COSTRUZIONI
. Nelle costruzioni si manifestò indubbiamente una delle prime attività umane: epperò allo spirito dell'uomo fin dai tempi più remoti dovette presentarsi il problema di adeguare le dimensioni degli elementi delle sue costruzioni alle forze cui venivano sottoposti. Le soluzioni trovate furono dapprima semplicemente empiriche, vale a dire derivate dall'esperienza del comportamento di costruzioni simili in condizioni simili, ripetendo ciò che aveva dato buona prova ed evitando quanto si ricordava non aver risposto allo scopo. L'arte del costruire era fondata su basi tradizionalistiche e perseguita da pratici, o guidata da uomini di eccezionale capacità sintetica, che dalla conoscenza di costruzioni traeva inconsciamente, ma genialmente, la forza e l'ardimento di erigere nuove opere. L'ingegnere è oggi guidato da principî razionali ed è fornito di mezzi sufficientemente precisi, cosicché ogni opera, per quanto ardita, è confortata nel suo concepimento e nel suo sviluppo da indagini che assicurano la buona riuscita.
La scienza del costruire si vale potentemente delle matematiche, le quali sole possono chiarire all'ingegnere le ragioni profonde dei fenomeni meccanici che si presentano nelle costruzioni e possono dargli il mezzo di operare in modo sicuro e razionale. Tuttavia le matematiche servono unicamente a elaborare le premesse, qualunque esse siano. Da premesse false si possono sempre ottenere risultati matematici esatti, i quali però non avranno rispondenza nel campo fisico e possono condurre a conseguenze viziose. L'esame delle cose fatte e la pratica costruttiva debbono integrare i risultati del calcolo e avvertire in modo sintetico circa la possibilità di errori.
La scienza delle costruzioni studia la maniera di assegnare alle singole parti di un sistema elastico le dimensioni necessarie per resistere alle forze che le sollecitano. La stabilità di esse deve essere ottenuta senza spreco di materiale e senza deficienza, riuscendo nel primo caso antieconomica e nel secondo malsicura. La stabilità viene fissata con determinati margini di sicurezza.
Sviluppo storico. - La scienza delle costruzioni concerne dunque la statica dei corpi deformabili e ha origini relativamente recenti. Galileo Galilei fu il primo a considerare il problema della stabilità dei corpi e può essere ritenuto il fondatore della scienza delle costruzioni. La sua teoria si trova svolta nel suo secondo dialogo, giornata terza dell'anno 1638, e s'inizia con lo studio di un solido prismatico orizzontale incastrato ad un estremo e caricato di un peso all'altra estremità; è questo il cosiddetto problema di Galileo. Segue con lo studio delle travi orizzontali su due punti d'appoggio, caricate da pesi concentrati nel loro mezzo, o uniformemente distribuiti sulla loro lunghezza. Confronta i cilindri cavi con i pieni rispetto alla resistenza alla flessione e sviluppa i primi concetti sui solidi di eguale resistenza. Il Galilei però non interpretò esattamente il fenomeno della flessione, ritenendo che tutte le fibre del prisma, considerate nel suo problema, venissero tese; tuttavia ebbe una idea abbastanza chiara del modo con cui si svolge il meccanismo della resistenza alla flessione.
Il geometra inglese Roberto Hooke, vissuto tra il 1635 e il 1703, enunciò (1676) quella celebre legge che porta il suo nome e che si compendia nell'aforisma sic tensio ut vis. Questa legge, per quanto approssimativa, è fecondissima di utili applicazioni e ha dato il più ampio impulso alla soluzione dei problemi della stabilità delle costruzioni, di fronte ai quali la statica dei corpi rigidi si dimostra impotente. Il Leibnitz nel 1684 riprese la teoria del Galilei, permanendo negli stessi errori in cui questi era caduto.
Il Mariotte nel 1684 e poco prima del Leibnitz, esperimentando pezzi di legno e di vetro, giunse a riconoscere la posizione dello strato delle fibre invariabili (asse neutro) nel solido sottoposto alla flessione semplice; pur tuttavia, passando dai dati delle esperienze all'interpretazione algebrica, commise un grossolano errore nell'espressione dei momenti, così da arrivare agli stessi erronei risultati del Leibnitz. Il geometra svizzero Giacomo Bernoulli nel 1705, pur mantenendosi negli errori dei predecessori, e ritenendo inoltre indifferente la posizione dell'asse neutro, avanzò un'importantissima ipotesi, quella cioè della conservazione delle sezioni piane. Parent nel 1713 corresse gli errori del Mariotte e scoprì la vera posizione dell'asse neutro nella flessione.
L'ingegnere Duhamel nel 1767 risolvette esattamente il problema di Galileo e diede alla flessione un'interpretazione giusta. Gauthey fece le prime esperienze sulla resistenza delle pietre alla compressione; esperienze simili compì il Rondelet. Nel 1773 il Coulomb, seguendo, forse senza conoscerle, le osservazioni del Parent, dedusse da un lemma di statica i criterî per fissare un'equazione per mezzo della quale determinava la posizione dell'asse neutro nella flessione; e nella stessa memoria trattava anche della resistenza al taglio. Successivamente lo stesso Coulomb nel 1784 sviluppava il caso della resistenza alla torsione, limitatamente al cilindro a sezione retta circolare, e stabiliva i principî fondamentali per la trattazione del problema della spinta delle terre e delle vòlte.
Per lungo tempo tuttavia l'indirizzo esatto, segnato dal Coulomb, non venne seguito e molti autori fino al 1813, come il Girard, il Duleau, il Barlow e il Tredgold, perseverarono negli errori di Galilei, di Leibnitz e di Mariotte. Pare che i principî del Coulomb siano pure sfuggiti allo stesso Young, eminente fisico, il quale nel 1807 fu il primo a introdurre nelle formule relative alla resistenza dei solidi il coefficiente o modulo di elasticità. Lo Young sviluppò tutti i casi di sollecitazioni semplici.
Finalmente il Navier, pubblicando nel 1826 le lezioni ch'egli aveva tenute nella Scuola di ponti e strade di Parigi sulle applicazioni della meccanica, raccolse tutte le precedenti indagini e ricerche, dandovi corpo e unità di dottrina, e mostrò come questa si dovesse applicare ai varî problemi della costruzione. Il Navier, tuttavia, aveva per ben cinque anni, dal 1819 al 1824, nella stessa Scuola di ponti e strade, insegnato gli errori del Mariotte e del Bernoulli, e solo nel 1824 rettificò gli errori e diede le giuste interpretazioni ai fenomeni. A lui si deve il modo di integrare in molti casi utili per le applicazioni l'equazione differenziale della curva elastica, studiata nel caso dei sistemi piani da Bernoulli, Eulero e Lagrange.
Istituita così dal Navier la dottrina, gli studî diretti alla estensione dei concetti fondamentali si moltiplicarono rapidamente, e mentre alcuni svilupparono più ampiamente la parte più prossima alla teoria dell'elasticità, come Cauchy, Poisson, Lamé, Clapeyron, Duhamel, Barré de Saint-Venant, Green, Gauss e Thomson, altri ne seguivano lo svolgimento in modo più aderente ai bisogni dell'ingegneria, come Poncelet, Clapeyron, Bresse. Nella prima metà dell'800 gl'ingegneri inglesi Hodgkinsom, R. Stephenson e Fairbairn eseguirono numerose esperienze sulla ghisa e sul ferro e diedero grande impulso alle costruzioni metalliche. Nel 1851 lo Schwedler diede la teoria delle travi a traliccio, introducendo l'ipotesi dell'articolazione a cerniera. Nel 1857 Clapeyron diede la teoria della trave continua e il noto teorema dei tre momenti, la cui priorità pare spetti all'ingegnere Bertot dal 1855. Nel 1857 il Menabrea enunciò all'accademia di Torino il principio di elasticità o teorema del minimo lavoro, nel 1858 lo espose all'accademia di Francia e infine ne diede una completa esposizione all'accademia di Torino.
Alberto Castigliano nel 1879 con la sua importante opera sulla teoria dell'equilibrio dei sistemi elastici e le sue applicazioni riprese il teorema del Menabrea e sviluppò quelli delle derivate del lavoro, che insieme col precedente permisero la risoluzione dei problemi relativi ai sistemi iperstatici. Questi però trovarono una trattazione più generale mediante l'applicazione dei lavori virtuali, che, tentata dapprima dal Clapeyron nel 1827 e in seguito dal Dorna, venne sviluppata dal Mohr nel 1874 e quindi largamente chiarita ed estesa dal Müller-Breslau.
Gli studî nei nostri tempi si sono sempre più diffusi e accresciuti per opera di F. Grashof, C. Bach, W. Ritter, C. Ceradini, G. C. Mehrtens, A. Föppl, L. Tetmajer, C. Guidi, Considère, Colonnetti, Greco.
Elasticità. - L'esperienza c'insegna che ogni corpo sotto l'azione di forze esterne ad esso applicate cambia di forma. A questa deformazione reagiscono le forze che si sviluppano nell'interno del solido, la presenza delle quali è manifesta dalla tendenza che il corpo mostra a riprendere la forma primitiva al cessare delle forze sollecitanti. Questa proprietà, comune a tutti i corpi, ma in grado diverso, si chiama elasticità (v.).
La deformazione subita dal solido si può considerare decomposta in due: la deformazione elastica, che scompare integralmente al cessare delle forze sollecitanti, e la deformazione permanente che persiste, anche quando le forze esterne sono svanite. Se tutta la deformazione provocata scompare col finire delle forze che l'hanno prodotta, il solido si dice perfettamente elastico, se invece essa resta interamente il solido si dice perfettamente anelastico. Questi casi estremi non esistono in natura; ogni corpo presenta infatti sempre un ritorno più o meno grande alla forma iniziale; ma in nessun caso esso può mancare o essere completo. Tuttavia finché le tensioni interne restano inferiori a un certo limite, detto limite di elasticità, il valore delle deformazioni permanenti è trascurabile per la massima parte dei materiali che si adoperano nelle costruzioni, cosicché per questi e dentro il detto limite il comportamento del solido può essere considerato perfettamente elastico. Entro questo limite con l'accrescimento graduale delle sollecitazioni esterne si ha un aumento graduale delle tensioni interne, le quali in ogni istante fanno equilibrio alle prime, e il corpo assume una forma di equilibrio statico. Se invece le forze esterne agiscono sin dall'inizio con tutta la loro intensità, il corpo prende ad oscillare intorno alla forma di equilibrio statico e le oscillazioni, se non avvengono ulteriori variazioni delle forze, si vanno smorzando fino a tanto che il corpo assume quella detta forma d'equilibrio. I due fenomeni hanno andamento perfettamente inverso a quello anzidetto se le forze descrescono gradualmente o cessano bruscamente di agire.
Carico di rottura, carico di sicurezza. - Oltrepassato comunque il limite di elasticità, col crescere delle forze esterne le tensioni interne si accrescono sempre più sino a un certo valore, sicché, a causa dell'eccessiva deformazione, la continuità del solido non può essere mantenuta ed avviene la rottura. Il valore di questa tensione estrema si chiama carico di rottura.
Poiché nelle costruzioni bisogna tenersi al disotto del limite di elasticità, per non avere deformazioni permanenti sensibili, occorre tenersi anche molto lontani dal carico di rottura. Il valore della tensione, che non deve venir superato, per la stabilità delle costruzioni, si chiama carico di sicurezza; esso è una frazione opportunamente scelta del carico di rottura, e il coefficiente per cui bisogna moltiplicare questo per ottenere il primo, si chiama coefficiente di sicurezza.
Il carico di rottura viene stabilito mediante esperienze condotte sui materiali che si vogliono adoperare; il coefficiente di sicurezza dipende dal prudente arbitrio dell'ingegnere, il quale deve tener presente, che esso serve a tenere conto dell'imperfezione delle formule teoriche, del fatto che le forze ordinariamente non agiscono staticamente, come si prevede nei calcoli, ma dinamicamente, dei difetti occulti del materiale al momento dell'uso e di quelli che col tempo vengono inevitabilmente a manifestarsi.
Sollecitazioni esterne. - Si consideri un solido elastico generato da una sezione variabile, che si sposti normalmente alla traiettoria descritta dal suo baricentro (fig.1). Siano A e B le sezioni estreme e S una sezione intermedia qualunque. Le forze applicate al solido siano in equilibrio; se prendiamo quelle che si trovano da una delle due parti in cui il solido viene diviso dalla sezione S, per es. nel tratto AS, esse si possono ridurre com'è noto a una forza e a una coppia (v. statica). Assunto per centro di riduzione il baricentro della sezione S, la forza risultante si scomponga in una N, normale alla sezione, e in una T, giacente nel piano stesso della sezione. Analogamente si scomponga la coppia risultante in due coppie, di cui l'una, Mf, agisca in un piano normale alla sezione e l'altra, Mt, nel piano della sezione medesima.
La forza N si dice sforzo normale e può essere di tensione o di compressione secondo che tenda ad avvicinare o a distaccare le due parti del solido, la forza T si dice sforzo di taglio e tende a dividere in due parti il solido secondo S; la coppia Mf, si dice momento flettente e tende a far rotare la sezione attorno a un asse situato nel piano della sezione; la coppia Mt si dice momento torcente e tende a far rotare la sezione attorno a un asse normale al piano di S.
Evidentemente la riduzione allo stesso centro delle forze esterne applicate all'altra parte BS del solido porta a una forza risultante e a un asse momento risultante che hanno eguale linea d'azione, eguale grandezza, ma verso opposto a quello delle precedenti.
Tensioni interne. - Le tensioni interne, che, in seguito alle sollecitazioni esterne relative alla S, si manifestano in essa, sono azioni mutue, che si esercitano fra le due parti del solido determinate dalla sezione S. Per l'equilibrio del sistema è necessario che la risultante generale e la coppia risultante delle azioni interne, che la parte BS esercita sulla AS attraverso S, siano eguali alle analoghe quantità del sistema di forze applicate alla parte BS. Lo stesso si dica per le forze interne, agenti da AS verso BS attraverso S, e per le forze esterne applicate alla parte AS. Queste tensioni interne sono distribuite con continuità sulla sezione S, e se indichiamo con p il valore generico riferito all'unità di superficie, possiamo scomporre la tensione pdΩ, agente sull'elemento di superficie dΩS in una componente σdΩ, normale alla sezione, e in una τdΩ giacente nel piano della sezione.
La σ si chiama tensione normale e la τ tensione iangenziale: entrambe sono riferite all'unità di superficie.
Se quindi riferiamo la sezione a due assi coordinati baricentrici uu, vv, coniugati rispetto all'ellisse centrale d'inerzia della sezione S, e se u e v sono le coordinate rispetto ai detti assi del baricentro dell'elemento infinitesimo dΩ, le condizioni suesposte dell'equilibrio fra le forze esterne applicate al solido da una banda di S e le tensioni interne correlative, si esprimono mediante le seguenti equazioni:
in cui Tu, Tv, τu, τv, rappresentano le proiezioni di T e di τ rispettivamente su vv e uu, ϕ l'angolo che la traccia ss del piano su cui giace Mf forma con l'asse vv. La ricerca delle tensioni interne nel caso generale così esposto è di una difficoltà grandissima; pertanto si preferisce procedere all'esame del comportamento del solido nel caso in cui una sola delle sollecitazioni N, T, Mf, Mt agisca, per passare poi ai casi più complessi, valendosi del principio della sovrapposizione degli effetti. I primi casi si chiamano sollecitazioni semplici e i secondi sollecitazioni composte. Essi si trattano per i solidi prismatici omogenei, tuttavia si estendono anche ai corpi a sezione variabile e ad asse leggermente curvo. Il caso di solidi ad asse fortemente curvo viene considerato a parte. Giova notare che nelle precedenti equazioni e nelle formule che verranno in seguito stabilite le dimensioni del solido sono quelle esistenti avanti la deformazione.
Trazione di compressione. - Si consideri un solido prismatico di lunghezza l e di sezione normale Ω. Supposto che il prisma sia costituito da materiale omogeneo che si comporti egualmente in tutte le direzioni, si applichino alle sezioni estreme (fig. 2) due forze N agenti secondo l'asse del prisma, eguali d'intensità ma di verso opposto e distribuite uniformemente sulle facce terminali. Se le forze N hanno verso uscente dal prisma e quindi tendono a stirarlo, l'esperienza mostra che, agendo le forze dal valore zero al valore finale N, il prisma accresce la sua lunghezza l di una certa quantità Δ e le sue dimensioni trasversali diminuiscono. Se il solido prismatico viene sottoposto all'azione graduale delle N aventi direzioni verso l'interno del prisma e che quindi tendano a comprimerlo, avvengono fenomeni inversi ai precedenti, purché la lunghezza del solido non sia molto grande rispetto alle sue dimensioni trasversali.
Ora sino a tanto che le forze N si mantengono inferiori a quel valore che provoca la rottura, si ha l'equilibrio di esse attraverso il prisma. Nelle ipotesi precedenti sulla distribuzione delle forze e sulla perfetta omogeneità dell'asta è legittimo ritenere che anche le tensioni interne siano uniformemente distribuite sugli elementi superficiali delle sezioni normali, e pertanto si avrà:
Se inoltre σ resta al disotto del limite di elasticità, avremo pure l'uniforme distribuzione dell'allungamento Δl; e se chiamiamo con ε la deformazione riferita all'unità di lungbezza sarà:
Le contrazioni o dilatazioni trasversali εt, che si. manifestano rispettivamente nel solido teso e compresso sono minori delle corrispondenti deformazioni ε secondo l'asse e stanno con queste in rapporto costante come nella
dove m è una grandezza chiamata coefficiente di contrazione trasversale o coefficiente di Poisson, il cui valore è compreso fra 3 e 4. La legge di Hooke esprime il legame più semplice fra tensione e deformazione; W. Schüle in base alle esperienze eseguite da C. Bach fra il 1885 e il 1896, fissò nel 1898 la seguente relazione:
in cui oltre ai simboli precedenti si trova α che è un coefficiente sperimentale variabile col materiale, di cui il solido è formato, e si chiama coefficiente di dilatazione e n é un esponente anch'esso variabile con la natura dal materiale. La legge di Hooke rappresenta un caso particolare della precedente in cui n = 1; essa si esprime con
dove E = 1/α è chiamato modulo di elasticità tensione normale (introdotto per primo da Young). La legge di Hooke, benché non sia né generale né estensibile a tutto il campo delle variazioni elastiche possibili, è largamente applicata per la sua semplicità e per la sufficiente rappresentazione dei fenomeni elastici dei materiali da costruzione entro i limiti delle tensioni, cui essi in pratica vengono sottoposti. L'equazione di stabilità
esprime la condizione che per la stabilità del solido la tensione σ sia minore o tutt'al più eguale al carico di sicurezza k′ a trazione o k″ a compressione. Per mezzo di essa e conosciuto sperimentalmente E è possibile risolvere varî problemi.
Solido di eguale resistenza a pressione o trazione. - Si consideri un solido ad asse verticale, il quale sia appoggiato alla base inferiore e sottoposto alla superiore Ω= ad un peso P, ovvero sia sostenuto dalla base superiore e sollecitato alla base inferiore Ω0 dal peso P, e si ponga la condizione che in ogni sezione Ω, distante z dalla Ω0, la tensione sia costante ed eguale al carico di sicurezza k. Poiché l'accrescimento della tensione totale interna dev'essere eguale all'aumento della sollecitazione normale esterna, se γ è il peso specifico del materiale, si ha:
da cui risolvendo l'equazione differenziale del primo ordine si trova:
Lavoro di deformazione. - Se il prisma viene sollecitato assialmente da due forze N agenti alle due estremità nel modo predetto e se la loro intensità cresce gradualmente dal valore zero al valore finale N, il lavoro di deformazione L compiuto dalle forze esterne e quindi anche dalle interne, durante l'azione graduale delle N, quando la lunghezza dell'asta varia della quantità Δl, indicando con N′ il valore delle forze corrispondente a una variazione di lunghezza ξ del prisma, viene dato come segue:
Tensioni normali coesistenti in direzioni ortogonali fra di loro. - Preso in esame un cubo di lato 1, lo si consideri sottoposto a tensioni normali alle sue facce, in modo che su due facce opposte agiscano tensioni eguali e opposte σσ1, σ2 σ3. Le deformazioni σ1, σ2, σ3 che si manifestano rispettivamente nelle direzioni delle σ di eguale indice sono evidentemente:
giacché secondo uno degli spigoli del cubo la deformazione ha lo stesso segno della tensione che agisce nella direzione dello spigolo ed è legata ad essa dalla relazione ε = ασ, mentre l'influenza delle tensioni agenti ortogonalmente è di segno contrario ad esse e ridotta nel rapporto1/m così da risultare sempre ε = − ασ/m.
Le espressioni ε1/α = Eε1, ε2/α = Eε2, ε3/α = Eε3 sono state chiamate dal Winkler tensioni principali ideali. Ad esse vengono riferite le le equazioni di stabilità, dovendosi verificare, per la sicurezza della costruzione, che nessuna delle tre tensioni suddette risulti maggiore del corrispondente carico di sicurezza a tensione o a compressione. Evidentemente per risolvere i problemi della pratica occorre esprimere le σ in funzione delle forze agenti e delle dimensioni note o incognite del solido. La simultaneità di azione di queste tensioni può aggravare o migliorare le condizioni di stabilità del prisma, a seconda che le influenze mutue sulle deformazioni tendano a sommarsi o a sottrarsi.
Azioni dinamiche. - Un peso P cadendo da un'altezza h venga ad agire all'estremità inferiore A di un prisma ad asse verticale, trattenuto superiormente. Astraendo dalla massa dell'asta e supponendo che tutta l'energia acquistata nella caduta dal peso P venga integralmente e istantaneamente trasmessa all'asta, per l'equazione delle forze si ha:
in cui m = P/g, vo = − √2gh è la velocità di P al momento dell'urto e v la velocità alla fine della deformazione Δ′l dell'asta, mentre il secondo membro rappresenta il lavoro della forza esterna e quello delle forze interne durante la deformazione.
Sia infine Δl = Pl/EΩ l'allungamento dell'asta, se lo sforzo P agisse gradatamente dal valore zero al valore finale, l'equazione delle forze vive si trasforma in:
e quindi
da cui
Se l'altezza di caduta è nulla, se si ha cioè brusca applicazione del carico all'estremità dell'asta, allora la deformazione Δ′l diventa doppia di quella che lo stesso carico avrebbe prodotto agendo staticamente. Supponiamo ora che la massa P/g dell'asta non sia trascurabile; in questo caso l'equazione delle forze vive si esprime con:
in cui σ1 = P1/Ω, e σ2 = alla tensione massima istantanea generata dall'urto; da essa si ricava:
dove ponendo o = P/Ω = alla tensione che produrrebbe il peso P agendo staticamente, si ottiene:
la σ2 dovuta all'azione istantanea di P è dunque tanto minore quanto maggiore è il rapporto P1/P, vale a dire quanto più importante è il peso del sistema urtato di fronte a quello urtante. Nel caso di h = 0 ovvero se il carico applicato è trascurabile rispetto alla massa dell'asta per cui P1/P sia molto grande, si ottiene:
Il carico P agendo istantaneamente in tutta la sua intensità, ingenera quindi una tensione doppia di quella che produrrebbe agendo staticamente; allo stesso modo come si era ricavato nel caso precedente.
Sforzo normale eccentrico. - Si consideri ora il caso, in cui il solido si trovi sollecitato da una forza N parallela al suo asse; ma non coincidente con esso. Le tensioni interne che vi corrispondono non possono in questo caso risultare di costante valore per i varî punti della sezione, giacché allora esse ammetterebbero una risultante passante per il baricentro della sezione e l'equilibrio non sarebbe possibile: le σ saranno variabili e quindi anche le deformazioni, talché una sezione dopo la deformazione non può risultare parallela alla sua primitiva posizione. Se si ammette che sia verificata l'ipotesi del Bernoulli sulla conservazione delle sezioni piane (sperimentalmente accertate per i punti del contorno dei solidi inflessi) e la legge di Hooke, sembra legittimo ritenere che la tensione σ sia legata alla posizione del punto da una semplice legge lineare.
Se riferiamo a due assi coordinati baricentrici OX′ e OY′, coniugati rispetto all'ellisse centrale d'inerzia della sezione, i varî punti di essa, si potrà scrivere:
Rappresentiamo la tensione in ogni punto con un segmento proporzionale e normale alla sezione; gli estremi dei segmenti si troveranno su un piano, se si riportano da bande opposte della sezione i segmenti corrispondenti a tensioni di segno contrario. L'intersezione di questo piano con quello della sezione sarà una retta nn, che si chiama asse neutro appunto perché lungo esso le tensioni sono nulle ed esso costituisce la zona di trapasso dalle tensioni di un segno a quelle di segno opposto. Lungo le rette parallele a quest'asse la tensione è costante. Per determinare a, b, c, che ci permettono di conoscere σ, indichiamo con ξ e η le coordinate di K (fig. 3), punto di applicazione di N. Le equazioni di equilibrio si possono scrivere:
Per la particolare scelta degli assi coordinati sarà:
e quindi:
in esse Jy′ e Jx sono i momenti d'inerzia della sezione rispetto agli assi coordinati. Si avrà quindi:
se il punto K si trova sull'asse delle y′, essendo ξ = 0, risulta:
pertanto in tutti i punti aventi la stessa ordinata y′, tali cioè che si trovino sopra una parallela all'asse delle x′, la tensione σ sarà costante e reciprocamente; in conseguenza i punti, in cui la tensione è nulla, saranno sopra una parallela all'asse OX′, ossia l'asse neutro risulta parallelo a OX′. Allo stesso modo si deduce che, trovandosi il centro K sull'asse delle x′, l'asse neutro risulta parallelo a OY′. La sua posizione nei due casi viene definita da:
che si ottiene ponendo σ = y0′ 0. Le espressioni di y0′ e di x0′ mostrano che la posizione dell'asse neutro è indipendente dalla grandezza di N. Ora poiché l'espressione di σ assume la forma indicata nelle (11) e (12) solo quando gli assi baricentrici OX′ e OY′ sono coniugati rispetto all'ellisse centrale d'inerzia della sezione, senza che per altro occorra fare alcuna speciale ipotesi sulla loro scelta, ne segue che dato il punto d'applicazione della forza N l'asse neutro si troverà parallelo alla direzione coniugata della congiungente OK. Se il punto K si sposta sopra una retta, passante per il baricentro O della sezione, il corrispondente asse neutro si sposta parallelamente a sé stesso e alla direzione coniugata di quella della retta percorsa da K, la quale rappresenta la traccia del piano che contiene la coppia flettente sul piano della sezione e che si chiama asse di sollecitazione.
Le espressioni di y0′ e x0′ ci dicono ancora che, allontanandosi K dal baricentro, l'asse neutro si avvicina ad esso e viceversa. Se il rientro di sollecitazione coincide col baricentro o della sezione, l'asse neutro va all'infinito e la deformazione consiste in uno spostamento parallelo della sezione, come si è già visto trattando separatamente di questo caso per la sollecitazione semplice a sforzo normale. Se la forza N diventa infinitamente piccola e lontana, la sollecitazione si riduce a una coppia e si ha il caso della flessione semplice in cui l'asse neutro è baricentrico.
Per quel che si è visto, chiamando asse di sollecitazione l'intersezione del piano della coppia flettente con la sezione, vale la regola che asse di sollecitazione ed asse neutro hanno direzioni coniugate rispetto all'ellisse centrale d'inerzia della sezione. Si può ancora ragionare in questa guisa. La risultante delle tensioni interne dev'essere una forza eguale e contraria alla N e applicata nello stesso punto K; intanto dalla (12) si vede che σ è proporzionale a N; se quindi N varia, ma K rimane fisso, le tensioni interne σ varieranno proporzionalmente, ma dovranno avere sempre una risultante passante per K e l'asse neutro in posizione costante.
Nell'ipotesi che l'asse di sollecitazione coincida con l'asse delle y′, prendiamo come asse delle x′ l'asse neutro nn (fig. 4) e allora:
da cui:
Il coefficiente di y1′ non varia col variare della posizione del punto in cui si cerca la σ, e quindi si può dire che, restando costante N, la σ varia proporzionalmente alla distanza dei punti dell'asse neutro, e, poiché la posizione di questo è indipendente dal valore di N, sarà lo stesso per il punto di applicazione della risultante delle tensioni interne σdΩ = cy′dΩ (c = costante). Questo punto è il baricentro delle forze momenti statici degli elementi di superficie rispetto all'asse neutro, e per l'equilibrio ne consegue che il punto di applicazione della risultante delle tensioni interne deve coincidere con K. Valgono quindi le relazioni geometriche stabilite per i momenti di second'ordine della superficie, e pertanto: il centro di sollecitazione e l'asse neutro sono rispettivamente antipolo e polare nel sistema antipolare avente per conica fondamentale l'ellisse centrale d'inerzia della sezione. È qui importante considerare il nocciolo centrale d'inerzia, ossia il luogo dei centri di sollecitazione i cui assi inviluppano la sezione. Gli assi, corrispondenti a tutti i centri interni al nocciolo, saranno esterni alla sezione, mentre invece la taglieranno quelli corrispondenti a centri esterni al nocciolo. Ora, se l'asse neutro taglia la sezione, si avranno in essa tensioni di segno opposto, mentre le tensioni saranno tutte dello stesso segno se l'asse risulta esterno o, al limite, tangente alla sezione. Nel caso della flessione semplice, essendo l'asse neutro baricentrico, si dovranno sempre sviluppare tensioni positive e negative. Riprendendo l'espressione generale di σ vediamo che essa rimane la stessa, tanto se N viene applicata in K (ξ, η) e si cerca σ nel punto P (x′, y′), quanto se N è applicata in P (x′, y′) e si voglia la tensione in K (ξ, η). Esiste quindi una reciprocità, che si esprime dicendo: la tensione, che la forza N applicata in K suscita nei punto P, è eguale a quella, che si sviluppa in K, quando N viene applicata in P.
Sia ora tracciato il nocciolo centrale d'inerzia della sezione (indicato con la figura chiusa interna alla sezione; fig. 5) e siano m e n i punti in cui l'asse di sollecitazione incontra il contorno del nocciolo; le massime tensioni si avranno nei punti A e B, in cui le tangenti parallele all'asse neutro toccano il contorno della sezione, giacché ad essi corrispondono i massimi valori delle 5 computate parallelamente all'asse ss. Trasportiamo adesso la forza N da K in m; la sollecitazione allora si può intendere formata da una forza normale N, applicata in m, e da un momento flettente Mm = Nη1. Alla prima corrisponde un asse neutro tangente alla sezione in B e quindi in questo punto la N, applicata in m, non produce alcuna tensione. Resta pertanto la sola azione del momento flettente Nη1 cui corrisponde un asse neutro n0n0 parallelo a nn e che si chiama asse di flessione. Pertanto la tensione in B viene fornita da:
e quella in A da un ragionamento analogo risulta:
In queste J0 è il momento d'inerzia della sezione rispetto a n0 n0, contando le distanze parallelamente a ss e Mn = alla coppia di trasporto di N da K in n.
Mn, e Mm si chiamano momenti di nocciolo, il loro impiego facilita in molti casi lo sviluppo dei calcoli di stabilità. Consideriamo ora il caso più frequente nelle applicazioni (fig. 6), che l'asse di sollecitazione coincida con uno degli assi principali d'inerzia della sezione e quindi l'asse neutro sia parallelo all'altro asse principale. Sia M = Nη, la σ diventa:
da cui la posizione dell'asse neutro da σ = 0:
la quale comincia col dirci che y0 e η debbono essere di segno opposto, cioè K e nn giacciono da bande opposte del baricentro; inoltre il prodotto y0η = cost. = − ρx2 conferma la relazione di antipolarità esistente fra il centro di sollecitazione e l'asse neutro nn. Chiamando con M1 e J1 rispettivamente il momento di N rispetto all'asse nn e il momento d'inerzia della sezione rispetto allo stesso asse, per cui:
si ha:
e quindi
Conviene intanto fare le seguenti convenzioni: si prendano le y positive verso il basso e siano positivi i momenti prodotti dalle forze a sinistra, quando tendano a far girare la sezione nel verso degl'indici dell'orologio, e negativi, quando tendano a farla girare nel senso inverso. Attribuendo il segno meno allo sforzo N, se di compressione, e il segno più, se di trazione, si nota che se N è negativo e viene applicato da sinistra superiormente al baricentro, tenderà a fare ruotare la sezione nel verso degl'indici dell'orologio e il momento sarà positivo, anche nella sua espressione analitica, per essere negativi la forza e il braccio. Allo stesso modo si dica per uno sforzo di trazione, proveniente dalle forze a sinistra e applicato inferiormente al baricentro. La sezione tende a ruotare nel verso degl'indici dell'orologio, e il prodotto di N positivo per una y positiva risulta positivo. Analogamente si verifica la concordanza delle notazioni e delle convenzioni per il momento negativo. Si deve notare che se invece di considerare le forze a sinistra, si considerano le forze a destra, sarà negativo il momento se la sezione tende a ruotare nel verso degl'indici dell'orologio e viceversa. Rappresentiamo a fianco della sezione il diagramma delle tensioni (fig. 7). Se non esistesse che il solo momento M, il diagramma sarebbe rappresentato da A2A1O″ B1B2, perché l'asse neutro risulterebbe baricentrico e le tensioni massime sarebbero:
Presente anche lo sforzo normale, esse diventano:
dove N e M devono intendersi col segno implicito.
È interessante notare che, in corrispondenza del baricentro, la tensione σ0 è sempre uguale a N/Ω come si vede facilmente ponendo nella (17)1 y = 0. Ci si vale di questo per la determinazione grafica di σ′ e σ″, perché conosciuta la posizione dell'asse neutro e il valore di σ è facile determinare il diagramma di cui alla fig. 7.
Per la stabilità occorre che la massima tensione positiva e la massima negativa siano inferiori o eguali ai rispettivi carichi di sicurezza k′ e k″ a trazione e a compressione. Le corrispondenti equazioni sono, se σ′ è una tensione positiva e σ′′ una negativa:
Flessione semplice. - Consideriamo ora separatamente il caso della flessione semplice. Se l'asse di sollecitazione ss coincide con uno degli assi principali d'inerzia della sezione l'asse neutro gli risulta normale, e poiché il centro di curvatura dell'asse del solido si trova sulla normale dal baricentro all'asse neutro, il piano che contiene l'asse deformato, detto piano di flessione, coincide con quello della coppia flettente e la flessione si dice retta. Se l'asse di sollecitazione non coincide con uno degli assi principali d'inerzia, non avviene nemmeno la coincidenza nel piano di sollecitazione con il piano della curva elastica e la flessione si dice deviata.
Per curva elastica s'intende l'asse deformato.
Si consideri un tronco del prisma, compreso fra due sezioni CC′ FF′ (fig. 8), distanti fra loro ds e comprendenti l'angolo al centro dϕ, dovuto alla deformazione elastica. La fibra fc, primitivamente lunga ds, è diventata ds + Δds è la distanza di essa fibra dallo strato delle fibre invariabili f0 c0 si ha:
Dalla precedente trattazione risulta, chiamando con J il momento d'inerzia della sezione rispetto all'asse neutro, e facendo coincidere l'asse di sollecitazione con l'asse delle y:
Intanto, considerando l'azione delle forze a sinistra, se la sezione ruota nel senso inverso degl'indici dell'orologio, il centro di curvatura G si trova dalla parte delle y positive, mentre il momento per le fatte convenzioni è negativo. Viceversa se la sezione ruota nel senso degli indici dell'orologio, il centro di curvatura si trova dalla parte delle y negative, ma M è positivo. Si conclude che la curvatura e il momento flettente hanno sempre segno contrario, pertanto:
Le tensioni massime si hanno nei punti y′, y″, in cui l'asse di sollecitazione incontra il contorno della sezione; se nel primo si sviluppa tensione e nel secondo compressione, le equazioni di stabilità sono:
se k′ = k″ = k e y′ è la distanza della fibra più lontana dall'asse neutro si ha:
W = J/y′ si chiama modulo di resistenza della sezione rispetto all'asse nn.
Se la curva elastica si riferisce all'asse del prisma avanti la deformazione come asse delle x e ad un asse normale come asse delle y giacente nel piano di flessione si ha:
e poiché
è molto piccolo di fronte all'unità si ottiene:
che è l'equazione differenziale della curva elastica per un prisma inflesso. Il lavoro di deformazione viene dato per un elemento ds inflesso, nell'ipotesi che la sollecitazione cresca dal valore zero al valore finale M, da:
Nella flessione deviata l'asse neutro ha la direzione coniugata all'asse di sollecitazione; la tensione vale:
in cui le distanze y (fig. 9), anche per il calcolo di J, vengono misurate parallelamente all'asse di sollecitazione. Per via grafica è facile determinare la tensione massima, quando si conosca l'ellisse centrale d'inerzia e il relativo nocciolo. Infatti (fig. 10):
e quindi:
Analiticamente la flessione deviata viene anche trattata decomponendola in due flessioni rette. Siano (fig. 11) ϕ l'angolo che l'asse di sollecitazione forma con l'asse maggiore dell'ellisse centrale, r il raggio di curvatura in fo dell'asse deformato, ψ l'angolo del raggio di curvatura col detto asse maggiore. In η elemento dΩ di coordinate χ, y distante η da nn la tensione unitaria è fornita da:
e per l'equilibrio alla rotazione rispetto a Ox e Oy:
giacché:
e:
sono i momenti d'inerzia della sezione rispetto all'asse delle x e a quello delle y rispettivamente.
Dal rapporto fra le prccedenti espressioni si ricava:
Perciò, dati Jy e Jx e la posizione dell'asse di sollecitazione mediante ϕ si può determinare ψ e quindi la posizione dell'asse neutro. Dalle stesse si ricava anche l'espressione della curvatura:
Nel punto (x, y) la tensione si può intendere come la somma delle tensioni dovute ai momenti M cos ϕ e M sen ϕ l'uno agente secondo Ox l'altro secondo Oy così:
Le tensioni massime si ottengono sostituendovi le coordinate x′ y′ del punto A o quelle x′′ y″ del punto B, rispettivamente i più lontani dall'asse neutro dalla parte delle tensioni positive e negative. Sovente i punti di coordinate x′ y′ e x″ y″ sono noti senza la determinazione dell'asse neutro.
Se k′ = k″ = k, e se indichiamo con x′ e y′ le coordinate del punto più lontano dall'asse neutro, l'equazione di stabilità si scrive:
Se infine lo stesso punto x′ y′ è pure il più lontano tanto dall'asse x quanto dall'asse y l'equazione diventa:
Per potere utilizzare questa equazione occorre dare ancora un'altra relazione fra Wx e Wy. Si ponga:
si ottiene:
Mediante le precedenti si calcola W oppure, dato W, si determina il momento M che può essere stabilmente sopportato.
Per varî tipi di sezione, più largamente usati, i manuali d'ingegneria sogliono portare ampie tabelle di successivi valori di W sufficienti ai comuni bisogni della pratica. Quando le tabelle mancassero o f0ssero insufficienti, si procede col metodo delle sezioni omotetiche. Indicando con W = J/y′ il modulo di resistenza di una sezione omotetica a quella che si suol trovare, di modulo W, e ricordando che W = J/y′ ha le dimensioni di un cubo di lunghezza, una dimensione h della seconda è legata all'omologa h1 della prima dalla relazione:
Circa le equazioni di stabilità, che vengono riferite ai carichi di sicurezza a trazione e a compressione, si è visto che nella sollecitazione a trazione o a compressione all'allungamento delle fibre tese si accompagna una contrazione e a quello delle fibre compresse una dilatazione. Nella flessione tali deformazioni crescono quanto più lontane sono le fibre dell'asse neutro; per la continuità della materia ogni fibra tenderà a contrastare la maggiore deformazione della fibra contigua, quindi indurrà nel solido una maggiore resistenza di quella che si desume nell'ipotesi dell'indipendenza trasversale delle fibre. Pertanto come carichi di sicurezza non è sempre giusto prendere quelli che corrispondono alle esperienze di trazione o compressione semplice; ma occorre talvolta applicare quelli che si desumono da esperienze alla flessione. Entra così il concetto di carico di sicurezza alla flessione, il quale serve a tener conto dell'imperfezione delle formule rappresentative del fenomeno fisico. Si preferisce cioè m0dificare i carichi di sicurezza, piuttosto che rendere le formule più complesse.
Pressione esterna al nocciolo con assenza di resistenza alla trazione. - Se la forza N di compressione viene applicata in un punto esterno al nocciolo centrale d'inerzia e la materia, di cui il solido è composto, non è capace di resistere a sforzi di trazione, l'asse neutro taglia la sezione in due parti, l'una reagente e l'altra inerte, e viene chiamato asse nullo.
Le tensioni interne σdΩ sulla parte reagente dovranno quindi da sole fornire una risultante eguale e contraria a N, passante per il punto di applicazione di questa e, poiché le σ sono sempre proporzionali alle distanze dei punti dall'asse nullo, le tensioni interne σdΩ sugli elementi sono proporzionali ai momenti statici rispetto allo stesso asse. La risultante delle forze momenti statici, come è noto, viene applicata all'antipolo dell'asse rispetto all'ellisse centrale d'inerzia della zona che si considera e che in questo caso è la reagente.
Pertanto l'asse nullo è l'antipolare del centro di sollecitazione rispetto all'ellisse centrale d'inerzia della parte reagente. La determinazione della tensione massima, dalla quale deriva la verifica della stabilità, dipende dalla posizione dell'asse nullo, la quale può venir fissata in base ai rapporti di antipolarità, quando sia nota l'ellisse centrale di quella parte della sezione che viene limitata dallo stesso asse nullo. La ricerca dell'asse nullo per via grafica riesce relativamente semplice, quando la sezione ammette un asse di simmetria e il centro di sollecitazione si trova su quest'asse. In tale caso l'asse nullo è parallelo alle corde bisecate dall'asse di simmetria, le quali hanno la direzione coniugata a detto asse. Si divida la sezione mediante strisce parallele alle corde bisecate (fig. 12) e si applichino al loro baricentro delle forze proporzionali alle loro superficie, quindi, fissata la punteggiata relativa Om con distanza polare h, si tracci il poligono funicolare che connette le forze. Si proietti quindi, nella direzione delle dividenti, il centro di sollecitazione K sul primo lato del poligono funicolare in K′ e si tracci la retta K′ C in modo che l'area del triangolo BCK′ risulti equivalente all'area racchiusa tra il poligono funicolare e la retta BC. Questa ultima retta determina l'asse nullo. Infatti detta λ la distanza del centro delle forze momenti statici dall'asse nn, deve essere Jn = λ &out;mn, ma l'area K′ BC rappresenta la metà del momento d'inerzia Jn della parte reagente rispetto a nn e il segmento BC il momento statico J&out;mn della stessa parte rispetto allo stesso asse; pertanto:
Per formare il diagramma delle tensioni si riporta sopra una retta normale alle dividenti e parallelamente ad esse il baricentro O′ della oarte reagente in O″ e a partire da questo punto si riporti un segmento O″ O‴ proporzionale a σ0 = N/Ω′ (Ω′ = superficie reagente) e si congiunga il punto O‴ col punto M in cui l'asse nullo incontra la retta base del diagramma, il quale viene limitato dalla tangente parallela alle dividenti, condotta al contorno per il punto in cui viene incontrata dall'asse di sollecitazione. Se l'asse di sollecitazione non coincide con un asse di simmetria, o questo non esiste, la ricerca dell'asse nullo va fatta per tentativi.
Lunghi prismi tesi o compressi parallelamente all'asse. - Consideriamo i prismi la cui lunghezza sia molto grande (almeno dieci volte) rispetto alle dimensioni trasversali e sollecitati da una forza P agente parallelamente all'asse e a una distanza Sr da esso (fig. 13). Considerando le forze a sinistra, il momento risulta sempre negativo e quindi il centro di curvatura si trova dalla parte delle y positive e la curva elastica presenta la sua concavità dalla stessa parte. Così se la P è uno sforzo di trazione la deformazione ne riduce l'azione flettente, mentre se è di compressione l'azione flettente viene accresciuta dalla deformazione.
Lunghi prismi compressi parallelamente all'asse. - Sia un lungo prisma, nel senso predetto, e sollecitato alle due basi libere da due forze P eguali e contrarie agenti verso l'interno del solido a una distanza dall'asse (figura 14). Il solido si trova sottoposto a pressione e flessione e la sua deformazione, causata dalla flessione, trasforma il momento flettente iniziale di PS in:
nella sezione di ascissa x, quando si assuma per asse delle x l'asse primitivo del prisma e per asse delle y la normale al precedente per il punto di mezzo dell'asse.
Con le notazioni in figura sarà:
Per poter calcolare le sollecitazioni massime e quindi scrivere l'equazione di stabilità è necessario conoscere f.
Ricordando l'equazione differenziale della curva elastica per la sollecitazione a pressione semplice si scriva:
da cui per
si ottiene:
e quindi:
Se y′ e y″ sono le distanze dall'asse neutro delle fibre più lontane dalla parte tesa e dalla parte compressa, le tensioni massime si esprimono con:
Conosciuti tutti i termini che entrano nel secondo membro delle precedenti espressioni, si calcolano σ′, σ″.
Per giudicare però se il prisma ha la stabilità ordinariamente richiesta (vale a dire che occorra uno sforzo n volte maggiore di quello che provoca σ′, σ″perché si abbia la rottura), non basta vericare che siano σ′ 0 k′, σ″ = k″, giacché le σ non sono in questo caso di sollecitazione proporzionali al carico P, ma crescono molto più rapidamente di σ.
Occorre procedere dunque diversamente. Per i materiali che come il ferro omogeneo hanno un punto di snervamento ben definito e rispetto al quale si usa richiedere una sicurezza ennupla, si moltiplica il carico P per questo grado di sicurezza n e si verifica se la tensione risulti minore del corrispondente carico di snervamento. Se il materiale che si adopera non ha un limite di snervamento vero e proprio, si assume un certo valore approssimato, come carico critico, e si procede al modo anzidetto. Se si tratta di determinare il carico P, che può essere sopportato dal prisma, si attribuisce alla tensione il valore dello snervamento o di quel carico critico che si può intendere lo equivalga, e si ricava un valore Pc del carico. Il valore di P ammissibile sarà una frazione di Pc secondo il grado di stabilità n richiesto. Quando infine si vorranno determinare le dimensioni del prisma, perché possa resistere al carico P, agente con l'eccentricità δ, si pone per il massimo valore di c il corrispondente carico di snervamento o l'equivalente, secondo il materiale, si pone Pc = nP, ossia il carico per il coefficiente relativo al grado di stabilità che si vuol raggiungere, e si calcola J.
Qualora l'eccentricità sia molto piccola, bisogna verificare anche la stabilità con le formule dei solidi caricati di punta. Le formule precedenti vanno modificate col sostituire l/2 con l quando il solido di lunghezza l si trovi vincolato inamovibilmente a un'estremità e caricato all'altra dalla forza P, agente alla distanza δ dal baricentro della sezione, parallelamente alla direzione dell'asse non deformato (fig. 15).
Solidi caricati di punta. - Questo caso si presenta quando il prisma, molto lungo rispetto alle sue dimensioni trasversali, è sollecitato a compressione da due forze P, agenti rigorosamente lungo l'asse. L'esperienza mostra che, superando il carico P un certo valore, il prisma s'inflette. La prima soluzione matematica di questo fatto paradossale venne data dal celebre geometra Eulero nel 1770 e successivamente studiata anche dal Lagrange e dal Clebsch. Richiamando la formula ricavata nel caso della sollecitazione a pressione e flessione dei lunghi prismi, si scriva:
se l'eccentricità è nulla si deduce:
ora finché
è minore di
la (32) può essere soddisfatta soltanto per f = 0 e quindi l'incurvamento dell'asta è impossibile; se poi:
da cui:
la (32) può ancora essere verificata per un valore di f finito e diverso da zero, e tuttavia l'incurvamento non è necessario che si produca, perché anché per f = 0 la (32) viene sempre soddisfatta. Ma crescendo il valore dell'arco oltre π/2, l'espressione (32) diventa negativa e quindi priva di significato tecnico. Il valore di P dato dalla (33) rappresenta dunque il limite, a partire dal quale il prisma si può inflettere. La teoria non determina il piano in cui si può inflettere il prisma; ma è ovvio che esso debba essere quello rispetto al quale il solido presenta la minima resistenza e però nella (33) per J si deve intendere il minimo momento d'inerzia della sezione trasversale. Dall'esame della curva elastica, la cui equazione si ricava da quella dei lunghi prismi compressi parallelamente all'asse, per δ = 0 si ricavano i valori di Pr per altre condizioni di vincolo alle estremità oltre a quella supposta. Il caso trattato rappresenta il caso fondamentale e la formula d'Eulero si riassume nella:
ove l1 si dice lunghezza libera di flessione. Essa vale per i quattro casi possibili come è indicato nella fig. 16.
Per la stabilità il carico P, che il solido può sopportare, deve essere una frazione del carico Pr di rottura, ossia P = Pr/n. La formula di Eulero per la determinazione del carico ammissibile P si può anche scrivere:
l rappresenta la lunghezza reale del prisma,1/n il coefficiente di sicurezza e ω il coefficiente di vincolo. Quest'ultimo vale per il primo caso: π2/4, per il secondo caso: 4π2, per il terzo caso: 2π2, e per il quarto caso: 4π2.
Formula di Navier (Schwarz, Gordon, Rankine) per i solidi caricati di punta. - L'equazione stabilita da Eulero ha subito molte critiche, specialmente perché in essa non viene fissata la tensione, la cui misura è in uso limitare per assicurare la stabilità delle costruzioni. Navier per il primo e quindi in seguito Schwarz e Rankine elaborarono una nuova formula semiempirica, la quale, malgrado gl'inconvenienti che presenta, trova favorevole accoglienza presso i pratici ed è molto usata. Si ammette che la forza P agisca con un braccio di leva δ piccolo incognito, ma finito nella direzione dell'asse minore dell'ellisse centrale della sezione, cosicché il solido presenti la minima resistenza alla flessione; detta y′ la distanza della fibra più sollecita dall'asse neutro e k il carico di sicurezza, unico per la tensione e la compressione, si può scrivere:
la tensione dovuta alla sola flessione è:
e la corrispondente dilatazione o accorciamento:
Se P ha il valore che si può desumere dall'equazione di Eulero nella sua forma generale, sarà:
e quindi:
ponendo
si ottiene
In essa χ rappresenta ω/n volte l'accorciamento o la dilatazione che esiste nel solido per effetto del solo momento flettente; esso dovrehbe essere una costante per ogni materiale e per ogni condizione di vincolo. Esperienze accurate hanno dimostrato che questa costanza non esiste; tuttavia la si ritiene tale in molti casi e per la maggior parte dei materiali da costruzione. Si chiama grado g l'espressione:
La formula di Eulero risulta valida fino a tanto che la tensione media corrispondente al carico Pr non superi il carico di snervamento σP e però fino al grado di snellezza:
giacché:
Il Tetmajer, in base a un gran numero d'esperienze, ha potuto stabilire che l'equazione di Eulero dà risultati conformi a quelli sperimentali per alti gradi di snellezza; mentre per piccoli valori di λ è preferibile un'espressione del tipo:
nella quale α e β hanno valori diversi per i diversi materiali. Anche il Kármán ha potuto verificare sperimentalmente la validità della formula di Eulero per l'acciaio entro un ampio campo di valore della snellezza.
Relazione fra tensioni normali e tangenziali. - Prendiamo all'interno del solido un parallelepipedo obliquangolo (fig. 17) di spigoli infinitesimi, a, b, c, i primi due nel piano della figura e il terzo c normale ad esso. Sulle facce ac agisca la forza A e sulle bc la forza B, sulle facce ab l'una nel piano della figura e l'altra parallela a distanza c non siano applicate forze. Se A è parallela allo spigolo b, dovrà B essere parallela allo spigolo a, giacché se avesse una direzione diversa B′ si verrebbe a generare una coppia incompatibile con l'equilibrio. Le due direzioni a, b, si dicono coniugate.
Cerchio delle tensioni di Rankine. - Si consideri nell'interno del solido un parallelepipedo elementare (fig. 18) di lati dx, dy, 1, con il lato di lunghezza unitaria normale al piano del disegno. La tensione agente sulla faccia 1 × dy, pdy, si scomponga in una normale σx dy e una tangenziale τdy e allo stesso modo quella agente sulla faccia 1× dx in σydx e τ1dx. Per l'equilibrio alla rotazione dovrà essere:
ossia:
La stessa relazione potremo ricavare se su ognuna delle due facce dx, dy, agisce una tensione normale e due tangenziali nel modo predetto. Sta quindi il teorema della reciprocità delle tensioni tangenziali il quale si esprime: le tensioni tangenziali che tagliano lo stesso spigolo del parallelepippdo elementare sono della stessa grandezza.
Tagliamo il parallelepipedo mediante un piano che faccia l'angolo ϕ con la faccia dx, in modo da ottenere (fig. 19) un prisma la cui sezione sia un triangolo con l'ipotenusa ds = 1, e di cui gli altri due lati saranno in conseguenza:
Sia λ la tensione sulla faccia e σ′ e τ′ le corrispondenti tensioni normali e tangenziali; le componenti di λ parallele a dx e dy saranno:
Rankine diede per il primo una rappresentazione geometriea chiara del modo di variare di y col variare della posizione di ds. Si portino (fig. 20) sopra una retta parallela a x i segmenti:
a partire dal punto A, dal punto σ′ si alzi la normale alla retta base e a partire da questa si prenda un segmento σx S = τ; se M è il punto medio del segmento, compreso fra i due estremi σx, σy centro in M con raggio MS si descriva la circonferenza. Si conduca a partire da S una parallela alla direzione di ds fino a incontrare in D la circonferenza. Il segmento AD ci rappresenta la tensione S. Sia F l'altra estremità del diametro che passa per S, si unisca D con F, da A si conduca la normale in C a DF; risulta allora:
Infatti: AC è parallela a SD ossia a ds e quindi l'angolo MÂC = ϕ = σy ???FD = all'angolo fra σx S e DF.
Abbassando la normale a AM da D fino a incontrare in σ′, avremo:
Ora, variando la posizione di ds, il punto S e il centro M restano fissi e quindi basta ripetere la costruzione anzidetta per determinare il valore di λ. Altra rappresentazione del variare della tensione è stata data dal Culmann e dal Weyrauch. Osservando le fig. 21 si vede che i massimi di τ′ si hanno quando l'elemento ds ha direzioni tali che il punto D coincide con l'uno o l'altro estremo del diametro normale a AM e pertanto:
le tensioni normali sono massime quando D si viene a trovare sugli estremi del diametro AM e quindi:
σ e σ2 si chiamano tensioni principali e negli elementi in cui esse si presentano non esistono tensioni tangenziali (fig. 20). Inoltre, come si vede facilmente (fig. 21), gli elementi, su cui si sviluppano le massime tensioni tangenziali, sono normali fra loro e così pure sono ortogonali gli elementi sui quali si hanno le tensioni principali. I primi rispetto ai secondi sono poi inclinati, rispettivamente, di 45 gradi.
Dilatazioni principali. - Sia un cubo elementare di lato 1, su due coppie di facce opposte agiscano σ e σ2; si avrà:
Queste si chiamano dilatazioni principali. Le tensioni, che agendo da sole soo capaci di generare le stesse deformazioni, si chiamano tensioni principali ideali e sono:
Taglio. - La sollecitazione al taglio è sempre accompagnata da quella alla flessione, quando il solido ha una certa lunghezza.
Il cosiddetto taglio semplice si può ritenere realizzato se agiscono sul prisma due forze parallele uguali e contrarie a distanza piccolissima fra loro, come nelle chiodature di forza. In tal caso si può ancora ritenere che la tensione si distribuisca uniformemente sulla sezione e quindi:
Nel caso generale, in cui sia presente anche la flessione, si rappresenti con la fig. 22 la sezione trasversale e un tratto di solido compreso fra due sezioni trasversali distanti dx. Nella sezione AA agisce un momento flettente M e lo sforzo di taglio T; se nessun carico è applicato nel tratto dx e si prescinde dal peso proprio del solido, in BB il valore di T non cambia mentre M varia di dM.
Inoltre, poiché T rappresenta in grandezza e direzione la risultante di tutte le forze applicate al solido da una parte di AA, M è il prodotto di T per la distanza del suo punto di applicazione all'asse dal baricentro di AA. Passando da A in B, M diviene M + dM = M + T dx.
Sui consideri ora un tratto di sezione nella fig. 22, compreso fra il contorno e una corda cc parallela alla direzione coniugata a quella dello sforzo di taglio T rispetto all'ellisse centrale d'inerzia della sezione e quindi anche all'asse neutro della flessione in cui T ha la direzione dell'asse di sollecitazione. La tensione totale su CCA, dovuta al momento M, vale:
in cui &out;m indica il momento statico del tratto CCA rispetto all'asse neutro nn. Con un piano passante per cc parallelo all'asse del prisma, stacchiamo una superficie analoga alla precedente sulla faccia BB. La R da A e B varierà per la sola variazione di M, quindi:
Per l'equilibrio lungo la superficie z dx dovrà svilupparsi una tensione che equivalga a dR e, se essa si può ritenere uniformemente ripartita, si ottiene
Per la reciprocità delle tensioni tangenziali, la stessa tensione si svilupperà nel piano della sezione normalmente a cc. Se poi il contorno non è normale alla corda, le τ non si possono immaginare tutte perpendicolari ad essa, in quanto ai suoi estremi le ammetterebbero una componente normale al contorno, cui corrisponderebbe una tensione tangenziale superficiale, senza che esistano forze che la equilibrino.
Si dimostra inoltre che detto ϕ l'angolo che la tangente al contorno (fig. 23) condotta per l'estremo della corda forma con la stessa, la tensione tangenziale massima sulla corda vale:
Variando la posizione della corda resta costante T/J e il fattore
varia; esso diventa massimo in corrispondenza dell'asse neutro τ ed è nullo quando la corda risulta tangente alla sezione. L'espressione di τ non dipende dalla grandezza di M e pertanto le formule qui ricavate si debbono intendere valide anche quando il momento flettente non esiste.
Le deformazioni. - La tensione tangenziale agisce in direzione normale alle fibre, cosicché due punti situati su una fibra subiscono uno scorrimento relativo, che s'indica con y se i due punti sono a distanza unitaria. La quantità γ risulta eguale all'inclinazione della fibra deviata rispetto alla direzione primitiva. Gli scorrimenti, come le dilatazioni e le contrazioni, sono proporzionali alle tensioni che li producono; così:
β è chiamato coefficiente di scorrimento e G modulo di elasticità a tensione tangenziale. Siano ab e cd due elementi situati in due sezioni trasversali a distanza piccolissima fra loro, presa eguale a uno (fig. 24), in una zona in cui le tensioni normali siano nulle. Per lo scorrimento, cd si trasporta in c′d′ e la diagonale ad inclinata di α a ac diventa ad′ subendo un allungamento unitario:
si ha il massimo di ε per
e analogamente per l'altra diagonale
Gli elementi che subiscono la massima dilatazione e la massima contrazione sono inclinati di 45 gradi rispetto alla direzione delle fibre parallele all'asse del solido ove le σ sono nulle. Richiamando le espressioni delle tensioni principali ideali, poiché:
si ottiene:
Per la stabilità occorre che:
Se s'introduce il carico di sicurezza t al taglio, come una frazione del carico di rottura al taglio determinato mediante esperienze dirette, avremo l'equazione di stabilità
la quale serve a risolvere i problemi pratici quando per τ si ponga il valore dato dalla (41) o (42).
Relazione fra G ed E. - Si è trovato
e ne consegue:
Lavoro di deformazione. - Nell'ipotesi che la T cresca da zero al valore finale, che la sua direzione coincida con uno degli assi principali d'inerzia della sezione e questa sia rettangolare o derivata da essa, il lavoro di deformazione dello strato elementare parallelo allo strato neutro compreso fra due sezioni a distanza ds sarà:
e quindi per tutto il tratto ds:
che si chiama fattore di taglio e dipende dalla forma geometrica della sezione; esso per la rettangolare vale 6/5 e per l'ellittica 10/9.
Torsione. - Si ha questo caso di sollecitazione quando tutte le forze che stanno da una parte della sezione si riducono a una coppia M, il cui asse momento è normale al piano della sezione.
Il solido in esame sia un cilindro a sezione retta circolare; l'esperienza ci mostra che una generatrice qualsiasi ab retta avanti la deformazione, diventa un'elica ab′ (fig. 25), mentre una direttrice R piana resta tale anche dopo la torsione, e l'asse del cilindro rimane retto. Ammesso che le sezioni si mantengano piane come il loro contorno, la deformazione consiste in una rotazione delle sezioni attorno al loro centro, che si chiama centro di torsione, come asse di torsione si denota l'asse del cilindro. Su due sezioni RR′ (fig. 26) poste alla distanza dx = 1 si prendano due punti PP′ sulla stessa fibra; per la rotazione di R′ rispetto a R il punto P′ si sposta in Pr. Analogamente a quanto si è fatto per il taglio, si chiama scorrimento unitario il rapporto:
A questa deformazione si oppone una tensione interna τ, giacente nel piano della sezione e proporzionale allo scorrimento. Ora, supposta la deformazione ripartita uniformemente per tutta la lunghezza del cilindro, l'angolo di torsione unitario è l'angolo di cui ruotano due sezioni alla distanza uno; avremo:
Si indichi con Jp il momento d'inerzia polare della sezione rispetto al suo centro, per l'equilibrio dovrà essere:
e quindi:
il massimo di τ si ha alla periferia per ρ = r.
L'equazione di stabibità ponendo il carico di sicurezza al taglio, t diviene:
Qualora si voglia porre un limite alle deformazioni, assegnando una torsione unitaria da non superarsi, l'equazione diventa
Si dimostra che le deformazioni secondarie, le quali tendono ad aggobbare la sezione e che accompagnano le principali, sono di ordine superiore rispetto a queste e quindi trascurabili.
Lavoro di deformazione. - Se il momento agisce gradualmente dal valore zero al valore finale M, il lavoro elementare di deformazione del tratto dx si esprime con:
e per il cilindro di lunghezza l diventa:
La teoria precedente non si applica a solidi diversi dal cilindro retto circolare.
Sollecitazioni composte. - Si ricavano dalle precedenti semplici mediante il principio della sovrapposizione degli effetti. Le equazioni di stabilità si scrivono rispetto alle massime tensioni ideali. Per esse si osservi che qualunque sia il segno di σx e σy, la Eε1 rappresenta una tensione positiva e la Eε2 una tensione negativa, mentre Eε3 positiva o negativa è sempre in valore assoluto minore delle precedenti. Quindi:
Nelle espressioni che seguono si è fatto k′ = k″ ≠ k″.
Se k′ ≠ k″ l'equazione scritta resta valida e per k′ e per k″ dovrà scambiarsi il segno del secondo termine del secondo membro.
In questo poi si porrà m = 4 ovvero m = 10/3.
Flessione e taglio. - La verifica di stabilità si fa separatamente per le due sollecitazioni. Le massime σ si sviluppano ove τ è zero e le massime ove è zero σ.
Tensione o compressione e taglio. - Il massimo di Eε1 si ha in corrispondenza dell'asse coniugato alla direzione di T ove z = z0.
Tensione o pressione e torsione. - Allo stesso modo è massimo Eε1 ove è massimo τ cioè sul contorno della sezione; ivi:
Flessione e torsione. - Nei punti più lontani dall'asse neutro è massima tanto la tensione normale quanto la tangenziale e quindi è massima Eε1 Intanto:
L'espressione entro parentesi al secondo membro si chiama momento flettente ideale = Mfl e può calcolarsi comodamente per via analitica o grafica. Sostituendolo nell'equazione precedente si ha:
che ha la forma di equazione di stabilità alla flessione per il momento flettente Mfi.
Taglio e torsione. - Il valore massimo di Eε1 si verifica agli estremi del diametro normale alla direzione di T; ivi sono massime le tensioni tangenziali dovute a entrambe le sollecitazioni. Per il taglio:
e per la torsione:
da cui:
La teoria generale così esposta trova applicazione nei sistemi elastici, quando, note le forze agenti e determinate quelle che corrispondono ai vincoli interni ed esterni, è possibile per ogni punto del corpo ricavare la natura e grandezza delle sollecitazioni.
Per le costruzioni edilizie, ferroviarie, navali, ecc., v. edilizia; ferrovia; nave, ecc.
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