Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il cantiere della cattedrale è il luogo in cui le esigenze spirituali si incontrano con i limiti tecnologici ed economici dell’impresa. Nel XIII secolo alcune importanti innovazioni tecniche, come volte ogivali e taglio in serie delle pietre, permettono di risparmiare sui costi dell’impresa e al contempo rendono concrete le aspirazioni a chiese sempre più ampie e luminose. Gli edifici di quest’epoca rappresentano una sfida continua alle capacità dei costruttori e alle loro conoscenze tecniche.
Col XIII secolo si assiste, dapprima in Francia poi in tutta Europa, a un cambiamento sensibile nell’organizzazione dei grandi cantieri. Già nel XII secolo il continuo aumento delle dimensioni delle cattedrali dell’Europa centro-settentrionale aveva posto i costruttori di fronte a sempre maggiori difficoltà. Non solo chiese abbaziali e cattedrali avevano assunto dimensioni prima inimmaginabili, ma anche gli edifici annessi erano diventati sempre più articolati, se si pensa che in una città di limitate dimensioni come Bourges il complesso episcopale copriva una superficie di circa 6.200 mq, mentre ad Amiens giungeva addirittura a quasi 8.000. Una prima difficoltà era data dal trasporto di enormi quantità di pietra, spesso in blocchi di grandi dimensioni, che incidevano in maniera ragguardevole sui capitoli di spesa. Un altro problema era la penuria di legname, già abbondantemente impiegato per le impalcature, e sempre più difficile da reperire in fusti sufficientemente lunghi per coprire le larghe navate. Lo sviluppo economico e demografico in atto in tutto il continente aveva infatti portato a una drastica riduzione delle riserve boschive, intaccate per creare spazio a nuovi campi da coltivare e per soddisfare la richiesta di abitazioni e utensili in legno.
Il primo problema che si pone quindi ai costruttori è quello dell’utilizzo razionale dei fondi e delle materie prime. Nel Duecento si diffondono anche in Europa unità amministrative separate, denominate Opera o Fabbrica, con il doppio compito di reperire e gestire i fondi e di controllare i lavori sul cantiere. In Italia la Fabbrica è spesso sottoposta a uno stretto controllo da parte delle autorità comunali, mentre in Europa, con l’eccezione di Strasburgo, resta per lo più sotto il controllo dei canonici, veri proprietari del complesso episcopale. Dalla forma di finanziamento, donazioni o entrate regolari, dipendono la continuità e la velocità della costruzione. Nel caso di cantieri reali, come la Sainte-Chapelle o il coro di Saint-Denis, i lavori godono di un buon finanziamento e sono terminati nel giro di pochi anni; più difficile la situazione quando la costruzione è diretta da ecclesiastici o dai Comuni. In questi casi le forti oscillazioni nel flusso di entrate porta a rallentamenti anche prolungati delle attività, che nei casi più clamorosi hanno richiesto secoli per giungere a conclusione.
L’apporto di vescovo e canonici non ha quasi mai un carattere strutturale, consistendo perlopiù nella cessione temporanea dei proventi di alcune rendite, e nel caso di cantieri di lunga durata risulta di gran lunga insufficiente. A volte il Capitolo concede alla Fabbrica alcuni diritti, come la prebenda di canonici defunti o l’imposizione sui nuovi entrati. Altre importanti fonti di entrata sono le tasse signorili e le gabelle comunali, così come le offerte dei fedeli che le autorità ecclesiastiche cercano di attirare in ogni modo: dall’inventio di reliquie, che vengono poi portate in processione per tutta la regione, fino alla concessione di indulgenze. Vi sono infine donazioni da parte di famiglie nobili e di associazioni professionali che pagano la costruzione di cappelle o di singoli elementi della costruzione, come portali, pilastri o vetrate.
Nel XII secolo la diffusione delle volte a crociera costolonate, già sperimentate in precedenza, permette di distribuire le spinte delle coperture su punti distanti tra loro – pilastri e colonne – e di sostituire il muro intermedio con grandi vetrate. I costoloni, che vengono eretti per primi, presentano diversi vantaggi: fungono da guide e supporti per la successiva messa in posa delle vele, gli spicchi in cui è divisa una volta a crociera, e mascherano le irregolarità nella tessitura muraria. Rispetto alle volte a botte del passato, che richiedevano un massiccio sostegno durante tutta la fase di messa in opera, i costoloni sono gli unici elementi a necessitare di centine, che possono poi essere smontate e riutilizzate nelle campate successive.
Nella Francia settentrionale l’impiego di tali volte si accompagna allo sviluppo di archi rampanti, alti contrafforti esterni collegati alla navata mediante un arco in muratura. Lontani da problemi di ordine estetico, questi elementi hanno il compito di assorbire e scaricare le spinte gravanti sui pilastri delle elevate cattedrali capetinge, ma trovano scarso impiego altrove dove gli edifici raggiungono altezze inferiori. Con il cantiere di Amiens, dal 1230 circa, si assiste a un’ulteriore fase dell’evoluzione tecnologica medievale. Si impiegano qui, per la prima volta in modo sistematico, blocchi di pietra tagliati in serie col risultato di velocizzare la costruzione del muro. Data la velocità di posa è indispensabile evitare tempi morti nelle fasi di squadratura dei pezzi, spesso sbozzati già in cava, con il risultato ulteriore di risparmiare sui costi di trasporto e di aumentare la specializzazione nei vari settori della filiera produttiva.
Questo sistema per funzionare necessita di un’accurata progettazione che stabilisca con precisione forme e destinazione di ogni singolo elemento. È così che all’inizio del XIII secolo tra Île-de-France e Piccardia nasce il disegno architettonico. I sistemi tradizionali prevedevano una progettazione di massima e, via via che i lavori procedevano, la definizione più precisa dei singoli elementi. La tradizione romanica consisteva nell’eseguire misurazioni a terra per fissare le dimensioni generali dell’edificio, per poi passare all’articolazione interna mediante proporzionamenti basati su figure geometriche semplici (ad quadratum o ad triangulum). Per la definizione di dettagli si ricorreva a disegni in scala naturale, incisi sui muri o sui pavimenti della fabbrica, oppure all’uso di sagome come quelle usate da Guillaume de Sens nel 1176 a Canterbury. Queste pratiche continuano anche nel corso del basso Medioevo, come testimoniano il rosone inciso a Soisson, poco dopo il 1200, o la pianta completa, in scala, nella Liebfrauenkirche di Treviri. In Italia il ricorso a questi disegni pare fosse molto più limitato, almeno a giudicare dai pochi casi documentati: un rosone nella piccola chiesa umbra di Santa Maria a Ponte, del 1201, e le incisioni del friulano Duomo di Venzone.
I primi esempi di disegno architettonico rimastici sono i palinsesti di Reims della metà del Duecento e i primi disegni per la facciata di Strasburgo, di poco posteriori. La gran parte dei disegni tuttavia risale solo al secolo successivo e testimonia un progressivo allontanamento delle pratiche italiane rispetto a quelle europee, riflesso di una differente organizzazione sociale del cantiere.
I disegni d’oltralpe, specie quelli provenienti dall’area germanica, si basano sullo sviluppo geometrico di una figura elementare, un triangolo o un quadrato, che viene manipolata per ottenere una indicazione dell’alzato dell’edificio o di una singola parte di esso. Si tratta spesso di una figura che viene variamente ruotata e sovrapposta in pianta e che impedisce a chiunque non abbia ricevuto una formazione specifica la possibilità di immaginare l’alzato. Questa pratica trova conferma negli statuti delle corporazioni dei muratori che impongono il mantenimento del segreto sulle pratiche di cantiere. Per gli architetti transalpini il ricorso a figure geometriche non consiste solo in un principio estetico, nel fondamento della bellezza degli edifici, ma è al contempo garanzia di solidità delle strutture. Bisogna tener presente infatti che tutto viene calcolato in maniera empirica, dal momento che la capacità di calcolare la resistenza dei materiali alle sollecitazioni meccaniche sarà raggiunta solo nel XVII secolo.
Nella penisola la situazione è alquanto diversa: il ricorso a schemi geometrici è secondario, semmai serve da coronamento, e a essi si preferisce uno sviluppo delle parti dell’edificio in base a calcoli proporzionali e aritmetici. Sono inoltre largamente diffuse rappresentazioni trasversali dell’alzato, che facilitano il lavoro delle maestranze e rendono più agevole il controllo da parte dei committenti.
Anche le fasi di elaborazione risentono della presenza forte della committenza: accanto infatti a disegni di studio e a successive rielaborazioni fa la sua comparsa il modello tridimensionale, in legno o muratura, probabilmente in scala. Esso nasce forse sul cantiere fiorentino con Arnolfo di Cambio o con Giotto e si ritrova documentato successivamente, oltre che nello stesso cantiere, anche a Milano con Giovannino de’ Grassi e a Bologna con Antonio di Vincenzo. Lo scopo primario di questo modello è quello di rendere disponibile il progetto anche a un pubblico allargato e non specialistico, come quello che a Firenze viene più volte chiamato a decidere sulle proposte presentate. Fra i partecipanti sono testimoniati tecnici ed esperti qualificati, ma anche mercanti, artigiani e “pizzicagnoli”.
Allo stesso scopo rispondono anche i progetti bidimensionali dipinti, testimoniati a Bologna a fine Trecento, mentre più difficile è definire la funzione dell’affresco di Andrea di Bonaiuto nel Cappellone degli Spagnoli a Firenze. Esso raffigura in scala il nuovo duomo cittadino ma con alcune varianti, la più vistosa delle quali è la posizione arretrata del campanile giottesco. Ugualmente dibattute sono la funzione e la diffusione dei taccuini di modelli. Il più noto di essi, quello di Villard de Honnecourt, raccoglie circa 250 disegni diversi, dei quali solo 74 riguardano l’architettura.
Una così elaborata fase di progettazione non può mancare di produrre conseguenze significative sul profilo professionale e sociale dell’architetto, che passa dal lavoro manuale eseguito sul cantiere al lavoro “d’ufficio”. Figure come Guillaume de Sens responsabile della chiesa primaziale di Canterbury, ma che tuttavia lavora sulle impalcature accanto ai muratori, non scompaiono mai del tutto e ancora nel XV secolo se ne trovano abbondanti testimonianze in tutta Europa. Ciò che cambia ora sono le ampie possibilità di ascesa sociale per questi professionisti, ormai più dediti all’arte liberale della geometria che alla pratica di cantiere. Segni di questa nuova situazione sono le sepolture ricche e prestigiose di Hugues Libergier in St-Nicaise a Reims o di Pierre de Montreuil a St-Germain-des-Prés. Un’immagine dell’architetto viene inserita nei labirinti rappresentati sui pavimenti e il suo nome viene celebrato con grandi iscrizioni. Libergier è raffigurato sulla lastra tombale col cappello del dotto, mentre Montreuil riceve il titolo dottorale come i professori dell’università. Gli architetti sono ora liberi di assumere contemporaneamente la direzione di fabbriche diverse, mentre sul cantiere il loro posto è preso da un assistente, l’appareilleur, in grado di leggere i progetti e di tradurli in pratica.
Nuovamente diversa è la situazione nelle piccole città-stato italiane come mostrano le vicende del cantiere di Santa Maria del Fiore. Qui all’affermazione individuale di grandi personalità come Arnolfo di Cambio, Giotto e Andrea Pisano fa seguito la nascita di un sistema di controllo pubblico del cantiere; commissioni a vario livello sono appositamente elette dall’Opera per decidere dei problemi che man mano si pongono ai costruttori. Gli architetti non restano più in carica a lungo e sono sottoposti continuamente al giudizio delle commissioni e alla concorrenza di altri maestri, che possono anche avanzare proposte alternative. Il sistema ottiene un certo successo e viene replicato anche a Milano a fine Trecento con i celebri scontri fra lombardi e maestri stranieri, portatori di concezioni che, come abbiamo visto, risultano molto diverse.