costo
In senso traslato (" fatica ", " gravezza ") nell'unica occorrenza dantesca, in Pg XXIII 9 i savi... parlavan sìe, / che l'andar mi facean di nullo costo (per il testo, cfr. Petrocchi, ad l.). Concordi sono i chiosatori antichi e moderni nell'interpretazione del termine, e nel commento letterale del verso; ma già Benvenuto e il Buti spiegano diversamente la ragione per cui D. " la gravezza della via non sentiva " (Tommaseo); secondo il primo, infatti, i savi (i poeti Virgilio e Stazio) parlano in modo affascinante, e assorbono l'attenzione di D., il quale dunque sale senza fatica: " quasi dicat, quod ‛ nullum laborem sentiebam in eundo '. Et merito; quia in vita populus Romanus currebat certatim ad audiendum alterutrum istorum Poetarum ". Per il secondo, la causa del fatto che D. " non sentìa la fatica dell'andare " è " che lo ragionare de le cose utili per cammino fa dimenticare la fatica dell'andare ". Benvenuto, cioè, mette in evidenza l'eloquente conversazione dei poeti saggi, Buti il contenuto morale dei loro colloqui.
I commentatori successivi oscillano fra l'opinione dell'uno e quella dell'altro, ma per lo più propendono per l'interpretazione del Buti, anche in considerazione dell'avvertimento virgiliano contenuto nei vv. 4-6. Il Lombardi sembra dar ragione, invece, a Benvenuto, quando cita un detto di Publilio Siro: " Comes facundus in via pro vehiculo est ". Fra i moderni, il Porena osserva: " Dunque una certa fatica Dante l'avrebbe sentita ancora ", e rimanda a Pg XXII 8 (sanz'alcun labore / seguiva in sù li spiriti veloci), dove nota: " Pare strano che ormai Dante non fatichi più a salire... Virgilio aveva detto che il salire gli sarebbe stato senza pena soltanto quando fosse giunto alla fine della sua ascensione... Bisognerà dunque intendere labore nel senso di fatica grave ".