PICCOLOMINI, Costanza
PICCOLOMINI, Costanza. – Nacque a Napoli nel 1553 da Innico, quarto duca di Amalfi, e Silvia Piccolomini.
Figlia unica e pertanto sola erede del prestigioso casato, titolare all’epoca nel Regno di Napoli di un vasto Stato feudale che si estendeva tra le province di Principato Citra (Amalfi, Ravello, Scala, Minori, Maiori, Tramonti, Conca, Furore) e Abruzzo Ultra (Celano, Capestrano, Piscina, Venere, Cucullo, Soia, Biscagni, S. Sebastiano, Ornecchi, Sperone e Collelungo), oltre che del ricco patrimonio di immobili ubicati tra Siena e Roma pervenutole per via materna dal ramo senese della famiglia, la Piccolomini, appena morto il padre nel 1566, difese attraverso le vie legali i suoi diritti di successione sulla baronia di Scafati. Fu questa solo la prima delle numerose volte che ella, e per lei i suoi legali, dovettero adire la via dei tribunali, ottenendo in questo caso la conferma da parte di Filippo II del diritto di successione al feudo della linea femminile di discendenza.
Come le altre donne del suo casato, Piccolomini contrasse un tipico matrimonio aristocratico endogamico, sposando nel 1571 con speciale dispensa pontificia Alessandro Piccolomini d’Aragona dei marchesi di Illiceto. Portava in dote un capitale di 40.000 ducati, che, secondo l’antico uso napoletano dei proceri e magnati, fu assegnato allo sposo, mentre ella conservava la piena disponibilità dei propri beni feudali e burgensatici con la facoltà di trasmetterli ai figli nati dal matrimonio o, nel caso questi fossero venuti a mancare, alla linea agnatizia paterna.
Il matrimonio non ebbe una sorte né felice né duratura a causa dei numerosi tradimenti del marito e soprattutto perché dall’unione non nacquero figli. Su richiesta avanzata dalla stessa Piccolomini al tribunale romano della Sacra Rota, il 2 maggio 1585 il cardinale Giacomo Savelli ne avallò lo scioglimento, autorizzando la Piccolomini al recupero della dote e di alcuni dei titoli feudali. Costanza si ritirò allora nel monastero di S. Maria della Sapienza di Napoli, occupandosi da lì attivamente della gestione del suo considerevole patrimonio. Onde evitarne la dispersione, assegnò nel 1582 allo zio Giovanni Piccolomini la contea di Celano insieme con gli altri feudi abruzzesi. Morto costui di lì a poco, ella stessa autorizzò la vendita della contea di Celano alla sorella del papa Camilla Peretti, non riuscendole più di arginare la fine della presenza della famiglia nella Marsica per mancanza di altri eredi diretti anche in quest’altro ramo della famiglia. Il titolo e il ducato di Amalfi restavano, seppure ancora per poco, di titolarità dei Piccolomini d’Aragona, assegnati per effetto della sentenza di scioglimento del matrimonio al suo ex coniuge, il duca Alessandro. Proprio per tutelare quei feudi, la Piccolomini tentò anche per un breve periodo una riconciliazione con il marito, tornando a vivere con lui ad Amalfi, finché, nel 1595, non ottenne la sentenza definitiva di annullamento del vincolo matrimoniale.
Il 25 marzo dell’anno successivo la Piccolomini pronunciò i voti solenni nel monastero napoletano della Sapienza. Qui condusse una vita protetta da una fitta rete di solidarietà femminili, circondata da agi e numerosi privilegi. In deroga alle leggi sulla clausura e al voto di povertà monastica, portò con sé in monastero numerosi effetti personali tra cui libri, suppellettili d’argento, gioielli e alcuni pezzi della collezione presepiale che lei e sua madre avevano raccolto negli anni precedenti collocandola nel castello di Celano. Trasferì in monastero anche le carte concernenti la gestione dei feudi e l’archivio di famiglia, che da allora si conserva tra gli altri documenti dello stesso monastero. Il resto dell’eredità materna, e soprattutto i libri provenienti in parte dalla biblioteca dei due pontefici di casa Piccolomini, l’umanista Enea Silvio, papa con il nome di Pio II, e Pio III erano rimasti nella disponibilità di sua madre Silvia e da lei collocati tra il palazzo Piccolomini e il convento di S. Silvestro a Roma e le residenze feudali del ramo napoletano della famiglia.
All’atto del pronunciamento dei voti monastici la Piccolomini, anche per adempiere alcuni legati della madre, dispose che il denaro pervenutole dalla vendita della contea di Celano sarebbe dovuto andare tutto in favore dei molti luoghi pii ed enti ecclesiastici dislocati tra Napoli, Roma e Siena, cui le linee femminili del casato avevano anche in passato dispensato il loro munifico matronage. Costanza lasciò un’ingente somma alle monache napoletane di S. Maria della Sapienza che l’avevano accolta entro le loro mura, destinandola alla fabbrica e ristrutturazione del monastero. Fu particolarmente munifica nei confronti dei chierici regolari teatini, ai quali lasciò il palazzo Piccolomini di Roma, su cui fu edificata la chiesa di S. Andrea della Valle, dei loro omologhi napoletani di S. Paolo Maggiore e dei Ss. Apostoli e dei gesuiti a Siena, cui andarono cospicui lasciti e rendite in denaro. Si assicurò così che uno stuolo di religiosi avrebbe celebrato almeno una messa al giorno per lei e per i suoi avi e soprattutto che il nome dei Piccolomini d’Aragona, il cui patrimonio feudale si andava disgregando sotto i suoi occhi per la repentina mancanza di linee successorie dirette, rimanesse consacrato nella memoria degli spazi sacri di quei luoghi che nelle generazioni precedenti li avevano visti grandi attori della scena pubblica.
Negli anni a venire il suo ex coniuge Alessandro Piccolomini d’Aragona non riuscì a sanare la pesante situazione debitoria di cui era già gravato e contribuì, anzi, a dilapidare ulteriormente il patrimonio e la rendita che gli era stata assegnata. Morì nel 1617 in condizioni quasi di indigenza e fu sepolto nella chiesa di Monteoliveto. Il feudo di Amalfi fu messo all’asta e riscattato in demanio dalla Comunità.
Costanza Piccolomini d’Aragona morì a Napoli nel monastero della Sapienza nel 1610.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Napoli, Corporazioni religiose soppresse, S. Maria della Sapienza, 1121, cc. 334r-345v; 3196; 3206-3207; 3208 bis; Napoli, Archivio storico diocesano, Vicario delle monache, S. Maria della Sapienza, 217-A-14; S. Ammirato, Delle famiglie nobili napoletane, II, Firenze 1580, p. 273; G.B. Del Tufo, Historia della religione de’ padri chierici regolari, Roma 1609, pp. 216, 279; G.M. Monti, Dagli Aragonesi agli Austriaci. Studi di storia meridionale, Trani 1936, pp. 287-310; M.A. Visceglia, Scegliere la sepoltura: il bisogno di eternità, in Il bisogno di eternità. I comportamenti aristocratici a Napoli in età moderna, Napoli 1988, pp. 128 s.; E. Novi Chavarria, Monache e Gentildonne. Un labile confine. Poteri politici e identità religiose nei monasteri napoletani. Secoli XVI-XVII, Milano 2004, pp. 106-108; I. Puglia, I Piccolomini d’Aragona duchi d’Amalfi 1461-1610. Storia di un patrimonio immobiliare, Napoli 2005, pp. 51-53; E. Novi Chavarria, Sacro, pubblico e privato. Donne nei secoli XV-XVIII, Napoli 2009, pp. 184 s.; G. Cirillo, Spazi contesi. Camera della Sommaria, baronaggio, città e costruzione dell’apparato territoriale del Regno di Napoli (sec. XV-XVIII), I, Milano 2011, pp. 87, 123; G. Brancaccio, Aspetti e problemi della feudalità abruzzese e molisana nel’età moderna (secoli XV-XVII), in Il feudalesimo nel Mezzogiorno moderno. Gli Abruzzi e il Molise (secoli XV-XVIII), a cura di G. Brancaccio, Milano 2011, p. 26.