SFORZA, Costanza
– Nacque nel settembre del 1558 da Sforza, conte di Santa Fiora, e da Caterina de’ Nobili.
I genitori in quel periodo dimoravano nel Parmense: alternativamente a Castell’Arquato, feudo della famiglia paterna, o nella stessa Parma. È quindi probabile che Costanza sia nata in uno dei due luoghi citati, ma non si hanno dati certi a questo proposito. Mancano anche dettagli sulla sua formazione. Il cerimoniere pontificio Francesco Mucanzio la definisce comunque «optimis moribus educata» (Ratti, 1795, p. 184).
Solo diciassettenne, Costanza fu fatta oggetto della pubblica attenzione, in ragione del matrimonio che si preparava per lei con Giacomo Boncompagni, figlio naturale legittimato di papa Gregorio XIII, nominato castellano di Castel S. Angelo poco dopo l’ascesa al soglio pontificio del padre, nel maggio del 1572, e governatore generale dei soldati della Chiesa il 17 aprile 1573.
Le trattative erano iniziate molto precocemente, se il cardinale Ferdinando de’ Medici poté scrivere il 14 gennaio 1575 al granduca Francesco I che «già un pezo s’era praticato d’accasare il Castellano con una figliuola del Conte di Santa Fiora con cinquanta mila scudi di dote, et che questo parentado era con più gusto del Papa che alcuno altro» (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, 5089, c. 5r). La conclusione della trattativa, tuttavia, riuscì tutt’altro che agevole.
Innanzi tutto, l’ipotesi cozzava contro la strategia messa in atto dal cardinale Alessandro Farnese, figura eminente in Curia all’inizio del pontificato Boncompagni, che aveva ipotizzato per il figlio del papa un legame con Violante Farnese, figlia naturale del duca di Parma Ottavio (addirittura con 200.000 scudi di dote), oppure con Lavinia, figlia del duca d’Urbino Francesco Maria II Della Rovere; egli si sarebbe certamente opposto a un avvicinamento così plateale alla famiglia del pontefice regnante da parte degli Sforza di Santa Fiora: un ramo cadetto della famiglia milanese, che si era innalzata di status solo attraverso il matrimonio di Costanza Farnese, figlia di Paolo III, con Bosio II Sforza. Ma anche l’anno santo 1575 costituiva un intralcio: non sembrava opportuno che il papa si mostrasse impegnato nell’accasare il figlio mentre ancora duravano le celebrazioni giubilari. A questo quadro già complesso, si aggiungeva la natura irresoluta di Gregorio XIII e la sua ritrosia – dettata forse da mera simulazione – nel veder accelerata l’ascesa sociale del figlio.
Ci volle dunque tutta l’abilità del cardinale Ferdinando de’ Medici, congiunta con le pressioni esercitate dal cardinale Alessandro Sforza, zio di Costanza, e dal predicatore pontificio, il gesuita Francisco Toledo, per superare ogni ostacolo. Ferdinando sottopose al papa molti modi per accrescere gradatamente le entrate di suo figlio, sempre nella prospettiva di causare il minor scandalo possibile, e a Giacomo Boncompagni prospettò il vantaggio di una duratura protezione granducale. Sembrava vicinissimo al traguardo, ma a fine gennaio del 1576, in un colloquio con il cardinale Sforza, apprese che il quasi promesso sposo aveva detto al papa «di non voler moglie in modo alcuno» (il cardinale Ferdinando al granduca Francesco I, Roma, 28 gennaio 1576, ibid., c. 234v). Era un colpo di coda del cardinal Farnese, che tornava alla carica in favore di un parentado Boncompagni-Della Rovere. Superata la sorpresa, il cardinale Ferdinando incontrò il generale Giacomo e facilmente lo ridusse agli intenti iniziali. All’inizio di febbraio, il matrimonio fu annunciato pubblicamente. I patti nuziali confermarono l’entità della dote: 50.000 scudi. Costanza rinunciò però a ogni diritto ereditario sui beni del padre (morto soltanto l’anno prima) in favore del fratello Francesco, successivamente creato cardinale.
Costanza si era messa in viaggio sin dal 13 febbraio. Nel viaggio verso Roma toccò Firenze, dove incontrò le principessine di casa Medici (Eleonora, Anna e Maria), passò per il feudo avito di Santa Fiora, alle pendici del monte Amiata, e per Bracciano, dove fu ricevuta da Paolo Giordano Orsini. L’accompagnavano, in una comitiva marcata al femminile, la madre Caterina de’ Nobili e la zia Giulia Sforza. L’ultimo giorno di febbraio esse fecero il loro ingresso in città: entrate da porta del Popolo, Costanza e le sue accompagnatrici furono accolte dall’aristocrazia romana al completo, dalla guardia pontificia e addirittura dalle guardie svizzere. Seguirono poi il tracciato normalmente utilizzato per le ‘entrate’ di maggiore caratura politico-liturgica, di solito appannaggio maschile. Sfilarono su un carro molto sfarzoso, sempre riverite da esponenti della nobiltà cittadina, cardinali e ambasciatori accreditati presso la S. Sede.
Il giorno dopo, il 1° marzo, vennero celebrate le nozze, nel palazzo del cardinale Alessandro Sforza, alla presenza degli ambasciatori di Spagna, Portogallo e Venezia, di sedici cardinali e di circa cento gentildonne. I festeggiamenti continuarono anche nei giorni successivi, in tre luoghi diversi: in casa dello sposo (a palazzo Campeggi, in Borgo), in palazzo Colonna, nella piazza dei Ss. Apostoli, e negli stessi palazzi Vaticani.
La sposa ricevette ricchi regali, dal papa e dai vertici dell’aristocrazia: spiccavano gioielli di enorme valore, di cui è conservato l’inventario, e persino un letto costato 3000 scudi. Non si erano mai viste a Roma nozze di stretti consanguinei dei pontefici così ricche, commentavano gli osservatori. Costanza, poi, appariva «assai gratiosa, et sopra tutto di molta satisfatione del signor Giacomo, et per conseguenza di Sua Santità la qual ogni volta più si compiace di queste nozze» (dispaccio dell’ambasciatore veneziano Paolo Tiepolo al Senato del 3 marzo 1576, in Storia arcana..., 1856, p. 117).
Nel gioco degli schieramenti fazionari, il vincitore di questa competizione era stato il cardinale Ferdinando de’ Medici, che non solo aveva vanificato i disegni del cardinal Farnese, ma l’aveva spodestato dal ruolo di cardinale più influente sul papa. Costanza fu quindi spettatrice della rapida scalata del marito, al quale il papa finalmente permetteva uno stile di vita all’altezza del rango sociale raggiunto. Dopo il 1579, così, fu conosciuta come la duchessa di Sora e diventò una primadonna della scena romana. Clelia Farnese, figlia del cardinale Alessandro Farnese (e quindi sua seconda cugina) le era particolarmente legata. Torquato Tasso le dedicò alcuni sonetti (Altri le meraviglie antiche miri; In questa bianca fronte Amore scrisse; Mentre scherzava saettando intorno; In sì mirabil notte a mezzo il verno).
Abitò con il marito soprattutto a Roma, durante il pontificato del suocero. Dopo il 1585, preferì restarne lontana. Nel feudo sorano, dopo il 1612 (anno della morte del marito), il suo patronage trovò modo di esprimersi direttamente nell’edificazione del locale complesso gesuitico, con collegio e chiesa (intitolata al S. Spirito). Più sporadici gli interventi a Roma: finanziò con 4000 scudi il progetto di edificazione di un seminario missionario carmelitano; acquistò forniture sacre per la basilica di S. Maria Maggiore, all’interno della quale la famiglia Sforza aveva una scenografica cappella, su disegno di Michelangelo.
Fu ritratta da Lavinia Fontana, nel 1594.
Morì a Sora il 22 gennaio 1617. Aveva avuto dodici figli.
Fonti e Bibl.: N. Ratti, Della famiglia Sforza, Roma 1794, pp. 273 s., II, 1795, pp. 184, 188 s.; Storia arcana ed aneddotica d’Italia..., I, Venezia 1856, pp. 112-120; F. Madiai, Il giornale di Francesco Paciotto da Urbino, in Archivio storico per le Marche e per l’Umbria, III (1886), pp. 48-79 (in partic. pp. 59, 69); C. Valone, Women on the Quirinal hill: patronage in Rome, 1560-1630, in The art bulletin, 1994, 76, pp. 129-146 (in partic. 129); M.B. Guerrieri Borsoi, Villa Sora a Frascati, Roma 2000, pp. 27-35, 146; G. Fragnito, Storia di Clelia Farnese. Amori, potere, violenza nella Roma della Controriforma, Bologna 2013, ad ind.; S. Sturm, L’ architettura dei carmelitani scalzi in età barocca, II, La ‘Provincia romana’: Lazio, Umbria e Marche (1597-1705), Roma 2015, p. 122.