Costituzione italiana, riforma del titolo III della
La 1a parte della C. i., al titolo III, si occupa di disciplinare, al massimo livello legislativo, i diritti e i doveri dei cittadini in tema di rapporti economici. Da qui la definizione, ormai generalmente accolta in ambito italiano e internazionale, della nozione di ‘C. economica’, espressione con cui vengono indicate le disposizioni costituzionali, attualmente comprese tra gli artt. 35 e 47, attraverso le quali l’Assemblea costituente, fin dal principio, ha inteso dotare la neonata Repubblica di una serie di punti fermi da cui partire per sostenere lo sviluppo futuro del Paese. Tra questi: la tutela del lavoro e dell’iniziativa economica dei privati, il regime della proprietà pubblica e privata, l’intervento dello Stato nell’economia nazionale, il fenomeno del cooperativismo (➔ COOP; cooperativa, società), la protezione accordata all’artigianato e al risparmio popolare. Tutte materie che interessano delicati settori del vivere sociale e su cui la C. vigila, prevedendone prerogative e limiti. Il sistema di pesi e contrappesi che ne risulta si mostra, con particolare evidenza, nel testo dell’art. 41 della Costituzione.
L’art. 41 Cost., nell’affermare la libertà dell’iniziativa economica privata (1° co.), ne fissa anche i confini (2° e 3° co.). Essa non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale, o recando danno alla sicurezza, alla libertà o alla dignità umana (limite negativo), e il legislatore (e, quindi, lo Stato) ha la possibilità di determinare programmi e controlli che possano indirizzarla e coordinarla a fini sociali (limite positivo). Il compromesso che ne deriva, a metà tra libero mercato e dirigismo, ha così acceso il dibattito dottrinale e giurisprudenziale in materia, giustificando le numerose istanze di riforma che continuano ad avvicendarsi, nel tentativo di affermare direttamente in C. la prevalenza dell’una o dell’altra tendenza: da un lato l’approccio liberista (➔ liberismo), contrario all’apposizione di quei vincoli (organizzativi, burocratici, fiscali) all’impresa, potenzialmente in grado di frenare la capacità del sistema-Paese di produrre ricchezza, dall’altro quello interventista (➔ interventismo), orientato verso la pianificazione e la funzionalizzazione sociale dell’attività economica pubblica e privata, sulla base di scelte compiute a livello legislativo. D’altra parte, la modifica dell’art. 41 Cost., in un senso o nell’altro, riveste più che altro valore simbolico, posto che gli effetti sull’ordinamento non sarebbero immediati, ma solo conseguenti al cambiamento culturale, derivante dall’introduzione di una nuova visione dello Stato, della società civile che lo costituisce e delle normative emanate per regolarne il funzionamento.
A limitare, però, queste tendenze riformatrici è nel frattempo intervenuta l’Unione Europea, attraverso l’affermazione del principio concorrenziale (➔ concorrenza, tutela della; Unione Europea). Il processo di integrazione europea, infatti, ha ribadito il ruolo centrale riconosciuto alle libertà economiche e alle dinamiche del mercato aperto, favorendo l’interpretazione estensiva del 1° co. dell’art. 41 Cost., che ne esce così rafforzato in chiave liberista. Del resto, la particolare tutela riservata dal Trattato di Lisbona (artt. 14 e 106 TFUE) alle attività di interesse generale e alla coesione sociale e territoriale, continua comunque a legittimare forme di gestione pubblica. Tutto questo mostra, allora, come l’equilibrio tra concorrenza ed economia sociale di mercato (➔) non passi necessariamente attraverso una riforma costituzionale.