Costituzione e governance
Il nuovo clima politico, i risultati delle elezioni regionali e nazionali (il cui esito ha visto un radicale mutamento della rappresentanza parlamentare ed un nuovo governo alla guida del nostro Paese) l’anomala modalità di una alleanza sancita da un “contratto” di governo sembrano confermare che il sistema di governance adottato dall’Unione europea ha prodotto effetti imprevedibili su contenuti e sulla stessa forma di governo dei Paesi membri, limitati nella loro autonomia per rispettare le nuove regole del gioco, spesso contrapposte a principi e norme della Costituzione a partire dal capovolgimento del rapporto lavoro/mercato.
Il lemma governance è l’espressione di una radicale trasformazione del modo di produzione di beni e servizi, orientata al primato del mercato.
E quindi di nuovi rapporti fra politica, economia e tecnostrutture e nel rapporto fra pubblico e privato, nell’organizzazione della vita politica, economica, culturale e sociale.
Prende il nome di global governance lo spostamento a livello internazionale e sovranazionale dei canali procedurali delle decisioni strategiche in materia finanziaria e commerciale.
Una nuova forma di organizzazione del potere politico-economico che vede come protagonisti l’uno accanto all’altro soggetti pubblici e privati, responsabili delle banche e del mondo finanziario, rappresentanti di Governi e pubbliche amministrazioni insieme a lobbysti e ad una molteplicità di esperti con ruoli spesso determinanti, in un contesto in cui la responsabilità politica perde le tradizionali connotazioni visibili e riconoscibili.
Partendo da queste prospettive si verifica il passaggio da una forma statuale di governo dell’economia ad un governo economico della politica1 con la conseguenza che la sovranità ed il lavoro perdono il loro ruolo di principi/valori “fondamento della Repubblica”. Ciò che per i suoi numerosi mentori costituisce il maggior merito della governance, è la sua articolazione organizzativa ed operativa: un sistema a rete articolato su piani sia verticali che orizzontali che consente di passare dalla “global governance” alla “regional governance” e alla “national governance” fino alla “local governance”. Si tratta di una svolta resa possibile dal trasferimento di quei caratteri tipici della corporate governance della grande impresa multinazionale alla politica. La governance ha avuto successo perché si presenta come uno strumento generale di regolazione della decisione politica, ossia come una nuova proposta di politica economica che rivoluziona le modalità con le quali affrontare problemi di carattere generale ad ogni livello (dal globale al locale). E, in effetti, la governance si presenta come «una razionalità che usa lo stato ma non ha bisogno del sovrano, perché colloca altrove gli elementi della sua legittimazione. Essa rigetta allo stesso modo il comunitarismo socialista e comunista e l’individualismo liberale, per sostituirli con soggettività auto imprenditoriali, aggregazioni d’interessi, e reti informali in cui tutto è negoziabile e modificabile»2. Un nuovo approccio che mette in crisi l’intera organizzazione delle costituzioni democratiche, provocando, soprattutto nella attuale fase di continuo processo di riorganizzazione dell’Unione europea fondato sul primato dell’euro, quel “deficit democratico” che diventerà nelle ormai prossime elezioni europee il cavallo di battaglia di movimenti definiti populisti e partiti antieuropei. Questa visione teorica di sapore decisamente ottimistico entra in rotta di collisione con una realtà estremamente complessa, in cui le componenti del modo di produzione capitalistico sono innanzitutto la finanza internazionale e le nuove forme di organizzazione algoritmico-robotica-informatica che rivoluzionano il rapporto capitale-lavoro, mentre gli Stati ed i Governi si trovano in un conflitto fra il loro ruolo di regolatori e tutori dei mercati e l’esigenza di dare risposte efficaci alle richieste dei cittadini di lavoro, di servizi pubblici e di welfare state3 dato l’evidente ridimensionamento del ruolo e dei loro Governi nella regolamentazione e nel controllo delle politiche e dei mercati globali4. Su un altro versante, per i giuristi (e ancor più per i costituzionalisti), con la prevalenza nei processi regolativi e decisionali di istituzioni che non derivano la loro legittimazione dalla “rappresentanza” ma da una loro presunta efficienza ed efficacia ascrivibile all’expertice di cui sono espressione, il problema nodale e tuttora irrisolto è il “deficit democratico” ormai sempre più evidente, non solo nell’organizzazione e nella gestione della global governance ma anche di quelle eurounitarie. Il primato del mercato, il cui corretto funzionamento viene regolato non solo dalle grandi organizzazioni internazionali come l’OMC, l’FMI e la BM, ma anche dalle agenzie di rating5 sta quindi sterilizzando il ruolo che le Costituzioni assegnano agli Stati e ai Governi nazionali, ritenuti inidonei a regolare e controllare mercati ed economie sempre più globali. Per conseguenza, bilanci e spesa pubblica sono sottoposti al vaglio ed al controllo delle grandi Compagnie internazionali di rating, e, per quanto riguarda i paesi membri dell’Unione europea, alle regole, alle direttive ed al controllo non solo della Commissione e del Consiglio dei ministri dell’UE ma anche dei 20.000 “comitati” di esperti! Inoltre, last but not list, della Banca Centrale Europea che, secondo una diffusa opinione, per salvare l’euro e le banche sull’orlo del fallimento ha realizzato un vero e proprio colpo di stato, trasformando la crisi bancaria in crisi dei bilanci degli Stati membri6. Questo processo ha evidenziato l’impatto della governance sulle Costituzioni nazionali (ridefinite talora Municipal Constitutions), dando luogo a quel fenomeno che la dottrina ha definito Multilevel constitutionalism7 per descrivere la coesistenza di diversi livelli di regolamentazione costituzionale, quasi costituzionale o materialmente costituzionale come nel caso dell’UE. Anche se il Trattato che pretendeva di istituire una Costituzione per l’Europa fu bloccato dal voto referendario dei cittadini francesi ed olandesi, rimasero però sostanzialmente inalterati sia il testo sia l’approccio della Corte europea di giustizia nel determinare la prevalenza sia del Trattato che i principi costituzionali comuni ai Paesi membri dell’UE, ai quali non solo i regolamenti eurounitari ma anche le leggi degli Stati nazionali debbono adeguarsi. Così, anche se la nostra Corte costituzionale oppone alla prevalenza dei Trattati sulla nostra Costituzione la resistenza dei suoi principi supremi, l’esperienza mostra che la bilancia pende comunque dal lato non solo del sempre più ampio Acquis Communauitaire ma anche dei Trattati che finiscono di fatto col prevalere sulle costituzioni nazionali. La teoria della governance pur non trovando esplicito riscontro formale nelle Costituzioni nazionali, nel dibattito scientifico internazionale è divenuto il cavallo di battaglia accanto alle teorie economiche neoliberiste della scienza politica e delle teorie dello Stato. L’attuale dibattito è infatti attento a descrivere i nuovi rapporti fra istituzioni, politica, economia e società mentre la governance viene considerata con sospetto dai costituzionalisti italiani perché il termine governance non troverebbe riscontro formale nelle norme delle Costituzioni vigenti. Nella vita politica quotidiana però perfino gli assessori di un piccolo comune descrivono ormai le proprie strategie politiche e amministrative in termini di governance per alludere ai nuovi rapporti fra sfera pubblica e privata che nel nostro Paese sono stati tutt’altro che immuni da inquinamenti mafiosi e fenomeni di malversazione del pubblico danaro. In realtà elementi di governance sono penetrati anche formalmente nella Costituzione italiana innanzitutto perché il nuovo art. 81 Cost. affermando i principio del pareggio/equilibrio di bilancio limita le scelte del Governo e del Parlamento dando legittimità e copertura istituzionale agli impegni assunti dal Paese con il MES, il TSCG e il Fiscal Compact; in secondo luogo perché poteri di regolazione e gestione di attività e servizi di notevole rilievo per i diritti sociali e per i diritti politici sono stati ceduti alle Autorità amministrative indipendenti, deresponsabilizzando così Governo e Parlamento; in terzo luogo perché i processi di privatizzazione di beni e servizi pubblici hanno da tempo relegato al mercato ampi settori di interesse nazionale e locale8. La conseguenza principale delle trasformazioni economiche e istituzionali del nostro sistema politico-economico, determinanti per la formazione di movimenti politici e di partiti politici definiti sovranisti e populisti, è stata l’accantonamento dei principi e delle norme costituzionali che nello spirito della Costituzione privilegiavano gli obiettivi del rilancio di un’economia in grave stagnazione, della piena occupazione e della tutela dell’economia pubblica e dei servizi pubblici al fine di garantire la realizzazione dello Stato sociale, peraltro sottoposto sia a rigidi limiti di bilancio e di spesa che ai vincoli esterni sempre più stringenti. Limiti e vincoli diventati in tal modo, dopo la revisione costituzionale dell’art. 81, interni al nostro sistema costituzionale.
Un mondo globale, seguendo la vulgata neoliberista, impone regole globali, secondo automatismi elaborati a livello globale quindi lontano dai lavoratori e dai cittadini di fatto esclusi da processi decisionali che investono la loro stessa esistenza, in aperto contrasto con il principio costituzionale della sovranità popolare e le sue articolazioni costituzionali (artt. 2, 3, 4 e 5 Cost.). Nasce così l’esigenza di una Costituzione globale, ossia la costituzionalizzazione del diritto internazionale e sovranazionale; malgrado ogni tentativo di sensibilizzare le imprese multinazionali al rispetto dei diritti umani, resta una distanza siderale fra riconoscimento formale ed effettiva tutela. L’attuale crisi di un di diritto internazionale costretto a cedere il passo a “relazioni internazionali” inevitabilmente espressione dei rapporti di forza fra Stati e blocchi di Sstati‚ rende puramente teorico, per ora, ogni progetto di una costituzionalizzazione effettiva di un diritto internazionale. Mentre ci si interroga sulla tenuta di principi e regole del diritto internazionale quali la sovranità, le fonti, lo ius cogens, gli obblighi erga omnes,9 i Trattati internazionali, sono in realtà i diritti umani ed in particolare l’ipotesi dell’esistenza di una “soggettività internazionale della persona” a rappresentare il nuovo elemento di legittimazione ideologica di una “costituzione internazionale”10 che tarda a tradursi in realtà normativa per la resistenza di Stati nella difesa del loro potere sovrano11. In realtà malgrado l’indubbia funzione regolativa della grande Triade (OMC, FMI, BM e su un piano diverso delle grandi organizzazioni in cui si articola l’ONU come la FAO, l’UNESCO, il PAM/WFP e l’ IFAD, ad esempio. con la sopravvivenza delle organizzazioni economiche regionali (UE, NAFTA, ecc…) la ripresa dei Trattati bilaterali e quindi la “frammentazione”, il “pluralismo” e la “dimensione privata di organismi di valutazione” delle attività economiche e di mercato di Stati e Governi diviene difficile individuare una dimensione organica ed unitaria della cosiddetta global governance. In questo quadro, l’OML (Organizzazione Mondiale del Lavoro) non dispone di strumenti idonei per far valere in modo efficace la tutela dei lavoratori, soprattutto di fronte a soggetti forti come le multinazionali con le loro molteplici ramificazioni12. La governance si traduce così in percorsi e procedure nelle quali la dimensione tecnocratica-espertocratica prevale su obbiettivi di carattere economico e sociale, schiacciati dai principi di efficienza ed economicità, mentre il terzo principio, l’efficacia, oscilla sempre fra i prevalenti e rigidi imperativi della stabilità della moneta, dei mercati e dei bilanci nazionali e l’effettiva realizzazione di obiettivi di carattere sociale. La trasformazione sia delle procedure decisionali che dei loro contenuti rispecchia il primato delle teorie economiche neoliberiste divenuto “pensiero unico”, che ha imposto una radicale liberalizzazione finanziaria ed ha comportato nuove regole quali l’eliminazione dei controlli sul credito, la deregolamentazione dei tassi d’interesse, la libertà d’ingresso dei privati in ogni settore bancario ivi comprese le Banche Centrali assieme ad una maggiore autonomia delle banche ed alla liberalizzazione dei flussi internazionali di capitale. Decisioni che, com’è evidente, hanno finito per rendere estremamente difficile, se non impossibile ai Governi nazionali, indirizzare e controllare non solo il sistema bancario e finanziario ma la stessa economia nazionale. Ne è conseguito che i Governi – messi difronte agli esiti disastrosi di quella che è stata definita “finanza traumatica” (Brassett e Vaughan-Williams) che ha messo a dura prova la tenuta dell’intero sistema economico – hanno stanziato somme estremamente ingenti per salvare gli enti finanziari e le banche “troppo grandi per fallire”, piuttosto che risarcire i danni causati a grandi investitori (consapevoli dei rischi della finanza creativa) e a piccoli investitori ignari del pericolo di perdere tutti i loro risparmi, talora magri ma preziosi. Questo stravolgimento di principi e valori politici e culturali, prima che economici, sarebbe stato impossibile senza che le nuove teorie neoliberiste avessero puntato sulla figura dell’homo oeconomicus, immagine di un mondo fondato sul primato di mercato e finanza internazionale. Una figura definita da Amartia Sen un “clown tragico”, (idea condivisa da molti altri premi Nobel dell’economia) che, malgrado la riconosciuta inconsistenza scientifica, resta la base di modelli teorici tuttora di uso comune nei manuali di economia. Questa nuova griglia metodologica, la governance, ha trasferito i principi e le ideologie neoliberiste dal mondo economico a quello del diritto (e delle istituzioni politiche) con l’intento di colonizzarlo. Ne è derivata la netta prevalenza del diritto privato sul diritto pubblico, di apparati tecnocratici a servizio di nuovi modelli sociali e un evidente tentativo di delegittimazione delle Costituzioni del welfare-state. L’internazionalizzazione dei capitali e la mondializzazione dei mercati, proponendosi di realizzare “la regola delle tre D”, eliminazione delle barriere doganali, disintermediazione e deregolamentazione13 produce infatti la “deterritorializzazione” che in senso giuridico significa rinunzia dello Stato a far valere il suo potere sovrano su flussi finanziari, beni e servizi che devono circolare liberamente sul territorio; causando l’effetto della neutralizzazione non solo di uno ma di tutti e tre gli elementi fondamentali (o se preferisce presupposti) dello stato costituzionale ossia il popolo e la sovranità che, come sovranità popolare dovrebbe identificarsi con lo stesso popolo, ciò che nel dibattito sulla governance non sempre assume il giusto rilievo. Se comunque la sovranità, dal punto di vista formale, di certo non scompare, cede progressivamente gran parte dei suoi “poteri-doveri” di regolazione dei rapporti economici e sociali a sedi ed organismi diversi ed esterni in quanto internazionali, sovranazionali e transnazionali. Un fenomeno che, soprattutto nell’Unione europea, è una conseguenza dello spostamento a livello sovranazionale delle scelte strategiche che riguardano le politiche monetarie e finanziarie e che ha indotto la dottrina a parlare di “sovranità condivisa”. Un nuovo quadro nel quale ai Governi che formano il Consiglio (dei ministri) dell’UE spettano poteri diversi di voto da Paese a Paese, perché rispecchiano la diversa consistenza numerica, la situazione economica e geopolitica del singolo Paese e dei rapporti di forza tra le economie dei Paesi membri del UE, ponendo in secondo piano i bisogni e i diritti dei rispettivi cittadini e lavoratori che le politiche sociali e di riequilibrio fra le regioni meno sviluppate non riescono a risolvere che in misura marginale. Ancora più determinante è l’incidenza dei poteri di decisione nella prassi quotidiana della Commissione della comitatologia e dei 20.000 comitati. Nell’era postdemocratica14 la governance ha favorito così il transito dalla democrazia alla tecnocrazia o espertocrazia15 con la conseguenza di allontanare i cittadini – vittime di una strisciante forma di “fatalismo politico” (Godin) – ben lontane dall’ideale di una Europa democratica e federale auspicata dal Manifesto di Ventotene. Se con la “governance without governament” «gli esperti governano al posto del popolo»16 le forme sempre più pervasive di potere tecnoe-conomico che colonizzano i contenuti e le modalità di esercizio del potere sovrano, tolgono ogni contenuto e senso alla sovranità popolare già minacciata dalla straordinaria proliferazione delle relazioni internazionali ed in particolare delle organizzazioni economiche internazionali dalla seconda metà del secolo scorso. Una sovranità che non può rivivere a livello eurounitario, malgrado le ottimistiche previsioni del Libro Bianco sulla Governance della Commissione europea, che centralità dell’euro e poteri tecnomanageriali hanno reso ad oggi un flatus vocis17.
Il confronto sui programmi di politica economica dei Governi degli Stati membri dell’UE con la Commissione europea e a livello delle Organizzazioni Economiche Globali con il Fondo Monetario Internazionale e le agenzie di rating “globali” a proposito del contenimento della spesa pubblica, del contenimento e della corretta e trasparente composizione del bilancio (è noto che il DPB, il Documento Programmatico di Bilancio, dev’essere sottoposto, anche per quanto riguarda il nostro Paese, all’ineludibile vaglio della Commissione europea prima di essere presentato per la discussione e l’approvazione al Parlamento nazionale) è una conferma incontestabile che i due modelli di global governance e european governance mettono a dura prova la tenuta della forma di governo parlamentare prevista dalla nostra Costituzione. Imponendo, per quanto riguarda i Paesi membri dell’UE, principi di austerità economica contestati dai maggiori economisti contemporanei, da A. Sen a P. Krugman, da Stiglitz a Fitoussì. Se, infatti, l’approvazione preventiva dell’Unione europea del DEF (il Documento Economico Finanziario) è un passaggio obbligato per evitare le sanzioni dell’Unione e allo stesso tempo non incappare in una valutazione negativa delle agenzie di rating “globali” con il rischio di esporre il Paese ad una pericolosa impennata dello spread e quindi alle aggressioni speculative dei mercati finanziari, l’autonomia programmatica e le scelte di politica economica del governo s’imbattono in pesanti limiti, come il divieto di aiuti di stato alle imprese nazionali in difficoltà e il contenimento della spesa pubblica anche per settori come la salute e l’istruzione, a costo della stagnazione economica e di una crescita esponenziale della disoccupazione. Risulta dunque evidente che i sistemi per più versi paralleli della global e della european governance hanno come punto di riferimento comune i mercati (e per quanto riguarda l’UE la stabilità dell’euro), con la conseguenza che i diritti e i doveri, gli interessi e i bisogni dei lavoratori e dei cittadini dei Paesi membri dell’UE trovano tutele sempre più ridotte in un quadro nel quale sembra siano dominanti i cosiddetti automatismi del mercato, di fronte ai quali obbiettivi quali il favor lavoratoris, il sostegno alle imprese e allo sviluppo economico delle singole realtà nazionali (obiettivi privilegiati dalla nostra Costituzione) risultano strategie non solo condizionate dalla loro sostenibilità economica, ma pericolose nella misura in cui interferiscono con il “libero gioco dei mercati”! La crisi della forma di governo parlamentare, nella quale i grandi partiti di massa un tempo erano responsabili di fronte al proprio elettorato della promozione di diritti ed obiettivi di carattere culturale, politico ed economico e sociale, deriva quindi dalla sua attrazione sostanziale nell’orbita dei sistemi di governance che hanno favorito la successione ai partiti ideologici e di massa di nuovi “movimenti” che si autodefiniscono orgogliosamente postideologici ed interclassisti perché si proclamano gli unici fedeli rappresentanti del popolo contro le elités burocratiche e politiche e le lobbyes economiche e finanziarie. Conferma gli effetti deleteri sul piano politico-istituzionale ed economico-sociale dei vincoli che la governance europea implica per la nostra Costituzione è la rigidità delle istituzioni dell’UE nei confronti di ogni politica nazionale che non rispetti le “austere” regole previste a tutela dell’euro e del patto di stabilità. La recente esperienza del Governo italiano in carica, al quale la Commissione europea non si è limitata a contestare il mancato rispetto dei vincoli del DEF ma ha addirittura indicato quali riforme sarebbero inopportune perché in probabile rotta di collisione con lo spirito e soprattutto con le ferree regole monetarie e finanziarie che delimitano i margini di manovra del bilancio nazionale, nell’imminenza delle elezioni europee rischia di consolidare movimenti e forze politiche in radicale contrapposizione all’Unione europea, anziché favorire un aperto e democratico confronto per una Europa più vicina ai popoli, ai lavoratori e ai loro diritti.
1 Arienzo, A., Oltre la democrazia, la governance economica della politica, in Vuoti e scarti di democrazia. Teorie e politiche democratiche nell’era della mondializzazione, a cura di A. Arienzo e D. Lazzarich, Napoli, 2012, p. 97.
2 Arienzo, A., Oltre la democrazia, cit., 105.
3 Per più ampie ed articolate considerazioni cfr. Amirante, C., Eguaglianza, discriminazioni, espulsioni. Modo di produzione e analisi politico-istituzionale, in Critica del Diritto, gennaio-giugno 2017.
4 Amplius, Ferrarese, M.R., La governance fra politica e diritto, Bologna, 2010, p. 11 ss. et ivi ampli riferimenti bibliografici.
5 Amplius, Gila, P.Miscali, M., I signori del rating. Conflitti di interesse e relazioni pericolose delle tre agenzie più temute dalla finanza globale, Torino, 2012.
6 Lo sostengono Gallino, L., Il colpo di Stato di banche e governi. L’attacco alla democrazia in Europa, Torino, 2013 et ivi ricchi riferimenti bibliografici e, tra i costituzionalisti, primo fra molti, Guarino, G., tra i primi a sottolineare con largo anticipo la “crisi della sovranità” come effetto sistemico fondamentale del processo d’integrazione europea.
7 Sull’ ipotesi storico-metodologica del multilevel costitutionalism formulata dal tedesco Pernice I., di cui cfr. da ultimo Multilevel Costitutionalism and the Crisis of Democracy in Europe, in European Constitutional Low Rewiew, vol. 11, 2015, pp. 541562. On-line dal 1° dicembre 2015, doi:10.1017/S 1574019615000279 cui adde Amirante, C-Baldassarre, A.Luciani, M. ed altri in Riflessioni sulla Costituzione, con prefazione di Cerri, A., Roma, 2017.
8 Amplius, Amirante, C., La Costituzione italiana: riforme o stravolgimento?, nel volume collettaneo a cura dello stesso autore, p. XVI et infra, Torino, 2016.
9 Cfr. per tutti Picone, P., Obblighi “erga omnes” e uso della forza, Napoli, 2017 et ivi ampi riferimenti bibliografici. Dove si sottolinea sia la crisi dell’ONU che del diritto internazionale generale. Una lettura stimolante è anche il classico volume di Koskenniemi, M., Tra apologia e utopia forma e decisione nel diritto internazionale, nella versione italiana a cura di M. La Torre.
10 In proposito cfr. per tutti Picone, P., Il Capitalismo finanziario e nuovi orientamenti dell’ordinamento internazionale, in Diritti umani e diritto internazionale, vol. 8, 2014, n. 1, pp. 526, in cui l’autore nel sottolineare gli effetti della crisi economico-finanziaria mondiale sulla tutela dei diritti umani, affronta criticamente la tesi che ogni individuo quale cittadino del mondo sia soggetto di diritto come destinatario di un ordinamento internazionale inteso «come ordinamento verticale, ‘panumano’ indirizzato direttamente agli individui», p. 22 e ss.
11 Sulla problematica della costituzionalizzazione del diritto internazionale cfr., Amirante, C., Costituzionalizzazione del Diritto internazionale e decostituzionalizzazione dell’ordinamento interno, in Cerri, A.Donnarumma, M.R., a cura di, Il Costituzionalismo multilivello. Profili sostanziali e processuali, Roma, 2013, pp. 4797.
12 Godin, C., Quale democrazia nello spazio della mondializzazione? Governance e potenza tecnico-economica, p. 3 della brouchure, estratto distribuito in occasione della tavola rotonda di Napoli del 14.4.2015, presso l’Istituto Grenoble, Democrazia, governance, mondializzazione: tra governance economica e dominio delle tecnologie.
13 Godin, C., Quale democrazia, cit., p. 3.
14 Sul tema molto dibattuto della crisi della democrazia, cfr. l’analisi tanto precoce (l’edizione inglese è del 2000) quanto radicale di Crouch, C., Postdemocrazia, Bari-Roma, 2003.
15 Amirante, C., “Dalla Forma Stato alla Forma Mercato”, Torino, 2008, p. 2 ss. e p. 41 ss.
16 Amirante, C., Dal Sistema Rappresentativo alla Governance. Dalla forma stato alla forma mercato, in Stancati, P., a cura di, Rappresentare chi e che cosa nel terzo millennio, Roma, 2015.
17 Ferrarese, M.R., La governance fra politica e diritto, Bologna, 2010, p.189, che sottolinea quella tendenza avallata dalle stesse ricerche promosse dall’UE di una Global Administrative Low di cui alfiere e caposcuola è il professor Sabino Cassese.