costituzione e costituzionalismo
Tecniche giuridiche per limitare il potere
Quando parliamo di costituzionalismo facciamo riferimento a tutti quei movimenti politici che difendono i diritti dei singoli contro l'arbitrio del potere statale. A tal fine, vengono predisposte tecniche diverse, che mutano da paese a paese. Tuttavia ve ne sono tre che sono quasi sempre presenti: la forma astratta della legge; la separazione dei poteri; la costituzione rigida. Alcune costituzioni si ispirano a principi liberaldemocratici; altre vi aggiungono i principi della tradizione socialista
Per costituzionalismo s'intende quella tecnica giuridica che organizza i poteri dello Stato in modo tale da salvaguardare i diritti degli individui (diritti dell'uomo). Ecco perché lo Stato costituzionale viene anche presentato come lo Stato dei diritti. Vari sono i tipi di diritti. Vi sono i diritti civili della tradizione liberale (la libertà religiosa, la libertà di pensiero, le garanzie giudiziarie, la segretezza della corrispondenza, e così via), i diritti politici del pensiero democratico (il diritto di voto e più in generale il principio della sovranità popolare) e i diritti sociali patrocinati dal movimento socialista (il diritto all'istruzione, al lavoro, e altri ancora).
Lo Stato costituzionale è quindi senz'altro lo Stato dei diritti; ma occorre precisare che in alcuni casi le costituzioni prevedono solo i diritti di ispirazione liberale, magari rafforzati dal principio della sovranità popolare (ed è quanto accade negli Stati liberaldemocratici), mentre in altri casi vengono promossi anche i diritti sociali, e allora da liberaldemocratico lo Stato si muta in Stato sociale di diritto. L'esempio più significativo di Stato liberaldemocratico è rintracciabile nella Costituzione statunitense del 1787, le cui norme vengono prima derivate dalla volontà del popolo e poi impegnate alla tutela dei diritti civili e politici. Ed è qui la differenza con la Francia rivoluzionaria, che fin dalla Costituzione del 1791 si apre ai bisogni dei meno fortunati e obbliga le autorità pubbliche ad assisterli.
È un obbligo, questo dell'assistenza alle fasce più deboli, sancito con grande enfasi nella successiva Costituzione francese del 1793, quando proclama che "i soccorsi pubblici sono un debito sacro". Si tratta di quelli che oggi chiamiamo diritti sociali. Ma a partire dal 1814 e fino al 1848 i diritti sociali scompaiono da ogni costituzione che vede la luce in Europa. Lo stesso principio democratico viene indebolito: in primo luogo, perché il diritto di voto viene ristretto a un'esigua minoranza di cittadini, i più ricchi e i meglio istruiti; in secondo luogo, perché le costituzioni di questo periodo non sono votate da un'assemblea di rappresentanti liberamente eletta dal popolo (come prima in Francia e negli Stati Uniti), ma vengono concesse dall'alto, da un sovrano che decide di limitare i suoi poteri. Non sono costituzioni votate ma, come usa dire, ottriate o concesse (dal francese octroyer "concedere").
Fu un ritorno all'indietro? Sì e no. Sì, quanto ai diritti sociali e politici; no, quanto ai diritti civili che vengono mantenuti anche nella Carta costituzionale concessa da Luigi XVIII nel 1815, dove vengono sanciti la libertà di culto, l'eguaglianza dinanzi alla legge e l'accesso degli uomini di tutte le condizioni agli impieghi civili e militari.
Nel Novecento i diritti sociali e politici riprendono il centro della scena, per non lasciarlo più. La Costituzione tedesca del 1919, per esempio, si fa carico di "assicurare a tutta la classe operaia del mondo un minimum generale di diritti sociali"; ma è soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale che le costituzioni dei paesi occidentali integrano i principi liberali con i principi democratici e con istanze di tipo socialista. Da queste sintesi di principi e tradizioni diverse deriva la lunghezza dei nostri testi fondamentali, ben diversi in questo dalle prime Carte costituzionali (la Costituzione americana, all'inizio, era composta da soli 7 articoli. La Costituzione italiana ne conta 139!). Oltre che lunghe, votate e scritte ‒ fa eccezione la Gran Bretagna la cui legge fondamentale è composta solo in parte da regole scritte ‒ un po' dappertutto le costituzioni dei giorni nostri sono rigide.
Ma in che senso una costituzione è rigida? Per rispondere a questo interrogativo, occorre tener presente un punto: che l'uomo è un uomo libero quando possiede la certezza dei propri diritti. Certezza dei diritti significa che ognuno, prima di agire, deve poter conoscere quali sono le azioni permesse e quali le azioni vietate. Ora, questa conoscenza viene assicurata solo da norme che hanno una forma astratta. La legge cioè non punisce l'omicidio concreto di Tizio da parte di Caio; punisce invece l'omicidio in astratto. Ma proprio perché lo punisce in astratto, Tizio sa , e lo sa prima, che se commette un omicidio verrà condannato: di qui la libera responsabilità della sua scelta.
In questo senso la legge astratta è una condizione di libertà. Condizione necessaria, certo, ma non ancora sufficiente. La legge astratta, di per sé, non salvaguarda le libertà dei cittadini; e soprattutto non le salvaguarda se la stessa autorità che, come legislatore, crea la norma, deve, come giudice, applicarla nelle controversie tra gli individui. Qualora nelle stesse mani si trovassero riuniti il potere legislativo e il potere giudiziario, il giudice ‒ proprio perché anche legislatore ‒ potrebbe modificare a suo capriccio la legge astratta e alla luce delle modifiche così apportate procedere poi all'emanazione della sentenza. A quel punto, però, verrebbe meno il requisito della prevedibilità della norma. Ecco perché è necessario separare il potere legislativo dal potere giudiziario; in tal modo, la legge può essere modificata, sì, ma solo da una legge successiva emanata dal parlamento, e non dai giudici.
Se la legge può essere modificata da una legge successiva, nulla esclude, però, che il legislatore possa revocare precisamente quelle leggi che garantivano la libertà degli individui. Un parlamento che può tutto può evidentemente anche sopprimere i diritti di libertà. Neanche la separazione dei poteri, allora, è una sicura garanzia di libertà; o meglio, non lo è sin quando le libertà rimangono alla mercé di un legislatore onnipotente. Il problema, quindi, è depotenziare l'attività legislativa, contenendola entro limiti che il legislatore non può valicare. Questi limiti coincidono con la sfera dei diritti individuali. Questi ultimi limitano la competenza del legislatore perché gli sottraggono una serie di materie sulle quali egli non può intervenire né con divieti né con comandi (la libertà religiosa, per esempio, significa che il legislatore non può comandarci di seguire una religione, né impedirci di abbandonarla).
I diritti individuali, dunque, sono garanzia di libertà, ma solo a condizione che essi siano enunciati all'interno di una costituzione rigida. Costituzione rigida, infatti, è quella che non può essere modificata dalla legge perché, appunto, è più dura, più rigida di essa; sicché, in caso di urto, la meno resistente ‒ la legge, cioè ‒ sarà destinata ad avere la peggio e verrà annullata da un organo speciale (la Corte costituzionale).
Ricapitolando: la legge astratta, la separazione dei poteri e la costituzione rigida sono i cardini di un sistema che vincola il potere al rispetto dei diritti consacrati nella costituzione. Vincolare il potere mediante il diritto: è questo il senso profondo del costituzionalismo.