ANGELINI, Costanzo
Pittore, nato in S. Giusta, paesello dell'Abruzzo Aquilano, il 22 ottobre 1760. Dotato d'ingegno vivissimo, recatosi a Roma col fratello Lorenzo per studiare lettere presso uno zio sacerdote, fu spinto man mano da forte tendenza allo studio delle belle arti. Frequentò per la pittura la scuola di Pietro Bianchi e di Marco Caprinozzi. Ma, educato alla buona letteratura, amò molto l'arte dei classici e si pose a studiarne e a disegnarne le opere migliori nei musei di Roma. I suoi disegni a matita furono lodati dal David, dal Girodet e da altri professori dell'Accademia francese i cui corsi erano allora aperti anche agl'Italiani. Tanta fama in questi disegni acquistò il giovane A. che 34 tavole incise e pubblicate su disegni di lui dal Volpato e dal Morghen riunirono i capolavori della statuaria classica sotto il titolo Principi del disegno tratti dalle più eccellenti statue antiche, e quest'opera restò nelle scuole in uso, si può dire, per tutto il secolo. Sposatosi con una Rega di Napoli, tornò in questa città a disegnarvi per conto di Gavino Hamilton la collezione dei vasi greci che il ministro inglese presso Ferdinando IV di Borbone intendeva far pubblicare in incisione. Ma per i rivolgimenti politici del 1799 non poté portare a termine questo lavoro e nemmeno quello commessogli dal marchese Vivenzio sui vasi rinvenuti presso Nola, Cuma e in altri luoghi della Campania. Quest'opera fu pubblicata dal nipote, architetto Gherardo Rega, cento anni dopo (Vasi dipinti del Museo Vivenzio, disegnati da C. Angelini nel 1798 con testo illustrativo di G. Patroni e prefazione di S. Di Giacomo, Roma-Napoli 1900). Dopo avere per alcun tempo frequentato l'Accademia di S. Carlo alle Mortelle e la fabbrica di porcellane a Capodimonte, accettò commissioni di ritratti. Re Giuseppe Bonaparte, il principe di Avella, l'ammiraglio Nelson, Saverio de Rogatis, Angelo Maria Ricci, Melchiorre Delfico, il medico Bruno Amantea, il marchese Venuti, l'astronomo padre Piazza, il musicista Niccolò Zingarelli, il duca di Corigliano, il generale Franceschi, posarono per lui. Tra questi ritratti a olio e a pastello, quello a olio di Caterina Rega sua congiunta (moglie dell'illustre glittico Filippo Rega) nell'atto di toccar l'arpa, è bellissimo per sontuoso colorito e nobile insieme. Fu esposto nel 1911 a Firenze nella Mostra del ritratto italiano e a Venezia nel 1928 nella mostra della pittura dell'800. Tutti furono lodati perché molto somiglianti e accuratamente disegnati. L'Angelini fu con Gaetano Forte il maggior ritrattista, allora, dell'Italia meridionale. Con la venuta di monsignor Capecelatro arcivescovo di Taranto alla reggenza degli affari interni del regno di Napoli, ottenne il 25 settembre 1809 quello che più desiderava, cioè l'insegnamento del disegno nell'Istituto di belle arti, che allora aveva sede nel Palazzo degli studî, ora Museo nazionale. Ma queste scuole, sebbene l'A. si rivolgesse anche al Canova con una pubblica lettera, procedevano stentate e povere, tanto ch'egli si risolvette ad aprire una scuola serale nella propria casa, pur continuando l'insegnamento ufficiale all'Istituto, dove ebbe gravi beghe col pittore Giuseppe Cammarano. "Fate largo che passa il pulcinella" borbottava al passaggio del collega, alludendo all'uscita del Cammarano dal teatro di S. Carlino. Dotato di sana cultura letteraria e storica dava ai suoi alunni un insegnamento vivo e piacevole. Spendeva del suo per soccorrere quelli più bisognosi, e ottenne che i migliori fossero dispensati dalla milizia. Per le sue cure l'Istituto fu provvisto di una copiosa raccolta di calchi da sculture antiche. Nell'ottobre del 1812 fu nominato direttore dell'officina d'incisione nella Reale stamperia e scrisse alcune memorie sull'arte d'incidere. Nel 1813 succedette a Denis nel vigilare i restauri dei dipinti antichi nel Reale museo borbonico, e con la sua autorità e perizia ne salvò parecchi dalle mani degl'inesperti. Delle sue pitture alcuni quadretti con figure terzine sono a Roma nell'Oratorio del Caravita, l'Addolorata al Sepolcro di Gesù passò in Germania. Scrisse su svariati argomenti d'arte e compose anche poesie. Notevole un poemetto: La Pittura (Napoli 1819); una Relazione che dimostra il vantaggio che reca lo studiar la pittura in Roma; le Osservazioni sulle Accademie Pittoriche (Napoli 1821); Alcune idee per promuovere le arti liberali (Napoli 1820), e l'Epistola parenetica sulla Poetica d' Orazio (Napoli 1829). Morì la notte del 22 giugno 1853 nella sua casa in Via Avvocata a Foria e fu seppellito nella chiesa dell'Arco del Sedile di Porto dove era allora la congrega degli artisti col nome di S. Anna e Luca. Ebbe sei figli: l'architetto Orazio, il pittore Luigi che andò a vivere a Parigi, lo scultore Tito (v. sotto) e Livia, Teresa e Costanza, madre dell'architetto Gherardo Rega.
Tito A. - Scultore fecondissimo, figlio di Costanzo, nacque a Napoli il 10 marzo 1806 e morì nel febbraio 1878. Studiò a Roma mentre era in piena voga la scultura del Canova e poi del Thorvaldsen. Il suo primo lavoro fu un Teseo e il Minotauro, poi un Deucalione, un Diomede che invola il Palladio, un Filottete abbandonato. Tornato a Napoli, il re gli commise le statue di Francesco I e della regina Maria Teresa, due statue di Ferdinando II per Palermo e per Noto, il Sant'Ambrogio che è in S. Francesco di Paola, le figure colossali della Fede e della Speranza per la Madonna delle Grazie, la Religione (1836) per il chiostro del Camposanto, la Clemenza (1837) per lo scalone e l'Immacolata per la cappella del Palazzo reale. Per Catania scolpì una Fontana con l'allegoria d'un fiume e due tritoni. Nel Sant'Ambrogio che vieta a re Teodosio d'entrare nel tempio si vede un tentativo, per allora vigoroso, di muovere la scultura accademica con drammatica teatralità, e Domenico Morelli lo ammirava per questo. Di nobile e mesta grazia è il monumento in San Ferdinando per Lucia Migliaccio, moglie morganatica di Ferdinando I. Le ultime opere di lui sono a Napoli, del 1872 la statua di Dante in piazza Dante, del 1876 la statua del Mercadante in via E. Filiberto di Savoia, del 1878 la statua di P. E. Imbriani, scoperta dopo la morte dello scultore. Fece anche moltissimi busti: notevole quello del cantante Lablache nel Conservatorio napoletano. Espertissimo nella tecnica dell'arte sua (scolpì centocinquanta opere), l'A. è uno degli scultori di transizione tra il Canova e il Bartolini, senza la delicatezza ancora settecentesca di quello e senza il nerbo di questo.
Bibl.: Relazione del Presidente della R. Accad. di Belle Arti del 1° giugno 1818 sulla scuola di pittura di C. A., Roma 1825; N. Morelli, Biografia dei contemporanei del Regno di Napoli, Napoli 1864; C. de Ferraris, C. A., nella strenna La Sirena, Napoli 1877; A. Borzelli, C. A., Napoli 1902; Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, I, Lipsia 1907; Tito Angelini, discorso del 2 aprile 1878, nel volume di D. Morelli e E. Dalbono, La Scuola napoletana di pittura del sec. XIX, Bari 1915.