerie di reliquie cristiane (chiodi della Crocifissione, resti della Moltiplicazione dei pani) e dì talismani della paganità (il Palladio sottratto a Troia dai Greci), per dotare la città di ogni genere di protezioni soprannaturali. La Mese prosegue il suo percorso oltre il foro di Costantino, raggiungendo un altro luogo, incrocio di strade più che vera e propria piazza, che le fonti ricordano col nome di Philadelphion, dove erano installati il gruppo dei Tetrarchi ora presso San Marco a Venezia e altre statue in porfido. Dal Philadelphion parte la diramazione che porta al mausoleo dove Costantino viene sepolto nel 337. Di questo monumento, e della Chiesa dei Santi Apostoli ad esso collegata, nulla oggi resta, essendo l’intera zona occupata dal complesso della moschea eretta dopo la conquista di Costantinopoli da Mehmet I (Fatih Camii).
A differenza di quanto si riteneva in passato, è probabile che Costantino, fedele alla tradizione di età tetrarchica (basti pensare al mausoleo di Diocleziano a Spalato, ma pure alle stesse rotonde di Santa Costanza e di Sant’Elena a Roma), abbia costruito per sé un mausoleo nel quale si sarebbe fatto deporre circondato dalle stelai (cenotafi) degli Apostoli, mentre solo con Costanzo (337 - 361) sarebbe stata eretta la chiesa cruciforme dedicata ai Santi Apostoli, che già nel 360 riceve le reliquie di Luca e Andrea. Se, come sembra, la chiesa dei Santi Apostoli va spostata all’epoca di Costanzo, che ne è dei “molti santuari e dei grandissimi sacrari di martiri” di cui, secondo le parole di Eusebio (265-340 ca.), doveva risplendere Costantinopoli? Gli unici edifici di culto cristiano che si possono ricollegare con sicurezza a Costantino sono la chiesa di Sant’Irene, ristrutturazione di un precedente centro comunitario (ché anche la Megale Ekklesia, in seguito nota col nome di Santa Sofia, è interamente opera del figlio Costanzo) e due basiliche martiriali poste al di là delle mura, San Mocio, presso l’omonima cisterna a cielo aperto e Sant’Acacio situata lungo la riva del Corno d’Oro.
Verrebbe a cadere, in questo senso, l’immagine tradizionale di Costantinopoli come capitale cristiana contrapposta, in qualche misura a Roma alfiere della paganità. La città di Costantino, così come quella dei suoi immediati successori, è, in primo luogo, la rappresentazione del potere imperiale trasmesso da Roma, espressa attraverso una scenografia monumentale di cimeli dell’antichità, edifici e strade colonnate (che, per inciso, fungevano pure da quinta architettonica atta a mascherare i cantieri e i “vuoti” urbanistici della neonata capitale): così è, per esempio, per la collezione di statue celebri dell’antichità fatte pervenire da tutte le città dell’impero (paene omnium urbium nuditate come scrive san Gerolamo) ed esposte in spazi pubblici come l’Ippodromo o le antiche terme di Zeuxippos, non solo per assicurare alla città un arredo urbano consono alla sua nuova dignità imperiale, ma anche per ribadire il preciso rapporto che lega Costantinopoli a Roma, rapporto esemplato, per altri versi, dalle fondazioni di carattere istituzionale e rappresentativo che abbiamo visto in precedenza (Senato, Palazzo imperiale, Ippodromo).
La realizzazione del progetto della Nuova Roma prosegue con i successori di Costantino che tra la seconda metà del IV secolo e i primi decenni del V dotano la città di efficienti infrastrutture e soprattutto di nuovi spazi monumentali. Il Forum Tauri, inaugurato da Teodosio I (346 ca. -395) nel 393 occupa, a metà strada tra il foro di Costantino e il Philadelphion, un’ampia platea, in parte artificiale, ottenuta regolarizzando la sommità della collina e scaricando le terre di riporto a sud verso il mare dove si crea un nuovo quartiere (Kainopolis) in funzione del porto teodosiano. Vaghe e suscettibili di interpretazioni sono le indicazioni sull’estensione della piazza, cui si accede dalla Mese tramite un arco a tre fornici, in parte conservato, sostenuto da colonne in marmo proconnesio con il fusto singolarmente lavorato a simulare una clava stretta in alto da una mano: evidente il riferimento ad Eracle, alla cui forza la propaganda imperiale vuole assimilare il regno di Teodosio.
È possibile leggere una sorta di emulazione dell’imperatore Traiano (53-117) nella presenza, nel forum Tauri, di elementi già presenti nel foro dell’optimus princeps, come la basilica, la statua equestre e la colonna coclide in onore dell’imperatore. Di quella traianea, la colonna di Teodosio riprende fedelmente l’impianto e alcune soluzioni decorative ma si distingue da essa per la maggior altezza complessiva e per la maggior ampiezza delle spire su cui erano scolpiti i rilievi che narravano le imprese belliche del basileus: abbattuta agli inizi del XVI secolo, della colonna conserviamo oggi frammenti dei rocchi scolpiti, in parte riutilizzati nelle fondamenta dell’hamam del sultano Beyazit (1481-1512) e una serie di disegni del Louvre, trasposizione ad opera di Battista Franco di un originale di Gentile Bellini. Da questi documenti traspare un gusto per le composizioni pausate, il morbido modellato, l’astrazione talvolta raggelante dei volti, che hanno molto in comune con altre espressioni della scultura teodosiana della capitale: oltre alla testa attribuita ad Arcadio rinvenuta nei pressi del forum Tauri o al piccolo ed elegantissimo sarcofago trovato nel quartiere di Sarıgüzel – entrambi ora al Museo Archeologico di Istanbul – sono fondamentali le sculture che ornano il basamento dell’obelisco di Tutmosi III, già nel tempio di Amon a Tebe, fatto drizzare da Teodosio I nel 390 sulla spina dell’ippodromo. La duplice iscrizione – in latino sul lato sud-est prospiciente la loggia imperiale, in greco sul lato opposto per poter esser vista dagli spettatori – condensa tempi, modi e protagonisti dell’impresa ed è illustrata da vivaci rilievi che mostrano da un lato l’obelisco giacente a terra attorniato dagli argani pronti per il sollevamento dall’altro una scena dei giochi promossi per l’inaugurazione. Dimensione ideologica assumono invece i rilievi sulle facce del basamento superiore, fulcro dei quali è la tribuna che ospita l’imperatore e il suo seguito e verso cui si indirizzano l’omaggio dei barbari e l’entusiasmo della folla assiepata sugli spalti.
Ultimo grande foro sul segmento nord della Mese è quello di Arcadio, segnato anch’esso da una colonna coclide, celebrante la vittoria sul goto Gainas (401-402), ultimata con la posa della statua dell’imperatore nel 421 ad opera del figlio Teodosio II (408 - 450). Conosciamo meglio questo monumento, abbattuto per motivi di sicurezza nel 1715, grazie ai numerosi disegni antiquari e alla parziale conservazione del basamento; interessanti soprattutto i rilievi di quest’ultimo per la incisiva presenza di simboli di fede cristiana (chrismon portato in volo da angeli) a merito ed onore della quale sono accreditati i successi militari dell’imperatore, simboleggiati dalle immagini di barbari vinti e dall’esibizione delle panoplie.
Se, fino ad ora, nel nostro discorso non sono entrati gli edifici di culto c’è una ragione: stando alla documentazione nota, la presenza di monumenti cristiani nella capitale all’inizio è difatti notevolmente limitata. Ancora nel 425-428, data di compilazione della Notitia urbis constantinopolitanae, catalogo regionario ricco di preziose informazioni topografiche, il numero di chiese in tutta la città appare piuttosto modesto: a spiccare sono invece i dati relativi alle terme e ai balnea privati, ai palazzi e alle domus di alti dignitari e di esponenti della famiglia imperiale. Solo nell’inoltrato V secolo, per le mutate condizioni generali e per l’impulso dato da personaggi di forte religiosità come Pulcheria, la topografia di Costantinopoli comincerà ad assumere le caratteristiche di vera capitale della cristianità d’Oriente. Di tutti questi edifici non resta oggi traccia monumentale ad eccezione della basilica di San Giovanni fatta erigere nel 453 dal patrizio e console Studio in una parte dei suoi possedimenti destinata ad ospitare il monastero degli Acemeti; l’invaso ampio e tendente al quadrato della navata centrale e la sfaccettatura esterna dell’abside, sono caratteristiche ravvisabili in altri contesti costantinopolitani coevi, come la chiesa della Theotokos Chalkoprateia. Le melanconiche condizioni in cui versa oggi l’edificio permettono quanto meno di esaminarne la tecnica muraria, una tipica opera mista a filari alternati di blocchi di pietra calcarea (con nucleo interno a sacco) e mattoni.
Questa tecnica è la medesima esibita nello scenografico circuito delle mura, articolate in un fossato, un antemurale con bastioni e un muro principale con torri alte fino a 23 metri, che si snodano dal Mar di Marmara al Corno d’Oro per quasi 7 chilometri. Con questo intervento forse avviato negli ultimi anni del regno di Arcadio ma compiutosi essenzialmente sotto Teodosio II, la città assume la sua fisionomia definitiva, ad eccezione di un ultimo accrescimento nel vertice nordoccidentale quando, con Manuele Comneno verrà protetto da mura il nuovo palazzo imperiale sorto nell’area delle Blacherne. Tra le porte urbiche si distingue la Porta Aurea, punto di uscita del tratto terminale della Mese che si innesta nella via Egnazia e punto di ingresso riservato ai cortei trionfali dell’imperatore; lo speciale ruolo della porta a tre fornici, assimilabile ad un arco trionfale (e da alcuni studiosi considerato un vero e proprio arco trionfale, eretto da Teodosio I e in seguito intercettato dalle mura fatte costruire dal nipote) è sottolineato dal rivestimento in marmo, dalle ante che dovevano essere in bronzo dorato, dall’arredo scultoreo che prevedeva, posta sull’attico, perfino una quadriga di elefanti.
È importante cogliere il significato strategico dell’ampliamento della città avvenuto sotto Teodosio II, non determinato da una particolare spinta demografica quanto piuttosto dalla opportunità di assicurarsi una vastissima area di rispetto nella quale, oltre a qualche residenza aristocratica e a monasteri, trovano posto enormi cisterne a cielo aperto (Mocio, Aetios, Aspar) ed estese aree coltivabili che avrebbero limitato la dipendenza dagli acquedotti e dai terreni agricoli esterni in caso di assedio prolungato. Altre straordinarie opere per l’approvvigionamento idrico sono realizzate nel cuore della città antica, come testimoniano due cisterne sotterranee di epoca giustinianea: la prima, realizzata in occasione della ricostruzione della basilica scavando il cortile ad essa antistante, è una struttura di 140x70 metri, il cui nome turco Yerebatan Saray (palazzo sommerso) rende perfettamente l’atmosfera nobile e magica creata dalla selva di 336 colonne sostenenti eleganti volticine a vela; il fascino della cisterna è accresciuto dalla congerie di marmi in opera, basi, colonne e capitelli reimpiegati o attinti da giacenze di magazzino, tra cui si segnalano le due splendide protomi di gorgone riutilizzate come basi, in origine forse elementi della stoa severiana – un tratto di quella che sarebbe poi divenuta la Mese – al pari dell’altra protome trovata presso il foro di Costantino (ora al Museo Archeologico). Del tutto diversa per la tipologia dei materiali ma ugualmente notevole per l’arditezza architettonica è un’altra cisterna dal nome turco, anch’esso evocativo, di Bin bir direk (mille e una colonna), che per alcuni può identificarsi con quella di Filosseno nota dalle fonti. Qui tutte le membrature in marmo proconnesio (si notino le numerosissime sigle dei marmorari), totalmente prive di decoro, sono realizzate espressamente per la cisterna che, grazie ad un ingegnoso sistema di sovrapposizione dei 448 fusti innestati tra loro tramite un tamburo anch’esso marmoreo, occupa un’area minore della precedente ma raggiunge un pescaggio di quasi 15 metri.
Queste grandi opere infrastrutturali si collocano nell’ambito della straordinaria campagna edilizia sostenuta da Giustiniano per ricostruire i tanti monumenti religiosi e civili – andati distrutti durante la cosiddetta rivolta Nika (gennaio 532) fomentata dallo scontento delle fazioni del circo – e, più in generale, per dare alla capitale un impulso di grandiosa innovazione e fare di essa un manifesto dell’utopia politica giustinianea.
Riflettendo sulla sua committenza architettonica si può dire, parafrasando un celebre motto riferito ad Augusto, che Giustiniano trova una città con edifici coperti da semplici tetti e la lascia adorna di maestose cupole. Le chiese dei Santi Sergio e Bacco, Santa Sofia, Sant’Irene testimoniano in maniera eloquente di questa novità, e laddove mancano le evidenze materiali, sono le fonti scritte, particolarmente ricche ed esaustive come nel caso del De Aedificiis di Procopio di Cesarea (fine V sec - dopo il 565) a completare il quadro dell’evergetismo imperiale.
I primi monumenti commissionati da Giustiniano seguono ancora il tradizionale impianto basilicale, come i Santi Pietro e Paolo eretti, come riporta Procopio, all’interno del palazzo di Hormisdas, la residenza del futuro basileus prima della sua ascesa al trono, ma già con l’adiacente chiesa dedicata ai Santi Sergio e Bacco (od. Küçük Ayasofya Camii) è pienamente percepibile la svolta operata: l’edificio è del tipo a doppio involucro, costituito da un quadrato esterno, da cui sporge l’abside poligonale, che racchiude un ottagono a lati alternatamente retti e curvilinei formati da pilastri e coppie di colonne sorreggenti un architrave. Al di sopra corre il piano delle gallerie e più in alto parte la cupola a sedici spicchi alternatamente piani e concavi. La ricchezza e l’eleganza della chiesa risalta oggi nella splendida veste donatagli dai recentissimi restauri, che hanno vivificato il cromatismo delle colonne, la ricchezza d’intaglio dei capitelli e il ductus a rilievo della grande iscrizione dedicatoria posta sull’architrave che attribuisce a Giustiniano e Teodora i meriti della fondazione. Restano tuttora non chiariti, nonostante l’accesissima querelle tra gli studiosi, l’esatta cronologia, che va comunque posta tra 527 e 536 e soprattutto la natura dell’edificio: chiesa “palatina”, antesignana sul piano tipologico della futura cappella di Aquisgrana, o chiesa monastica assegnata da Teodora ai monaci monofisiti calati in massa a Costantinopoli dalle terre d’Oriente per sfuggire alle persecuzioni e sostenere in concilio la propria causa? La pianta e la forma della cupola dei Santi Sergio e Bacco sono senz’altro simili a quanto sappiamo dell’aspetto del Chrysotriklinos, la sala del trono fatta costruire da Giustino II (565-578) all’interno del Grande Palazzo (il che non ci dice nulla sulla natura “palatina” della chiesa giustinianea), mentre invece sono sensibilmente differenti da quelle degli altri principali monumenti dell’epoca, nei quali prevalgono la cupola su vano quadrato e l’impiego dei pennacchi. Oltre a Santa Sofia, va segnalato il rifacimento dell’Apostoleion con uno schema a croce libera e cinque cupole simile al coevo San Giovanni Evangelista ad Efeso e a cui, ben più tardi, si rifarà la Basilica di San Marco a Venezia.
Anche al di fuori della cerchia imperiale facoltosi committenti fondano, per afflato devozionale e scopi propagandistici, edifici di culto nei quali sono introdotti elementi innovativi sia sul piano architettonico che su quello degli apparati decorativi: rampolla della dinastia teodosiana e ambiziosa fautrice di un futuro da imperatore prima per il marito Aerobindo, quindi per il figlio Olibrio, Giuliana Anicia sfrutta la ricostruzione in forme monumentali della chiesa di San Polieucto come manifesto delle proprie mire politiche e delle proprie istanze religiose. Della chiesa, individuata tra 1964 e 1969, sono note le poderose sostruzioni ed esigue porzioni delle cortine murarie degli alzati, databili rispettivamente tra 508 e 512 e tra 517 e 521 sulla scorta dell’esame dei bolli laterizi. La consistenza delle fondazioni ha fatto ritenere che l’edificio, ad impianto longitudinale, dovesse essere comunque coronato, un po’ come la Sant’Irene, da una cupola in muratura e da una volta a vela, anche se un recente riesame delle fonti archeologiche e testuali spingerebbe invece verso una soluzione a copertura piana. La straordinaria messe di materiali scultorei, tra i quali si segnalano i frammenti della monumentale iscrizione dedicatoria e famosi pezzi erratici come i cosiddetti pilastri di Acritani di Venezia, si distingue per l’esuberanza e l’inventiva delle soluzioni decorative, che rielaborano con straordinaria maestria motivi iconografici di tradizione classica e soprattutto sasanide.
L’impegno costruttivo dell’età di Giustiniano, volto in buona parte all’edificazione o riedificazione di edifici di culto, segna un punto di arrivo dell’espansione e della riqualificazione monumentale di Costantinopoli, al quale si oppone un lungo periodo di stasi e di ripiegamento, dovuto in primo luogo al netto calo demografico a causa di violente epidemie, all’interruzione dell’annona per la perdita dei granai d’Egitto a seguito della conquista araba, all’abbandono delle principali opere di manutenzione delle infrastrutture. Le iniziative in campo evergetico si segnalano solo per necessità legate a fatti contingenti: così l’impegnativo restauro della Sant’Irene danneggiata dal terremoto del 740 (eseguito peraltro dopo il 753 stando ai risultati dell’analisi dendrocronologica) o il riattamento dell’acquedotto, sabotato durante l’assedio degli Avari nel 626, che viene portato a termine da Costantino V (741-775) solo nel 768 per l’insorgere di una eccezionale siccità. Questi, come pure gli altri imperatori iconoclasti, è vituperato dalle fonti bizantine per lo zelo dimostrato nel distruggere le immagini religiose della chiesa della Theotokos delle Blacherne o della sala del Milion, sostituite con mosaici di piante, animali e aurighi; non di meno va ricordato che proprio Costantino e più tardi Teofilo (829-842) provvederanno alla difesa della città e al restauro delle mura marittime, testimoniato da numerose iscrizioni.
Segno della trasformazione medievale della città è anche l’abbandono delle funzioni originarie di alcuni spazi pubblici, la ruralizzazione di alcune aree o la riconversione di edifici laici in luoghi di culto, come accade per il sontuoso palazzo di Antioco nei pressi dell’Ippodromo, la cui aula principale viene adattata a chiesa alla fine del VI secolo, per custodire le reliquie di sant’Eufemia trasportate da Calcedonia. Lo stesso palazzo imperiale, dopo gli interventi di epoca giustinianea - testimoniati dagli ampliamenti verso la Propontide e la decorazione di alcuni ambienti di rappresentanza, come il peristilio antistante una sala absidata che conserva in parte uno straordinario mosaico pavimentale in cui si susseguono scene bucoliche, di caccia, mitologiche – si avvia verso un progressivo restringimento degli spazi effettivamente gestiti e funzionanti, ben evidente, con Niceforo II Foca (963-969), nella delimitazione e sistemazione del palazzo entro un’area intorno al Crisotriclinio e a ridosso delle mura marittime. Di contro vengono erette residenze suburbane come, all’epoca di Teofilo, quella di Bryas, dipinta dalle fonti come una traduzione in terra bizantina dei palazzi dei califfi abbasidi.
Con Teofilo, ma soprattutto con Basilio I (867-886), appaiono più evidenti i segni di ripresa. Per intenderne il carattere e l’entità dobbiamo rifarci ancora una volta alle fonti e soprattutto alla Vita Basilii, sorta di catalogo delle committenze del capostipite della dinastia macedone, che elenca 31 chiese di Costantinopoli o dell’immediato circondario restaurate per ordine del basileus, più alcune nuove fondazioni, sempre religiose, tutte all’interno del Grande Palazzo. Questo consultivo fa capire in cosa consista questa rinascenza architettonica, tutta dedicata a edifici di culto, sovente di carattere privato, così come di carattere elitario sono le migliorie apportate al palazzo imperiale, con la creazione di una nuova sala di rappresentanza, il Kainourgion che riprendeva intenzionalmente, nell’articolazione spaziale e nel programma iconografico, schemi e fors’anche materiali dell’epoca di Giustiniano.
In questo clima di “rinnovamento” che guarda insistentemente a modelli di un glorioso passato, resta difficile individuare gli elementi di reale novità, stante anche la pressoché totale assenza di monumenti databili al IX secolo, a parte il caso della chiesa oggi nota come Atik Mustafa Paşa Camii, fondata forse nella seconda metà del secolo presso l’angolo nordoccidentale della città. Della Nea Ekklesia, l’edificio sicuramente più rappresentativo dell’epoca di Basilio I, edificata all’interno del palazzo imperiale, conosciamo per certo, oltre allo splendore e alla ricchezza degli apparati decorativi, solo il fatto che aveva cinque cupole. È possibile che la sua planimetria abbia influenzato quella di altri edifici di culto, quali ad esempio la chiesa del monastero fondato nel 907 da Costantino Lips, un alto dignitario ben situato a corte, come dimostra la presenza dell’imperatore Leone VI (886-912) alla cerimonia di inaugurazione. La chiesa nord di Costantino Lips, a croce greca inscritta e cinque cupole disposte a quincunx, doveva presentare una decorazione ricchissima per quantità e qualità di materiali e tecniche, in parte recuperata nei restauri, dai quali si è appreso che i marmi impiegati sono di riuso – provengono in gran parte dalla necropoli di Cizico – e rilavorati con decori che riprendono, in forme stilizzate, modelli del VI secolo (San Polieucto). Ugualmente memore dell’acceso cromatismo degli apparati decorativi delle chiese paleo bizantine è il gusto per le colonne alveolate o le icone in opus sectile, riproducenti immagini di santi cui era rivolto un culto più intimo e personale in spazi ben definiti dell’edificio, come le piccole cappelle cupolate a livello delle gallerie.
La profonda integrazione nei processi di committenza tra aristocrazia e imperatore, che è confermata dalla memoria di altre fondazioni religiose, come i monasteri di Kauleas e di Stiliano Zautse per i quali lo stesso Leone VI compose delle ekphraseis, si ripropone per l’ultimo monumento di rilievo del X secolo, il monastero del Myrelaion, fondato nel 920 da Romano Lecapeno, appena eletto imperatore, trasformando parte della sua abitazione privata posta sugli imponenti resti di una rotonda di V secolo. Un modo per suggellare ancora una volta il fatto che la Bisanzio medievale si fondava materialmente sulle solide basi dell’antica Costantinopoli.