coto
Vale " pensiero ", in due passi della Commedia: questi è Nembrotto per lo cui mal colo / pur un linguaggio nel mondo non s'usa (If XXXI 77); " Non ti maravigliar perch'io sorrida ", mi disse, " appresso il tȕo pueril colo... (Pd III 26).
Come precisa il Parodi (Lingua 279), c. è il deverbale di ‛ cotare ', diffuso nel fiorentino al posto di ‛ coitare ' (dal latino cogitare), in seguito alla tendenza di quel dialetto a scempiare i dittonghi discendenti. A cogitamen lo ricollega già Benvenuto, seguito da un gran numero di commentatori antichi e moderni (Anonimo, Cesari, Tommaseo, Andreoli, Torraca, Rossi-Frascino, Casini-Barbi, Porena, Sapegno, Mattalia, Chimenz), mentre Buti, Landino e Daniello leggono, nel passo dell'Inferno, ‛ voto ', e Venturi avanza, per il medesimo passo, la strana proposta: " fabbrica di Babelle; prendendosi la materia di loto cotto per l'artefatto stoltamente ideato e principiato ".
Una più marcata oscillazione si verifica nell'interpretazione dell'occorrenza di Pd III 26, la quale, per la variante quoto di qualche codice tardo (cfr. Petrocchi, ad l.), ha talora suggerito la glossa " giudizio ": " ‛ quotare ' è iudicare in quale ordine ogni cosa sia " (Buti; e come lui Landino, Vellutello, Lombardi, il quale ultimo applica questa spiegazione anche al mal coto di Nembrot).