licenziamento, costi di
Costi che un’impresa deve sostenere per ridurre l’occupazione tramite recesso dal contratto di lavoro. Tali costi derivano in larga parte dalla legislazione di protezione del lavoro (➔ lavoro, legislazione di protezione del). Quest’ultima, di fatto, impone al datore di lavoro un costo i cui elementi principali sono l’indennità di l. (trasferimento monetario che il datore di lavoro deve versare al lavoratore licenziato, ➔ indennità), il periodo di preavviso (intervallo di tempo che deve essere concesso al lavoratore prima che il l. diventi effettivo), i costi processuali (le parcelle degli avvocati) e altri costi procedurali. Le prime due voci rappresentano un trasferimento monetario dall’impresa al lavoratore, mentre le ultime due possono essere assimilate a una tassa, dal momento che costituiscono un pagamento a una terza parte esterna al rapporto di lavoro.
Nella disciplina italiana, è previsto che in caso di l. (ingl. layoff) per giustificato motivo (➔ licenziamento, forme per il) il datore di lavoro sia tenuto a concedere un preavviso del recesso di durata stabilita dalla contrattazione collettiva. Durante tale periodo, il lavoratore è tenuto a svolgere le proprie mansioni e il datore di lavoro a pagare la corrispondente retribuzione. Se il datore di lavoro vuole però estromettere subito il lavoratore e rinuncia al preavviso, deve pagare l’indennità di mancato preavviso, di importo pari alla retribuzione che sarebbe spettata per il periodo al lavoratore. Il preavviso (o la corrispondente indennità) non deve essere pagato nel caso di l. per giusta causa (➔ giusta causa), ma la valutazione della condotta del lavoratore è lasciata al giudice del lavoro, che in tal senso dispone di ampia discrezionalità.
Ulteriori costi emergono nel caso in cui il giudice dichiari l’illegittimità del l. a seguito della sua impugnazione da parte del lavoratore. In questo caso, infatti, a seconda delle dimensioni dell’impresa, viene attribuita al lavoratore una tutela reale o obbligatoria. La prima è prevista dall’art. 18 dello Statuto dei diritti dei lavoratori (➔) e si applica alle imprese con 16 o più dipendenti nell’ambito comunale (o più di 60 in quello nazionale); in base a essa il giudice ordina la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore attraverso il pagamento di un’indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del l. fino alla data della reintegrazione, oltre ai contributi previdenziali. L’indennità, in ogni caso, non può essere inferiore alle 5 mensilità. Il lavoratore può chiedere, in alternativa alla reintegrazione, la corresponsione di una buonuscita (indennità sostitutiva) pari a 15 mensilità, in aggiunta a quanto dovuto a titolo di risarcimento. La reintegrazione automatica del lavoratore, combinata con l’assenza di un limite massimo del risarcimento, con la possibile lunga durata del processo e con la scarsa prevedibilità dell’esito del giudizio, ha prodotto l’effetto di un notevolissimo aumento del costo mediamente atteso dall’imprenditore.
La gestione delle spese procedurali introduce un ulteriore elemento asimmetrico di costo: se il datore di lavoro vince la causa, le spese giudiziali vanno suddivise tra le parti; se invece viene condannato, deve sostenere anche le spese legali della controparte. Nelle imprese con meno di 15 dipendenti vige la tutela obbligatoria e il datore di lavoro può scegliere tra riassunzione del lavoratore e pagamento di una buonuscita più bassa, tra le 2,5 e le 6 mensilità, senza nulla dare per il periodo che intercorre tra il l. e il rientro nell’impresa. I costi sono, dunque, sensibilmente superiori per le aziende sopra la soglia, e questo è ritenuto uno dei fattori determinanti la scarsa propensione a crescere delle imprese italiane. ● Il d.d.l. 3249/2012 introduce importanti modifiche all’art. 18 dello Statuto dei diritti dei lavoratori. Per i datori di lavoro che occupano più di 15 dipendenti (o più di 60 nell’ambito nazionale), sono previsti 3 regimi sanzionatori a seconda che il giudice accerti: la natura discriminatoria o il motivo illecito del licenziamento; l’inesistenza del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa (licenziamenti soggettivi o disciplinari); l’inesistenza del giustificato motivo oggettivo (licenziamenti oggettivi o economici). Nel primo caso, le conseguenze sanzionatorie rimangono quelle previste dal testo dell’art. 18. Per i l. soggettivi o disciplinari, è prevista un’articolazione interna: nell’ipotesi in cui accerti la non giustificazione del l. per l’inesistenza del fatto contestato, ovvero la riconducibilità dello stesso alle condotte punibili con una sanzione minore, il giudice annulla il l. e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del dipendente, al risarcimento dei danni retributivi patiti entro un massimo di 12 mensilità di retribuzione e al pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali. Il lavoratore mantiene la facoltà di scegliere, in luogo della reintegrazione, una buonuscita (indennità sostitutiva) pari a 15 mensilità. Lo stesso regime (reintegrazione) si applica ai l. intimati, prima della scadenza del cosiddetto periodo di ‘comporto’, a causa della malattia nella quale versa il lavoratore, e a quelli motivati dall’inidoneità fisica o psichica del lavoratore, ma trovati illegittimi dal giudice. Nelle altre ipotesi di accertata illegittimità del l. soggettivo o disciplinare, è previsto il pagamento di una buonuscita (indennità risarcitoria) tra 15 e 27 mensilità, che vale anche per le ipotesi di l. viziato nella forma o sotto il profilo della procedura disciplinare. Tuttavia, in questi casi, se l’accertamento del giudice si limita alla rilevazione del vizio di forma o di procedura, esso comporta l’attribuzione al dipendente di una buonuscita compresa fra 7 e 14 mensilità di retribuzione; ciò a meno che il giudice accerti che vi è anche un difetto di giustificazione del l., nel qual caso applica le tutele di cui sopra. Per i l. oggettivi o economici, ove accerti l’inesistenza del giustificato motivo oggettivo addotto, il giudice dichiara risolto il rapporto di lavoro disponendo il pagamento di una buonuscita (indennità risarcitoria) onnicomprensiva tra 15 e 27 mensilità di retribuzione. Al fine di evitare la possibilità di ricorrere strumentalmente a l. oggettivi o economici che dissimulino altre motivazioni, di natura discriminatoria o disciplinare, è fatta salva la facoltà del lavoratore di provare che il l. è stato determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari, nei quali casi il giudice applica la relativa tutela.
In caso di l. collettivo, i costi derivano principalmente dalle complesse procedure amministrative che devono essere seguite e che prevedono trattative con le rappresentanze sindacali e le associazioni di categoria. Il d. d. l. 3249/2012 prevede che il nuovo regime debba essere coordinato con quello dei l. collettivi, nei limiti in cui per essi vale l’art. 18, con l’applicazione, per i vizi di tali l., del regime sanzionatorio previsto per i l. economici. La presenza di costi implica importanti conseguenze sul comportamento dell’impresa e sui livelli occupazionali (➔ anche lavoro, legislazione di protezione del; assunzione, costi di; insider-outsider).