costruttivismo
Indirizzo epistemologico (sostenuto nella sua forma più radicale dai matematici intuizionisti L. E. J. Brouwer, A. Heyting) che accetta in matematica soltanto definizioni e dimostrazioni costruttive, cioè tali da mostrare effettivamente l’ente matematico da definire o di cui si vuole provare l’esistenza. Al metodo costruttivistico si oppone, in qualche modo, quello assiomatico, che, stabilito un sistema di assiomi con la sola condizione della non contraddittorietà, non si preoccupa di procedere alla ostensione degli enti che lo verifichino. Un costruttivismo meno spinto (accettato da molti logici e matematici) si ricollega ai concetti di computabilità, decisione, ecc., ed è alla base della teoria della ricorsività. Si è invece definito costruttivismo radicale un orientamento epistemologico sviluppatosi a partire dalla metà degli anni Settanta del Novecento, sulla base del rifiuto del concetto di «realtà obiettiva». Teorizzato in particolare da E. von Glasersfeld, H. von Foerster e P. Watzlawick, si riallaccia all’operazionismo di W.P. Bridgman, alle ricerche della Scuola operativa italiana (S. Ceccato, Somenzi e G. Vaccarino) e all’epistemologia genetica di J. Piaget; esso critica l’impiego di modelli esplicativi di tipo ‘lineare’, in quanto fondati su nozioni implicitamente dualistiche (per es., vero/falso; causa/effetto, principio/fine, input/output), e propugna l’uso di nozioni ‘circolari’ (per es. autoregolazione, autoreferenza, autoorganizzazione), quali quelle messe a punto nella cibernetica e in altri campi di ricerca affini (in partic. nella pragmatica della comunicazione umana).