LANDI, Costanzo
Nacque a Piacenza il 19 marzo 1521 da Gian Lodovico, conte di Compiano e Caselle del Po, e da Lucrezia Scotti dei conti di Sarmato, famiglie entrambe appartenenti alla più illustre nobiltà piacentina. Al battesimo ricevette i nomi di Lucio Cornelio Costanzo.
Fu presto avviato agli studi classici sotto la guida di Benedetto Labadini, cui più tardi avrebbe dedicato epigrammi ed elegie. Lesse con predilezione i poeti latini, soprattutto i lirici, che prese da subito a imitare; aveva infatti dodici anni quando compose un'elegia per il conte Cristoforo Scotti. Assai giovane si recò a Bologna (come riferisce un'elegia dedicata a R. Amaseo) per approfondire la poesia classica, la cui pratica egli non avrebbe mai intermesso, presto però interessandosi anche al diritto. L'incontro con il giurista Andrea Alciato, avvenuto probabilmente già a Bologna tra il 1537 e il 1541, fu decisivo per la formazione del L., che divenne discepolo del grande maestro di fama europea, spesso seguendolo da un'università all'altra, e coltivando nei suoi scritti le discipline da lui promosse, soprattutto numismatica e giurisprudenza (gli opuscoli giuridici del L. recano la formula "D. Andreas Alciatus recognovit"). Alla scomparsa del maestro il L. partecipò alla miscellanea oratoria uscita per commemorarlo (Prima oratio in funere magni Andreae Alciati…, Papiae, apud F. Moschenum et I.B. Nigrum, 1550).
Nel 1540 era a Pavia, dove fu associato all'Accademia in casa di Ippolita Malaspina marchesa di Scaldasole, destinataria di numerosi suoi epigrammi, e dove, oltre a tenere alcune lezioni su Virgilio, declamò un'orazione in difesa del latino ispirata al magistero di Amaseo, in cui esaltava i "saecula felicissima et tum poetis amica" della latinità, deplorando la dedizione al volgare da parte dei contemporanei, che anteponevano Boccaccio a Cicerone, Sallustio e Livio. Negli anni Quaranta la carriera del L. fu caratterizzata da spostamenti continui attraverso i centri universitari dell'Italia settentrionale, in passaggi spesso difficili da seguire se non per il beneficio di fonti epistolari, in particolare la corrispondenza di Federico Scotti (di cui non si hanno però le responsive del L.), suo consanguineo oltre che migliore amico, anche lui giureconsulto alla scuola di Alciato e poeta. Nel 1542 il L. era a Piacenza, da dove scriveva ad Alciato di attendere a studi letterari; passò poi nel 1544 a Ferrara per seguire le lezioni del maestro. Il 1° dic. 1544 era a Bologna, e lì ancora ai primi di febbraio 1545; quindi passò a Piacenza, da dove si recò a Roma per accompagnarvi lo zio materno Paolo Emilio Scotti, ambasciatore presso papa Paolo III.
Il viaggio romano esercitò una profonda suggestione sul giovane L. imbevuto di cultura umanistica, che l'avrebbe poi rievocato nel suo trattatello di numismatica, nonché in numerosi componimenti poetici ispirati alla culla della romanità (datati Roma, 28 e 30 luglio 1545: sono le dedicatorie della raccolta manoscritta Neopegnion).
Nell'ottobre 1545 il L. era rientrato a Piacenza; dell'anno seguente sono le stampe a Ferrara del Lusuum puerilium libellus, raccolta di poesie latine (tip. J. de Buglhat - A. Hucher; in data 7 genn. 1546 la dedicatoria a Giuseppe Ceredo) e dell'Oratio habita Ticini in Academia ill. Hipolytae marchesiae Malaspinae Scaldasolis (tip. F. Rossi). Ma nel corso dell'anno, quando Alciato fu chiamato per la terza volta a insegnare a Pavia, il L. seguì il maestro fermandosi lì per almeno due anni (la sua presenza è attestata ancora il 6 apr. 1548), in una fase in cui andava concentrandosi negli studi legali e compilava i suoi opuscoli di materia giuridica, stampati a Piacenza da G. Muzio e B. Locheta nel 1549 (poi riproposti con la sola sostituzione del frontespizio, Venezia, P. Nicolini da Sabio, 1551): si trattava dell'Ad titulum Pandectarum de iustitia et iure enarrationum liber, dello In ius civile sparsim contentarum exercitationum libellus e dei Παϱαλειπὸμενα, idest Praetermissorum libellus.
Le operette, che gli avrebbero valso l'associazione al Collegio dei dottori e giudici di Piacenza e alla cui composizione egli diceva di aver atteso a Pavia nella torre ritenuta dimora di Severino Boezio, costituiscono un documento della tipica cultura giuridica a carattere umanistico del L., ove la trattazione di questioni tecniche del diritto era sostenuta con un folto corredo di citazioni letterarie classiche (Cicerone, Livio, Virgilio, persino Tibullo). Il che non precludeva talora al L. di muoversi su terreni pionieristici, come nel caso della questione della liceità della guerra, che egli diceva di affrontare in quanto "nullo adhuc tractata et soluta".
Al maggio del 1550 risale invece la stampa di opere legate al versante letterario degli interessi del L.: le In Epithalamium Catulli annotationes (Papiae, apud F. Moschenum, con dedica a Francesco Alciati) e il Commento sopra un sonetto del s. conte Lodovico Todesco et una lettera alla s. Leonora Thedesca dove si mostra qual sia la cagione del nostro peccare, la speranza in Dio, et il rimedio d'emendarsi. Con una pistola dell'ill. s. Gio. Pico Mirandola conte di Concordia, tradotta in lingua volgare (Piacenza, B. Locheta), dove L. commentava un mediocre sonetto petrarcheggiante in chiave filosofico-spirituale, accludendovi l'epistola di Pico a Lorenzo, da lui volgarizzata riproducendo lo stile conciso dell'originale. Per l'opera pichiana, d'altronde, egli dovette nutrire una qualche predilezione, dato che la sottoscrizione di un fascicolo manoscritto di Carmina e sonetti dello stesso Pico (Biblioteca apost. Vaticana, Vat lat., 5225.IV, c. 797r) attribuisce al L. la disponibilità dell'antigrafo ("ex vetusto exemplari") da cui quella copia veniva tratta a Roma nel 1562. All'ambito, peraltro affatto esiguo, della pratica letteraria in volgare sono inoltre da ascrivere otto sonetti di ispirazione petrarchesca citati anche da Quadrio e stampati nel libro nono delle Rime di diversi autori eccellentissimi (Cremona, V. Conti, 1560).
Ben diversa centralità ebbe, nell'attività letteraria del L., la versificazione latina, di cui, a fronte del già citato Lusuum puerilium libellus del 1546, nel 1549 aveva pubblicato (Piacenza, senza indicazioni di tipografia) una prima raccolta di Carmina in sei libri (distinti in Heroicorum, Elegiarum, Epigrammatum, Endecasyllaborum), dedicata all'amico e condiscepolo ferrarese Alfonso Maianto, il quale ricambiò con la dedica del Carminum libellus (Piacenza 1549). Nel 1550 (la dedica è datata Piacenza, 1° luglio) si aggiunsero i Carmina ad Venturinum Vasollum Fivizanensem (Papiae, apud F. Moschenum). A queste raccolte a stampa, per completare il quadro delle fonti di poesia latina del L., vanno aggiunti due codici, della Biblioteca Palatina di Parma, Parm., 55 (databile 1545) e della Biblioteca comunale Passerini Landi di Piacenza, Pallastrelli, 154 (Neopegnios libri duo, contenente nella miniatura un ritratto giovanile del L.), entrambi per lo più recanti i testi confluiti nelle sillogi a stampa (ma con varianti) più alcuni componimenti rimasti inediti.
La forma privilegiata della versificazione latina del L. appare l'epigramma de mirabili epigrammatis textura, di cui pure, rivolgendosi al maestro Benedetto Labadini, riconosceva il carattere arduo, e che tuttavia praticò in tutti i suoi generi, encomiastico, erotico, morale, funebre, religioso, mitologico, variamente imitando Catullo, Ovidio e l'Anthologia Palatina, e talora latinizzando epigrammi greci del Poliziano. Nelle elegie di argomento amoroso dedicate all'amata Silvia, prevale l'imitazione ovidiana, tibulliana e properziana, mentre ovviamente a Virgilio, talora mediato da I. Sannazzaro, il L. guardava per carmi di materia georgica. Tra i destinatari dei suoi componimenti, oltre all'amico Federico Scotti, vale menzionare Alberto Lollio, Lilio Gregorio Giraldi (che lo lodò nel De poetis) e Giovan Battista Giraldi Cinzio, Camillo Gambara, Gerolamo Vida, Bernardo Tasso, il pontefice Paolo III.
Il subentrare di un interesse per gli studi filosofici determinò il trasferimento del L. negli anni 1551-52 a Padova, dove tuttavia egli continuò a svolgere le sue ricerche antiquarie, che andavano concentrandosi sulla numismatica. È infatti nel suo trattato sulle monete che egli ricorda esemplari scrutinati in questa città, incontri con eruditi e antiquari, e sempre a Padova ebbe pure l'opportunità di vedere la Tabula Isiaca posseduta da Pietro Bembo, mostratagli dal figlio Torquato insieme con gli insigni codici di Virgilio e Petrarca. Il soggiorno padovano dovette protrarsi anche per ragioni sentimentali, secondo ciò cui allude una lettera dello Scotti del 31 marzo 1552. E forse nella stessa città il L. attese a studi di medicina, poi rifluiti nel trattatello Methodus de bona valetudine tuenda ad Aemilium Puteum Placentinum (Lugduni, apud S. de Honoratis, 1557), dove il L. compendiò precetti igienici tratti da opere dell'antichità.
Nell'estate del 1552 era tornato a Piacenza e nei meno documentati anni seguenti, fino al 1555, dovette effettuare soggiorni a Milano, Ancona, Como, sempre per ricerche antiquarie. Al febbraio 1554 risale una lettera di Pietro Aretino, che ringraziava il L. delle "laudi con le quali essaltano il mio volgar nome i vostri latini versi", mentre è datato 27 ag. 1555 il testamento fatto rogare in casa di Francesco Alciati, dal notaio Bernardino Cristiani, sottoscritto dal L. come "Scolasticus philosophiae Aristotelicae in Gymnasio Ticinensi". In esso egli disponeva i fratelli Niccolò, Emilio, Pompeo e Manfredo eredi del patrimonio terriero presso Caselle di Po, e la madre usufruttuaria (il padre era morto molti anni prima).
L'interesse del documento (che non sortì effetti in quanto il L. testificò di nuovo il 4 luglio 1564, prima di morire) sta in una serie di disposizioni legate al lascito dei libri (che, secondo l'inventario contenuto nel ms. Landiano 142 della Biblioteca comunale Passerini Landi di Piacenza, ammontavano a 350, per lo più opere di diritto, religione e letteratura, non esclusi testi di poesia volgare), per i quali il testatore intendeva fosse istituita una biblioteca aperta al pubblico con annessa una scuola destinata ai figli dei contadini delle proprietà.
Tornato di nuovo a Pavia nel 1555, sempre impegnato tra studi filosofici e ricerche numismatiche, il L. era a Piacenza nel corso del 1557: infatti, porta la data 2 novembre di quell'anno la Lettera in volgare al conte Prospero Tedeschi Sopra una impresa d'un pino,con i motti postovi, et con la dechiaratione di tutta la natura del pino (Milano, G.A. degli Antonii, 1560), in cui egli si occupava - ancora una volta all'insegna del magistero alciatiano - di imprese e motti nobiliari. Era nuovamente a Pavia il 30 maggio 1558 (così nella Lettera scritta all'illustre s. Theodoro Sangiorgio conte di Sangiorgio et di Biandrà, in risposta d'una del detto signore, ibid. 1560) e il 26 maggio 1559, dove scriveva la dedica a Bernardo Bergonzi governatore di Piacenza delle In veterum numismatum Romanorum miscellanea explicationes (Lugduni, apud S. de Honoratis, 1555; poi, con il titolo Selectiorum numismatum, praecipue Romanorum, explicationes…, Lugduni Batavorum, B. van der Aa, 1695).
Questa operetta sulle antiche monete, compilata "per intervalla temporum", era il coronamento di un quindicennio speso in appassionate ricerche numismatiche, spesso rese ostiche dalla scarsa disponibilità dei possessori a esibire i loro tesori. Le dissertazioni, composte in un latino piuttosto vivace, manifestavano un'idea già chiara della funzione sussidiaria della numismatica per l'indagine storica, in sintonia con le trattazioni coeve di Enea Vico e Sebastiano Erizzo. In esse l'erudizione del L. spaziava dalle fonti antiche greco-latine ai moderni, tra i quali erano anche citati Pico, Poliziano, Lilio Gregorio Giraldi, Celio Calcagnini, Pierio Valeriano (G.P. Dalle Fosse), Marcantonio Flaminio, Niccolò Leonico Tomeo, Annibal Caro (che al L. indirizzava due lettere, il 20 nov. 1557 e l'8 marzo 1558, entrambe in materia di monete).
Il periodo che va dal 1560 al 1564 non presenta documentazione di rilievo, a parte la sopra citata nota manoscritta al codice di Pico, datata Roma 1562; ma sicuramente a Roma, il 4 luglio 1564, si trovava "corpore languens", e di lì a pochi giorni, il 24 del mese, morì, come attesta la lapide funebre posta sulla tomba di famiglia, mentre il corpo venne tumulato nella chiesa di S. Agostino a Roma.
Al L. si è soliti attribuire un Dell'arte poetica il libro primo (Piacenza, senza indicazioni di tipografia, 1549) in endecasillabi sciolti e di chiara impostazione oraziana: infatti, vi è premessa una dedica del L. a Ludovico Domenichi (in data Piacenza 13 dic. 1549) nella quale egli sostiene di ignorare chi sia l'autore e di pubblicare il manoscritto in suo possesso da sei-sette anni. Quadrio (IV) riferisce la notizia che il L. avrebbe pubblicato la sua opera anonima per saggiare le reazioni dei letterati, prima di completarne il disegno. L'esposizione verte sulla poesia volgare, cui l'autore si propone di fornire insegnamenti tecnici che le consentano di elevarsi al grado dei classici.
Fonti e Bibl.: Piacenza, Biblioteca comunale Passerini Landi, Schede letterarie, pp. 17-22: L. Bramieri, L. C.; F. Scotti, Epistolarum libri duo, Bononiae 1580, passim; A. Caro, Lettere familiari, a cura di A. Greco, II, Firenze 1959, pp. 256, 272 s.; P. Aretino, Lettere, a cura di P. Procaccioli, VI, Libro VI, Roma 2002, p. 326; Dechiarazione dell'arbore, e discendenza di casa Landi, prima detta di Andito, Milano 1603; Miscellanea Italica erudita, a cura di G. Roberti, I, Parmae 1691-92, pp. 319-525; F.S. Quadrio, Della storia e ragione d'ogni poesia, II, Milano 1741, pp. 363 s.; IV, ibid. 1749, pp. 13 s.; C. Poggiali, Memorie per la storia letteraria di Piacenza, II, Piacenza 1789, pp. 130-160; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, IV, Milano 1833, pp. 28-30; L. Mensi, Diz. biografico piacentino, Piacenza 1899, p. 181; V. Osimo, C. L. gentiluomo e letterato piacentino del secolo XVI, Venezia 1900; E. Nasalli Rocca, Concetti giuridici sulla guerra nell'opera di C. L., in Boll. stor. piacentino, XLI (1946), pp. 1-6; P.O. Kristeller, Iter Italicum, II, pp. 44, 70; IV, p. 338.