SFORZA, Costanzo
– Nacque a Pesaro il 5 luglio 1447, secondogenito (dopo Battista, nata nel 1446) di Alessandro e di Costanza da Varano. La madre morì in conseguenza del parto il 13 luglio, mentre il 23 dello stesso mese il padre fu riconosciuto ufficialmente vicario pontificio sulla città di Pesaro con investitura concessa per due generazioni.
Dopo il 1457 (quando Sveva Montefeltro, matrigna di Costanzo, si separò da Alessandro Sforza), durante le lunghe assenze del padre il governo di Pesaro fu affidato a diversi luogotenenti a fianco dei quali formalmente comparve Costanzo. A causa dei disordini seguiti, tra Romagna e Marche, alla guerra ingaggiata da Pio II contro Pandolfo Sigismondo Malatesta (1462), nonché della peste scoppiata in città, il giovane Sforza fu allontanato da Pesaro e si rifugiò dalla sorella Battista presso la corte di Urbino. Memoria di questo soggiorno sono le Iocundissimae disputationes dell’umanista ciociaro Martino Filetico (1430-1490), dal 1458 educatore del giovane Sforza; esse ricordano in forma dialogica i colloqui tra Costanzo, Battista e il loro maestro.
Rientrato a Pesaro nel febbraio del 1463, Sforza collaborò alla difesa del contado minacciato da Malatesta, partecipando per la prima volta ad alcune scaramucce. L’anno seguente (1464), fu inviato a Milano alla corte dello zio Francesco Sforza, dove gli ambasciatori mantovani lo registrano presente alle riunioni del Consiglio ducale e sempre in compagnia del primogenito di Francesco, il futuro duca Galeazzo Maria. Rientrò poi a Pesaro, nel novembre visitò Gradara, in Romagna, nuovo acquisto della signoria pesarese, e nel giugno del 1465 scortò a Teramo la cugina Drusiana Sforza, figlia del duca di Milano e sposa di Iacopo Piccinino.
Nel 1466 iniziò una relazione con la pesarese Fiore di Ugolino Boni, dalla quale nacque Giovanni. Qualche anno dopo, forse nel 1469, dalla stessa donna sarebbe nato Galeazzo. Boni fu poi fatta accasare dopo il 1475 con Giovanni Brandolini da Forlì e dotata nel marzo del 1477 di una casa a Pesaro e di proprietà terriere nel contado che le garantissero un buon tenore di vita.
L’apprendistato militare sembrò concluso nel 1466, quando Costanzo capeggiò una sua squadra nella compagnia paterna, che faceva parte dell’esercito sforzesco in campo in Emilia contro le truppe di papa Paolo II. Infatti, nel febbraio del 1467 fu intestata anche a lui, oltre che al padre Alessandro, la condotta concessa dai veneziani.
L’alleanza tra i pesaresi e i veneziani segnò una rottura con i parenti milanesi. Lo scontro tra le nuove alleanze createsi nella penisola, che vedevano contrapposte Firenze, Milano e Napoli a Roma e Venezia, avvenne nel luglio 1467 alla Riccardina nel contado di Bologna. La battaglia prostrò i due eserciti e fu contrassegnata da un certo insuccesso dei pesaresi: Sforza fu catturato dalle milizie del cognato Federico da Montefeltro, ma rimesso immediatamente in libertà alla fine della giornata. Analogo e più grave insuccesso patirono Alessandro e Costanzo il 30 agosto 1469, quando – in occasione della guerra combattuta per il controllo di Rimini dopo la morte di Sigismondo Pandolfo Malatesta (maggio 1468) – l’esercito milanese e napoletano guidato da Federico da Montefeltro sbaragliò a Mulazzano l’esercito veneto-pontificio guidato dai due Sforza. Mentre il padre, ferito, si dirigeva a Venezia per discolparsi della rotta davanti al Senato, Costanzo tentò di difendere il contado di Pesaro da possibili ritorsioni.
Licenziati da Venezia, i due Sforza si riavvicinarono ai parenti milanesi; mentre il padre si recava a Milano, Costanzo ottenne una condotta della Chiesa (30 maggio 1470), con paga annua di 10.000 fiorini e l’obbligo di mantenere una compagnia di 125 armati. L’assenza, e subito dopo la malattia e la morte del padre, gli imposero maggiori responsabilità di governo: la reggenza della signoria su Pesaro, gli obblighi di rappresentanza a Firenze (per la visita del duca di Milano) e a Roma (investitura di Borso d’Este, 14 aprile 1471), la sorveglianza attenta contro l’espansionismo di Roberto Malatesta sulla costa adriatica, il subentro nella condotta paterna a Milano (29 maggio 1472) con obbligo di residenza, una missione per conto del duca a Imola per sfruttare i contrasti tra Taddeo Manfredi e i suoi sostenitori e conquistare la città, la mobilitazione dell’esercito sforzesco in previsione di un attacco contro Venezia (inverno del 1472-73).
Morto Alessandro (3 aprile 1473; della sua tomba, voluta da Costanzo, resta solo l’epigrafe dedicatoria), Sforza fu confermato vicario da Sisto IV, ma di fronte ai tentativi del duca di Milano di attrarlo sempre più nella sua orbita politica (proponendogli una sorta di tutela-controllo sullo Stato di Pesaro e un matrimonio con una Gonzaga), Costanzo si distaccò dai parenti milanesi proponendosi come condottiero a Ferdinando I d’Aragona.
Ne nacquero attriti diplomatici tra Milano e Napoli, aggravati dalle voci di un’alleanza matrimoniale tra Ferdinando e Costanzo. In effetti il 7 giugno fu stipulata una condotta di tre anni più uno di rispetto, per 10.000 ducati in pace e 16.000 in guerra, e un anno dopo (9 giugno 1474) fu sottoscritto l’accordo matrimoniale con Cubella (poi detta Camilla) Marzano d’Aragona, figlia del principe di Rossano e nipote del re (con dote di 12.000 ducati). Sisto IV approvò l’unione e concesse l’estensione del titolo di vicario su Pesaro ai figli e nipoti di Costanzo e Camilla. Sforza assunse quindi il cognome d’Aragona e si portò insieme con il conte di Urbino all’assedio di Città di Castello, dove si era insediato – grazie all’appoggio di Lorenzo de’ Medici – Niccolò Vitelli.
Nei primi mesi del 1475, Sforza regolarizzò i pagamenti dei censi ecclesiastici, principiò la costruzione di una nuova fortificazione a Pesaro che prese il nome di Rocca Costanza e iniziò i preparativi per le nozze con Marzano.
Le cerimonie nuziali si svolsero a Pesaro tra il 26 e il 30 maggio e furono caratterizzate da un sontuosissimo apparato effimero. L’orazione di Pandolfo Collenuccio e i testi poetici dedicati agli sposi furono immediatamente dati alle stampe (Vicenza, H. Liechtenstein, 9 novembre 1475), mentre fu realizzato anche un bel codice miniato (Biblioteca apostolica Vaticana, Urb. lat. 899), con la raffigurazione delle scenografie e dei carri dalla raffinatissima simbologia realizzati in parte con il contributo della comunità ebraica di Pesaro.
Negli anni successivi Sforza tentò di acquisire una maggiore autonomia nel complicato assetto politico italiano. Fallì nel tentativo di ottenere un aumento di 6000 ducati della sua condotta, perché Ferdinando non ottenne né dal papa né da Siena (cui si era rivolto) i finanziamenti richiesti, e dovette trangugiare il rinnovo alle stesse condizioni, ma per cinque anni più altrettanti di rispetto (13 ottobre 1477). Non fece granché per sostenere Carlo Manfredi a Faenza (novembre del 1477), come d’Aragona e Federico da Montefeltro avrebbero voluto, e addirittura inviò un contingente a sostegno di Lorenzo de’ Medici dopo la congiura dei Pazzi (1478), contro il volere del papa e di Ferdinando, anche se poi fiancheggiò a Castellina nel Chianti (estate 1478) l’esercito aragonese e papale. Ferito, rientrò poi a Pesaro.
Erano le avvisaglie di un cambio di schieramento, che maturò l’anno successivo, suscitando il giubilo dei duchi di Milano per il consanguineo che rientrava all’ovile («naturale et vero cammino»: Archivio di Stato di Milano, Sforzesco, 149, 8 marzo 1479; cit. in Scorza, 2006, doc. 148). Il 20 marzo 1479, Costanzo siglò infatti una condotta con effetto retroattivo di ben 22.000 ducati in tempo di pace e 33.000 in tempo di guerra con la Lega tra Firenze e Milano, lasciando il servizio con il re di Napoli, tra accuse e controaccuse, e subendo anche la scomunica di Sisto IV (agosto del 1479). Nella campagna svoltasi in Toscana nell’estate del 1479, prevalsero tuttavia gli eserciti aragonesi e i pontifici (Poggio Imperiale, 7 settembre) e Sforza fu tra i pochi condottieri che sfuggirono alla cattura.
Nelle successive trattative di pace, Sisto IV aderì agli accordi tra Lorenzo il Magnifico e Ferdinando, ma ebbe come contropartita la possibilità di intervenire liberamente in Romagna e dintorni, e individuò come obiettivo la Pesaro di Sforza, che nell’estate del 1480 fu la pedina fondamentale dello scacchiere politico italiano.
Gli alleati di Sforza si mobilitarono: Ludovico il Moro inviò Roberto Sanseverino e 3000 cavalieri a Bologna per minacciare Imola, spaventando i veneziani e costringendoli a fare pressione sul papa. La moglie di Costanzo indusse il re di Napoli a portare le truppe sul Tronto ai confini con lo Stato della Chiesa e a inviare navi al largo della costa di Fano per minacciare direttamente il papa. Fiorentini e milanesi istigarono poi la rivolta di Forlì contro Sinibaldo Ordelaffi e indussero infine il pontefice, napoletani e veneziani (27 luglio 1480) a destinare la città a Girolamo Riario in una sorta di virtuale scambio con Pesaro. Nel contempo, Sforza rientrò nel novero dei condottieri assoldati dalla lega tra Firenze, Milano e Napoli (25 luglio), con gli stessi accordi finanziari dell’anno precedente.
Il gravissimo attacco turco contro Otranto, di quei giorni, indusse poi il papa a consigli più miti e sia pure con molte difficoltà – senza il soldo dei fiorentini, che non arrivava, Costanzo non poteva saldare gli arretrati del censo dovuto al papa per il vicariato, sì che dovette ricorrere a un prestito del duca di Urbino; e inoltre Gradara si era ribellata – Sforza se la cavò, ottenendo il perdono del papa e il rinnovo del vicariato. Da Firenze, dovette subire una riduzione della condotta (10.000 ducati in pace, 18.000 in guerra), ma ottenne il bastone del comando (simbolicamente, quello dello zio Francesco), e siglò poi (7 novembre 1480) la condotta milanese.
Poco più di un anno dopo (gennaio del 1482), Sforza fu chiamato a intervenire dal cugino Ludovico nella turbolenta situazione di Parma e del territorio parmense (egemonizzato dalle grandi casate aristocratiche locali, i Rossi e i Pallavicino), resa ulteriormente precaria dalla ribellione dell’ambizioso Roberto Sanseverino (cugino di Costanzo e dei duchi). In qualità di governatore e luogotenente generale delle terre sotto il Po e tra Ticino e Po, coadiuvato da Gian Giacomo Trivulzio, Sforza conquistò con inaspettata rapidità Castelnuovo Tortonese, feudo del Sanseverino dove il condottiero si era rifugiato, e successivamente Colorno, altro feudo del Sanseverino (17 febbraio). Esitò tuttavia nell’eseguire il successivo ordine del Moro, quello di attaccare il castello di San Secondo di Piero Maria Rossi (18 febbraio); anche per le dicerie alimentate ad arte dai Pallavicino nell’ambiente di corte, si vide infine togliere (16 marzo) il comando dell’impresa contro i Rossi.
Stimato per le sue capacità militari, Sforza mantenne un ruolo importante anche nella guerra tra Ferrara e Venezia, scoppiata di lì a poco, e fu infeudato di Portecurtone (Alessandria), già terra di Sanseverino. Il Moro lo trattenne sull’Adda in funzione difensiva, anziché concederne i servigi al duca di Urbino (che lo voleva in Romagna) e al Magnifico (che invece lo voleva nell’alta val Tiberina). In giugno fu però inviato a Firenze, da dove, entrando nei territori della Chiesa, contribuì alla presa di Città di Castello e conquistò dopo un lungo assedio Celle e Citerna (Perugia), prima di rientrare a Pesaro minacciata dalle truppe papali guidate da Riario. Passò in seguito alla difesa di Ferrara (11 dicembre), ove pretese il comando delle armate che proteggevano la città. Dopo un mese di efficace attività di comando, suscitò sconcerto il suo plateale abbandono del campo di Argenta (13 gennaio), alla notizia dell’arrivo di Alfonso d’Aragona (al quale non voleva presumibilmente sottostare).
Continuò comunque a rivendicare il soldo dovuto dagli Sforza di Milano e dai Medici, e di fronte alle esitazioni e ai temporeggiamenti degli alleati (radunati alla dieta di Cremona) non esitò a cambiare spregiudicatamente campo, trattando una nuova condotta con i veneziani, che gli assicurarono un appoggio militare per conquistare Rimini e un lauto stipendio di 30.000-50.000 fiorini (in pace e in guerra); questo ovviamente gli fece guadagnare un’immediata scomunica da Sisto IV.
Mentre approntava le truppe da schierare al soldo di Venezia morì improvvisamente il 19 luglio 1483, non senza sospetto di avvelenamento da parte dei collegati. Lasciò solo due figli naturali, mai legittimati, avuti in gioventù dalla relazione con Boni; da Camilla Marzano aveva avuto solo un figlio, morto a pochi mesi il 29 settembre 1480. Fu sepolto il 15 settembre 1483, a Pesaro, dopo che Pandolfo Collenuccio ottenne dal papa – che peraltro temporeggiava sul rinnovo dell’investitura a Camilla Marzano e Giovanni Sforza – un breve ad hoc: gli osservanti di S. Giovanni Battista di Pesaro si erano infatti rifiutati di accogliere il cadavere di uno scomunicato.
Fino dai primi cenni biografici a lui dedicati nelle opere di autori più o meno contemporanei – Vespasiano da Bisticci (Vite di uomini..., a cura di P. D’Ancona - E. Aeschlimann, 1951, pp. 116 s.) e Giacomo Filippo Foresti (Novissime historiarum..., 1503, p. 423) – si creò, nonostante l’ombra gettata su di lui dalle figure del padre Alessandro e del cognato Federico da Montefeltro, una sorta di mito del governo di Costanzo: principe dedito al mestiere delle armi, ma coltissimo, edificatore per il bene dei sudditi, coraggioso e rispettoso del padre; un’immagine idilliaca specie se confrontata con quella degli inquieti vicini Malatesta e da Varano, nonché del figlio Giovanni Sforza, ma poco realistica. In realtà, Stefano Taverna (certo fonte di parte, intenzionato a garantire gli interessi degli Sforza milanesi a Pesaro, parenti che disprezzavano le scelte fatte negli ultimi mesi di vita da Costanzo), commentando la situazione precaria in cui si trovava Pesaro a seguito della sua morte, sostenne che «il signor Costanzo aveva lassato questo stato non in disordine, ma in miseria» (Archivio di Stato di Milano, Sforzesco, 151, 20 ottobre 1483; cit. in Scorza, 2006, doc. 525).
Fonti e Bibl.: G.F. Foresti, Novissime historiarum omnium repercussiones noviter, Venezia 1503, pp. 116 s.; Vespasiano da Bisticci, Vite di uomini illustri del XV secolo, a cura di P. D’Ancona - E. Aeschlimann, Milano 1951, pp. 423 s.; Lorenzo de’ Medici, Lettere, a cura di N. Rubinstein, I-VII, Firenze 1977-2011, ad indices; Carteggio degli oratori mantovani alla corte sforzesca (1450-1500), coordinamento e direzione di F. Leverotti, VII, VIII, XI, XII, Roma 1999-2003, ad indices.
N. Ratti, Della famiglia Sforza, I, Roma 1794, pp. 155-162; M. Tabarrini, Descrizione del convito e delle feste in Pesaro per le nozze di C. S. e Camilla d’Aragona, Firenze 1870; B. Feliciangeli, Alcuni documenti relativi all’adolescenza di Battista e C. S., in Giornale storico della letteratura italiana, XLI (1890), pp. 1-12; C. Santoro, Gli Sforza, Milano 1968, pp. 409 s.; S. Eiche, Towards a study of the famiglia of the Sforza court at Pesaro, in Renaissance and reformation, IX (1985), pp. 79-103; G. Lubkin, A Renaissance court. Milan under Galeazzo Maria Sforza, Berckey-London 1994, ad ind.; M.N. Covini, L’esercito del duca. Organizzazione militare e istituzioni al tempo degli Sforza (1450-1480), Roma 1998, pp. 296, 300-303; F. Mariano, Rocca Costanza. Nuove notizie tra storia e restauri, in Pesaro città e contà, 2000, n. 11, pp. 45-58; F. Ambrogiani, Vita di C. S. (1447-1483), Pesaro 2003; Id., Ipotesi sui progettisti di Rocca Costanza, in Pesaro città e contà, 2005, n. 21, pp. 83-101; G.G. Scorza, C. S. signore di Pesaro (1473-1483), Pesaro 2006; F. Ambrogiani, Vita di Giovanni Sforza (1466-1510), Pesaro 2009, ad ind.; J. Bridgeman - A. Griffiths, A Renaissance wedding. The celebrations at Pesaro for the marriage of C. S. and Camilla Marzano d’Aragona (26-30 May 1475), London-Turnhout 2013; F.V. Lombardi, Un fallito Parco di caccia di C. S., in Studi pesaresi, III (2015), pp. 77-92; F. Daenens, La mancata dote di Camilla Sforza d’Aragona, ibid., IV (2016), pp. 7-45.