COTONE
(dall'arabo quṭn; fr. coton; sp. algodón; ted. Baumwolle; ingl. cotton).
Sommario. - Botanica: Generalità (p. 676); Sistematica dei cotoni (p. 678); Coltivazione: Storia (p. 679); La coltivazione nei diversi paesi (p. 680); Metodi di coltura (p. 683); Raccolta (p. 684); Malattie e cause nemiche (p. 686); Sgranatura, pressatura, imballaggio: Sgranatura (p. 687); Pressatura (p. 688); Imballaggio (p. 688); Commercio del cotone sodo: Generalità (p. 689); Principali paesi esportatori (p. 690); Le borse cotoni (p. 694); L'approvvigionamento della filatura italiana (p. 695); Filatura: Titolo dei filati (p. 696); Operazioni di filatura (p. 697); Lavorazioni diverse dei filati (p. 704); Macchine accessorie (p. 708); Cascami (p. 708); Organizzazione tecnico-economico di una filatura (p. 711); Tessitura: Operazioni di tessitura (p. 716); Organizzazione tecnico-economica di una tessitura (p. 727); Rifinitura dei tessuti (p. 731); Industria e commercio dei manufatti: Storia (p. 731); Principali centri manifatturieri (p. 735); L'industria italiana (p. 737).
Botanica.
Generalità. - Il nome cotone indica sia le specie del genere Gossypium, piante della famiglia delle Malvacee, tribù delle Ibiscee, sia i peli che ne rivestono i semi (nel linguaggio tecnico impropriamente detti fibre) e che sono universalmente adoperati come materia tessile.
Alla stessa famiglia appartengono parecchie altre piante, quali l'Hibiscus cannabinus L., l'Althaea cannabina L., varie specie di Urena, Triumfetta, Sida, che apprestano anch'esse materia tessile, ma di natura ben diversa da quella del cotone, cioè costituita da vere fibre del fusto. Nell'affine famiglia delle Bombacacee, considerata anche come tribù delle Malvacee, si trovano i Bombax e gli Eriodendron, che sono le piante che producono il kapok, costituito da peli, appartenenti però alla faccia interna del pericarpo, e non ai semi.
Vicinissimi al genere Gossypium e da taluni autori riuniti in tutto o in parte con esso, sono i generi Thurberia, Thespesia, Fugosia, i cui semi però non sono rivestiti di filamenti utilizzabili.
I cotoni sono piante erbacee o più o meno legnose e talora quasi arboree, alte da meno di 1 m. a 3-4 m.; le specie selvatiche, le quali sono tutte proprie di paesi molto caldi, sono tutte perenni, fruticose o subarboree, e coltivate in paesi meno caldi non resistono alla stagione fredda; per questo motivo e perché dal punto di vista della resa è più conveniente coltivarle come piante annue, la massima parte dei cotoni attualmente coltivati sono piante annue erbacee, prodotto artificiale dell'antichissima coltivazione proseguita con questa direttiva. Il loro fusto è diritto, ramificato con molta regolarità, a rami patenti, dei quali gl'inferiori più lunghi e gradatamente più corti i più alti, in modo che l'intera pianta assume una forma pressoché piramidale. Le foglie sono alterne, grandi, con lungo picciolo; la lamina è più o meno cordata alla base, raramente intera e ordinariamente palmato-lobata in 3-5 o più lobi, i quali possono essere più o meno profondi e più o meno ovato-rotondati o lanceolato-allungati, e con apice più meno acuto. Le foglie sono munite di due stipole peziolari lanceolato-lineari, per lo più caduche.
I fiori, peduncolati, solitarî, ascellari o opposti alle foglie, sono grandi, provvisti d'un calicetto formato da 3 ampie brattee libere fra di loro o saldate per la base, ovate, a base profondamente cordata, più o meno profondamente dentate o incise, raramente intere; il calice gamosepalo, molto più piccolo del calicetto, è cupoliforme, troncato o con 5 denti generalmente poco sporgenti; calice e calicetto sono persistenti; la corolla consta di 5 petali con breve unghia aderenti fra di loro e al tubo staminale e con lembo ampio, obovato, più o meno dilatato trasversalmente all'apice e inequilaterale: può essere bianca, rosea o gialla e generalmente con una vistosa macchia rosso scuro alla base di ciascun petalo; la colonna staminale è nuda inferiormente per breve tratto, nel rimanente manda numerosi brevi filamenti anteriferi semplici o forcuti, le cui antere assai piccole, uniloculari, reniformi, si aprono per una fenditura circolare; l'ovario è 3-5-loculare con molti ovuli attaccati in due serie all'angolo interno di ciascuna loggia, e porta uno stilo ad apice clavato 3-5-solcato, stigmatoso.
Il frutto è una capsula coriacea ovata, più o meno appuntita all'apice, a deiscenza loculicida, tipicamente divisa in 5 logge, ma spesso in 4 e anche in 3. Così, ad esempio, il Sakellaridis e altre razze egiziane e il Sea Island hanno invariabilmente frutto a tre logge, gli Upland lo hanno quasi sempre a 4. I semi subglobosi, oblunghi o angolati, sono rivestiti di peli fittissimi e più o meno lunghi; hanno cotiledoni fogliacei, pieghettati, con orecchiette basali che avvolgono la radichetta retta, albume tenue coriaceo o nullo.
Il fusto e le foglie possono essere più o meno pubescenti, specie allo stato giovane, o glabri; in proposito è stato osservato che in America il miglioramento della fibra nei cotoni coltivati è stato accompagnato da diminuzione o scomparsa della pelurie fogliare, mentre in India, al contrario, le razze migliorate per la fibra hanno accresciuto l'abbondanza e la lunghezza del tomento delle foglie. I fusti e i piccioli delle foglie sono spesso tinti di rosso. Le foglie, le brattee del calicetto, il calice, la corolla, la capsula e i cotiledoni sono cosparsi di minuti punti neri glandolari. Nettarî extranuziali si hanno sulle foglie e attorno ai fiori: i primi, di forma allungata, sono situati sui nervi nella pagina inferiore; in alcune specie ve n'è uno solo, sul nervo mediano, in altre 3 o più, posti anche sui nervi laterali, in alcune mancano del tutto; i secondi, di forma rotonda e di colore giallo chiaro o rosso vivo, sono 6: 3 situati all'apice del peduncolo, circondati dalla base auriculata delle brattee del calicetto, e 3 situati alla base del tubo del calice e alternati con quelli; la presenza o assenza dei nettarî e i loro caratteri sono stati da taluni utilizzati per la distinzione delle specie e delle razze.
I semi generalmente sono liberi fra di loro, ma nel G. brasiliense Macf. si verifica il singolare fatto che tutti i semi di ciascuna loggia sono saldati fra loro formando un'unica massa (kidney "rognone").
Questa sinspermia, anziché un adattamento biologico, sembra piuttosto una deformazione teratologica resasi stabile; essa rende difficile la separazione della fibra dai semi. In alcune razze di cotoni coltivati si riscontrano in una stessa loggia alcuni semi liberi, altri saldati in diversi gruppetti, il che sembra segno d'origine ibrida di tali razze, con partecipazione del G. brasiliense nell'incrocio.
Riguardo ai peli che ne rivestono i semi, i Gossypium possono suddividersi in 3 gruppi. Vi sono specie nelle quali il seme è rivestito soltanto dai lunghi peli che si utilizzano per la filatura (lint), che si distaccano assai facilmente dal seme stesso, il quale dopo la separazione della fibra rimane perfettamente glabro, liscio e nero. Sono quei cotoni che si dicono a "semi nudi" o neri (ingl: naked o blackseeded cottons) quali il G. barbadense. In altre specie invece il seme porta due sorta di peli, i peli lunghi tessili e inoltre una pelurie di peli cortissimi che formano alla sua superficie come una specie di fitto velluto (fuzz); in questi semi la separazione della fibra tessile si fa con maggiore difficoltà e dopo la separazione dei peli lunghi la pelurie persiste attaccata ai semi che perciò vengono detti "semi vestiti" (fuzzy-seeded cottons); questa pelurie (che può essere bianca o grigia, come nel G. herbaceum, o verde, come in talune razze del G. hirsutum) viene poi separata con un'apposita operazione e costituisce i linters. Di entrambi i tipi sopra descritti, a seme nudo e a seme vestito, si hanno esempî tanto fra i cotoni coltivati quanto tra quelli selvatici. Vi è poi un terzo tipo, nel quale i semi sono coperti soltanto dalla pelurie e mancano i peli lunghi; esso si riscontra naturalmente soltanto in alcune specie selvatiche.
Il colore della fibra dei cotoni coltivati è generalmente bianco, più o meno candido o tendente al grigio, ma vi sono anche molte razze a fibra rossastra, fulva, color camoscio o khaki, appartenenti a varî tipi, quali il G. hirsutum; G. peruvianum, G. vitifolium, G. Nanking, e generalmente i cotoni della Cina. I cotoni selvatici hanno tutti lana rossastra e si ritiene perciò che questo sia il colore originario, e il bianco sia effetto della coltura; supposizione avvalorata dal fatto che il rosso ricompare in tutti i cotoni bianchi coltivati, se negletti o coltivati in condizioni sfavorevoli.
La funzione biologica dei peli che rivestono i semi di cotone, anche allo stato naturale, è stato ritenuto sia quella di favorirne la disseminazione per mezzo del vento. Si è però anche sostenuto che nel caso dei Gossypium la lana così densa e abbondante sia piuttosto un mezzo di difesa contro l'Anthonomus (boll-weevil) e altri insetti; e infatti in talune specie spontanee, come G. Stocksii M. Mast., G. Davidsonii Kellogg e altre, il groviglio dei peli, sebbene relativamente corti, è così intricato e denso da essere davvero impenetrabile alla proboscide o ad altri organi degl'insetti perforatori.
I peli del cotone sono semplici unicellulari e consistono in uno straordinario prolungamento delle cellule epidermiche del seme. Essi sono costituiti da cellulosa quasi pura, si colorano in blu per l'azione successiva dello iodio e dell'acido solforico, e in rossovioletto, se trattati con il cloro-ioduro di zinco. Al microscopio il pelo si presenta in forma di nastro o di tubo appiattito, piegato a tratti su sé stesso (avvolgimenti), con un canale centrale vuoto (lume) più o meno sottile e pareti più o meno spesse; nelle fibre più grosse (per es., in quelle di provenienza indiana) la parete è relativamente sottile e il canale interno è tre o quattro volte più largo di essa; invece, nelle fibre più fini (per es., delle buone razze americane ed egiziane) la parete è relativamente assai spessa e il canale appare come una semplice linea; la sezione trasversale della fibra si presenta a contorno ellittico o ovale, mai perfettamente rotondo. Ogni fibra è rivestita da una cuticola esilissima, che non appare se non quando s'immerga la fibra in una soluzione ammoniacale di rame (liquido di Schweitzer), la quale ne rigonfia la parte interna lasciando intatta la cuticola; in tal modo la fibra appare formata da successivi rigonfiamenti e strozzature, dovuti al rigonfiarsi della parte centrale e al rompersi della cuticola della fibra stessa.
Sistematica dei cotoni. - Sommamente complessa e oscura è la sistematica dei cotoni, come del resto di tutte le piante di larga e antica coltura. Per le specie di Gossypium sicuramente selvatiche, delle quali molte sono note e altre si vanno scoprendo con il progredire dello studio delle flore tropicali, non vi sono difficoltà maggiori che per quelle di tanti altri generi di piante; non sempre però è possibile affermare con sicurezza se un cotone sia veramente selvatico o inselvatichito. Ma per quanto riguarda le razze coltivate, il cui numero è ingentissimo (vi sono circa un migliaio di nomi diversi), le difficoltà sono spesso insormontabili. Moltissime razze, pur riuscendo abbastanza distinte all'occhio del coltivatore e dell'industriale per il comportamento nella coltura e per le qualità del prodotto, sono talmente simili morfologicamente che il botanico non riesce a distinguerle; tra razze ben distinte nelle loro forme tipiche, si hanno talvolta passaggi così graduali che non si può dire dove l'una finisca e l'altra cominci. La riunione delle razze in gruppi e il loro riferimento a specie tipiche originarie è resa sommamente incerta dalla molteplicità delle affinità che una razza presenta con tipi svariati, sicché le presunte derivazioni sono più che altro ipotetiche e si può perfino arrivare a dubitare che in molti casi le specie tipiche originarie di cui si parla siano piuttosto creazioni teoriche che realtà. È quindi facile comprendere come nella sistematica dei Gossypium i dispareri fra i botanici siano molti e profondi e la sinonimia intricatissima.
Bentham e Hooker non ammettono che 3 specie di Gossypium, una delle quali sarebbe l'australiana Sturtia, mentre non dichiarano quali siano le altre due, che sarebbero i veri cotoni. F. Parlatore ne distingue 7: G. herbaceum L., arboreum L., hirsutum L., barbadense L., religiosum L., sandvicense Parl., taitense Parl.; A. Todaro ne riconosce 52, A. Aliotta ed E. de Wildeman 5; c'è chi vorrebbe perfino ridurre tutti i cotoni a una sola specie; G. Watt ne ammette 29 (v. appresso); P. J. Tyler, partendo dal concetto che i nettari extranuziali presso le diverse specie di Gossypium siano organi poco soggetti a variare con la coltura, perché non interessano affatto i coltivatori, si è basato sulla forma, sul numero, sulla posizione e sugli altri caratteri che presentano questi nettarî per procedere a una classificazione naturale del genere Gossypium, e in tal modo ne distingue 19 specie, aggruppate in 4 sezioni.
Le specie di cotone coltivate ritenute più generalmente tipiche sono le seguenti:
G. herbaceum L., cotone erbaceo originario del vecchio mondo. Poco peloso e glabrescente; foglie divise per lo più in 5 lobi larghi e piuttosto corti, ovato-rotondati, ristretti alla base e acuti all'apice; brattee del calicetto appena unite fra di loro alla base, inciso-dentate; petali gialli con macchia rossa; capsula ovato-rotondata con breve punta, divisa in 4-5 logge; semi vestiti con lanugine grigia.
G. hirsutum L., cotone erbaceo d'origine americana. Più peloso; foglie divise per lo più in 3 lobi ovato-triangolari non ristretti alla base e gradualmente attenuati in punta; brattee del calicetto inciso-dentate, libere fra di loro; petali bianchi, quasi sempre senza macchia; capsule ellittiche terminanti a un tratto in punta più o meno sviluppata, divise generalmente in 4 logge; semi vestiti con lanugine verde o grigia.
G. barbadense L., erbaceo, glabro o quasi; foglie divise in 3 lobi ovato-oblunghi acuminati; brattee del calicetto inciso-dentate, libere fra di loro; petali gialli con macchia rossa; capsula divisa in 3 logge; semi nudi.
G. arboreum L., cotone arboreo originario del vecchio mondo. Foglie profondamente divise in 5-7 lobi oblungo-lanceolati stretti, spesso con un piccolo lobo o dente supplementare nei seni alla base del lobo centrale; brattee del calicetto intere e talvolta tridentate, unite fra di loro alla base; petali rossi con macchia più scura; capsula ovato-acuminata a 3 0 raramente a 4 logge; semi vestiti con lanugine grigio-verde.
G. brasiliense Macf., cotone arboreo di origine americana. Foglie divise in 5 lobi ovato-acuminati; brattee del calicetto con denti molto profondi e lungamente acuminati; petali giallo-pallido con macchia rossa; capsula allungata acuminata; semi nudi saldati in unica massa.
La classificazione del Watt è da ritenere la più attendibile, sia per la giustezza dei criterî generali con cui è condotta, sia perché basata in gran parte su specie selvatiche, non note ai precedenti autori. Egli ritiene che fra pochi tipi primitivi, in epoche lontane, prima ancora che si cominciasse la coltura del cotone, debbano essere avvenute naturalmente unioni ibride, capaci di produrre una discendenza fertile, e per questo appunto si hanno attualmente forme che passano dall'una all'altra per caratteri intermedî. Tuttavia, considerando che costituiscono entità distinte, egli non le riunisce, evitando così la confusione che risulta da una soverchia limitazione nel numero di specie presso il genere Gossypium. Coerentemente ritiene altresì che nuovi incroci e reincroci si siano verificati nelle colture, venendo in esse a contatto specie e razze provenienti da diverse parti del mondo, con che il numero delle razze stesse si è moltiplicato oltre misura.
Molta disparità di opinioni vi è stata sull'importanza, e finanche sulla possibilità dell'ibridazione nel genere Gossypium, ciò che influisce sull'ammettere un maggiore o minor numero di specie. Ma è ormai generalmente ritenuto che in queste piante gl'incroci avvengono abitualmente in natura, ed è anzi difficile evitarli.
Le specie ammesse dal Watt sono le seguenti, e così raggruppate:
Sezione I. - Specie con pelurie, ma senza lana. Comprende queste specie, tutte selvatiche; G. Sturtii F. v. M., Australia; G. Davidsonii Kellogg, California; G. Klotzschianum Andss., isole Galápagos; G. Robinsonii F. v. M., Australia; G. Darwinii Watt., isole Galápagos; G. Tomzntosum Nutt., isole Hawaii; G. drynarioides Seem., isole Hawaii; G. Harknessii Brandg., California; G. Stocksii M. Mast., India, il quale ultimo ricorda assai il G. herbaceum e da taluni autori è stato considerato come lo stato selvatico di questo.
Sezione II. - Specie a semi vestiti e con brattee del calicetto unite fra di loro alla base. È il gruppo dei cotoni coltivati di origine asiatica e forse anche africana; non si conoscono con sicurezza allo stato spontaneo. Sono: G. arboreum L., con 4 varietà, coltivato tanto in Asia quanto in Africa, ma non molto largamente; G. Nanking Meyen, con 6 varietà, detto anche cotone della Cina o cotone siamese, per lo più a lana fulva, e G. obtusifolium Roxb., con 2 varietà: sono questi i due grandi cotoni dell'Asia, specialmente centrale e orientale: le due specie si sono incrociate fra di loro e forse anche con arboreum ed herbaceum, dando luogo a tutti i passaggi intermedî; G. herbaceum L., detto anche del Levante, arabico, maltese, è il cotone dell'Asia occidentale e delle contrade mediterranee, dove fu diffuso dagli Arabi; nel sec. XVIII fu il primo cotone del vecchio mondo introdotto nell'America Settentrionale dove ha dato luogo ad alcuni dei cotoni americani a fibra corta. Ma anche le altre specie di questo gruppo sono state introdotte in America e hanno partecipato alla formazione di quelle razze.
Sezione III. - Specie a semi vestiti e con brattee del calicetto libere fra di loro. È il gruppo dei cotoni coltivati a semi vestiti di origine americana, e comprende anche alcune specie selvatiche. Vi appartengono: G. mustelinum Miers, selvatico del Brasile; G. punctatum Sch. et Thon., forma selvatica dalla quale forse è derivato il G. hirsutum: si trova spontaneo sulle coste orientali dell'America dall'Alabama alla Costa Rica e in quelle occidentali dell'Africa dal Senegal ad Angola e in qualche regione dell'Africa centrale; G. hirsutum L., indicato anticamente col nome di cotone a seme verde, in seguito coi nomi di New Orleans, Georgia, Short staple American: per la sua grande facilità a variare e per effetto degl'incroci con diverse altre specie, ha dato luogo a un grandissimo numero di razze comprese nell'estesa categoria degli Upland a fibra corta: G. Palmerii Watt, spontaneo del Messico; G. fruticulosum Tod., spontaneo del Messico; G. Scottii Watt, spontaneo nel Yucatán; G. lanceolatum Tod., spontaneo del Messico; G. microcarpum Tod., di origine incerta, poco coltivato; G. peruvianum Cav., forse originario delle Ande equatoriali, oggi in coltura in molti paesi cotoniferi in America e in Africa, probabilmente ha avuto parte nella formazione delle moderne pregiate razze egiziane; G. mexicanum Tod., forse originario del Messico, ma conosciuto solo in coltura nell'America, in Africa, nell'India; è probabile che insieme col G. hirsutum abbia concorso negl'incroci alla formazione degli Upland.
Sezione IV. - Specie a semi nudi e con le brattee del calicetto libere fra di loro o quasi e a nettari fiorali extranuziali cospicui. Comprende specie del vecchio mondo, coltivate, e una spontanea della Polinesia, il G. taitense Parl. Le altre sono: G. purpurascens Poir., o cotone Bourbon: pare sia lo stato coltivato del G. taitense: la sua coltura, di non grande importanza, è essenzialmente insulare tra il 20° lat. N. e il 20° S., da Hai-nan alla Nuova Caledonia, alle isole Andamane, al Madagascar e un poco anche nell'Africa tropicale orientale e nell'India meridionale; G. vitifolium Lamk., probabilmente originario dell'America Centrale, della Meridionale nel bacino del Rio delle Amazzoni, e delle Piccole Antille: poco distinto dal seguente, del quale è forse una semplice varietà; raramente si trova coltivato in forma pura, ma è entrato in combinazione nella formazione di alcune delle migliori razze di cotone a lunga fibra; G. barbadense L., probabilmente originario delle Antille: è la specie alla quale appartiene il Sea Island, la razza più pregevole fra tutti i cotoni per la bellezza e la lunghezza della fibra; ma il Sea Island tipico non si coltiva che in piccola quantità, soltanto nelle isole e sulla costa della Georgia e della Carolina del Sud, ha esigenze climatiche specialissime, esige aria marina calda e carica d'umidità: la sua coltura è stata più volte tentata nella Louisiana, nel Texas e in molti altri luoghi d'America, d'Africa e d'Asia, ma dovunque con scarso successo: nella regione mediterranea non riesce a maturare le sue capsule che assai tardi e scarsamente; tuttavia esso ha preso parte negl'incroci che hanno dato origine a molte delle belle razze di Upland long staple e di cotoni egiziani; G. brasiliense Macf., detto cotone Kidney, cotone di pietra, Pernambuco, è indigeno dell'America Meridionale, e più specialmente del Brasile e della Guiana, si coltiva nell'America Centrale e Meridionale, massimamente nel Brasile, e anche nell'Asia orientale, in Africa, nella Polinesia; è arboreo e caratterizzato dai semi saldati fra di loro in unica massa.
Sezione V. - Specie a semi nudi, con le brattee del calicetto affatto libere fra di loro e nettarî florali extranuziali assenti. Comprende una sola specie selvatica, il G. Kirkii M. Mast., dell'Africa tropicale orientale.
Dopo la classificazione del Watt qualche altra specie selvatica di Gossypium è stata ritrovata qua e là. Posteriori all'opera del Watt sono anche i cotoni Caravonica ottenuti da D. Thomatis nel Queensland, i quali sono piante legnose arborescenti viventi parecchi anni, e di conseguenza capaci ogni anno di dare nuovo prodotto. Essi sono: Caravonica wool, il quale si dice che fu trovato spontaneo al Messico e selezionato in Australia: ha semi tutti liberi fra di loro, piuttosto grossi, assai gibbosi, non rostrati, di colore bruno scuro, nudi, con un breve ciuffio di peli giallastri all'apice: ha somiglianza con il G. barbadense, il quale forse non è estraneo alla sua origine; Caravonica kidney, il quale pare sia il G. brasiliense migliorato per selezione in Australia: ha semi aderenti fra di loro, molto piccoli, perfettamente neri, con rivestimento per breve tratto verso la base di peli cortissimi, verdastri; Caravonica silk, ibrido fra i due precedenti, eseguito dal Thomatis: ha gemi spesso aderenti a gruppi di 2 0 3, alquanto più piccoli del wool, meno gibbosi, alquanto rostrati, di colore nerastro, con breve ciuffo all'apice e alla base di peli giallo verdastri. Preconizzati nei primi anni di questo secolo come piante di grande merito per abbondanza e qualità di prodotto, i Caravonica non hanno avuto quel successo che se ne era sperato.
Bibl.: F. Parlatore, Le specie dei cotoni, Firenze 1866; A. Todaro, relazione sulla cultura dei cotoni in Italia seguita da una monografia del genere Gossypium, Roma-Palermo 1877-78; A. C. True, The Cotton Plant: its history; Botany, chemistry, culture, enemies and uses, Washington 1896; G. Watt, The wild and cultivated cotton plants of the world, Londra 1907; R. C. P. Boone, Le cotonnier, voll. 2, Parigi 1929.
Coltivazione.
Storia. - La coltura e l'utilizzazione del cotone sono antichissime e pare abbiano avuto origine indipendente in diversi punti della terra, iniziandosi dalle specie particolari spontanee in ciascuna regione. Nell'India la coltivazione del cotone rimonta a un'epoca assai remota, ma non precisabile; da lì essa passò nella penisola malese, nell'arcipelago della Sonda e nei paesi occidentali, la Battriana, la Persia. La specie delle antiche colture asiatiche si ritiene sia il G. herbaceum o lo Stocksii.
Gli scrittori greci e in seguito anche quelli latini parlano del cotone come d'una pianta esotica e dei tessuti fatti di questa materia come di un prodotto di paesi lontani: Erodoto (III, 106) afferma che in India crescono alberi che dànno come frutto una specie di lana che supera in bellezza e in praticità la lana delle pecore e che serve agl'Indiani per fabbricare vesti; lo scrittore greco non designa ancora con nome specifico tale prodotto, ma si limita a chiamarlo "lana vegetale" (ἔριον ἀπὸ ξύλου, lana arborea, come dirà poi Plinio, Nat. Hist., XII, 38); l'accenno dello scrittore deve essere però riferito piuttosto a qualche Bombacacea, come Bombax malabaricum DC. o Eriodendron anfractuosum DC. Assai più tardi Plinio (XIX, 2, 4) nomina quale originario della Spagna il carbasus che non può essere evidentemente che una qualità di cotone, colà importata dall'Oriente, come dice il nome, che si ricollega al sanscrito karpāsa. I Greci dovettero cominciare a conoscerlo e ad usarlo dopo la spedizione di Alessandro; i Romani dopo le guerre coi re asiatici; non c'è ricordo sicuro che la coltivazione del cotone e la fabbricazione del tessuto siano state praticate in Grecia e in Roma direttamente.
Sorprende che la coltivazione del cotone non sia stata introdotta in Cina se non circa il sec. XIII della nostra era, o secondo taluni un paio di secoli prima; certo che l'arabo Suleimān che visitò la Cina nella seconda metà del sec. IX, fa speciale menzione del fatto che i Cinesi, ricchi e poveri, vestivano di seta e non parla per niente di cotone. Marco Polo (1290) parla della produzione e della manifattura del cotone in Persia, nel Malabar, nel Bengala ecc., ma tace su tale oggetto riguardo alla Cina. Egli ci dice anche che in Socotra e in Abissinia vi erano molto cotone e alcune manifatture di fine mussola.
Gli antichi Egiziani non coltivavano e non usavano il cotone e se pure ne ebbero qualche conoscenza, sta di fatto che il medico arabo ‛Abd al-Laṭīf, che visitò l'Egitto nel sec. XIII e diede una lista di piante di quel paese, non fa menzione del cotone. Prospero Alpino riferisce che nel 1592 gli Egiziani importavano cotone per loro uso dalla Siria e da Cipro, e che esso era coltivato nei loro giardini come pianta di curiosità e d'ornamento. L'attuale estesa e importante coltivazione di cotone in Egitto risale a circa un secolo fa.
Nel sec. IX i Musulmani introdussero il cotone in Calabria, in Sicilia, nella Spagna e in altri punti del Mediterraneo; la specie da essi diffusa fu il cotone asiatico, G. herbaceum.
Nel 1516 Odoardo Barbosa trovò che gli abitanti dell'Africa meridionale coltivavano il cotone e vestivano abiti di cotone, ma non si potrebbe precisare l'origine di questa coltura né la specie coltivata.
Gli Europei al loro arrivo in America trovarono il cotone coltivato e manifatturato nelle Indie Occidentali, nel Messico, nel Perù, nel Brasile. Erano colture che traevano origine dalle specie locali, diverse da quelle del vecchio mondo: G. hirsutum, barbadense, mexicanum, peruvianum, brasiliense, ecc.
La coltivazione nei diversi paesi. - Il cotone è la materia tessile più largamente usata nel mondo; esso deve il suo successo, oltre che alle sue qualità intrinseche, certamente anche al fatto che è la sola "fibra" che non ha bisogno di macerazione o di alcuna altra preparazione, ma si utilizza così come si raccoglie dalla pianta.
Oggi la coltivazione è diffusa nelle regioni tropicali e temperate calde di tutte le parti del mondo, ed entro tali zone si cerca continuamente d'intensificarla ed estenderla. Secondo le statistiche dell'Istituto internazionale d'agricoltura, la produzione mondiale della fibra di cotone avrebbe oscillato in questi ultimi anni fra i 50 e i 60 milioni di quintali; i diversi paesi produttori vi hanno contribuito nella misura segnata dalla seguente tabella, dove le indicazioni in corsivo sono globali,per continenti, le altre sono i particolari di alcuni paesi dei continenti stessi; e i totali rappresentano la produzione mondiale nel suo complesso.
La resa per ettaro è stata di q. 1,7 a 2 negli Stati Uniti; 2,7 a 3,1 nel Messico; oltre 3 nel Perù; 2,1 a 2,6 nel Brasile; 1,5 a 2,7 nell'Argentina; 0,9 a 1,1 nelle Indie Inglesi; 1,1 a 1,4 nella Turchia Asiatica; 4,3 a 4,6 in Egitto: 1 a 1,6 nell'Uganda; 1,7 a 3,1 nel Sūdān.
Stati Uniti. - Come si rileva dalla tabella, circa i 3/5 della produzione mondiale del cotone sono prodotti dagli Stati Uniti e sono di ottima qualità, nella massima parte a fibra media; solo una quantità relativamente piccola è a fibra lunga.
La coltivazione negli Stati Uniti, e più precisamente nella Virginia, ebbe inizio nel sec. XVII; furono introdotte specie del Levante, dell'India, della Cina (G. herbaceum, obtusifolium, Nanking, ecc.). Tra queste e le specie endemiche americane (G. mexicanum, hirsutum, barbadense, peruvianum, ecc.) si formò un numero grandissimo d'incroci e reincroci, che diede origine alle innumerevoli razze oggi colà coltivate. Nel 1747 ebbe luogo la prima esportazione di cotone dagli Stati Uniti, che fu di 7 balle. Nel 1784 l'esportazione salì a 71 balle.
La coltura si diffuse largamente dopo l'invenzione della macchina sgranatrice o gin (1792) che abbassò fortemente il costo di produzione. Stimolata dagli alti prezzi raggiunti dal cotone durante le guerre napoleoniche, subì un regresso dopo il 1815, ma presto tornò a svilupparsi per rispondere alla richiesta dell'industria locale ed europea. La zona cotoniera comprendeva allora gli stati meridionali della confederazione, fra l'Atlantico e la valle del Mississippi. La coltura era praticata da grandi proprietarî (d'origine anglo-sassone o francese) con schiavi negri. Con l'emancipazione degli schiavi (v. stati uniti: Storia) essa passò nelle mani dei Negri e dei Bianchi poveri e assunse il carattere di piccola coltura; la conseguenza fu l'abbassamento della produzione per ettaro.
La coltura si estese poi verso l'occidente degli Stati Uniti, sfruttando terreni più produttivi anche perché meno esauriti.
Nel 1892, dal Messico, entrò negli Stati Uniti il boll-weevil (Antonomo del cotone) che trovò nei vecchi stati cotonieri del sud un ambiente assai più favorevole al proprio sviluppo che non nei paesi aridi, come quello da cui proveniva. Le devastazioni compiute dal punteruolo determinarono uno spostamento della coltivazione verso l'occidente. Dopo la guerra mondiale, cresciuto di molto il prezzo in seguito alla diminuzione della produzione, si dissodarono, per coltivarle a cotone, vaste zone dell'Arkansas, del Mississippi e della Louisiana già coperte da foreste. Inoltre si coltivò il cotone (utilizzando nuove varietà a rapida maturazione) in vastissime zone del Texas nord-occidentale e dell'Oklahoma, fino allora destinate all'allevamento del bestiame. Grazie al largo uso di macchine (nel Texas fu ideato un nuovo ed economico metodo di raccolta; vedi appresso) un uomo può coltivare da 40 a 80 ettari, contro i 10-16 dei vecchi stati cotonieri. Insieme col risparmio di mano d'opera, contribuisce al basso costo di queste nuove zone anche il fatto che esse sfruttano la fertilità di terreno vergine. Tuttavia, più dell'85% del cotone degli Stati Uniti è ancora coltivato dai Bianchi più poveri e da Negri, i quali oltre questa coltura non curano che quelle poche altre da cui possono ricavare prodotti necessarî al consumo famigliare.
Attualmente gli stati maggiormente interessati alla produzione del cotone sono appunto il Texas e l'Oklahoma, che destinano alla cotonicoltura ogni anno una superficie pari al 50% del totale seminato a cotone negli Stati Uniti. Recentemente per l'invasione del boll-weevil nella parte orientale della zona cotoniera (cotton belt) si è manifestata la tendenza negli Stati Uniti ad estendere la coltivazione alle terre aride degli stati del sud-ovest, New Mexico, Arizona, California, in coltura irrigua.
Un avvenimento degno di nota, nella storia della coltura cotoniera degli Stati Uniti, è la notevole riduzione dell'area coltivata nella campagna 1927-28, riduzione determinata dalle diflncoltà stesse del mercato cotoniero mondiale. La produzione fu in quell'anno di 28 milioni di quintali in confronto a 39 circa del 1926-27 e mise in grave imbarazzo l'industria mondiale ancora largamente dipendente, per i suoi approvvigionamenti, dagli Stati Uniti. A questo avvenimento si deve in gran parte l'impulso dato dall'Inghilterra, dalla Francia e dall'Italia, in anni recenti, alle colture africane e i tentativi di queste nazioni per far acclimare nella stessa Europa la pianta.
Le varietà di cotone americane possono riunirsi in 3 grandi gruppi: gli Upland short staple, che sono le razze più numerose e costituiscono la grande massa della produzione degli Stati Uniti, gli Upland long staple che derivano dal Sea Island coltivato nell'interno o da incroci di questo con il G. hirsutum, e il vero Sea Island, molto pregiato, la cui produzione però è limitatissima, la coltivazione essendo confinata alle isole e sul continente lungo la costa della Carolina del Sud, nonché nell'interno, nella parte meridionale della Georgia e nella Florida settentrionale.
Una varietà di cotone molto apprezzata, per la lunghezza e la forza della fibra, è, anche negli Stati Uniti, il Bender Cotton o, al plurale e collettivamente, Benders, coltivato nei terreni alluvionali dell'Arkansas, e anche nella Louisiana, nel Mississippi e nel Tennessee occidentale. Si può considerare un quid medium fra le varietà a fibra lunga dell'Upland (extrastaples) e quelle a fibra corta; e in commercio acquista un valore ben definito in confronto alle altre varietà coltivate nello stesso territorio. Essa attinge le sue migliori qualità dai fondi paludosi dei fiumi, dove produce un tiglio forte, di buon carattere, lungo, spesse volte, 28,6 mm. (pollici 1 1/8) e anche più. Crescendo nei dintorni dei letti fluviali e nelle anse dei fiumi, dette in inglese bends, questa varietà è designata in commercio con le seguenti descrizioni: From the bends, River bend cotton, Bender cotton o, infine, Benders. Commercialmente il nome in uso è quest'ultimo.
Infine in America si coltiva pure il cotone egiziano di lunga fibra, e precisamente nei territorî verso il fiume Colorado (Arizona), dove il clima torrido è più simile a quello dell'Egitto e dove riesce facile l'irrigazione. Questa varietà prende il nome di Pima e ha pregi notevoli sebbene inferiori a quelli dell'egiziano originale e del Sea Island: la sua fibra può raggiungere anche la lunghezza di 44,5 mm. (pollici 1, ¾).
India. - Agli Stati Uniti segue, per importanza di coltura cotoniera, l'India. La presidenza di Bombay e le Provincie Centrali col Berar sono le regioni che maggiormente concorrono a formare la superficie coltivata a cotone in questo paese (in media il 48-50%). La coltivazione è regolata dalle vicende atmosferiche, e precisamente dal regime dei monsoni: nel Sind e nel Panjab, invece, è regolata precipuamente dall'irrigazione artificiale. Immense e costosissime furono le opere idrauliche costruite a questo scopo dagl'Inglesi.
Si ottengono due raccolti: quello d'autunno (Kharīf), che è il prodotto delle seminagioni fatte all'epoca del monsone di sud-ovest (giugno-luglio), e quello di primavera (rabī‛), il prodotto delle seminagioni fatte all'epoca del monsone di nord-est (ottobre-novembre). Nelle regioni più meridionali dell'India, come p. es., nella provincia di Madras, dove il clima è più uniforme, i due raccolti non sono così nettamente distinti.
Le qualità di cotone prodotte in India differiscono grandemente da regione a regione, pur ripetendo tutte le caratteristiche della varietà asiatica, che dà prodotti piuttosto scadenti, perché a fibra molto corta e ruvidi. Vi sono coltivate anche alcune varietà americane che dànno prodotti pregevoli soprattutto per la maggiore lunghezza e setosità della fibra. Ma tutte queste qualità non sono affatto distinguibili per la loro classificazione in modo uniforme per tutto il prodotto indiano, come invece è per l'americano. È quindi necessario fare ricorso all'indicazione della regione di produzione o anche della città interna di provenienza.
L'Egitto. - È al quarto posto nella produzione mondiale dopo la Cina. La cotonicoltura in Egitto si basava sul regime delle inondazioni del Nilo, ma oggi, mercé i colossali impianti costruiti dagl'Inglesi (che qui poterono anche avvalersi dell'esperienza già fatta nel Panjab), le inondazioni vengono regolate mediante un sistema molto complesso di canali, ottenendo un'irrigazione permanente. L'abbondanza delle irrigazioni, la feracità del suolo dovuta alle piene del Nilo, la temperatura favorevole, l'assenza del freddo, la quasi assoluta mancanza di precipitazioni atmosferiche, favoriscono la coltivazione del cotone in Egitto dove il prodotto riesce più apprezzato che non in qualsiasi altro paese, per le eccellenti qualità della sua fibra.
Il cotone si coltiva tanto nell'Alto Egitto (a sud del Cairo) quanto nel Basso (a nord del Cairo), ma il Basso Egitto produce il cotone migliore, avendo un terreno ottimo per questa coltura.
La coltivazione con criterî moderni vi cominciò verso il 1820, da quando il francese M. Jumel v'introdusse una razza di cotone non ben precisata e suscitò l'interessamento del khedive che favorì i coltivatori. In seguito molte altre razze di varie provenienze vennero introdotte e in grazia delle grandiose opere di canalizzazione delle acque del Nilo, che hanno reso possibile l'irrigazione regolare di vaste superficie di terreno, l'Egitto rapidamente raggiunse fra i paesi cotonieri una posizione primaria, sia per l'estensione della coltura, sia per la qualità del prodotto.
Dagl'incroci spontanei sicuramente avvenuti tra le varie razze introdotte, dalle variazioni indotte in esse dal nuovo ambiente, dalle selezioni praticate dai coltivatori, derivarono le odierne razze proprie dell'Egitto, non troppo numerose, ma tutte più o meno pregevoli, alcune delle quali si vanno introducendo anche in altri paesi. Le principali fra esse sono: l'Ashmumi, la più antica, derivante dal cotone esistente nella contrada: scoperta dapprima nel Delta, dove fu di generale coltivazione, è ora limitata all'Alto Egitto; essa differisce dalle altre razze egiziane per essere a seme nudo, cioè senza pelurie aderente; il Mit Afifi, che dal 1883, quando ne ebbe inizio la coltura, sino al primo quindicesimo del sec. XX, fu la varietà principale del cotone in Egitto: è di media statura, ha capsule piuttosto piccole e acute, fibra scura, lunga, lucida, molto forte e fine al tatto e che raggiunge la lunghezza di oltre 40 millimetri; l'Abassi, il solo cotone bianco coltivato in Egitto, ha pure fibra lunga circa 40 mm.: esso fece la sua comparsa verso il 1891-92 e crebbe rapidamente in favore, ma fu presto soppiantato dal Mit Afifi, più rustico, più resistente e di più facile sgranatura; il Yannovitch, che è la razza più setosa, più fine e più lunga di tutti i cotoni egiziani e che si suppone provenga dal Sea Island; e poi il Nubari, lo Zagora, il Makò (jumel) ormai quasi scomparso dal mercato, per quanto con questo nome si designi spesso il cotone egiziano; e qualche altro. Nel 1920 comparve una nuova varietà, la Sakellaridis, cosi chiamata dal nome d'un coltivatore greco che la scoperse (1906), la quale a poco a poco va sostituendo nel Basso Egitto tutte le altre e oggi è la più coltivata; essa è anche la più domandata dai filatori e il suo prezzo è molto superiore a quello delle altre varietà. Delicata e molto sensibile agli attacchi degl'insetti, questa varietà cresce meglio nel Delta, dove l'aria è fortemente umida. Si va anche introducendo fuori dell'Egitto. Il Sakellaridis raggiunge in coltura ordinaria l'altezza di m. 1,30 a 1,60, ha petali giallo chiaro con macchia rossa, capsule di 4,5 cm. di lunghezza, ovali, a 3 logge, a pericarpo non liscio, ma che presenta un'infinità di piccole depressioni; la fibra è la più fina e la più lunga delle varietà egiziane, e raggiunge i 50 mm. In anni più recenti ancora, si è sperimentato in Egitto il cotone Maarad, derivato dal Pima, avente fibra superiore a quella del Sakellaridis.
Sebbene il cotone egiziano sia il migliore del mondo, tutte le sue varietà, dopo un certo periodo di anni, degenerano, si trasformano e si estinguono per la loro origine ibrida. Così si è sempre alla ricerca di nuovi tipi, di cui si tenta invano di mantenere la stabilità.
Cina. - Importanza grandissima ha la produzione cotoniera cinese, specie per quanto riguarda l'approvvigionamento del mercato locale.
La superficie destinata alla coltura varia in Cina di anno in anno a seconda delle fluttuazioni del mercato, e soprattutto delle vicende politiche. Il quantitativo di produzione è quindi variabile e di difficile accertamento: nel 1926 esso è stato valutato di 2 milioni di balle, nel 1927 di 1,5 e nel 1928 ancora di 2 milioni.
La coltivazione ha luogo in moltissime provincie, particolarmente a Kiang-su, Hu-pe, shan-tung, Shan-si, Ho-nan, Shen-si, Che-kiang, Kiang-si, Sing-kiang, ecc., nella zona nord-ovest della Cina. La varietà più diffusa è la Nanking, a lana fulva, di qualità in genere scadente. Non mancano però buone varietà, come la Asiaokan, coltivata nella provincia di Hu-pe, la Chicken-foot e la Changyi ska ambedue coltivate nella provincia di Kiang-su. Il cosiddetto cotone estero coltivato a Shen-si, una delle migliori varietà della Cina, è d'origine americana. In genere, però, tutte queste varietà vanno deteriorandosi, principalmente per la mancanza di cure adatte e di sistemi colturali progrediti. Il governo e gli enti cotonieri della Cina hanno cercato di promuovere il miglioramento nella coltivazione sia creando stazioni sperimentali, sia introducendo varietà americane, sia promovendo studî tecnici.
Unione Repubbliche Socialiste Sovietiche. - Per ordine d'importanza come paese produttore di cotone, l'U. R. S. S. tiene il quinto posto, subito dopo gli Stati Uniti, l'India, la Cina e l'Egitto. Il raccolto fu di 458.000 balle nel 1925, di 983.000 balle nel 1927, per salire a 1.305.000 balle nel 1929. La politica del governo diretta a dare incremento alla coltura fa prevedere un aumento ulteriore di produzione.
I centri cotonieri più importanti dell'U. R. S. S. sono le repubbliche di Uzbekistan, di Turkmenistan, di Tagikistan. Nella repubblica di Uzbekistan il cotone rappresenta il 46,7%, del complesso della produzione agricola.
Gran parte della produzione cotoniera dell'U. R. S. S. è controllata da un trust, costituitosi nel 1920: più di 750.000 tonnellate di cotone greggio passano infatti attraverso 63 stabilimenti di sgranatura di sua proprietà. Per l'incremento qualitativo e quantitativo della coltura è stata creata nella città di Taskent (Uzbekistan) una stazione sperimentale, ove le nuove varietà vengono selezionate. Accanto a tale organismo centrale, esistono poi numerosi laboratorî scientifici di ricerca.
Brasile.- Fra i principali paesi produttori va notato anche il Brasile, che ha possibilità considerevolissime di sviluppo della cotonicoltura. Nel N. si coltivano a preferenza i cotoni arborei che durano 8 e più anni, e specialmente i tipi sertão, che è il più importante commercialmente, e serido, più pregevole, a fibra più lunga; nel Brasile meridionale si coltivano a preferenza razze erbacee annuali e con metodi più progrediti.
Argentina. - Il cotone argentino, la cui coltivazione è destinata per la massima parte (a differenza di quanto avviene per il cotone brasiliano) all'esportazione, è relativamente recente e sembra prometta molto. È un ottimo cotone, di fibra lunga 25 mm. e più, setosa, forte, di colore bianco. Ottimamente coltivato, è anche ginnato bene, con sistemi modernissimi. Si produce soprattutto nei territorî del Chaco, del Corrientes, di Santiago del Estero, di Formosa.
Levante. - Il cotone levantino si coltiva prevalentemente nell'Asia Minore, e precisamente nei vilāyet di Adana, Cebelibereket e Mersina. Si hanno due varietà: una indigena chiamata Yerli, che rappresenta circa l'80-85% della produzione, l'altra ibrida dell'Upland americano, chiamata Ianè. Questa seconda è bianca, brillante, setosa, con fihre regolari di lunghezza da 22 a 30 mm.; la varietà indigena è pure di colore bianco, ma con tendenza al crema, e le sue fibre sono lunghe da 17 a 26 millimetri, un po' meno setose delle altre. Si pianta di preferenza la varietà indigena, per la sua maggiore facilità di coltivazione e raccolta.
Europa e colonie africane. - In Europa la coltivazione ha oggi un'importanza insignificante. La Bulgaria è il paese di più alta latitudine in cui il cotone sia coltivato, ma la produzione è scarsa e di poco pregio.
Vicende varie ha avuto la cotonicoltura nel Mediterraneo. Sotto il Primo Impero il governo francese ne incoraggiò la coltura nel mezzodì della Francia; fu assegnato il premio d'un franco per ogni kg. di cotone pronto per la filatura prodotto in Francia; si ebbe così un'effimera cotonicoltura, che durò qualche anno. In Algeria, a più riprese, incoraggiamenti e favori governativi o eccezionale altezza di prezzi hanno fatto crescere rapidamente la coltura, che subito, cessati quelli, è decaduta. Similmente la cotonicoltura non ha potuto prendere serio sviluppo né in Tunisia, né nel Marocco. Nell'Africa del Nord, come in Sicilia, l'ostacolo maggiore a questa coltivazione è la scarsezza di piogge e la poca disponibilità d'acqua per irrigazione. Migliori possibilità di sviluppo ha la coltura nell'Africa centrale e meridionale: l'Uganda, il Territorio del Tanganica, il Congo, la Somalia e l'Eritrea dànno già da qualche tempo alte produzioni e l'estensione della coltura in questi paesi, per un più sicuro approvvigionamento dell'industria metropolitana, è ormai costante e metodico programma degli stati colonizzatori.
Italia e colonie. - Nell'Italia meridionale e in Sicilia, la cotonicoltura ha antichissime tradizioni. Dall'epoca della dominazione araba a oggi essa non ha mai cessato di praticarsi; ma con la fine del Medioevo, quando cominciarono a giungere largamente in Europa i cotoni del Levante e delle Indie, e più tardi quelli americani, la nostra cotonicoltura decadde. Di tratto in tratto, in periodi in cui eventi eccezionali hanno influito sul mercato del cotone, rialzandone enormemente il prezzo, essa ha ripreso impulso; così avvenne durante la dominazione napoleonica per effetto del blocco continentale, poi negli anni 1861-65 per effetto della guerra civile negli Stati Uniti, e così anche durante la guerra mondiale. Ma, passati questi momenti, la coltura è ritornata in limiti assai modesti.
Governi ed enti pubblici si sono occupati a più riprese della cotonicoltura in Italia. Nel 1863 fu creata una commissione reale per la coltivazione del cotone in Italia, sotto i cui auspici si eseguirono studî ed esperienze, tra i quali notevolissimi quelli dell'Orto botanico di Palermo, si tennero mostre di cotone italiano in Italia e all'estero, e furono pubblicati i classici lavori del Todaro e del Parlatore; negli anni dal 1905 in poi nuovi studî furono ripresi nell'Orto botanico di Palermo; nel 1910 per incarico del Ministero d'agricoltura fu eseguita dall'Istituto coloniale italiano un'indagine sullo stato della cotonicoltura in Italia e si fecero esperienze di coltivazione. Tutti questi studî ed esperienze hanno illustrato la storia e lo stato attuale della cotonicoltura italiana, indicato i miglioramenti che essa richiede, esaminato il comportamento delle più pregiate razze moderne in rapporto all'ambiente colturale italiano, accertata la possibilità di un'abbondante e pregevole produzione; ma la convenienza economica di tale coltivazione resta ancora da dimostrarsi.
Secondo l'Istituto centrale di statistica del Regno, la cotonicoltura avrebbe avuto nel 1930 il seguente andamento:
In Sicilia, secondo l'Osservatorio economico del Banco di Sicilia l'estensione della coltura è di circa 5500 ettari, di cui 2500 a Gela (Terranova), 1000 a Sciacca e il resto in punti sparsi specialmente nella Piana di Catania e nella provincia di Trapani; la produzione è di 9-10 mila quintali di cotone sgranato; 13-17 mila quintali di semi si esportano per Malta. All'epoca della guerra americana di secessione la coltura raggiunse i 30.000 ettari, e durante la guerra mondiale i 10.000. La coltura in Sicilia si pratica nella massima parte a secco, in piccola parte è irrigata, però scarsamente, e talora soltanto prima della semina.
Le specie da tempo remoto coltivate in Sicilia sono state due: il G. herbaceum, che è quella importatavi dagli Arabi, e il cosiddetto Siamese, che pare riferibile al G. hirsutum, e del quale si sono distinte due varietà: una a lana fulva e una a lana bianca, costituente quest'ultima la varietà locale, detta Biancavilla, di rendimento elevato e d'una notevole resistenza alla siccità: sono cotoni a fibra corta e piuttosto ruvida. In tempo più recente sono state introdotte varie altre razze americane ed egiziane.
In Sardegna si può affermare che il cotone trova il clima necessario a dare un prodotto abbondante, maturo e d'ottima qualità; non sarà però possibile la grande coltura se non quando la grande massa dei terreni adibiti a coltura granaria sarà convenientemente modificata nella sua struttura fisica, specie nei riguardi della capacità idrica e della capillarità. La media dei raccolti è di 14 quintali (2,33 quintali per ettaro).
In Libia la coltivazione del cotone non è ancora praticata perché non si hanno, come altrove, corsi d'acqua superficiali da utilizzarsi convenientemente per l'irrigazione.
In Tripolitania sono stati fatti però varî tentativi e sono ancora in esperimento, presso il locale Istituto sperimentale agrario, coltivazioni asciutte di cotone arboreo Caravonica, le cui piante sembrano assicurare buone produzioni. Rimane però ancora da superare qualche diffcoltà, perché nella germinazione dei semi affidati al terreno si ha una forte percentuale di perdite, dovuta all'incostanza del clima. La semina si fa verso la fine dell'inverno e non può essere troppo ritardata, appunto perché la coltivazione deve condursi senza il sussidio d'irrigazioni.
In Eritrea da tempo antico sono coltivate dagl'indigeni delle varietà locali non ben determinate, di cui la più diffusa è quella chiamata Areb, a seme non completamente vestito, a fibra corta (22 mm. circa) ma abbastanza fine e lucente, di basso rendimento allo sgranaggio (28%). Molti anni addietro vi fu introdotta la varietà Allen's long staple del tipo Upland, importata dal Texas, la quale in Eritrea si è non poco modificata, tanto da meritare di essere considerata come una varietà nuova, e ha preso il nome di Carcabat. È questo un cotone a fibra abbastanza lunga (28-34 mm.), precoce, resistente alla siccità, di buona produttività, dando alla sgranatura la resa del 32-33%, di fibra. Attualmente però questa razza è stata in gran parte sostituita dall'egiziana Sakellaridis.
In generale in Eritrea, per mancanza d'acqua, il cotone s'irriga solo prima della semina. Di recente, con le grandi opere eseguite per l'utilizzazione delle acque del fiume Gasc, la pianura di Tessenei, nel bassopiano occidentale arido e torrido, è diventata un'ottima contrada per la coltivazione irrigua del cotone; già nel 1928 il consorzio di Tessenei ha prodotto 3700 q. di cotone greggio; vi è un opificio per la sgranatura.
In Somalia la coltura indigena del cotone è diffusa un po' dappertutto. In questa regione infatti la ricchezza delle terre d'alluvione, la possibilità di rendere irrigui i terreni con l'acqua dei fiumi, l'elevata temperatura dell'aria e la scarsezza delle precipitazioni atmosferiche, fanno sì che il cotone trovi le migliori condizioni per prosperare e produrre buona e abbondante fibra. E se molte cause nemiche limitano i risultati della coltura e compromettono talora gli sforzi del colono, ciò è dovuto, più che alla gravità di dette cause, alla ancora scarsa conoscenza dell'ambiente ecologico in cui si lavora. Il cotone somalo, molto simile ad alcune varietà indiane a corta fibra e a seme vestito, è un suffrutice che in consociazione con altre colture (granturco, dura, fagioli) comincia a dare prodotto dopo 8 0 9 mesi dalla semina e seguita a vegetare e a fornirne scarsamente per 4 e più anni di seguito. Si può calcolare che in coltura specializzata possa dare 1-1,50 q. di fibra per ha.; la fibra stessa è corta (15-18 mm.), ruvida, poco tenace, il rendimento allo sgranaggio è di circa il 22%. Si calcola che si producano annualmente in Somalia da 800 a 1000 q. e più di fibra di cotone indigeno, il quale in parte viene tessuto in colonia e in parte esportato a Bombay. Prima dell'importazione delle cotonate americane italiane e giapponesi, in Somalia si coltivava moltissimo cotone, che serviva a fabbricare sul posto le rinomate cotonate del Benadir consumate dai Somali ed esportate nelle altre regioni dell'Africa orientale e in India.
Oltre a queste colture prevalentemente indigene, modeste e ordinate su basi tradizionali, si sono svlluppate in Somalia anche delle grandi colture di cotone, caratterizzate da vasti impieghi di capitale e frutto di una seria opera di colonizzazione.
I primi tentativi di colonizzazione nella Somalia risalgono al 1906, allorquando il Carpanetti coltivò per la prima volta a cotone circa sette ettari della piana di Torda, nel Goscia, sperimentando varietà egiziane e varietà americane a lunga fibra. Il tentativo ebbe successo giacché le abbondanti piogge di quell'annata furono sufficienti per portare a maturazione il prodotto senza il sussidio dell'irrigazione. Il Carpanetti seguitò l'anno seguente le sue prove in regione Bulo Boda (sempre nel Goscia), ottenendo però scarsi risultati per l'insistente siccità e per l'impossibilità d'irrigazione. Specie per le sollecitazioni e la propaganda a favore della Somalia fatta da Giacomo De Martino, governatore della colonia dal 1910 al 1916, si costituirono in quel tempo molte società e molti colonizzatori privati tentarono sulle sponde del Giuba e dell'Uebi Scebeli di estendere le colture del cotone e di altre piante tropicali. Ma questi sforzi non furono coronati da successo.
Dopo qualche anno d'inattività, l'opera di colonizzazione fu ripresa su larghe basi e con intenti scientifici e pratici a un tempo dal duca degli Abruzzi.
Nel 1919-20 una missione tecnico-agricola da lui presieduta si recò in Somalia per gli studî preliminari intesi a costituire un'importante azienda agricola in quella colonia. Dopo lungo studio fu scelta una località nella regione del medio Scidle che, per quanto fosse molto distante dal luogo d'approdo (chilometri 130 di strada camionabile da Mogadiscio), fu giustamente considerata la più adatta alla coltivazione. Nel 1920 il duca degli Abruzzi costituì la Società agricola italo-somala (S. A. I. S.), che ha esplicato un'intensa attività, di sistemazione idraulica, di creazione e perfezionamento delle colture. Essa cominciò con lo sperimentare ventitré varietà di cotoni, delle piu lontane regioni del mondo. Ma si preferì la varietà egiziana Sakellaridis che, insieme con la sottovarietà selezionata in Somalia dal prof. G. Scassellati Sforzolini e in suo onore denominata Scassel, dà in quella colonia il migliore risultato. La S. A. I. S. ha anche esperimentato largamente condizioni e metodi di coltura (v. p. 684).
L'andamento delle colture della S. A. I. S. nei diversi esercizî può rilevarsi dal prospetto seguente:
La fibra ottenuta con queste colture è ottima e può stare alla pari col migliore cotone egiziano. La resa in fibra è stata negli ultimi esercizî del 33% circa.
Anche nel comprensorio irriguo del Genale, nel quale Romolo Onor aveva istituito un campo sperimentale, e in cui si sono sviluppate prevalentemente le piccole e medie aziende, la cotonicoltura ha preso un importante sviluppo. Vi sono già destinate alcune migliaia di ha. di terreno, che hanno dato discreti raccolti di fibra, la cui resa unitaria varia da una concessione all'altra.
Metodi di coltura. - La vera zona colturale del cotone è compresa a un dipresso fra i 36° lat. N. e i 30° lat. S., ma può anche qua e là estendersi oltre questi limiti.
Le condizioni che determinano la possibilità della sua coltivazione sono il regime delle piogge, l'umidità atmosferica, e la temperatura. La bassa temperatura è dannosa solo nel caso in cui si abbiano gelate durante il periodo vegetativo; la durata della stagione nella quale non si hanno gelate determina le zone entro cui ciascuna varietà di cotone può essere coltivata con profitto. La temperatura elevata è senza cattivo effetto, se vi sono piogge o acqua d'irrigazione sufficienti. Il regime delle piogge è l'elemento più importante per il successo della cotonicoltura; piogge troppo abbondanti, quali si hanno in regioni a clima equatoriale, la rendono impossibile perché infradiciano il prodotto, ostacolano la raccolta, favoriscono lo sviluppo dei parassiti e delle malattie; d'altra parte, una eccessiva secchezza senza irrigazione consente solo uno stentato sviluppo della pianta e scarso prodotto.
E molto difficile incontrare in natura riunite insieme tutte le condizioni climatiche favorevoli alla buona vegetazione e all'alta produttività del cotone in coltura non irrigata; le condizioni ideali sarebbero piogge piuttosto frequenti durante il periodo vegetativo, e siccità durante la maturazione delle capsule, perché le piogge in questo tempo guastano il prodotto, provocano il nascere di nuovi rami e ritardano la maturazione delle capsule allegate. Così nei paesi mediterranei s'incontrano due gravi difficoltà: l'aridità del clima durante il periodo di vegetazione, e il sopraggiungere delle piogge autunnali prima che la maturazione delle capsule sia compiuta; donde la quasi necessità dell'irrigazione e l'opportunità di coltivare razze molto precoci. La coltura secca può praticarsi, come infatti si pratica; però la produzione riesce molto variabile (nelle proporzioni di uno a tre) secondo le annate. L'irrigazione accresce fortissimamente la produzione e la regolarizza. In Egitto, in varie regioni dell'Oriente e degli Stati Uniti, l'acqua d'irrigazione è la grande sorgente della fertilità, anche perché essa spesso porta materie fertilizzanti; le vallate del Nilo, del Gange, dell'Indo, del Mississippi ne sono esempî tipici. La quantità dell'acqua di irrigazione da usarsi varia secondo che il terreno sia più o meno argilloso o sabbioso; in Egitto a un terreno contenente 30-50% di sabbia si dànno 1200-2000 mc. d'acqua per ha. ogni 10-15 giorni, mentre a un terreno contenente 50-80% di sabbia se ne dànno 2500-3000 mc.
Riguardo al terreno, il cotone non ha esigenze troppo speciali; in generale preferisce i terreni silicei, siliceo-argillosi e gli alluvionali, che non siano soverchiamente umidi; si ritiene che abbia poca affinità per il calcare.
In tutti i paesi ad agricoltura razionale la coltivazione del cotone è annuale; lo si fa anche entrare in rotazione con le leguminose e i cereali. In America e in Egitto i cotoni, ogni anno, dopo il raccolto, vengono sradicati e spesso bruciati sul posto, giacché le ceneri costituiscono un eccellente concime. Nelle coltivazioni indigene dei paesi non progrediti, si lasciano le piante sul terreno per un lungo periodo (che raggiunge talvolta i 10 anni) mozzandole ogni anno (ingl. ratooning); la resa nel secondo anno è spesso superiore a quella del primo, ma poi decresce fortemente. In qualche rarissimo caso si lascia crescere il cotone in forma arborea.
La preparazione del terreno, che è la principale operazione colturale, va fatta diversamente secondo che si tratti di coltura irrigua o no; in ogni caso occorrono lavorazione preventiva profonda e in seguito sarchiature profonde e accurate. La concimazione completa, cioè a base di materia organica e di fosfati, nitrati e potassa, è utilissima tanto per la quantità della produzione quanto per le qualità tecnologiche della fibra. La semina si effettua in epoche differenti secondo i paesi (in Egitto a marzo, nelle Indie sulla costa occidentale in maggio, sull'orientale in settembre e sugli altipiani del centro in giugno, negli Stati Uniti durante la primavera, nel sud del Brasile in ottobre) e si fa a spaglio o a righe in fossette nelle quali si pongono più semi; in seguito si esegue il diradamento delle piantine.
La provvista di seme puro, selezionato, è una delle basi della buona coltura. Negli Stati Uniti si lamenta che le buone razze decadano e se ne attribuisce principalmente la causa alla mescolanza, nei pubblici stabilimenti di sgranatura, dei semi i quali poi vengono adoperati per la seminagione. È stato constatato che nei semi della prima balla sgranata dopo la sgranatura di una partita di razza diversa, si può trovare anche più del 25% di semi di quest'ultima e così fino alla quarta balla, sebbene in misura sempre minore. Altra causa di decadenza delle buone razze si riconosce negl'incroci che si verificano fra le piante di piantagioni vicine di razze diverse. E pertanto si svolge opera di persuasione presso i coltivatori per ottenere che in ogni contrada venga coltivata una sola razza, per assicurare la conservazione della purezza delle razze e l'uniformità nel prodotto.
Nelle giuste condizioni d'umidità e di temperatura del terreno i semi germogliano in 5-6 giorni; le piante crescono rapidamente e dopo circa 2-4 mesi dalla semina entrano in fioritura; a circa 5-6 mesi d'età della pianta comincia la maturazione delle capsule. Discutibile è l'utilità della cimatura, che talvolta viene praticata.
La maturazione avviene naturalmente anch'essa in epoche diverse nei diversi paesi. Così negli Stati Uniti da agosto sino a dicembre, secondo gli stati, nel nord del Brasile da agosto a dicembre, nel sud da marzo a maggio, nel Perù quasi tutto l'anno, nella Cina in settembre, nell'India da ottobre a marzo, secondo le provincie, nella Russia e nella Turchia asiatiche in settembre e ottobre. In Egitto invece la maturazione ha luogo da agosto a novembre, a Kassala da febbraio ad aprile, nel Territorio del Tanganica da giugno a ottobre, in Argentina da marzo a maggio, in Somalia da dicembre a gennaio.
La coltura in Somalia. - In Somalia vi è la possibilità di seminare il cotone in due distinte epoche dell'anno, e cioè in aprile-giugno e in settembre-ottobre. Non è ancora stabilito con precisione quale delle due epoche sia preferibile; la S. A. I. S. semina nella prima epoca, ma sperimenta anche la seconda, la quale da alcuni punti di vista presenta dei vantaggi. In ogni caso però bisogna seminare esclusivamente o nell'una o nell'altra epoca, perché altrimenti si forma la catena dei cicli delle infezioni parassitarie, capaci di distruggere il prodotto e frustrare ogni sforzo dei coltivatori.
In Somalia si usa concimare il terreno all'aratura con q. 3 di perfosfato minerale (titolo 15-16) e q. 1 di nitrato ammonio (titolo 33-35) in copertura; si può adottare il sistema della coltura a solchi, oppure quello della coltura in riquadri, ma il primo dà migliori risultati. Si tengono le seguenti distanze: m. 1 a 1,20 fra solco e solco o tra fila e fila, e cm. 45-50 fra pianta e pianta sul solco o sulla fila.
Il fabbisogno d'acqua d'irrigazione varia assai da stagione a stagione e da zona a zona. In genere però, se l'umidità abbonda, le piante si sviluppano enormemente, ma lo sviluppo vegetativo non è in rapporto con l'abbondanza del prodotto. Seminando in aprile-maggio, si dà una irrigazione alla semina (quando non si utilizza l'acqua di pioggia), un'altra circa un mese dopo, cioè in giugno, e una terza irrigazione dopo il periodo fresco, verso i primi o la metà di settembre; può convenire in dicembre una quarta irrigazione per stimolare la fruttificazione d'un terzo raccolto. Seminando invece in ottobre-novembre, si semina con irrigazione fino a che non abbiano inizio le piogge (seconda metà di ottobre); verso la metà o la fine di dicembre conviene dare un'irrigazione alle piante, un'altra verso la metà di gennaio e l'ultima verso la metà di febbraio. Per ogni irrigazione fatta su terreno sistemato a riquadri si adoperano da 1500 a 2000 mc. d'acqua, e su terreno assolcato da 1000 a 1300.
In Somalia dopo due mesi e mezzo dalla semina il cotone inizia la fioritura e quindi la formazione delle capsule, che entreranno in maturazione circa due mesi dopo. Cominciano prima i rami basali, che saranno quelli che daranno il primo, migliore e più abbondante raccolto; poi i rami medî e terminali, che forniranno il prodotto di secondo e terzo raccolto, meno abbondante e di qualità più scadente del primo. Seminando il cotone in maggio, si compiono il primo e secondo raccolto in ottobre e novembre, e il terzo in gennaio e febbraio; con la semina autunnale si raccoglie la maggior parte del prodotto in marzo e si termina la raccolta in aprile.
Raccolta. - È tuttora l'operazione più lunga e più costosa nella coltura del cotone. Le capsule della maggior parte delle varietà coltivate maturano successivamente in un periodo di più mesi. A maturazione compiuta, il cotone può essere staccato dai carpelli con la massima facilità; ma l'operazione va sempre fatta con molta delicatezza per non asportare, insieme con esso, frammenti di foglia o di altre parti della pianta. Siccome, quando la capsula si apre, il cotone e il seme contengono ancora molta acqua, si usa attendere alcuni giorni perché si dissecchino; ma non si può attendere troppo, perché il cotone potrebbe cadere a terra sotto l'azione del vento, sporcandosi e deprezzandosi. Per queste ragioni, si fanno diverse raccolte e la quantità che ciascun operaio raccoglie in un giorno varia molto. Alla raccolta si adibiscono uomini, donne e ragazzi; in molti casi, la mano d'opera locale riesce insufficiente ed è necessario ricorrere a quella migrante. Molti inventori hanno cercato di creare una macchina capace di raccogliere il cotone in modo eguale a quello tradizionale (cioè staccando i fiocchi esclusivamente dalle capsule aperte, ingl. picking) ma il problema è difficile; solo in questi ultimi anni sembra essersi avviato verso la soluzione.
Vi sono, però, delle varietà di cotone che dànno piante piccole e le cui capsule maturano tutte quasi contemporaneamente. Nel 1926 i cotonicultori del Texas nord-occidentale, che coltivavano queste varietà, trovandosi costretti a fronteggiare un fortissimo ribasso del prezzo del cotone, adottarono un nuovo e molto economico mezzo di raccolta: quello di strappare dalla pianta le intere capsule, mature o no, con apparecchi costituiti essenzialmente da pettini di ferro o di legno, trainati da pariglie di muli. Questo metodo è detto in ingl. stripping e l'apparecchio cotton sled. Il cotone così raccolto contiene foglie, steli, capsule, fibre e semi umidi; perciò il suo prezzo è minore, ma non tanto da annullare il grande risparmio che il nuovo metodo consente. Si sono, poi, adottate negli stabilimenti di sgranatura delle macchine speciali che puliscono questo cotone con una spesa relativamente piccola. La creazione di macchine che raccolgono il cotone col metodo dello stripping era relativamente facile e presto ne è stata costruita più di una. Così pure sono state costruite macchine che eseguono la raccolta secondo il metodo tradizionale del picking.
Una macchina che esegue lo stripping è lo Smith-Conrad Combine Cotton Harvester, inventato da W. N. Smith di Fort Worth nel Texas. Essa, oltre a raccogliere il cotone e i semi, contemporaneamente li separa, analogamente a quanto fanno le moderne mietitrici-trebbiatrici da grano. Secondo l'inventore, la macchina può adattarsi alle varietà di cotone che non superano l'altezza di 1 metro. Il modello piccolo, trainato da una pariglia di cavalli, può raccogliere e separare dai semi il cotone di 2,83 ha. di piantagione in un giorno; il modello più grande, trainato da un trattore, può fare le stesse operazioni per una superficie da 6,07 a 8,09 ha. in un giorno, con soli due operai (il guidatore del trattore e un assistente), e consentirebbe un'economia del 75% sul costo della lavorazione a mano, compiendo il lavoro di 15 uomini. Inoltre, si risparmierebbe il 40% sulla sgranatura e la pulitura perché queste operazioni sono in parte compiute dalla macchina nella piantagione stessa.
Ancora recentemente la International Harvester Company of America ha costruito una macchina automatica che, nel Texas nord-occidentale, pare abbia dato ottimi risultati. Esegue anch'essa lo stripping, ma si serve di due cilindri di gomma anziché di pettini di legno o di metallo. Anche la ditta Deere e Co. di Moline, Illinois, ha creato una macchina fondata sullo stesso principio che, però, è ancora allo stato sperimentale. Fra le macchine che operano in modo analogo a quello della raccolta a mano (picking), va ricordata quella dell'American Cottonpicker Corporation, prodotta nel 1930 in 1000 esemplari (fig. 13). Il maggior vantaggio di questa macchina consiste nel fatto che il cotone da essa raccolto viene a essere depurato dalla polvere e dai rimasugli superflui, e quindi può essere venduto a un prezzo sensibilmente superiore a quello a cui si vende il cotone, raccolto a mano. Essa porta due tubi aspiratori i quali racchiudono alle loro estremità anteriori due rocchetti che girano internamente. Le imboccature di questi tubi vengono poste a contatto con le capsule del cotone, il quale, preso fra i due rocchetti suddetti, viene immesso nel tubo che lo convoglia fino all'opposta estremità e da qui lo lascia cadere nel sacco di raccolta. Le estremità dei tubi vengono fissate con l'imboccatura alle mani del raccoglitore. Per ogni tubo c'è un raccoglitore, uomo, donna o ragazzo.
Fra le altre raccoglitrici meccaniche vi è infine un apparecchio costruito dalla International Harvester Company, che ha come organi lavoranti speciali fusi, principio su cui si basava anche la precedente raccoglitrice Price Campbell, ma che è congegnato in modo da adattarsi a tutte le condizioni delle diverse plaghe cotoniere nordamericane. Questo apparecchio è stato già adoperato con successo in varie piantagioni del Texas e di altre zone cotoniere; è rimorchiato e azionato da un trattore. L'apparecchio Berry per la raccolta del cotone fu costruito per la prima volta a Greenville nel Missouri e ha già dato ottimi risultati nelle piantagioni meridionali; esso pure fa uso di speciali fusi che ne fanno una delle macchine più ingegnose attualmente esistenti sul mercato.
Il cotone appena raccolto viene sottoposto a cernita per separare i bioccoli sporchi per parassiti o altro, o comunque guasti. Indi viene posto a essiccare al sole per qualche giorno e finalmente sgranato per separare i semi dalla fibra, operazione che si compie con macchine diverse, secondo che si tratti di varietà a fibra lunga o corta, facilmente distaccabile o tenacemente aderente. La resa normale è di ⅓ in peso di fibra e ⅔ di seme. La fibra viene fortemente pressata (cotone sodo) in balle di varia confezione e peso secondo gli usi dei diversi paesi. I semi son destinati all'estrazione dell'olio e all'alimentazione degli animali; i loro residui si utilizzano per farne panelli o per concime. Dai semi vestiti, dopo la sgranatura viene anche tolta a mezzo di apposite macchine la peluria (linters) la quale è utilizzata anch'essa.
Il cotone raccolto immaturo viene designato col nome di cotone morto. Si riconosce per essere le sue fibre fortemente compresse, a pareti sottilissime e trasparenti, di larghezza maggiore di quella del cotone maturo; ha poca resistenza e scarsa affinità per le materie coloranti. Anche il cotone bruciato dal sole per essere rimasto troppo a lungo sulla pianta dopo la maturità, è fortemente alterato e di poco valore.
Malattie e cause nemiche. - La pianta del cotone è attaccata da insetti d'ogni genere, forse più d'ogni altra pianta coltivata, e anche da acari, batterî, crittogame, ecc.; di queste cause nemiche ne sono state segnalate circa un centinaio e talune hanno una capacità di espansione e di distruzione veramente straordinaria.
La più grave negli Stati Uniti è l'Antonomo del cotone (Anthonomus grandis Boh.), detto dagli Americani boll-weevil "punteruolo", che depone le uova nelle giovani capsule; le larve che si sviluppano ne distruggono il contenuto. È originario del Messico, donde nel 1892 penetrò negli Stati Uniti e, diffondendosi rapidissimamente, ha invaso tutto il cotton belt; l'intensità di moltiplicazione e la rapidità di diffusione di questo insetto si devono al fatto che ogni femmina depone più di 200 uova e che si hanno almeno 5 generazioni all'anno. I danni che produce agli Stati Uniti si calcolano a oltre 100 milioni di dollari all'anno. È stato oggetto di moltissimi studî, ma nulla è valso a vincerlo, né ad arrestarne la marcia. Si è dimostrato molto efficace l'arseniato di calcio Ca3(AsO4)2, polvere bianca velenosa che viene sparsa di notte sulle piante in ragione di kg. 5,6-7,8 per ettaro; però questo trattamento riesce costoso, sebbene si sia anche provato a ridurre la spesa usando aeroplani. Assai più che con questi mezzi artificiali, le devastazioni dell'Antonomo sono spesso limitate dalle vicende atmosferiche sfavorevoli al suo sviluppo.
Di questo coleottero si occupano largamente gli statistici del cotone, che l'osservano con cura in tutte le fasi della sua esistenza, mentre il governo degli Stati Uniti ha impiantato apposite stazioni sperimentali dove si studiano le percentuali della sua sopravvivenza, di stagione in stagione. Accurate statistiche sono anche tenute, relativamente ai danni che esso arreca a ogni raccolto.
Oltre all'Antonomo, sopra ricordato, altri insetti che arrecano danni al cotone negli Stati Uniti sono: Alabama argillacea (cotton worm) ed Estigmene acraea, specie di farfalle le cui larve ne distruggono le foglie; Heliothis obsoleta detto anche cotton boll worm, Uranotes melinus, Prodenia ornithogali, farfalle le cui larve attaccano le capsule; Adelphocoris rapidus e parecchi altri emitteri, che danneggiano anch'essi le capsule; e poi un gorgoglione, l'Aphis gossypii; l'Atta texana, formica tagliatrice di foglie; l'acaro Tetranychus telarius; la Heterodera radicicola, verme Nematode, che cagiona la malattia detta rootknot; il Bacterium malvacearum, che attacca capsule, foglie e fusti, e produce la malattia del blight. Malattie prodotte dai funghi sono: quella detta wilt, dovuta al Fusarium vasinfectum, che attacca le radici; il root-rot, causato dall'Ozonium omnivorum, anch'esso parassita delle radici; il sore skin, specie di cancro alla base dei fusti giovani prodotto da una Rhizoctonia; l'antracnosi o marciume delle capsule, dovuta alla Glomerella gossypii. Le malattie dette shedding of bolls, ossia caduta prematura delle capsule, e rust, sono effetto di disturbi fisiologici che a loro volta vengono determinati da avversità ambientali.
In Egitto il flagello più grave del cotone è dato da una tignola, la Gelechia gossypiella o "verme rosa" (pink boll worm), che attraversa dentro la capsula lo stadio larvale cibandosi dei semi immaturi, e in tal modo distrugge o rende improduttive le capsule attaccate. Anche questo insetto ha una straordinaria facoltà di moltiplicazione. Non esiste alcun mezzo praticamente efficace per combatterlo. Oltreché in Egitto, esso è diffuso in molte altre regioni dell'Africa, e gravissimi danni reca al cotone anche nella Somalia. È penetrato altresì negli Stati Uniti.
Fra gl'insetti che nelle regioni africane danneggiano più o meno gravemente il cotone, oltre al verme rosa sopra accennato, sono da ricordare: gli emitteri del genere Dysdercus (Cimice rossa del cotone) e Oxycarenus hyalinipennis, i quali producono danni ingenti, macchiando e deprezzando la fibra e facendo abortire moltissime capsule; i lepidotteri Earias biplaga e insulana, quest'ultimo da considerarsi come il cotton boll worm d'Egitto; Aletia argillacea, le cui larve sono devastatrici anch'esse delle capsule; il coleottero Syagrus rugiceps, che allo stato adulto mangia le foglie e i germogli giovani, e allo stato larvale sotto terra rode le radici, provocando il deperimento e la morte della pianta.
Non si è concordi nel ritenere se la grave malattia del raggrinzimento delle foglie, che si seccano e cadono, e per cui la pianta si deforma e i fiori abortiscono, sia dovuta a insetti oppure a un malessere fisiologico della pianta, cagionato da condizioni sfavorevoli di suolo o di clima.
Il cotone indiano soffre per l'attacco di un parassita, il verme dei fiori, che però alligna su estensioni non vaste e agisce in misura non eccessiva.
Tra gli agenti atmosferici che più danneggiano la pianta del cotone negli Stati Uniti vi sono le forti gelate o Killing frost (gelata che uccide) e le bufere di vento che producono lo shedding. Il Killing frost, se la pianta è con le bacche ancora pendule, non fa giungere queste a maturazione. Gli statistici tengono accurata nota delle date dei primi Killing frost, regione per regione, e le comunicano man mano al commercio. Lo Shedding è conseguenza di un vento che spira nelle pianure americane e che, quando diventa bufera, danneggia le piante del cotone; quando non arriva addirittura ad estirparle, come talvolta accade, provoca la caduta delle bacche e quindi la scarsità del raccolto e la formazione di bollies.
Bibl.: C. W. Burkett e C. H. Poe, Cotton, Londra 1906; A. Flatters, The Cotton Plant: its Development and Structure, Londra 1906; A. Schmidt, Cotton-Growing in Egypt, Manchester 1911; M. Schantz, Egypt and Anglo-Egyptian Sudan, ivi 1912; G. Mangano, la cotonicoltura nel Mezzogiorno, Firenze 1912; A. Schmidt, Cotton-Growing in the Anglo-Egyptian Sudan, Manchester 1913; A. S. Pearse, Indian Cotton, ivi 1913-1914; G. Bigwood, Cotton, Londra 1918; N. M. Penzer, Cotton in British West Africa, including Togoland and the Cameroons, Murby 1920; J. S. M. Ward, Cotton and Wool, Londra 1921; A. S. Pearse, Brazilian Cotton, Manchester 1921-22; J. Hubback, The Cotton-Growing Countries; Production and Trade, Roma 1922; A. S. Pearse, Cotton in North Brazil, Manchester 1922-23; E. Goulding, Cotton and other Vegetable Fibres, their Production and Utilisation, Londra 1923; A. Howard, Cotton Production in India: A Critical Survey of its Problems, Oxford 1924; W. H. Scherffius e J. Du P. Oosthuizen, Cotton in South Africa, Londra 1924; R. Harding, Cotton in Australia, Londra 1924; G. S. Burnham, Cotton-Growing in the British Empire and Exotic Countries, Londra 1925; G. Griziotti, La coltura e l'industria del cotone in Argentina e l'Italia, Milano 1925; E. Fossati, Il cotone nel Brasile e nel Giubaland e l'emigrazione italiana, ivi; Istituto internaz. d'agricoltura, Problèmes de la culture cotonière, a cura di F. Cortesi, Roma 1922; R. Onor, La Somalia italiana, Torino 1925; G. Scassellati-Sforzolini, La Società Agricola Italo-Somala in Somalia, Firenze 1926.
Rapporti ufficiali: W. Dunstan, Report on Cotton Cultivation in the British Empire and Egypt, 1904; id., Cotton Cultivation in Cyprus, 1905; id., British Cotton Cultivation, 1908; id., Cotton Cultivation in Asia Minor, 1908; id., Present Position of Cotton Cultivation, Parigi 1910; id., Report and Paper on Cotton Cultivation, Parigi 1911; G. C. Dudgeon, History, Development, and Botanical Relationship of Egyptian Cottons, Cairo 1917; W. Himbury, Various Reports on Cotton in Egypt, India, Iraq, Sudan, ecc., Manchester.
Periodi e pubblicazioni speciali: Istituto Internazionale di Agricoltura, Revue internationale d'agriculture, Roma; id., Annuaire international de statistique agricole, ivi; Empire Cotton-Growing Review, Journal of the Empire Cotton Growing Corporation, Londra; Liverpool Cotton Association, Weekly and Annual Circulars; Associaz. ital. fascista degli industriali cotonieri, Bollettino della Cotoniera e Annuario dell'industria cotoniera ital., Milano.
Sgranatura, pressatura, imballaggio.
Sgranatura o ginnatura. - L'operazione della sgranatura (o ginnatura, dall'inglese gin, contrazione di engine "macchina") è la prima operazione meccanica che si compie sul cotone, subito dopo la raccolta. Se la fibra è incapsulata, si usa però fare agire prima la macchina leva capsule (fig. 19).
La prima macchina per la sgranatura del cotone che si sia staccata completamente dai mezzi primitivi già in uso, fu inventata nel 1792 dall'americano Eli Whitney: il brevetto fu firmato il 14 marzo 1794 da Giorgio Washington. L'invenzione di questa macchina diede un grande impulso alla coltivazione del cotone in America e al conseguente suo uso nell'industria tessile.
Sono oggi in uso due tipi di sgranatrici: a rullo (fig. 20) e a sega (fig. 21), le quali hanno lo scopo di separare la fibra dal seme, e di eliminare tutti gli elementi estranei che possono essersi frammischiati alle fibre, quali frantumi di foglie, ramoscelli, particelle di bacca e impurità di vario genere. In un moderno impianto di ginnatura sono installati anche altri apparecchi, in modo che il cotone sia sottoposto a tutte le varie fasi dell'operazione di pulitura della fibra.
La ginnatura prepara la fibra del cotone alla successiva operazione della filatura. Se essa non è fatta quindi con tutte le cautele necessarie, può seriamente danneggiare la fibra, e renderla poco adatta all'uso successivo.
Pressatura. - Il cotone che esce dal gin tende a occupare molto spazio con poco peso; perciò sin dai primissimi tempi, per facilitarne il trasporto, si provvide a imballarlo sotto pressione, in modo da fargli occupare il minore spazio possibile. Il cotone viene compresso negli stessi stabilimenti nei quali ha anche luogo la ginnatura e l'imballatura, mediante apposite presse.
In Egitto la pressatura avviene due volte: una prima volta sul luogo di produzione, prima che la balla sia inviata al mercato di Alessandria. Dopo questa pressatura, fatta idraulicamente, la balla detta alessandrina va sul mercato citato, dove viene controllata e classificata, quindi pressata un'altra volta a vapore. Notevole in questa seconda compressione è il fatto che il cotone tende a riscaldarsi e perciò viene sovente inumidito mediante pompa a getto sottile.
Imballaggio. - Il cotone compresso viene poi avvolto in forte tela di iuta e cerchiato con reggie metalliche, cioè messo in balle, le quali differiscono nelle caratteristiche esterne, nelle misure e nel peso a seconda dei paesi di provenienza.
Il cotone americano viene imballato in balle parallelepipede delle seguenti dimensioni: lunghezza da m. 1,40 circa a m. 1,80 circa; larghezza da m. 0,90 circa a m. 1 circa; altezza da m. 0,45 circa a m. 0,70 circa; cubatura mc. 0,735 circa; peso kg. 225 in media (libbre 500 circa); densità da kg. 370 circa a kg. 400 circa per mc. Il cotone americano però viene anche in parte imballato in balle rotonde, di dimensioni e peso approssimativamente mezzi delle precedenti e con una densità di compressione di circa un terzo superiore.
Il cotone indiano viene imballato in balle parallelepipede delle seguenti dimensioni: lunghezza m. 1,20 circa; larghezza m. o,55 circa; altezza m. 0,45 circa; cubatura mc.0,255 circa; peso kg. 180 in media (c. libbre 400); densità kg. 770 circa per mc.
Il cotone egiziano viene imballato in balle parallelepipede delle seguenti dimensioni: lunghezza m. 1,30 circa; larghezza m. 0,80 circa; altezza m. 0,50 circa; cubatura mc. 0,570 circa; peso kg. 340 in media (c. libbre 750); densità kg. 610 circa per mc. Il cotone somalo viene imballato in balle parallelepipede delle seguenti dimensioni: m. 1,20 × 0,80 × 0,55; oppure m. 1,10 × 1 × o,90; oppure m. 1 × 0,60 × 0,60. Il loro peso è di kg. 120 in media.
Le balle vengono tenute in forma da forti reggie metalliche, i cosiddetti cerchi, che sono applicati in numero di otto o nove sulle balle americane, di dieci o dodici sulle balle egiziane. Nei cotoni indiani, invece, i cerchi sono avvolti a spire su sé stessi, e se ne trovano due o tre per ogni balla. Talvolta la balla indiana è tutta avvolta in un'unica spirale di filo di ferro.
Bibl.: B. P. Dobson, Cotton Gins, ecc., Bolton 1924.
Commercio del cotone sodo
Generalità. - I requisiti in base ai quali si giudica della qualità di un cotone sono il grado, il colore, la lunghezza della fibra e il carattere. L'insieme di questi requisiti vale a determinare la cosiddetta classe del cotone.
Il grado è dato dall'apparenza esterna del cotone e si determina in base alla maggiore o minore lucentezza della fibra, al suo colore più o meno bianco, alla maggiore o minore presenza di particelle della foglia o di altre sostanze estranee, al grado di maturità e di perfezione e alla sua migliore o peggiore preparazione o ginnatura.
Il colore è un altro importante elemento di valutazione dei cotoni. Infatti dalla maggiore o minore bianchezza del cotone dipende la facilità della lavorazione successiva e la possibilità di ottenere dei buoni filati. Il colore della fibra di cotone, come si è visto, varia moltissimo: quello dei cotoni coltivati è generalmente bianco, più o meno candido o tendente al grigio; ma vi sono anche varietà a fibra rossastra, fulva, color camoscio, ecc.
La lunghezza è l'attributo più importante delle fibre. A questo riguardo i cotoni si distinguono in due grandi categorie: cotoni a lunga fibra (long-stapled) e cotoni a corta fibra (short-stapled); si fa anche una classe intermedia di cotoni a media fibra. Sono considerati cotoni a lunga fibra quelli di più di 28 mm., tra i quali tengono il primo posto il Sea Island degli Stati Uniti, l'egiziano Sakellardis e pochi altri; questi cotoni arrivano a toccare e talvolta a superare i 50 mm.; essi però costituiscono appena il 10% della produzione mondiale. Cotoni a fibra media sono quelli di lunghezza tra i 18 e i 28 mm., quali gli Upland degli Stati Uniti e altri, che costituiscono la grande massa della produzione mondiale, il 60% e più. Cotoni a fibra corta finalmente sono quelli al di sotto di 18 mm.: sono dati principalmente dalle regioni asiatiche e costituiscono circa il 20% della produzione totale di cotone. Il diametro o finezza della fibra può variare fra i 10 e i 40 μ; si distinguono al riguardo fibre fine, che son quelle inferiori a 20 μ, fibre grosse, di più di 30 μ, e fibre medie, tra i 20 e i 30 μ.
Il carattere è l'attributo di più difficile determinazione. È un po' connesso con la provenienza, con la varietà, con la maturità e con le vicende colturali e climatiche. Riflette tutto l'insieme del cotone e concorre, col grado e con la lunghezza della fibra, a determinarne il valore tessile in modo ben deciso e definitivo. A ogni modo, un cotone di buon carattere è quello le cui fibre siano al massimo grado forti e robuste, in modo da resistere alla trazione e alla rottura, omogenee e uniformi, così da produrre poca perdita alla lavorazione, e abbiano costituzione fisico-chimica completa, in modo da dare alla massa del cotone spiccata solidità e compattezza, levigatezza e setosità. Si aggiunga quel senso di pienezza, di sanità e di elasticità che si sente nel cotone di buona qualità prendendolo in mano e stringendolo nel pugno, come fanno i pratici.
Per gli scopi ordinarî, a chi ha una grande pratica di cotoni basta uo esame rapido, senza soccorso di strumenti né di misurazioni, per apprezzare le qualità di un lotto. Ma per un esame rigoroso occorre ricorrere ai metodi di laboratorio, facendo con appositi strumenti un grandissimo numero di misurazioni. La lunghezza infatti della fibra in uno stesso campo e in una stessa raccolta varia da una pianta all'altra, e anche nella stessa pianta varia da capsula a capsula, secondo che questa provenga dai rami più bassi o più o meno alti; perfino nella stessa capsula essa varia da un seme all'altro e sul medesimo seme le fibre dell'apice sono sempre assai più lunghe di quelle della base, potendo variare come da 3 a 1; sicché, prendendo tre piante del campo e tre capsule a diverse altezze su ogni pianta, tre semi per capsula, di cui uno all'apice, uno alla base ed uno al mezzo, e finalmente da ogni seme 2 ciuffi di peli all'apice, 2 ai lati e uno alla base, e misurando 30 peli per ogni ciuffo, sono in totale 4050 misurazioni, con approssimazione del mezzo mm. che, al minimo, occorre fare per avere una media sufficientemente attendibile. Per ottenere il diametro medio, occorre un minor numero di misurazioni, poiché la grossezza della fibra varia meno della lunghezza; pure si ha che in un seme il diametro delle fibre aumenta regolarmente dall'apice alla base, che in una capsula le fibre più grosse si hanno sui semi della base e la grossezza diminuisce gradatamente verso l'apice, e finalmente che i peli non sono cilindrici, ma piuttosto irregolarmente conici, cioè con il maggior diametro alla base, sicché occorre prendere anche diversi diametri su ogni pelo. Per misurare la resistenza e l'elasticità vi sono strumenti speciali.
Fra i requisiti in base a cui si giudica del carattere d'un cotone, grande importanza assume quello dell'omogeneità oltre che l'altezza del valore medio dei requisiti stessi nel prodotto d'una piantagione, d'una regione, d'una razza. Un cotone, p. es., in cui il valore medio della lunghezza sia piuttosto basso, ma risultante da dati relativamente uniformi, ha maggior pregio d'un altro in cui questo valore sia più elevato, ma risulti come media tra valori estremi troppo discosti fra di loro. Irregolarità accentuate nel valore dei caratteri della fibra si riscontrano specialmente negl'ibridi di recente formazione, nelle razze nuovamente introdotte da un paese in un altro nel quale le condizioni ambientali siano diverse, e nelle colture provenienti da seme non selezionato.
L'uniformità dei caratteri accennati è condizione fondamentale nella filatura, poiché occorre regolare il complesso macchinario in base alla lunghezza, alla finezza, alla resistenza, ecc., della fibra; se la massa del materiale tessile non è abbastanza omogenea, oltre ad essere di più difficile lavorazione, darà una minore resa di prodotto lavorato. Perciò è necessario che un dato tipo di cotone sia prodotto in masse cospicue perché possa alimentare costantemente un dato genere di lavorazione. E appunto per queste necessità d'indole tecnica, nel commercio del cotone si è resa necessaria la classificazione per grado, provenienza, varietà ecc. dei varî prodotti.
La classificazione è del resto pratica ormai inveterata nel commercio cotoniero, sebbene soltanto da pochi anni siano in vigore esatti criterî per compierla quasi uniformemente in tutto il mondo.
Già sin dal 1800 la classificazione era in uso nel grande emporio cotoniero di Liverpool. Verso la metà, e più ancora verso la fine del secolo scorso, i varî centri commerciali cotonieri d'America e d'Europa avevano stabilito dei tipi di cotone, dalle caratteristiche costanti, chiamati anche standard, che servivano da tipi di confronto e per la denominazione delle diverse qualità di cotone. Gli standard differivano però da centro a centro cotoniero, non soltanto nel nome, ma altresì nelle caratteristiche, anche quando erano intesi a rappresentare lo stesso tipo di cotone. Gli standard stabiliti da Liverpool erano i più usati nel commercio cotoniero internazionale e, sebbene scarsamente conosciuti dalle varie parti contraenti, pure i loro nomi e le loro presunte caratteristiche avevano preso il sopravvento su quelli americani. Di questi ultimi esistevano varie edizioni: quelli di alcuni centri cotonieri più interessati all'esportazione si avvicinavano ai tipi di Liverpool; altri, invece, si attenevano ad altre caratteristiche, più spiccatamente pertinenti alla produzione locale. Comunque, gli standard variavano alquanto da certi luoghi ad altri, determinando un po' di confusione e anche d'incertezza nella contrattazione. A superare questo stato di cose, per quanto riguarda i cotoni americani, ha contribuito notevolmente, in anni recenti, il govemo degli Stati Uniti, decretando la formazione di standard ufficiali. Questi standard, destinati in principio a regolare il commercio interstatale negli Stati Uniti e la consegna dei cotoni alle borse di New York e di New Orleans contro i contratti a termine, oggi per convenzione internazionale hanno assunto valore universale regolando, come sarà detto meglio più oltre, la contrattazione in ogni mercato.
Principali paesi esportatori. - I grandi paesi esportatori di cotone sono: gli Stati Uniti, l'India, l'Egitto; in misura minore l'Argentina, e il Levante. Gli altri paesi produttori forniscono limitatissime quantità, quando non destinano tutta la produzione al consumo locale.
Stati Uniti. - Gli Stati Uniti destinano una larga parte della produzione interna all'esportazione; anzi essi forniscono la gran massa del cotone all'industria europea. L'influenza che il mercato americano del cotone esercita sul mondo è perciò decisiva, sia per quanto riguarda l'andamento dei prezzi, sia per quanto riguarda le disponibilità di cotone. Un raccolto deficitario in America può significare, almeno allo stato attuale delle cose, un grave imbarazzo per tutta la filatura mondiale, considerato che ancora oggi la produzione e il consumo del cotone americano nel mondo raggiungono il 60% del totale.
Classificazioni del cotone. - L'organizzazione commerciale attraverso cui il cotone della confederazione perviene ai consumatori esteri, è una delle più perfette. Il cotone è classificato ufficialmente, sia per grado, sia per lunghezza di fibra e colore. La classificazione più generale si riferisce ai cotoni Upland, ma vi sono anche classificazioni speciali per i Sea-Island di minore importanza, e per i Benders. Alcune delle classificazioni dell'Upland, e precisamente quelle che si riferiscono al grado e al colore hanno, in base a convenzioni internazionali, valore universale, cioè fanno stato nelle contrattazioni estere.
Gli standard di grado furono fissati dal Dipartimento (Ministero) d'agricoltura degli Stati Uniti il 15 dicembre 1914, in base alle caratteristiche del cotone prodotto nei diversi territorî della confederazione. Essi sono per qualsiasi provenienza i seguenti:
Il grado Middling (medio, mediano) sta in mezzo alla graduatoria; i gradi che lo precedono sono i più alti, quelli che lo seguono sono i più bassi. Ogni standard è racchiuso in una scatola di cartone (fig. 25) ed è costituito dai campioni di 12 balle, tutte del medesimo grado. Nell'interno del coperchio della scatola è applicata la fotografia dei campioni, la quale riproduce fedelmente i frammenti di foglie e le altre impurità che possono apparire sulla superficie del cotone, dimostrando la genuinità dello standard mediante la perfetta rassomiglianza della fotografia con l'originale. Lo standard non va assolutamente toccato, pena la nullità. Il cotone che si esamina deve essere solamente confrontato con lo standard, ponendolo in prossimità dello stesso, nelle identiche condizioni di luce e di visuale.
I dodici campioni di uno standard non rappresentano solamente tutte le sfumature di varietà concesse per ogni singolo grado, ma anche le differenze regionali: lo standard, ad esempio, del grado Strict Middling vale per tutto il cotone di quel grado prodotto nei diversi stati della confederazione; però ad onta della larga standardizzazione del prodotto americano, esiste ancor oggi una forte corrente di esperti che patrocinerebbe la costituzione di standard di grado per ogni regione o provenienza principale, e cioè, per esempio, standard dello Strict Middling del Texas, ecc. Uno standard del genere sarebbe però comprensivo del grado e del carattere del cotone, il che, se è desiderabile sotto un certo punto di vista, non sarebbe praticamente attuabile e segnerebbe, ad ogni modo, un ritorno a vecchi sistemi.
Dal 1° agosto 1924 gli standard ufficiali di grado per i cotoni americani, in seguito ad accordi fra le associazioni cotoniere europee e il governo degli Stati Uniti, sono divenuti per il commercio mondiale standard universali obbligatorî.
Gli standard di colore vennero creati con provvedimento del 28 gennaio 1916, e in seguito agli accordi internazionali per gli standard universali di grado, dal 1° agosto 1924 vennero anch'essi resi obbligatorî per il commercio internazionale. Il colore normale del cotone americano è quello rappresentato dallo standard del relativo grado - bianco (white) - e cioè dallo standard color. Ma vi sono anche i seguenti altri standard di colore:
Vi sono inoltre delle sfumature di colore tra gli standard universali di grado e queste colorazioni e fra queste colorazioni stesse (grigio, macchiato, leggermente colorato di giallo), che non hanno i corrispondenti standard ufficiali. Alcune di queste colorazioni intermedie sono consegnabili nei contratti a termine.
I diversi gradi e le diverse colorazioni del cotone servono a stabilirne le variazioni di valore. In pratica questo valore si determina prendendo per base il Middling standard color: il valore dei gradi superiori si esprime in tanti punti ON (sopra"; addizione) sul Middling, e il valore dei gradi inferiori si esprime in tanti punti OFF ("fuori"; sottrazione) dal Middling di base (essendo i cotoni americani quotati in cents e centesimi di cents per libbra, un punto equivale a un centesimo di cents). Lo stesso si dica per i cotoni colorati: il loro valore viene sempre espresso in punti ON oppure OFF rispetto al valore del Middling di base; ma si può anche esprimere in punti OFF rispetto al valore del cotone di ugual grado ma di colore bianco (standard color). Naturalmente, sono valori di estrema variabilità, essendo in stretta connessione con la domanda e l'offerta.
Circa la lunghezza della fibra è da osservare che se sui mercati dell'interno non è sempre tenuta presente e grandi quantitativi di cotone si acquistano a un prezzo medio senza riferimento alla fibra, a mano a mano che il commercio si avvicina al consumatore industriale, essa acquista sempre maggiore importanza e da sola determina in prevalenza il valore. In tutto il secolo scorso e sino a oggi la lunghezza della fibra è sempre stata espressa in varî modi: negli Stati Uniti in pollici e frazioni di pollici; a Liverpool in pollici inglesi; sul continente europeo in millimetri. Non sono misure che si equivalgano e, sotto un certo punto di vista, è quasi un assurdo voler esprimere la lunghezza della fibra facendo ricorso a una misura esatta, dal momento che essa risente delle minime variazioni di temperatura e di umidità dell'ambiente. Il governo degli Stati Uniti ha ritenuto necessario far preparare anche degli standard ufficiali dei diversi tipi di lunghezza della fibra, chiamati standard fisici; tenuto conto delle variazioni naturali della fibra, il confronto tra una determinata fibra e uno standard fisico della stessa darà al competente la giusta sensazione della bontà della fibra esaminata e, quindi, del suo valore commerciale. Il commercio internazionale non ha ancora accettato ufficialmente gli standard ufficiali americani della fibra quali standard internazionali.
Gli Standard ufficiali di tiglio (lunghezza della fibra) vennero emanati e promulgati negli Stati Uniti il 25 ottobre 1918 e nel 1929, in occasione del tentativo di renderli obbligatorî universalmente a partire dal 1° agosto di quell'anno, vennero rinnovati e migliorati. Gli standard di tiglio ufficiali esistenti sono i seguenti: ¾ di pollice, 7/8 di pollice, 15/16 di pollice, 1 pollice, 1 pollice e 1/32, 1 pollice e 1/16, 1 pollice e 1/8, 1 pollice e 3/16, 1 pollice e ¼, 1 pollice e 5/16, 1 pollice e 3/8, 1 pollice e ½; però si usa, ed è ufficialmente ammesso, trattare lunghezze che variano in ragione di 1/32 di pollice, da sotto i ¾, sino, in pratica, ai 2 pollici.
Questi standard, che non vogliono avere nessun riferimento al carattere, sono contenuti in rotoli di carta forte, chiusi ermeticamente alle due estremità, così da costituire dei cilindri. In essi il cotone è fortemente pressato, perché la fibra mantenga quanto più è possibile il suo grado di umidità normale, giacché essa si allunga quando è umida e fresca, e si accorcia e ritorce su sé stessa, quando è asciutta e calda. Anzi, per meglio mantenerla in uno stato presso che normale, lo standard di tiglio viene avvolto in un involucro di carta paraffinata. Uno standard di tiglio per essere considerato veramente rappresentativo della lunghezza della fibra per la quale è stato preparato, deve essere usato in un ambiente con umidità relativa del 65% alla temperatura di 70° Fahrenheit (21°,1 C.).
Oltre che ai caratteri o standard sopraindicati, per bene descrivere un cotone Upland si usa negli Stati Uniti far riferimento alla provenienza: Orleans-Texas, Texas-Oklahoma, oppure Texas, Oklahoma, North Carolina, South Carolina, Georgia, Alabama, Mississippi, ecc. Queste denominazioni acquistano, nei riguardi dell'esportazione, un significato un po' meno preciso che all'origine, sia perché le case esportatrici usano contrattare cotoni di varie provenienze, riservandosi il diritto di consegnarli su uno stesso contratto, sia perché agli effetti della filatura vi sono certe provenienze che possono venire usate indifferentemente, e quindi anche gli acquirenti hanno minore necessità d'una più rigorosa precisazione. Si hanno quindi contratti per consegne di cotoni Orl.-Tex.-Okla., oppure Tex.-Okla.-Ark., oppure ancora Geo.-Ala.-Carolina, o addirittura any port, che significa che si possono spedire cotoni da qualsiasi porto, quindi praticamente di qualsiasi provenienza.
Per il Sea Island, il governo degli Stati Uniti ha preparato due serie apposite di standard: una per i gradi, l'altra per i tigli; i gradi vengono espressi con denominazioni speciali quali: fancy, choice, fine, ecc., seguite dal nome della località. Pur essendovi questi standard, la varietà è però contrattata generalmente su tipi privati. Anche il cotone egiziano o Pima cotton, coltivato in America, ha speciali standard di grado e di tiglio.
Cotoni speciali. - In aggiunta al grado, al colore, al tiglio e al carattere delle diverse varietà, si debbono tener presenti altre condizioni e qualità del cotone americano. Alcune possono venire descritte in termini relativi al carattere, ma la maggior parte sono qualità separate e distinte che riguardano tanto la manipolazione e l'imballatura del cotone, quanto la natura della fibra. Le principali sono le seguenti:
Il reginned cotton ("cotone riginnato") è un cotone che viene passato più di una volta attraverso lo sgranatoio e che, dopo essere stato sgranato, viene sottoposto a un'ulteriore operazione di purificazione e quindi imballato. Si può facilmente riconoscere al tatto dall'apparente sensazione di velluto, dalla sua lanosità e inconsistenza e dalla speciale tinta opaca che si riscontra esaminandolo in buona luce. Qualche volta si riginnano e imballano campioni di cotone, frantumi, spazzature e altri rimasugli della raccolta; ma in generale si usa riginnare i bassi gradi, quando ve n'è grande disponibilità e scarsa domanda, per elevarne il grado e aumentarne il valore. L'appunto che si può fare al cotone riginnato è che fibre di varia lunghezza possono essere facilmente mescolate nella stessa balla. Questo cotone può essere anche rifiutato dal compratore se offerto contro un contratto regolare. Le prove fatte dall'ufficio americano di economia agricola non riuscirono a determinare il valore tessile del cotone riginnato. Comunque, alcune filature lo trovano adatto alle loro esigenze e lo comprano con un forte scarto rispetto al prezzo del cotone regolare dello stesso grado.
Il repacked cotton (cotone reimballato") è costituito di campioni dei produttori, dei sensali o di altri, o di cotoni sciolti o di lotti misti, raccolti e reimballati. È generalmente riconosciuto come un cotone misto e il fatto del suo reimpacco viene facilmente accertato al campionamento. Nei campioni estratti da balle reimpaccate la fibra non si presenta in strati piani come nel cotone normale ma è notevolmente arruffata e in forma di ovatta. Le testate e i fianchi d'una balla reimpaccata hanno l'aspetto d'ovatta in contrasto con gli strati lisci e regolari del cotone normale.
Il mixed-packed cotton ("cotone misto") è costituito dagli avanzi di balle di cotone di differenti gradi acquistati dai ginnatori presso diversi produttori alla fine della stagione e confezionati in balle da 500 libbre. Questo cotone dà una differenza superiore ai due gradi, o equivalente nel colore, tra i campioni estratti dalle testate e dai fianchi di testa e di fondo della balla. Non si attribuisce mai al cotone così imballato un valore maggiore di quello del cotone più basso contenuto nella balla; spesso non è nemmeno valutabile come se fosse cotone uniforme del grado più basso trovato nella balla, perché non tutto il cotone della balla può essere adoperato per la stessa lavorazione. Si può facilmente scoprire il cotone così imballato al semplice campionamento ordinario fatto allo scopo di stabilirne il grado.
Le plated bales ("balle rivestite") contengono nel fondo un sottile strato o placca di cotone di grado e di tiglio differente dal rimanente della balla. Questo difetto è dovuto al fatto che il ginnatore non ha tolto completamente dalle tramogge della gin tutto il cotone d'un produttore, prima d'incominciare a ginnare il cotone che appartiene a un altro produttore. Se il cotone è debitamente campionato da entrambe le parti, si può facilmente determinare la presenza e lo spessore dello strato di cui si tratta nella classificazione.
Il false-packed cotton ("cotone di falso impacco") può contenere: a) sostanze completamente estranee; b) cotone deteriorato nell'interno della balla, senza alcun indizio all'esterno; c) cotone nell'interno assolutamente inferiore al cotone buono dell'esterno, in modo che non si possa scoprire questo fatto per mezzo del consueto esame della balla; oppure d) cotone in piccole falde proveniente dal picking, o limers cacciati dentro la balla. Il falso impacco nel cotone è generalmente difficile a scoprirsi prima che la balla venga aperta in filatura. Quando un esaminatore ha il sospetto che una balla sia falsamente impaccata estrae i campioni dall'interno della balla per mezzo di un succhiello, dalla parte della testata o dalla fiancata. Ormai il caso di cotone falsamente impaccato non è molto frequente, giacché la quasi totalità degli stati cotonieri ha emanato delle leggi che considerano il falso impacco come un reato.
Il water-packed cotton ("cotone impaccato con acqua") è la balla di cotone inzuppata d'acqua durante l'operazione d'imballatura, con conseguente danneggiamento della fibra, o, sebbene apparentemente asciutta all'esterno, nell'interno danneggiata dall'acqua, per essere stata ginnata ancora umida o per essere stata esposta alle intemperie. Se l'acqua è stata aggiunta intenzionalmente durante l'imballatura si tratta di falso impacco. In molti casi però l'acqua proviene dalla condensazione del vapore nella ginneria o dalla fuoruscita d'acqua dai cilindri nella cassa di pressatura, o da una difettosa chiusura della valvola del vapore che è situata nel tubo di sfogo della fibra per essere usata in caso d'incendio.
Il country damage ("danno di acqua dall'interno" trad. letterale: "danno di campagna") è l'avaria o il danno della fibra causato dall'assorbimento di eccessiva umidità dall'esterno, che può derivare dall'esposizione della balla alle intemperie o dall'essere stata deposta su terreno o su pavimenti umidi. Questa avaria (chiamata anche weather damage "danno da intemperie") si distingue facilmente dallo scoloramento delle fibre e dall'indebolimento del loro carattere. Se il danno è eccessivo, le fibre risultano fortemente macchiate e intrecciate insieme rigidamente come un feltro inamidato; in alcuni casi esse perdono perfino completamente l'apparenza di fibre. Balle così danneggiate, per poter esser messe nuovamente in commercio devono venire ricondizionate mediante la completa estrazione (picking) delle fibre danneggiate.
Il mixed staple ("tiglio mescolato") è il cotone in cui la maggior parte delle fibre è di due o più lunghezze diverse. Generalmente questo difetto dipende dal fatto che vengono piantati semi misti, oppure dal fatto che nelle ginnerie vengono mescolati cotoni di diversi tigli.
Il perished staple ("tiglio deperito") è il cotone in cui la forza della fibra è ridotta in misura anormale dall'esposizione alle intemperie, sia prima sia dopo l'imballatura, o dal surriscaldamento o per effetto dell'imballaggio con acqua o per altre cause.
L'immature staple ("tiglio immaturo") è il cotone in cui il processo di maturazione è stato interrotto e le bacche si sono aperte immaturamente, sia per effetto del gelo sia per effetto della siccità. Le fibre immature sono normalmente soffici, deboli, irregolari e il tiglio risulta deperito e guastato in un grado eccessivo.
Bollies è un termine che ha apparentemente diversità di significati nelle differenti sezioni del Cotton Belt. La parola, a ogni modo, è usata soprattutto per distinguere il cotone le cui capsule si sono aperte solo parzialmente per effetto del gelo, e le cui logge sono raccolte assieme con la fibra e soggette a un'operazione di sgusciamento prima di venire ginnate. Il Texas settentrionale e occidentale e l'Oklahoma sono le aree di maggior produzione di questa qualità di cotone che ha una fibra abitualmente immatura, debole e irregolare e quindi basso valore tessile. Altra caratteristica di questo cotone è il colore rossiccio, a volte molto carico, con la presenza di piccoli frammenti delle logge e della capsula.
Gli snaps sono cotoni le cui logge vengono raccolte insieme con la fibra come per i bollies. I più bassi gradi degli snaps non sono tanto facilmente distinguibili dai migliori gradi dei bollies, ma in generale contengono una quantità di fibra più forte e migliore; inoltre, il colore degli snaps è ordinariamente molto meno rosso e può anche essere grigiastro o bluastro o grigio con macchie rosse. A somiglianza dei bollies, gli snaps rappresentano l'ultima raccolta del cotone sul campo; frequentemente, anzi, snaps e bollies sono colti insieme ed è difficile determinare in quale delle due categorie tali cotoni debbano essere collocati.
Sia i bollies sia gli snaps vengono ordinariamente contrattati dal commercio su tipi o campioni effettivi e nell'esame del cotone per la consegna nei contratti a termine i periti dell'ufficio dell'economia agricola non decidono se una balla appartiene all'una o all'altra categoria, ma la classificano conformemente agli standard aggiungendovi una nota particolare.
Grabbots sono i cotoni colti senza cura in qualsiasi momento della stagione; possono contenere una piccola percentuale di capsule rotte che vengono respinte dalle sgranatrici nella sgranatura ordinaria. Si lasciano accumulare queste capsule e questi gusci e alla fine della stagione spesso i ginnatori li mettono nelle macchine come i cotoni bollies. Spesse volte vi aggiungono anche le spazzature della gin. Il prodotto che ne risulta è naturalmente ancora più basso in valore dei bollies.
Il loose ("cotone sciolto") ha pure particolare importanza nel commercio. Ogni qualvolta una partita di cotone è oggetto di trattative commerciali negli S. U., ne vengono estratti dei campioni allo scopo di constatarne la qualità. Questi campioni non vengono rimessi nelle balle dalle quali vennero estratti, ma rimangono nelle mani dell'acquirente il quale, appena ne possiede una quantità sufficiente, le fa imballare e pressare in balle quadrate. Questo cotone viene anche designato col nome di City crop ("raccolto cittadino") e ne viene tenuto conto nelle statistiche appunto sotto questa denominazione. Esso si commercia separatamente da quello regolare, da ditte specializzate, e si denomina anche, impropriamente, Factors' samples. (Factor è il commerciante cui l'agricoltore affida i campioni di cotone per la trattazione della vendita). Non ha naturalmente una qualità ben definita, né un tiglio costante e regolare. Lo si tratta sui tipi o sui campioni reali delle singole partite.
I pickings sono quantitativi di cotone che si ottengono mediante l'operazione del picking (cernita a mano) da partite che hanno subito danni di varia natura, ma soprattutto di umidità (country damage) e sono liberate dalla parte deteriorata, che costituirebbe una continua fonte d'ulteriore danneggiamento. All'uopo si sono costituite delle organizzazioni speciali, chiamate pickeries, che dispongono di spianate dove il cotone viene asciugato al sole e liberato dalla parte danneggiata da operai che eseguiscono l'operazione a mano, con molta accuratezza, mettendo le differenti qualità dei pickings in lotti separati, in modo da reimballarli poi in lotti il più possibile omogenei.
Sottoprodotti. - Grande valore commerciale hanno infine i sottoprodotti del cotone: i cosiddetti linters e i semi. I linters sono costituiti dalla corta peluria che rimane attaccata ai semi dopo la separazione della fibra. Questa peluria si stacca con una seconda energica sgranatura, operazione normalmente eseguita dagli oleifici, prima di sottoporre il seme alla spremitura. I linters non sono cotone regolare e non sono trattati dai commercianti di cotone, ma da commercianti specializzati. Non hanno grado, tutt'al più si distinguono in scelte, prime o seconde. Si ottengono in quantità relativamente piccole (una tonnellata di libbre di seme dà da 35 a 50 libbre di linters, al massimo 80, se la prima sgranatura è stata alquanto trascurata), e il loro ammontare è sempre tenuto distinto, nelle statistiche, da quello del cotone propriamente detto. Servono per imbottitura, per la fabbricazione di ovatte, di filati di titolo basso (stoppini, ecc.), feltri, mezzelane, ecc., oppure per fabbricare la cellulosa, la nitrocellulosa, ecc. Oggi sono molto usati in America per la preparazione della polpa di cellulosa per la seta artificiale più pregiata.
Dai semi del cotone, spremuti, si ottengono l'olio di cotone, le bucce e la polpa. L'olio serve a moltissimi usi, non escluso quello alimentare; le bucce servono da concime ai campi, da alimento per il bestiame e da materia prima per l'industria della fibra, dei cartoni compressi, ecc.; dalla polpa si ottengono panelli (per la spremitura, per l'alimentazione del bestiame, per la tintoria, ecc.), farina (per farne pane e pasticci) e olio greggio.
Organizzazione commerciale. - I commercianti americani di cotone si possono suddividere in tre categorie: local primary buyers ("primi acquirenti locali; acquirenti di prima mano"); intermediate buyers ("acquirenti intermediarî"); export o spinner buyers ("acquirenti per l'esportazione o per la filatura"). I primi ricevono il cotone dalle mani del farmer, o coltivatore, lo campionano, lo esaminano e lo immettono nei canali del commercio. L'intermediate buyer è un mediatore; può anche assumere la fisionomia di un local buyer, o acquistare il cotone da quest'ultimo e venderlo a un esportatore o ad un spinner buyer. Generalmente però questo intermediario rimane tale e opera tra i local buyers e gli export o spinner buyers, comperando dai primi e vendendo ai secondi, su scala abbastanza vasta. Lo spinner buyer prende il cotone dai local e dagl'intermediate buyers da località molto diverse del suo territorio, in lotti di gradi mischiati, così come li prende il local buyer dagli agricoltori; nelle sue transazioni giornaliere compera partite che variano da 10 a 1000 balle e anche più, da ciascuno dei suoi rappresentanti. Il territorio sul quale opera può estendersi su un certo numero di contee, o anche comprendere stati interi o più stati.
Generalmente questi acquisti dall'interno si fanno sui campioni in possesso dei factors, o per lotti misti di grado, che vengono campionati e classificati successivamente. Oggi le case di esportazione si avvalgono tutte di organizzazioni proprie, stipendiando appositi agenti per l'acquisto di cotoni nell'interno, o valendosi dell'opera di agenti che vengono compensati mediante una commissione da calcolare in aggiunta al prezzo da essi pagato per il cotone per conto della casa acquirente. Le più grandi case hanno vere organizzazioni d'acquisto proprie nei più importanti mercati dell'interno. Ma tutte queste operazioni di acquisto sono basate su di un comune elemento, il prezzo del cotone, che è dato dai mercati. In America i mercati sono numerosissimi e trattano tutti il cotone pronto o effettivo. Sono tutti molto bene organizzati, con associazioni cotoniere (Cotton Exchanges) che regolano le condizioni locali e le contrattazioni e pubblicano i prezzi. Ma solo tre mercati trattano i cotoni anche per consegna a termine ("futuri"): New York, New Orleans e Chicago.
Ogni stato e ogni regione cotoniera hanno uno o più punti di concentramento del cotone prodotto nei dintorni. In questi punti di concentramento sorgono magazzini adatti alla conservazione del cotone. I porti principali per l'esportazione del cotone sono attualmente: Galveston, New Orleans, Houston, Savannah, Wilmington, Norfolk. L'ingente prodotto del cotone americano, raccolto tra i primi di luglio e i primi di dicembre, viene per la massima parte commerciato entro dicembre, epoca nella quale v'è la maggiore affluenza di cotone ai porti.
Negli ultimi anni anche negli S. U. e negli stessi stati cotonieri del sud è sorta una vasta organizzazione bancaria, adatta al finanziamento del cotone, sia per l'interno sia per l'estero, togliendo così al mercato finanziario di Londra tutto il movimento delle tratte sui cotoni americani che, sino alla vigilia della guerra mondiale, esso solo svolgeva.
Un aspetto caratteristico dell'attuale organizzazione del commercio del cotone negli Stati Uniti è dato dallo sviluppo del movimento cooperativistico di vendita fra gli agricoltori. Questo movimento, iniziatosi alcuni anni fa in proporzioni modeste, ha assunto oggi un'importanza fondamentale e fa sentire il suo grande influsso sul commercio internazionale. Fino al 1929 si annoveravano fra le associazioni più potenti la American Cotton Growers' Exchange e la Staple Cotton Growers' Co-operative Association, ciascuna delle due accentrante un gran numero di cooperative locali. Queste associazioni ritiravano il prodotto dagli agricoltori, anticipando loro una certa quota del prezzo probabile, e poi lo vendevano sul mercato in concorrenza con le imprese commerciali ordinarie. Per l'anticipo della quota del prezzo ai produttori, le cooperative usavano ricorrere largamente alle banche. Con la costituzione del Federal Farm Board, organismo ufficiale diretto a promuovere, anche attraverso speciali finanziamenti, la vendita diretta dei prodotti da parte degli agricoltori (v. cereali: Commercio) il movimento cooperativistico americano ha ricevuto un ulteriore impulso. Infatti il Farm Board da un lato ha cercato di unificare i varî movimenti cooperativistici locali, favorendo fra l'altro la costituzione di un'agenzia nazionale di vendita del cotone, l'American Cotton Co-operative Association (in sostituzione della soppressa American Cotton Growers' Exchange) che dovrebbe accentrare appunto tutta l'attività delle cooperative locali circa la vendita del prodotto e il finanziamento della produzione; dall'altro lato ha escogitato un sistema di finanziamenti che consente alle cooperative di acquistare il cotone dal produttore, pagandogli un'altissima quota del prezzo, di accentrare il prodotto nei proprî magazzini e di venderlo gradualmente, in modo da non produrre ingorghi di mercato e repentini ribassi di prezzo. È, in complesso, quella del Farm Board una politica di controllo del mercato del cotone, su cui molto si discute attualmente in America.
Il consumo del cotone americano in migliaia di balle effettive, di 500 libbre circa (kg. 225), calcolando le balle rotonde come mezze balle, è stato, negli ultimi anni, il seguente:
India. - Come si è detto, le qualità di cotone indiano differiscono grandemente da regione a regione, pur ripetendo tutte le caratteristiche della varietà asiatica. Perciò, ben più delle indicazioni generiche di grado, come possono essere le seguenti: fine, fully good e good, e in via di eccezione: superfine, ecc., e delle indicazioni di tiglio, come short and rough, short, fair to good, good, silky, che vanno tutte, del resto, sempre completate con l'indicazione della provenienza, nella pratica sono usate le classificazioni commerciali che, col semplice nome della provenienza, indicano tutte le caratteristiche del cotone di cui si tratta.
Una classificazione dei cotoni indiani, accertata e predisposta dal segretariato generale della Federazione internazionale cotoniera, è riassunta qui di seguito:
Broach o Surtee Broach (bianchissimo; buona fibra setosa, con lunghezza da 7/8 a 1 pollice);
Kumta e Dharwar sgranato a sega (giallastro scuro; fibra setosa con lunghezza da 5/8 a 7/8 di pollice);
Westerns (bianchi, talvolta giallastri oscuri; fibra setosa con lunghezza da 7/8 a 1 pollice);
Dhollera (bianco, a fibra setosa);
Oomras o Oomrawatti (con sottovarietà a fibre diversamente lunghe; alcune arrivano da 1 pollice a 1 pollice e 1/8);
Bengals (generalmente a fibra corta);
Sind, Panjab (bianco puro, in alcuni luoghi opaco, a fibra setosa);
Cocanada (bianco, talvolta khaki; a fibra setosa, forte);
Tinnevelly (bianchissimo, talvolta crema);
Tinnevelly americano o Cambogia (alto rendimento unitario; fibra lunga 1 pollice e più);
Northerns (bianchi a fibra forte);
Birman (bianco, spesso misto o khaki, con fibra lunga 7/8 di pollice);
Lyallpur americano (bianchissimo, con fibra lunga da 7/8 a 1 pollice e 1/8).
Queste varietà si suddividono in diverse sottovarietà secondo le provincie, i distretti o anche le città in cui sono coltivate. All'esportazione le diverse qualità di cotone si presentano coi nomi suddetti e soltanto alcune ben distinte gradazioni di Bengals e di Oomras si possono trattare su alcuni standard ben definiti (trattazioni su classe). Le case d'esportazione, poi, generalmente superano ogni difficoltà di descrizione e di riferimento, trattando su tipi privati, numerosissimi, che si contraddistinguono con nomi o con numeri e non hanno alcuna altra indicazione tranne, eventualmente, quella che si tratta di cotone Bengal o Broach o Oomra, ecc.
Il commercio locale del cotone indiano è, ancora oggi, organizzato imperfettamente nonostante gli sforzi delle autorità britanniche locali per migliorarlo. Il cotone viene commerciato in una grande quantità di mercati, per mezzo di sensali e di agenti delle case di commercio e d'esportazione di Bombay. I sensali (che ricevono generalmente la commissione tanto dal venditore quanto dal compratore) fungono talvolta anche da commercianti, accumulando anche notevoli quantità di cotone, per le quali anticipano in tutto o in parte il pagamento ai venditori. Un grande mercato interno è quello di Akola, che riceve i cotoni delle provincie centrali e del Berar. Il cotone vi è portato in seme, perché quei produttori preferiscono venderlo prima della sgranatura; il prezzo di vendita è basato sulla resa in peso che darà il cotone sgranato, senza tener conto delle diverse qualità del cotone e della lunghezza della fibra. In tal modo il produttore si mette volontariamente in condizione di ricevere, per il suo prodotto, un compenso minimo. E questa inferiorità del produttore del cotone, in confronto a tutti quelli che dopo di lui commerceranno il prodotto, è caratteristica e tipica di tutti i paesi produttori. Nel Panjab il cotone è acquistato dal proprietario degli sgranatoi, che poi lo sgrana e ne fa commercio per conto suo. Non esistono qui agenzie di acquisto nell'interno: sono i sensali che acquistano il cotone presso gli sgranatoi per conto delle case commerciali e d'esportazione di Bombay.
Oltre il 50% del cotone indiano giunge direttamente a Bombay; il rimanente affluisce, in gran parte, a Karachi e da qui viene trasportato poi a Bombay. Il cotone, che giunge a Bombay in balle accuratamente pressate veniva un tempo raccolto in immense cataste all'aperto, in una spianata chiamata Cotton Green a Colaba, nella parte meridionale dell'isola su cui sorge la città di Bombay. Quivi tutti i commercianti e le banche proprietarie del cotone tenevano i loro posteggi riservati, chiamati Yaithas, dove accumulavano il loro cotone.
In questo deposito all'aperto aveva luogo anche il mercato del cotone. Gl'Indiani usavano comunicarsi il prezzo del cotone scambiandosi una stretta di mano sotto lo scialle e premendosi sulle nocche delle dita; i prezzi così fissati venivano rispettati, sebbene non comunicati ad alta voce. Più di recente si sono costruiti magazzini per il deposito dei cotoni, in linguaggio indigeno chiamati godowns; essi sorgono in vicinanza dei cotonifici. Inoltre il governo inglese ha incoraggiato la creazione d'istituzioni commerciali per la regolazione del commercio dei cotoni in Bombay quali la Bombay Cotton Trade Association sciolta nel 1919 per l'eccessiva speculazione cui si erano abbandonati i suoi membri, in seguito alla guerra mondiale, il Cotton Contracts Board e infine l'attuale East India Cotton Association.
Il mercato di Bombay (Sewri Market) tratta i cotoni per consegna pronta (effettivi) e per consegna a termine (futuri). Per quanto riguarda i diversi contratti di cotone indiano si deve ricordare che la classe è generalmente divisa in superfine, fine, fully good, good fully, good fair, good fair e che il tiglio è diviso in short and rough staple (da 3/8 a 1/2 pollice), short staple (da 3/8 a 5/8 di pollice), fair to good staple (da 5/8 a 7/8 di pollice), good staple (da 5/8 a 7/8 di pollice), good silky staple (da 5/8 a 11/8 di pollice). Vi sono sette specie di moduli per la stipulazione dei contratti dei cotoni a termine, che coprono le diverse qualità di prodotto. Fra i più importanti sono da ricordare il contratto perfully good machine ginned Bengal, e quello per fully good machine ginned Broach.
Tutte le sette specie di contratti, cui si è accennato, prescrivono scrupolosamente le qualità e provenienze di cotone che si possono consegnare e indicano quali differenze di grado sono tollerate e quali possono essere le stazioni speditrici dell'interno; stabiliscono inoltre i mesi di consegna, le condizioni di pressatura e di tara, il campionamento (sul 5% delle balle), l'arbitraggio di qualità, le condizioni di pagamento, ecc. Il cotone a Bombay viene trattato in rupie per candy (un candy equivale a kg. 254,70) e il contratto minimo è di 100 balle, peso lordo. In Europa si tratta in pence per libbra.
Il consumo del cotone indiano è stato, dal 1925 al 1929, il seguente, calcolato in migliaia di balle di circa 400 libbre (kg. 180 circa) peso lordo:
Tutte le statistiche, però, che riguardano la produzione e il consumo interno del cotone indiano vanno accolte con una certa riserva, perché i dati, per quanto raccolti accuratamente, sono sempre incerti, se non per altro, per la notevole quantità di cotone consumato dall'industria casalinga, e che sfugge a ogni rilevazione.
Egitto. - Le qualità del cotone egiziano si contraddistinguono con denominazioni speciali, lasciando sottintesa l'indicazione Alto o Basso Egitto, perché i pratici la riconoscono già nei nomi stessi. I nomi delle qualità indicano praticamente il grado, il colore e la lunghezza del tiglio. Vi sono anche le sole indicazioni di grado, quali fair, fully fair, good fair, fully good fair, good, ecc., ma non sono usate nel commercio dell'effettivo, e le case di esportazione, poi, usano indicare i loro diversi tipi con dei nomi o dei numeri, tutt'al più indicando se sono Alto o Basso Egitto, o l'una o l'altra delle varietà generiche. Vi sono varietà di colore bianco, di colore gialliccio e brune. Le due principali varietà che si trovano oggi in commercio sono, come si è detto, la Sakellaridis, varietà del Basso Egitto, che dopo il Sea Island è la più apprezzata nel mondo, in diversi tipi che costituiscono anche diversi gradi, e l'Ashmuni, varietà dell'Alto Egitto, conosciuto in commercio anche con tal nome generico e i cui diversi tipi costituiscono anch'essi i diversi gradi delle specialità. Altre varietà di Basso Egitto sono i n'hite, i Maarad, gli Abassi, i Nubari; mentre sono varietà di Alto Egitto i cotoni conosciuti coi nomi di Mit Afifi o Afifi, Zagora, Pilion, Nahda.
Anche dal cotone egiziano si ricava una specie di linter, nota in commercio col nome di scarto o affriti (diavoleriaj a seconda che provenga dai semi riginnati con le sgranatrici a rullo oppure da quelli riginnati con le sgranatrici a sega.
Il commercio locale del cotone egiziano è molto complesso. Vi si dedicano, oltre ai produttori, numerosissimi intermediarî, agenti e commissionarî, specialmente greci. Anche gli stabilimenti di sgranatura commerciano il cotone, acquistandolo dai produttori e sgranandolo per proprio conto.
Le grandi case d'esportazione trattano gli acquisti all'interno anche direttamente con i produttori, specialmente se questi sono grossi produttori. Questo commercio si svolge nei numerosissimi mercati dell'interno, dove in gran parte il prezzo viene basato sulla resa in peso del cotone sgranato. Qui avvengono molti inconvenienti, a danno del fellāḥ, il contadino produttore, tanto che il governo ha cercato in varie guise d'intervenire. Sono stati così costruiti, in numerosi mercati dell'interno, magazzini dove vi sono bilance esatte per la pesatura, classificatori esperti per la classificazione del cotone, listini dei prezzi della borsa di Alessandria per la formazione dei prezzi all'interno.
D0po le vendite di prima mano il cotone viene spedito ad Alessandria dove si concentra tutto il commercio e dove il cotone viene riesaminato definitivamente, classificato e condizionato per l'esportazione. In Alessandria il cotone viene trattato al caratteristico mercato di Mīnet el-Baṣal per consegna pronta e per consegna a termine. Pare che il mercato di Alessandria sia stato il primo mercato del mondo a conoscere la contrattazione in "futuri", che vi sarebbe stata introdotta per la prima volta nel 1861. Certo è che Alessandria è uno dei mercati del cotone più vivaci, e dove la speculazione esercita, talvolta, grande influenza.
Le contrattazioni a termine si basano:
per i cotoni Ashmuni (Alto Egitto) o similari, su contratti che prevedono le classificazioni: fair, fully fair, good fair, fully good fair, good, e i mesi di consegna: febbraio, aprile, giugno, agosto, ottobre, dicembre;
per i cotoni Sakellaridis (Basso Egitto) o similari, su contratti che prevedono le classificazioni: good fair, fully good fair, good extra e i mesi di consegna: gennaio, marzo, maggio, luglio, novembre.
La classificazione fully good fair è la base dei due contratti, nei quali, come si vede, non vien tenuto conto del tiglio.
Per l'esportazione, come avviene per il cotone indiano, le diverse case si avvalgono di tipi privati. Il prezzo in Alessandria si quota in talleri per cantari (un cantaro equivale a kg. 44,93) e l'unità di contratto è costituita da 250 cantari. In Europa il cotone egiziano si tratta in pence per libbra. I porti dai quali si esporta il cotone egiziano sono Alessandria e Porto Said.
Il consumo di cotone egiziano, in migliaia di balle di circa 760 libbre (kg. 340 in media) ciascuna, fu, negli anni 1926-30, il seguente:
Argentina. - L'argentino è un cotone che fa una sempre più seria concorrenza al cotone nordamericano, e che interessa molto la filatura italiana. Si tratta su tipi privati delle singole case esportatrici; ma si presterebbe sin d'ora a una chiara classificazione. Ha il vantaggio, per l'industria tessile in genere, di venire raccolto nei mesi da marzo a maggio, quando il raccolto nordamericano è alla fine.
Levante. - Il cotone levantino è consumato soprattutto dall'Italia. Esso viene posto in commercio sotto il nome di Americano I o II o III per le diverse scelte dello Ianè, e di Adana Prima, Superiore, Extrissima, per le scelte dello Yerli.
Somalia. - Mentre fino a qualche tempo fa l'organizzazione del commercio era in Somalia ancora rudimentale, e il cotone affluiva sui mercati italiani in piccole partite, senza essere selezionato e con una confezione di imballaggio multiforme, di recente si sono introdotti notevoli miglioramenti.
Attualmente un perito speciale denominato "selector" chiamato espressamente dall'Egitto visita tutte le aziende e compie una prima selezione quando il cotone è ancora in bioccoli. Gli operai addetti alla coglitura portano alla cintola sacchi diversi e il cotone viene insaccato a seconda della bianchezza e della lunghezza del tiglio. Una seconda selezione è attuata con la suddivisione del raccolto nei magazzini, per cui il primo e l'ultimo, che corrispondono alle capsule iniziali e alle capsule terminali, vengono tenuti divisi dal raccolto centrale che dà una lunghezza di fibra maggiore. Una terza selezione e ripassatura ha luogo nei magazzini delle aziende ancora prima che il cotone sia inviato allo sgranatoio governativo.
Dopo questo severo esame i bioccoli vengono inviati allo sgranatoio inaugurato alla fine del 1929 a Vittorio d'Africa, dove, sacco per sacco, i cotoni vengono riesaminati e classificati. Dopo di ciò passano in vaste sale di mischia e quindi alla sgranatrice. La fibra risultante viene nuovamente controllata e pressata in balle d'identiche caratteristiche di peso e dimensioni, secondo le norme dei mercati mondiali. Vengono così formate cinque categorie e classificazioni, ognuna delle quali ha la sua marca e il suo campione tipo, perfettamente corrispondente alla partita.
Nella zona di Merca Genale è sorto un ente organizzativo, la Società anonima cooperativa consorzio agricolo somalo, che provvede all'acquisto delle sementi, alla relativa selezionatura, alla vendita dei prodotti, all'acquisto di macchinario e alla tutela di tutti i rapporti economici dei suoi soci. Furono istituiti presso la sede dello sgranatoio, in via provvisoria, i magazzini generali del cotone, che rilasciano fedi di deposito, ottenendo così la possibilità di anticipi bancarî sulla merce.
Le borse cotoni. - L'industria cotoniera europea sentì presto la necessità di regolare l'acquisto del cotone attraverso un mercato bene ordinato e provvisto. Così sorse, sin dal 1842, la Liverpool Cotton Association la quale non ebbe, nei suoi primi anni di vita, altro scopo che quello di provvedere al solo acquisto del cotone americano per i bisogni dell'industria inglese. Essa fu poi, e per lungo tempo, anche l'unico centro di acquisto di cotone americano da parte dell'industria continentale; e in questa posizione le era facile controllare largamente i prezzi.
Con l'andare del tempo anche l'industria americana si sviluppò; il cotone americano venne contrattato più attivamente, la posa del primo cavo telegrafico sottomarino rese facili e rapidi gli scambî dei messaggi, il prezzo del cotone sui mercati interni d'America incominciò a significare qualche cosa anche per Liverpool. Cioè, alcuni accorti commercianti constatarono che potevano, mercé le comunicazioni telegrafiche, comprare in America delle partite di cotone viaggianti o che dovevano ancora venire spedite per essere consegnate a Liverpool alcuni mesi dopo; ossia incominciarono a comperare e a vendere non cotone pronto a Liverpool (già arrivato precedentemente) ma cotone ancora da arrivare (cotton to arrive), da arrivare per una consegna futura (for future deliver); ed ecco nato l'embrione del contratto a termine, per cotone futuro, in contrapposto al contratto per cotone pronto (spot), detto effettivo, perché effettivamente presente, esistente all'atto della contrattazione.
Liverpool fu il primo mercato cotoniero del mondo nel più ampio senso della parola. Fondata l'associazione nel 1842, iniziatesi le trattazioni per cotoni futuri nel 1870, fu un vero emporio del cotone per tutto il secolo scorso e lo è in gran parte ancora. Ad esso affluiva il cotone dall'America, dall'India, dall'Egitto e dalle altre parti del mondo e veniva ridistribuito all'industria inglese e a quelle del continente europeo. Nel 1871 venne fondata la borsa cotoni di New York (New York Cotton Exchange) e nel 1873 quella di New Orleans. A poco a poco sorsero altre borse cotoni in Europa, che dapprima trattarono solo cotoni effettivi e poi anche futuri. Tra esse assursero a speciale importanza quella di Brema, specialmente, e quella di Le Havre.
Come si è detto, nelle borse cotoni, come in genere in tutte le borse merci, si trattano acquisti o vendite di effettivo, cioè di cotone disponibile, o di futuro, cioè di cotone attualmente non disponibile. Diffusissime sono poi nel commercio del cotone le operazioni di copertura in borsa. Sulla tecnica generale di queste contrattazioni v. borsa: Borsa merci; commercio: Commercio a termine.
Particolare cenno meritano le norme adottate da alcune borse cotoni per il regolamento dei contratti futuri. La borsa cotoni di Bombay ha stabilito ben sette tipi di contratti, ciascuno per una qualità di cotone di provenienza diversa, con varie classificazioni in ciascun contratto, di modo che si offre all'operatore quasi la possibilità di coprirsi con un contratto della stessa qualità del cotone da lui scelto o molto similare. Questi contratti non interessano però il commercio europeo, che acquista, come si è già detto, il cotone indiano a prezzo finito, in pence per libbra e tutt'al più, quando vuole coprirsi, si serve del mercato di Liverpool.
I contratti futuri di Alessandria sono due e contemplano le due qualità fondamentali del cotone egiziano, con differenti gradi, che coprono sufficientemente bene le operazioni, tanto sull'Alto quanto sul Basso Egitto. Questi contratti sono un po' più usati anche dalla clientela europea, specialmente in copertura degli acquisti fatti on call (v. oltre, p. 695).
I contratti futuri su cotone americano si praticano e sono disciplinati a New York, New Orleans, Chicago e Liverpool. I contratti di queste borse coprono praticamente tutte le transazioni di cotone americano a termine che hanno luogo nel mondo, specialmente per quanto riguarda più particolarmente il commercio internazionale. Vi sono tuttavia altre due borse cotoni che trattano i futuri americani, e precisamente la Borsa cotoni di Brema e quella di Le Havre; ma solo nei riguardi delle filature dei loro paesi e di quelli viciniori.
Il contratto a termine di New York e di New Orleans contempla il prezzo del Middling Upland 7/8 di pollice, per contratti di circa 100 balle del peso lordo di 50.000 libbre (22.680 kg.) con una tolleranza in più o in meno dell'1%. Se il contratto è liquidato prima della sua scadenza senza dar luogo alla consegna del cotone, si liquidano le differenze sulla base di 50.000 libbre nette e poiché il prezzo è espresso in cents di dollaro per libbra e in punti (centesimi di cents) e la fluttuazione minima è di un punto, ogni fluttuazione d'un punto per libbra corrisponde a 5 dollari per contratto. Alla borsa di New Orleans e a quella di Chicago (in quest'ultima le contrattazioni sul cotone ebbero inizio alla fine del 1924) si trattano anche contratti di 50 balle, ossia 25.000 libbre lorde. Come si è detto (p. 690 seg.), contro i contratti futuri di queste borse si possono consegnare diverse qualità di cotone.
Quando contro un contratto futuro si consegna una qualità diversa dal Middling, che è la base del contratto, si fa luogo ad abbuono a favore della parte venditrice, per il maggior prezzo delle qualità superiori consegnate, oppure si fa luogo ad abbuono a favore della parte compratrice, per il minor prezzo delle qualità inferiori consegnate, prendendo per base la media delle quotazioni per queste qualità nei dieci mercati del Sud indicati all'uopo dal Dipartimento di agricoltura.
Queste disposizioni hanno regolato il contratto sui futuri sin dall'origine. Nei tempi più recenti però, per rendere questo contratto sempre meglio atto a coprire le diverse transazioni di cotone effettivo, s'introdussero miglioramenti nel senso di conteggiare a favore dei venditori che consegnano fibre di 15/16 e 1 pollice o più, il 60% del premio che dette lunghezze comportano, calcolando il premio sulla media delle quotazioni di 6 mercati, e di autorizzare i venditori di cotone contro contratti futuri a consegnare i cotoni anche in altri centri cotonieri, che non siano New York o New Orleans; e precisamente, per New York, anche a New Orleans, Houston, Galveston, Charleston, Norfolk, e per New Orleans, anche a Houston e a Galveston. Per Chicago le consegne hanno luogo a Galveston e a Houston. Il contratto di cotone americano per consegna a termine alle borse summenzionate, fornisce, quindi, sufficiente copertura per quasi tutte le qualità di cotone americano. Esso prevede infatti i premî per un sufficiente numero di gradi e, parzialmente, anche per i tigli, provvede il più ampio possibile stock del mondo a tutela dei contratti, giacché la facoltà di consegnare in tanti e così diversi centri cotonieri del Sud rende possibile di concentrare in tempo relativamente breve i cotoni di cui si avesse bisogno e di consegnarli ai magazzini autorizzati dalle borse a riceverli, e, infine, permette la formazione di prezzi regolari sui diversi mercati, sottraendo il cotone all'obbligo di venir trasferito tassativamente a New York o New Orleans, sotto pena d'un corner come in passato più volte era avvenuto.
Il cotone americano trova inoltre le sue contrattazioni per futuri, come già si disse, anche a Liverpool. Questo contratto contempla pure il prezzo del Middling Upland 7/8 di pollice, per contratti di circa 100 balle del peso netto di 48.000 libbre (21.772 kg.), ma non provvede premî per la lunghezza della fibra. A Liverpool vengono, inoltre, trattati per consegne dal pronto e a termine, anche il cotone egiziano, con due contratti, corrispondenti a quelli di Alessandria, e i cotoni Empire e Miscellaneous, quest'ultimo così chiamato perché comprende varie qualità e provenienze.
Caratteristica dei contratti futuri per cotone americano tanto nei mercati degli stati Uniti quanto a Liverpool, è il fatto che le quotazioni vi vengono fatte per tutti i dodici mesi dell'anno. Tuttavia più specialmente sei mesi servono per le coperture del commercio di tutto il mondo: gennaio, marzo, maggio, luglio, ottobre, dicembre; questi mesi vengono chiamati active months ("mesi attivi") o trading months ("mesi di commercio").
I filatori italiani non hanno ancora organizzato un mercato nazionale del pronto e del termine per servirsene di copertura per i loro affari, e pertanto si valgono dei mercati americani e di quello di Liverpool per le operazioni di cotoni americani, indiani, esotici; mentre si avvalgono del mercato di Alessandria per le operazioni di cotone egiziano.
L'approvvigionamento della filatura italiana. - Mentre in un primo tempo la filatura italiana si serviva esclusivamente del mercato di Liverpool che riforniva di cotone, assieme con Le Havre e con Brema, tutta l'Europa continentale, più tardi essa iniziò anche relazioni dirette con le case esportatrici d'oltremare, mantenendo una spiccata indipendenza da ogni forma di commercio locale per i suoi approvvigionamenti.
L'acquisto del cotone sodo avviene attualmente mediante accordo tra il filatore acquirente con l'agente rappresentante della casa venditrice. Questo accordo verte anzitutto sulla qualità, poi sul prezzo, infine sulle condizioni alle quali il contratto s'intende sottoposto e sul rimborso.
Qualità. - Per i cotoni americani è normalmente indicata con la descrizione dei relativi gradi e tigli, usando la denominazione degli standard americani; per i cotoni indiani, con la descrizione del grado per i due tipi fondamentali di Bengal Fine e Oomra e con la denominazione dei varî tipi di ogni casa; per gli argentini, ugualmente; e per gli altri cotoni, parte con la denominazione della provenienza, parte con denominazioni commerciali, quali: prima (sottinteso, qualità o scelta), extra, extrissima, oppure superiore, inferiore, ecc. Quando l'acquisto viene fatto sulla descrizione, le parti contraenti si riferiscono agli standard in uso per la stessa. Quando invece l'acquisto è basato su un determinato tipo, l'eventuale differenza riscontrata all'arrivo va regolata in base al confronto con questo tipo opportunamente sigillato dall'agente della casa venditrice e che è in mano del compratore.
I cotoni all'arrivo vengono pesati e i rappresentanti del compratore e della casa venditrice redigono una nota dei pesi, che verrà poi presa a base per i regolamenti dell'eventuale differenza di peso. Quindi si estrae da tutte le balle della partita per i cotoni americani (dal 10% delle balle per tutti gli altri cotoni) un campione, cosiddetto di arbitraggio. Cioè, quando un compratore avesse da muovere osservazioni sulla qualità del cotone ricevuto, e non riuscisse ad accordarsi con la casa venditrice per ottenere un equo abbuono di prezzo, detto compratore dichiarerà di ricorrere all'arbitraggio, cioè di sottomettere i campioni all'esame dei periti della Camera arbitrale di Milano (per il suo funzionamento, v. sotto) o di Liverpool o di Brema, secondo quello che a suo tempo è stato stipulato in contratto.
Prezzo. - Un secondo punto della compravendita riguarda la fissazione del prezzo. Questo può essere espresso in forma definitiva, cioè in tante unità di misura di moneta estera per libbra, o nazionale per kg.; oppure può essere espresso mediante una formula che indica un premio o uno scarto sopra una determinata posizione di quei futuri quotati in una delle diverse borse mondiali del cotone che vengono presi a base per la formazione dei prezzi.
Quando il cotone è acquistato alla condizione detta on call, s'intende che la fissazione del prezzo va rimandata a epoca ulteriore a richiesta del compratore. Questo contratto è l'abbinamento d'un contratto d'acquisto di cotone effettivo con la contemporanea vendita d'un uguale quantitativo di cotone a termine. Cioè l'acquirente, non avendo da contrapporre l'acquisto a una vendita di filato precedentemente fatta, acquista il cotone allo scopo di tenersi approvvigionato di materia prima, e pertanto non vuole correre l'alea di fissarne il prezzo, specialmente se prevede dei ribassi. Si assicura, quindi, soltanto la qualità del cotone che gli necessita, per l'epoca prescelta, e in quanto al prezzo fissa soltanto quel premio, chiamato ON e quello scarto, chiamato OFF, a cui la casa venditrice è disposta a cedere il cotone sopra un determinato contratto a termine. Praticamente avviene questo: che la casa venditrice acquista per il filatore, a prezzo finito, il cotone da questo richiesto, o glielo cede dal suo stock, e contemporaneamente vende sul mercato a termine su cui si basa il prezzo, una corrispondente quantità di cotone, ossia gli fa una copertura (hedge). Per maggiori particolari tecnici su queste operazioni v. borsa: Borsa merci; commercio: Commercio a termine.
Condizioni. - Un terzo punto importante preso in considerazione all'atto della compravendita è costituito dalle condizioni a cui il contratto s'intende sottoposto. Generalmente il filatore italiano acquista il cotone per una determinata epoca d'imbarco dai porti dei paesi produttori, alle condizioni cif (vedi c. i. f.) o costo nolo. In questo secondo caso l'assicurazione viene coperta dal compratore. I cotoni di tutte le provenienze vengono acquistati alle condizioni di peso netto, e pertanto entrano in considerazione le varie tare relative alle diverse provenienze dei cotoni.
In generale è da osservare che le condizioni dell'assicurazione e della resa in peso vanno disciplinate dai regolamenti che vigono sui mercati dedotti in contratto per arbitraggio di qualità, cioè se si vende del cotone con la clausola "arbitraggio di Milano o Liverpool o Brema", s'intende che tanto le condizioni generali di contratto, quanto le differenze di peso e di qualità, vanno interpretate e liquidate a seconda delle regole che vigono in quei mercati. In Italia, dopo l'adozione dell'arbitraggio di qualità di Milano, era invalso l'uso di suddividere, talvolta, il regolamento del contratto tra due borse o mercati; p. es., con la dizione: "Regolamento di Milano e arbitraggio di Liverpool. Ciò voleva dire che tutte le condizioni di resa del cotone e le interpretazioni delle clausole del contratto erano regolate secondo il regolamento di Milano, mentre l'eventuale arbitraggio di qualità doveva tenersi a Liverpool. Ma questa consuetudine ormai è completamente scomparsa, e i contratti si stipulano con la clausola "Regolamento e arbitraggio di Milano".
Rimborso. - Il rimborso, o pagamento, degli acquisti di cotone avviene normalmente per il tramite bancario. Cioè il compratore fa aprire, mediante la sua banca finanziatrice italiana, un credito a favore della casa venditrice, a New York, per l'acquisto di cotoni americani, a Londra, per l'acquisto di cotoni d'altre provenienze. Le condizioni cui sono subordinati i rimborsi di cotone sono ormai ridotte al minimo delle esigenze, sia da parte delle case esportatrici, sia da parte delle banche finanziatrici. I crediti sono normalmente non confermati, escludono la responsabilità bancaria per la veridicità dei documenti, e lasciano anche molta latitudine circa i termini consuetudinarî che indicano l'epoca d'imbarco, la suddivisione delle spedizioni, il viaggio diretto o indiretto, il porto d'imbarco o di destino, ecc.
L'approvvigionamento del cotone dal pronto. - Si è notato altrove che molti filatori europei usano acquistare il cotone dai mercati nazionali che lo importano in precedenza, avvalendosi all'uopo delle vecchie e accreditate organizzazioni commerciali cotoniere di Liverpool, Manchester, Brema, Amburgo, Le Havre, Gand, ecc.
In Italia, invece, l'acquisto dal pronto ha avuto finora in gran parte carattere di eccezionalità o di ripiego dovuto a cause occasionali e impreviste. Si può dire che esso sia stato promosso e attuato dall'intelligente iniziativa di alcune case estere che portarono il cotone in Italia, in consegna, a tutto vantaggio degli acquirenti.
La Camera arbitrale di Milano. - La Camera arbitrale di Milano fu costituita nel 1925, dopo lunghe trattative fra l'Associazione italiana fascista degli industriali cotonieri, l'American Cotton Shippers Association e il Dipartimento di agricoltura degli Stati Uniti. Il complesso delle norme riguardanti questa Camera e il commercio del cotone sodo in Italia è raccolto nel "Regolamento della Camera arbitrale e delle condizioni generali per la compravendita di cotoni sodi". Questo testo è oramai accolto dagli esportatori americani e dagl'importatori italiani quale unico regolamento dei loro rapporti contrattuali. Parte integrante di detto regolamento si possono ritenere i moduli di contratti, compilati e raccomandati dalla Camera per le transazioni in cotoni sodi.
La Camera ha esercitato funzioni d'arbitraggio per i cotoni americani, ma data la sempre crescente importanza delle importazioni di cotoni egiziani e indiani e anche d'altre provenienze, essa ha allo studio l'istituzione, anche per i cotoni di queste provenienze, d'un regolare arbitraggio di qualità. L'arbitraggio di qualità che la Camera suole compiere può essere di prima o seconda istanza. Per l'arbitraggio di prima istanza entrambe le parti nominano il loro perito di fiducia scegliendolo dall'elenco ufficiale degli arbitri e indicandone il nome alla Camera arbitrale. I periti così nominati procedono all'esame del campione d'ogni singola balla in confronto con gli standard ufficiali di grado e di tiglio o col campione di vendita e stabiliscono le eventuali differenze sulla base del bollettino delle "differenze settimanali fra le varie qualità di cotoni americani", pubblicato dalla Camera arbitrale. Se i periti non si accordano sul giudizio da esprimere sulla partita richiedono l'intervento di un terzo arbitro, la cui decisione, che deve sempre rimanere entro i limiti già proposti dai primi due arbitri, è definitiva, per la prima istanza.
Quando una delle due parti non è soddisfatta del giudizio di prima istanza, può, entro sei giorni, ricorrere in appello, all'esame del quale provvedono tre arbitri. Uno è sempre il rappresentante dell'American Cotton Shippers Association; gli altri due sono convocati, secondo un turno settimanale segreto, dal comitato direttivo, che ne sceglie uno tra i quattro rappresentanti dei venditori e uno tra i quattro rappresentanti dei compratori. In questo secondo arbitraggio si procede segretamente. Gli arbitri conoscono solamente la qualità della partita da esaminare, e il responso di prima istanza. Essi esaminano la partita ed esprimono il loro giudizio che ha carattere definitivo.
Dati d'importazione. - I quantitativi di cotone delle varie provenienze consumato in Italia negli anni dal 1913 al 1930, risultano dalla seguente tabella:
Il valore del cotone greggio importato è stato di 3343 milioni di lire nel 1925, di 3005 nel 1926, di 1762 nel 1027, di 2186 nel 1928, di 2201 nel 1929, di 1444 nel 1930. I porti maggiormente interessati al traffico del cotone sono in primo luogo Genova, poi Venezia, Napoli, Trieste, Livorno, Genova, Venezia e Trieste hanno anche un notevole movimento di transito.
Bibl.: F. H. Bowman, Structure of the Cotton Fibre, Londra 1908; H. L. Moore, Forecasting the Yeld and Price of Cotton, Londra 1917; H. D. Henderson, Cotton Control Board, Oxford 1922; T. Thornley, Modern Cotton Economics, Londra 1923; W. H. Hubbard, Cotton and the Cotton Market, Londra 1927; M. D. C. Crawford, The Heritage of Cotton, the Fibre of Two Worlds and Many Ages, New York 1925; C. Stewart, Cotton Futures: What they are, and How they work in Practice. Cotton Exchange Buildings, Liverpool 1925; J. A. Todd, The cotton World, Londra 1927. Pubblicazioni periodiche: Istituto internazionale di agricoltura, Annuaire international de statistique agricole, Roma; International Federation of master Cotton Spinners' and Manufacturers' Associations, International Cotton statistics, Manchester; id., Bulletin, ibid.; United States Bureau of Census, Cotton Production, Supply, and Distrib., Washington; Liverpool Cotton Association, Weekly and Annual Circulars, Liverpool; Associazione italiana fascista degli industriali cotonieri, Annuario dell'industria cotoniera italiana, Bollettino della Cotoniera, Milano; G. Mortara, Prospettive economiche, Milano, Jone's Annual cotton handbook, Londra.
Filatura.
Titolo dei filati. - In generale il titolo di un filato è un numero che rappresenta una relazione tra la sua lunghezza e il suo peso; esso può riferirsi a un peso fisso e a una lunghezza variabile, oppure a una lunghezza fissa e a un peso variabile. Per i filati di cotone il titolo o numero è basato sul peso fisso e sulla lunghezza variabile.
Generalmente si usa il titolo inglese, che ha per base il peso fisso di 1 libbra inglese (kg. 0,453) e la lunghezza, per il numero 1, di 840 yard (m. 768) che è l'unità di lunghezza chiamata matassina: quindi, p. es., 1 libbra di filato del n. 2 misura 1680 yard (m. 1536), cioè due matassine. Un titolo in questo sistema indica quante volte occorrono 840 yard di filato (equivalente a 1 matassina) per fare il peso di una libbra. Il titolo francese ha per base il peso fisso di 500 grammi e la lunghezza per il n. i di 1000 metri: quindi g. 500 di filato del n. 2 misurano 2000 metri. Il titolo internazionale o chilogrammetrico o anche semplicemente metrico, ha per base il peso fisso di 1000 grammi e la lunghezza per il n. 1 di 1000 metri.
Si riscontra quindi per il cotone che più il titolo è alto più il filato è fino e cioè il titolo è inversamente proporzionale al peso.
Le relazioni tra i diversi sistemi di numerazione sono le seguenti: dato il numero metrico d'un filato, per trovare il numero francese corrispondente si divide il numero metrico per 2; per trovare il corrispondente numero inglese si moltiplica il numero metrico per 0,59; dato il numero francese d'un filato, per trovare il corrispondente numero metrico, si moltiplica il numero francese per 2; per trovare il corrispondente numero inglese si moltiplica il numero francese per 1,18; dato il numero inglese d'un filato, per trovare il corrispondente numero francese si moltiplica il numero inglese per 0,85; per trovare il corrispondente numero metrico si moltiplica il numero inglese per 1,69.
Titoli accoppiati. - Se si accoppiano più fili dello stesso numero o titolo, il titolo risultante si ottiene dividendo il titolo del filato unico per il numero dei fili riuniti. Così p. es. il titolo risultante dall'accoppiamento di 3 fili del titolo 36 è uguale a 12.
Se si accoppiano più fili di numero o titolo diverso, il titolo risultante si ottiene dividendo l'unità per la somma delle frazioni ottenute dalla divisione dell'unità per i singoli titoli dei filati riuniti. Così p. es. se si volesse determinare il titolo del filato risultante dalla riunione di 3 filati rispettivamente del titolo 12-18-32 si avrebbe:
Mischia. - Ha lo scopo di scegliere le qualità di cotone e le partite da mescolare più adatte al filato da produrre. La composizione delle mischie è compito delicato e per il quale occorre esperienza; una partita di cotone è quasi sempre differente da un'altra, anche se della stessa provenienza e qualità; spesso non corrisponde nemmeno ai dati prescritti; occorrono quindi selezioni ed eliminazioni per mantenere una certa omogeneità. Sovente per diminuire il prezzo della materia prima si rende necessario mescolare tra loro qualità diverse di cotone i cui valori sono sensibilmente disuguali. Nel locale della mischia si devono avere tanti scomparti isolati (camere di mischia) quante sono le mischie usate. La mischia viene effettuata meccanicamente; solo nelle piccole filature essa viene ancora fatta a mano.
La prima macchina usata è l'apriballe (fig. 27) che ha lo scopo di aprire le falde pressate di cotone, scomporle in fiocchi, e iniziare nel medesimo tempo una mischia. Questi fiocchi di cotone per mezzo di tele senza fine (graticci) o di tubi ad aspirazione d'aria, vengono mandati nella camera di mischia stabilita. In questi ultimi tempi il sistema più in uso è quello della mischia pneumatica (fig. 28) che presenta vantaggi tecnici e igienici, poiché viene in grandissima parte eliminato il pulviscolo dei locali.
Apritura. - Ha lo scopo di aprire e spolverare i fiocchi di cotone prelevati dalle camere di mischia e di liberarli dalle impurità più grosse, quali: semi, bottoni, guscette, terriccio, ecc. Si pratica a mezzo di apritoi, macchine che si basano tutte sul principio di sbattere violentemente i fiocchi di cotone contro superfici formate da sbarre appositamente regolate (griglie) obbligando le impurità pesanti a uscire attraverso le stesse. I fiocchi di cotone resi aperti e soffici da questa operazione, che in generale è sussidiata dall'azione di ventilatori, vengono trasportati in determinate direzioni dalla corrente d'aria.
Esistono diversi tipi di apritoi. I principali sono: gli apritoi verticali (fig. 29), gli apritoi orizzontali, tra i quali il più comune è il porcospino, il più perfezionato e moderno l'apritoio orizzontale tipo Buckley (figure 30 e 35), gli apritoi pneumatici (fig. 31).
L'alimentazione degli apritoi viene fatta a mezzo dei caricatori automatici (fig. 32) ai quali in generale si aggiunge una tavola di alimentazione per facilitare il trasporto dei fiocchi di cotone dalle camere di mischia al caricatore. Il cotone, già dosato dal caricatore, a seconda della qualità e del grado di pulizia, passa automaticamente, mediante apposite tubazioni, in diversi tipi di apritoi tra loro accoppiati. Tra queste tubazioni sono generalmente inseriti degli organi di pulitura, chiamati casse a polvere. Recentemente però e con ottimi risultati si è inserita tra queste tubazioni una nuova macchina chiamata turbo-pulitore (fig. 33) che arieggia e migliora l'apertura e la pulizia dei fiocchi di cotone asportandone polvere, guscette e fibre deficienti e corte.
L'ultimo degli apritoi deve essere munito di apparecchio per la formazione delle ovatte o tele, le quali, oltre a rendere facile il trasporto della materia alle macchine seguenti, si prestano a verificare se ogni unità di lunghezza abbia un determinato peso. L'uniformità delle tele è ottenuta mediante l'apparecchio di regolazione (regolatori di pedali) di cui uno o più apritoi sono muniti.
Le impurità pesanti (bottoni e semi) cadono in appositi scomparti delle macchine (sottogriglie); quelle più leggiere (fibre morte, pulviscolo) vengono avviate in apposite condutture, generalmente sotterranee, che vanno a sboccare in un vasto locale chiamato camera della polvere, che a sua volta è in comunicazione con una torretta di sfogo.
Battitura. - La battitura ha lo scopo, oltre che di continuare l'apertura dei fiocchi di cotone e la loro pulitura, di rendere più uniforme e omogenea la distribuzione delle fibre nelle ovatte o tele, accoppiandone e stirandone contemporaneamente un certo numero in modo che le tele uscenti dal battitoio (fig. 34) vengano ad avere un peso costante in relazione a una lunghezza stabilita.
L'organo principale della macchina è l'aspa che può essere a due o a tre regoli e la cui velocità varia da 900 a 1300 giri al minuto primo. A seconda della qualità del cotone, del grado di apertura e di pulizia e dell'insieme delle macchine d'apertura, si fanno uno o due passaggi ai battitoi; di questi, il primo viene chiamato battitoio sgrossatore, il secondo battitoio finitore. Nel caso dei due passaggi, le ovatte provenienti dall'apritoio vengono disposte in numero di 3 o 4 sulla tavola d'alimentazione del 1° battitoio, le tele o ovatte uscenti da quest'ultimo vengono disposte ancora in numero di 3 0 4 sul 2° battitoio. Le tele uscenti dal battitoio finitore e che per mezzo dell'arresto automatico hanno una lunghezza fissa (generalmente la lunghezza si tiene da 30 a 36 metri) vengono subito pesate su apposita bilancia per controllare se il loro peso (con una tolleranza in più o in meno di circa grammi 100) corrisponda a quello stabilito. Se il peso è regolare le tele passano alla cardatura; nel caso contrario vengono scartate e ripassate allo stesso battitoio, provvedendo subito alla correzione dell'alimentazione, mediante il regolatore.
In relazione al titolo del filato da produrre si stabilisce il titolo, e quindi il peso corrispondente per metro, della tela uscente dal battitoio. I dati più in uso sono i seguenti:
Le tele uscenti degli apritoi si tengono sempre di circa il 20-25% più pesanti di quelle dei battitoi.
Batteria. - L'insieme delle macchine di apertura: caricatrice, porcospino, crighton, apritoio orizzontale, 2 battitoi, costituisce una batteria. Una batteria può produrre circa kg. 2400 in 8 ore di lavoro.
In questi ultimi tempi le batterie sono state molto perfezionate con l'aggiunta di caricatori automatici, di apritoi orizzontali tipo Buckley con griglie prolungate e dotati di regolatori sensibili, che permettono oltre che un miglior trattamento del cotone, maggior pulizia e regolarità quasi perfetta delle tele o ovatte (figg. 30 e 35).
Le operazioni di apertura e battitura comunemente in uso per le diverse qualità di cotoni sono le seguenti:
Cotoni indiani: apriballe; apritoio verticale (crighton); mischia; caricatore automatico; apritoio orizzontale (porcospino); apritoio verticale (crighton); turbo-pulitore; apritoio pneumatico accoppiato con apritoio orizzontale munito di apparecchio per la formazione dell'ovatta; 1° battitoio (sgrossatore); 2° battitoio (finitore).
Cotoni americani: apriballe; mischia; caricatore automatico; apritoio orizzontale (porcospino); turbo-pulitore; apritoio pneumatico accoppiato con caricatore automatico e apritoio orizzontale con regolatore e munito di apparecchio per la formazione dell'ovatta; 1° battitoio.
Cotoni egiziani: apriballe; mischia; caricatore automatico; apritoio orizzontale; cassa a polvere; apritoio pneumatico; 1° battitoio.
Cotoni Sea Island: mischia (generalmente a mano); caricatore automatico; apritoio con regolaton e apparecchio per la formazione dell'ovatta.
Cardatura. - Ha lo scopo di aprire completamente i fiocchi di cotone separando le singole fibre; di eliminare le rimanenti impurità, quelle cioè che per il loro piccolo peso e perché fortemente attaccate alle fibre non hanno potuto essere asportate dagli apritoi; di togliere le fibre più corte, rotte o deteriorate dalle precedenti operazioni; di trasformare infine l'ovatta proveniente dal battitoio in un nastro quanto più uniforme possibile, nel quale le fibre si trovano ad essere raddrizzate, separate e pulite.
La cardatura si opera con carde a cappelli giranti (fig. 36) e con carde a cilindri (fig. 37). Nelle carde gli organi sono muniti di guarnizioni speciali, varianti a seconda della qualità del cotone da lavorare, e che vengono montate con apposite macchine.
La carda a cappelli giranti è quella maggiormente usata. Essa viene costruita in diverse larghezze (la larghezza è misurata sulla guarnizione): 38 pollici (m. 0,965), 40 pollici (m. 1,016), 45 pollici (m. 1,143), ma per diverse considerazioni quelle da 38 e 40 pollici sono le preferite. Il numero dei cappelli, che hanno tutti una larghezza di mm. 35, è generalmente di 106-110; di questi una serie di 42-43 è costantemente cardante. Fino a pochi anni fa le carde a cappelli venivano costruite e fornite esclusivamente da case estere, specialmente inglesi, mentre oggi vengono ottimamente costruite anche in officine italiane; ultimamente si sono intensificati studî e prove su queste macchine così da crearne un nuovo tipo con migliori risultati di pulizia, di cardatura e di regolarità (fig. 38).
La carda ha grande importanza nella filatura, perché dal suo lavoro dipende in massima la bontà del filato che verrà prodotto. Gli organi principali d'una carda da cotone sono: la tavola d'alimentazione, l'introduttore, il gran tamburo, i cappelli giranti, lo scaricatore, il pettine, il raccoglitore.
Pulitura delle carde. - Durante il lavoro di cardatura, tra i denti delle guarnizioni del gran tamburo, dello scaricatore e dei cappelli, si depositano le piccole impurità contenute nel cotone (guscette, fibre corte, bottoncini, fiocchetti, ecc.), che è necessario asportare per mantenere in ottime condizioni gli organi cardanti. Perciò, dopo un certo periodo di tempo, calcolato a seconda della qualità del cotone che la carda lavora, bisogna provvedere alla pulitura di tali organi. Questa pulitura deve in ogni caso avvenire prima che le guarnizioni siano sature d'impurità per evitare di rovinarle e di avere un prodotto male lavorato e contenente cascami. Essa si può effettuare meccanicamente o pneumaticamente: meccanicamente, facendo uso di spazzole cilindriche munite di guarnizioni speciali a denti lunghi e flessibili che si fanno entrare tra i denti della guarnizione da pulire (avendo l'avvertenza di non toccarne la fondazione) e si fanno girare con speciali dispositivi già applicati alla macchina e a velocità maggiore degli organi da pulire; oppure con spazzole piane, formate da una tavola con manico ricurvo e sulla quale viene applicata la guarnizione (cardine), che vengono usate a mano e quando l'organo da pulire è fermo; pneumaticamente, succhiando mediante forte aspirazione tutte le impurità che si accumulano tra i denti delle guarnizioni del gran tamburo e dello scaricatore durante la cardatura. Si usano o apparecchi speciali fissati su ogni carda, o apparecchi mobili; in ambedue i casi la pulitura consiste nell'avvicinare alle guarnizioni da pulire un tubo nel quale è promossa una forte aspirazione d'aria, originata da speciale impianto; le impurità così succhiate seguono la corrente d'aria e attraverso tubazioni vanno a raccogliersi in apposito recipiente donde con facilità vengono levate. Questi moderni impianti pneumatici presentano diversi vantaggi di lavoro e d'igiene; la pratica però consiglia che, almeno una volta al giorno, si faccia ancora la pulitura con spazzola cilindrica.
Molatura delle guarnizioni. - Dopo un certo periodo di lavoro della carda è necessario che le guarnizioni del gran tamburo, dello scaricatore e dei cappelli vengano molate affinché sia di nuovo resa uniforme la superficie di esse e taglienti le punte dei denti. Tale operazione si compie con mole a cilindro e mole a disco viaggiante, le quali non sono altro che cilindri di ferro perfettamente torniti, calibrati e centrati, rivestiti poi di nastro a smeriglio. Le mole vengono applicate su appositi supporti registrabili, fissati sull'incastellatura della carda, che è pure dotata di organi per il loro movimento. La molatura richiede molta cura e in generale viene affidata a personale specializzato (molatori).
La carda può produrre da kg. 25 a 60 in 8 ore a seconda del titolo e della qualità del cotone che lavora. Assorbe una potenza di HP 1-1½. Il nastro prodotto da essa può seguire due correnti di lavorazione, a seconda che si voglia ottenere filato pettinato o filato cardato.
Pettinatura. - Ha lo scopo di ultimare la pulitura, di raddrizzare, mettendole parallele, le fibre raggiungenti una determinata lunghezza eliminando quelle più corte.
L'operazione si compie a mezzo delle pettinatrici (fig. 39). I nastri però, prima di passare a queste macchine, vengono accoppiati e stirati in modo che la teletta destinata ad alimentarle sia uniforme. L'accoppiamento si ottiene con la riunitrice (fig. 40) che può accoppiare da 14 a 24 nastri formando una teletta. Parecchie di queste telette, generalmente 6, passano poi allo stiratoio riunitore (fig. 41), che ha lo scopo di stirarle e di riunirle in una sola di spessore uniforme, nella quale appunto le fibre incominciano a disporsi parallelamente.
L'assortimento di pettinatura comprende generalmente 1 riunitrice, i stiratoio riunitore, 6 pettinatrici. Ogni pettinatrice può essere di 6 o di 8 teste. Una testa produce da kg. 3 a 6, in 8 ore di lavoro, a seconda della qualità del cotone da pettinare, del titolo e della percentuale di cascame che si desidera ottenere. La percentuale di cascame viene determinata senza pesature e conteggi, da una bilancia speciale chiamata bilancia differenziale. La potenza assorbita da una pettinatrice a 6 teste è di circa HP 1.
Stiratura. - Nelle lavorazioni descritte lo scopo principale è stato quello di aprire e pulire i fiocchi del cotone, d'isolare le fibre togliendone tutte le impurità, di scartare le fibre più corte e di formare dei nastri, più o meno uniformi, nei quali le fibre scelte vengano a disporsi in diversi sensi, ossia incrociate e intrecciate tra loro. Per facilitare le lavorazioni successive è necessario però sottoporre questi nastri a una nuova operazione, la stiratura, la quale, oltre che disporre parallelamente le fibre orientandole nel senso della lunghezza, abbia a dare un nastro regolare e di titolo costante.
Tale operazione si compie con lo stiratoio (fig. 42), macchina che ha il semplice scopo di accoppiare e stirare più volte i nastri provenienti dalla carda o dalla pettinatrice. Il numero delle volte che i nastri si fanno passare allo stiratoio varia da 2 a 4, a seconda della qualità del cotone che si lavora. In generale però i passaggi sono 3 per i nastri provenienti dalla carda e 2 per quelli provenienti dalla pettinatrice. L'accoppiamento dei nastri si compie in numero di 6 o di 8 e lo stiro equivale all'intensità dell'accoppiamento; praticamente però si tiene di poco superiore.
Ogni stiratoio è formato da diversi scomparti chiamati teste che funzionano contemporaneamente; ogni testa comprende i nastri entranti in accoppiamento, i cilindri di stiro e il nastro uscente. Il numero delle teste di ogni macchina varia da 4 a 8 (ossia da 4 a 8 sono i nastri stirati uscenti). Il titolo dei nastri uscenti all'ultimo passaggio di stiratoio viene di regola controllato ogni due ore e si provvede alla sua correzione se si riscontra una variazione in più o in meno del 2% dal titolo stabilito. La produzione degli stiratoi varia a seconda della velocità d'uscita del nastro in un determinato tempo e del titolo dello stesso. Praticamente una testa finitrice (ultimo passaggio) produce in 8 ore di lavoro da kg. 50 a 65 di cotone indiano, da kg. 40 a 55 di cotone americano ordinario, da kg. 25 a 40 di cotone egiziano. La potenza assorbita è di circa HP 0,15 per testa.
Preparazione per mezzo dei banchi a fusi. - I nastri provenienti dagli stiratoi (ultimo passaggio), i quali hanno le fibre parallele e una buona uniformità, devono essere assottigliati o raffinati mediante stiri graduali e trasformati in un lucignolo che abbia una certa resistenza e sia raccolto in forma meno ingombrante e facilmente trasportabile.
A questo lavoro provvedono i cosiddetti banchi a fusi, i cui organi compiono precisamente il lavoro di stirare in una limitata misura il nastro proveniente dallo stiratoio o dallo stesso tipo di macchina, di dare al lucignolo una leggiera torsione per conferirgli una certa resistenza, infine di raccogliere o incannare il lucignolo sopra un tubo di legno o di cartone compresso chiamato spola. I nastri e i lucignoli vengono fatti passare più volte attraverso queste macchine: praticamente 2 passaggi per i filati grossi, 3 per i filati medî, 4 e raramente 5 per i filati fini; ogni passaggio viene denominato: banco in grosso (fig. 43), alimentato coi nastri dello stiratoio: banco intermedio (fig. 44), alimentato con 2 lucignoli del banco in grosso; banco in fino (fig. 44), alimentato con 2 lucignoli del banco intermedio; banco extrafino o sopraffino, alimentato con 2 lucignoli del banco in fino. Queste macchine hanno tutte gli stessi meccanismi; variano le velocità, i limiti di stiro, il numero dei fusi e le dimensioni di questi e delle spole.
Il loro prodotto viene chiamato semplicemente preparazione.
Con l'introduzione del lungo stiro nelle macchine da filare si sono ridotti alcuni passaggi per i banchi, con risparmio di macchinario, di spazio e di mano d'opera.
La produzione dei banchi a fusi dipende dalla qualità del cotone, dal titolo del lucignolo e dalla velocità dei fusi.
La potenza assorbita è di circa HP 2 ogni 80 fusi nel banco in grosso, di HP 2 circa ogni 110 fusi nel banco intermedio, di HP 2 circa ogni 140 fusi nel banco in fino, di HP 2 circa ogni 160 fusi nel banco extrafino.
Assortimento di preparazione. - Si chiama così il complesso di macchine costituito da 10-12 carde, 1 stiratoio di 2 0 3 passaggi, 1 banco in grosso, 2 banchi intermedî, 4 banchi in fino, ed eventualmente 6 0 8 banchi extrafini.
Filatura definitiva. - Dal lucignolo prodotto nell'ultimo passaggio dei banchi a fusi si ottiene il filato. Questo è un sottile cilindro di lunghezza indefinita e di calibro determinato, formato da tanti piccoli ammassi di fibre che si succedono nel senso della lunghezza. Le fibre sono collegate fra loro per mezzo d'una torsione più o meno forte e in modo che non possano più scorrere come si richiedeva nelle precedenti lavorazioni, ma si spezzino senza disgiungersi quando siano sottoposte alla tensione.
Il filato sarà tanto più regolare quanto più costante si manterrà il suo calibro. Il calibro o grossezza del filato varia in rapporto al suo titolo.
Diversi sono i tipi di filato in relazione principalmente alla qualità del cotone adoperato e all'uso a cui sono destinati. Riguardo alla qualità del cotone i filati si distinguono in cardati e pettinati. In generale i filati prodotti con cotone indiano o americano ordinario sono cardati e per titoli grossi e medî; quelli con cotone egiziano o Sea Island sono pettinati e per titoli fini. Riguardo all'uso cui sono destinati i filati si distinguono in:
Filati stratorti o extrahards, filati cioè che hanno una torsione fortissima, circa il doppio dell'ordinaria. Si presentano ruvidi e, dato che si arricciano facilmente per effetto della forte torsione, subiscono appositi trattamenti di condizionatura. Vengono generalmente esportati in Oriente, confezionati in pacchi o avvolti sopra cilindri di cartone di dimensioni ridotte, per telai a mano; si adoperano anche in Italia per speciali tipi di tessuto (v. crespo);
Filati per catena o Water, con torsione ordinaria o forte. Servono in maggioranza per gli orditi in tessitura, per confezioni speciali nelle quali si deve avere una certa resistenza, per la lavorazione dei filati cucirini;
Filati medî, con torsione leggermente inferiore all'ordinaria. Servono per la confezione di filati ritorti per gli orditi, per le reti, per i pizzi, ecc., nonché per i filati da tingere e da usare per trama nei tessuti colorati;
Filati per trama, con torsione ordinaria o dolce. Servono per trama nei tessuti, per maglieria e per confezionare ritorti a torsione dolce o soffice da ricamo.
Le macchine usate per trasformare il lucignolo in filato compiono un lavoro quasi identico a quello dei banchi a fusi e cioè stirano e torcono il lucignolo secondo una determinata misura e avvolgono il prodotto (che viene denominato appunto filato) su spole, tubetti o rocchetti di legno, di cartone o di carta.
Il filato si ottiene con due sistemi diversi: a) sistema continuo, col quale la macchina per filare, o filatoio, compie le operazioni di alimentazione, di stiro, di torsione e di avvolgimento contemporaneamente, senza quindi alcuna perdita di tempo; b) sistema intermittente, col quale il lavoro viene compiuto in due tempi e cioè alimentazione, stiro e torsione in un primo tempo, avvolgimento con arresto di alimentazione, in un secondo tempo. È evidente che in questo secondo sistema il tempo impiegato per l'avvolgimento è perduto per la produzione.
Appartengono al 1° sistema il filatoio continuo ad alette, il filatoio continuo ad anelli per Water (Ring Water; fig. 45), il filatoio continuo ad anelli per trama (Ring Trama). Appartiene al 2° sistema il filaioio intermittente (Selfacting; fig. 46).
Sui selfacting si lavorano generalmente i filati grossi formati da fibre corte i quali, dovendo rimanere soffici, richiedono poca torsione, e i filati molto fini (sopra il titolo 100) i quali, per la loro finezza, presentano poca resistenza; sui ring invece si lavorano tutti gli altri filati. Il selfacting, che è nato prima del ring, tende oggi a scomparire per la sua limitata produzione, per l'eccessivo spazio che occupa, per il costo elevato di manutenzione e produzione. Salvo le lavorazioni speciali sopra accennate, viene sostituito dal ring, che sotto ogni riguardo è più conveniente. La potenza assorbita è per i selfacting di circa HP 1 ogni 120 fusi, per i ring di circa HP 1 ogni 90 fusi.
Lo stiro e la torsione hanno una grande importanza nelle macchine da filare; sono contenuti in determinati limiti e dipendono dalla qualità del cotone che lavorano.
In questi ultimi anni l'applicazione dei diversi sistemi di lungo stiro o grande stiro sui filatoi (ring e selfacting) ha permesso di oltrepassare sensibilmente i limiti di stiro, senza danneggiare la bontà del filato. Oggi ai ring, lo stiro che viene distribuito sopra 4, 5 0 6 cilindri rigati aventi diametri e pesi di pressione determinati, si può spingere fino a oltre 20; si richiede però un cotone regolare di tiglio e una preparazione molto uniforme e soffice.
La torsione dei filati aumenta col diminuire della sezione, ossia con l'aumentare del titolo. La torsione d'un filato unico può essere destra o sinistra e ciò in dipendenza del senso di rotazione del fuso. In generale la torsione dei filati è destra e i fusi dei filatoi girano nel senso delle lancette dell'orologio; sovente però vengono usati filati unici con torsione sinistra per ottenere speciali effetti nei tessuti, nonché per la lavorazione di certi tipi di filato ritorto. In alcuni paesi si usa dare al Water per ordito torsione destra e alla Trama torsione sinistra.
In pratica, per determinare la torsione d'un filato si fa uso d'un coefficiente di torsione, basato sul titolo e sulla qualità del cotone che si lavora.
Lavorazioni diverse dei filati - Accoppiatura e ritorcitura. - Per le svariate esigenze dell'industria, parte dei filati prodotti ai filatoi vengono accoppiati e ritorti tra di loro in modo da formare filati più grossi, più resistenti e con determinate caratteristiche. Si hanno così ritorti a 2, a 3, a 4 capi, ecc., a seconda che i fili unici riuniti e torti insieme siano 2, 3, 4, ecc. Salvo i ritorti speciali e quelli chiamati ritorti fantasia, i filati componenti un ritorto sono, come si è detto, dello stesso titolo o numero e il ritorto che ne deriva viene indicato col titolo del filato unico e col numero dei capi: così p. es. ritorto 32/2 indica un ritorto formato da 2 filati unici del n. 32 accoppiati tra loro e poi torti.
I ritorti possono essere a torsione forte o stretta, ordinaria o regolare, debole o dolce. La torsione può essere destra o sinistra e il senso della torsione è in relazione a quello del filato unico. Nel filato ritorto la torsione dev'essere in senso contrario a quella dell'unico.
La ritorcitura viene fatta a secco e a umido. Quest'ultimo metodo poi può essere effettuato a sistema inglese nel quale il filo pesca in acqua prima di arrivare ai cilindri d'alimentazione, o a sistema scozzese, nel quale il cilindro inferiore d'alimentazione è immerso in acqua e si ha così un ritorto più umido.
Le macchine usate per la produzione dei filati ritorti si chiamano ritorcitoi. I tipi principali sono: ring da ritorcere o ritorcitoio ad anelli (fig. 47); ritorcitoio ad alette (fig. 48); ritorcitoio speciale per ritorti fantasia.
Per i titoli superiori al 20 si fanno tante matasse quante ne indica il numero del filato; tali matasse dovranno naturalmente essere composte di 10 matassine e cioè:
e così di seguito.
Per i filati ritorti, a due o più capi, si usa il sistema di impaccatura corrispondente al titolo risultante dal ritorto; così p. es.:
I pacchi da kg. 4,500 e i pacconi da kg. 9 vengono pressati e legati con spago forte con la macchina chiamata torchio o pressa per pacchi (fig. 52). Generalmente per le spedizioni dei pacchi si usano confezionare colli pressati formati da 40 o 50 pacchi ciascuno.
Per risparmio di spesa si usa molto confezionare a mano mazzotti da kg. 9, specialmente per filati destinati alla tintoria.
Si chiama impaccatura falsa o riportata quella in cui il matassaggio d'un dato titolo si fa corrispondere a quello d'un altro titolo. In questo caso però la matassina cambia di lunghezza e viene appositamente calcolata.
Gazatura. - Ha per scopo di togliere la peluria al filato in modo da renderlo più liscio, più pulito, più lucente. L'operazione consiste nel far passare a notevole velocità il filo attraverso a una fiamma ottenuta per mezzo di gas, oppure attraverso a una lastra platinata, resa incandescente dalla corrente elettrica. I filati da gazare si tengono generalmente circa il 6% più grossi del titolo che si richiede.
La gazatura si ottiene con macchine speciali dette gazatrici che vengono generalmente alimentate da filato avvolto su speciali rocche coniche o anche su rocche cilindriche. La produzione per posto o fiamma varia a seconda del titolo da gazare e della velocità del filato. La potenza assorbita è di circa HP 1 ogni 80 posti o fiamme.
Provinatura e controllo dei filati. - Trattando delle singole macchine attraverso le quali viene fatto passare il cotone prima di essere trasformato in filato, si è detto che il prodotto di ciascuna macchina deve essere controllato a intervalli determinati, per assicurarsi che tutto proceda secondo il piano di lavorazione. Così si è notata l'importanza della pesatura delle tele del battitoio finitore, della provinatura del nastro della carda e della pettinatrice, di quella, con speciale attenzione e frequenza, dell'ultimo passaggio dello stiratoio e infine la verifica e la provinatura dello stoppino dei banchi a fusi. Per la provinatura dei nastri e degli stoppini viene usata la calandra o tamburello (fig. 53), che serve a misurare una determinata lunghezza in relazione a una bilancia speciale chiamata romana (fig. 55) sul quadrante della quale si legge poi il rispettivo titolo.
Il filato, a sua volta, quale ultimo prodotto della lavorazione, deve essere accuratamente controllato ed esaminato per giudicarne le qualità. Così giornalmente, oltre alla provinatura del filato in lavoro su ciascun filatoio, viene controllata la regolarità, la torsione, la resistenza e l'elasticità dei varî titoli, con speciale cura per i filati Water, Ritorti e Medî. A seconda dei risultati ottenuti si stabilisce se un filato è buono, mediocre o scadente.
Tutte queste prove vengono ogni giorno eseguite nell'Ufficio controllo filati (chiamato anche Ufficio provinatura e resistenze) segnandone i dati su appositi registri che il dirigente della filatura costantemente verifica, al fine di rendersi conto delle singole lavorazioni e disporre per le eventuali correzioni alle macchine.
Detto ufficio è generalmente dotato di speciali apparecchi, quali: l'aspino e la romana per la determinazione del titolo (figg. 54 e 55); la tavoletta nera (fig. 56) per la verifica della regolarità; il torsiometro (figura 57) per il controllo della torsione; il dinamometro (fig. 58) per la prova di resistenza e di elasticità; la bilancia di condizionatura (fig. 59) per la verifica del grado di umidità dei cotoni e dei filati.
Ultimamente si è aggiunto un nuovo apparecchio: quello per analizzare la lunghezza delle fibre tessili, che è costituito da una serie di pettini e da una pinza di strappamento. Per ciascuna partita di cotone, prima di mandarla in lavoro, si prepara il relativo diagramma riflettente la lunghezza delle fibre. Questo diagramma si ottiene col concorso del l'apparecchio e disponendo le fibre in ordine di lunghezza sopra una tavoletta nera sulla quale si applica poi una lastra di vetro graduata, che ne rende facile il riporto sopra una carta millimetrata. Con esse il dirigente giudica innanzi tutto se la partita di cotone possiede i requisiti d'acquisto e in seguito dispone per l'eventuale correzione agli scartamenti e alle torsioni sulle singole macchine.
Macchine accessorie. - In ogni moderna filatura di cotone, oltre alle macchine indispensabili per la regolare produzione del filato e delle lavorazioni inerenti, sono necessarie altre macchine, alcune delle quali, pur compiendo un lavoro del tutto dissimile a quello della filatura vera e propria, hanno lo scopo di rendere ancora filabile una parte del cotone che ha già subito delle lavorazioni, mentre altre invece servono a speciali esigenze del macchinario.
Quelle più in uso sono: la macchina per battere cascami di cotone chiamata comunemente lupo o willow (fig. 60) che serve per battere e quindi aprire e pulire i diversi cascami di cotone provenienti dalla batteria e dalla carderia e anche per la battitura dei cotoni sporchi; la macchina per aprire gli stoppini di preparazione (fig. 61); la macchina per rompere gli anelli di filatura (fig. 62); la macchina per la molatura e calibratura delle guarnizioni dei cappelli delle carde; la macchina per confezionare cordine trecciate per i fusi (fig. 63); alcune macchine per la copertura del panno, della pelle, e calibratura relativa dei cilindri di stiro (macchine per cilindreria).
Cascami. - I cascami prodotti durante le diverse operazioni di filatura vengono in parte rimandati direttamente nelle mischie e ciò quando si tratta di materia ancora pura e filabile, p. es. scarto di ovatte delle macchine di batteria, piccole parti di nastro e velo delle carde, delle pettinatrici e degli stiratoi; in parte invece vengono rimandati nelle mischie dopo un'appropriata lavorazione con le macchine accessorie, come quando si tratta di cappelli e sottocarde di cotoni buoni, scarto delle pettinatrici, nastro delle carde, delle pettinatrici e degli stiratoi, stoppini dei banchi a fusi, anelli di filatura. Tutti gli altri cascami di qualità inferiore e che si classificano cappelli e sottocarde, bottoni e griglie, polvere canale e ventilatori, spelatura, pinisello scelto o scopatura prima, pinisello misto o scopatura seconda, filetto vergine, filetto colorato, formano la materia prima della filatura dei cascami di cotone.
Oltre ai cascami elencati, vengono adoperate materie provenienti da altre lavorazioni come filetti apprettati e ritagli o stracci di maglia e di tessuti di cotone sia greggi sia colorati. Spesso si adoperano anche cotoni sporchi a fibra corta chiamati cotoni bassi.
La filatura dei cascami segue lo stesso processo di lavorazione di quella che è denominata filatura continua. In questo sistema sono eliminate tutte le operazioni di stiro e si filano solamente titoli grossi, massimo fino al n. 10 inglese. A seconda del titolo e della qualità che si vuol ottenere, si compongono mischie formate da diversi tipi di cascame e di cotone preventivamente preparati.
Nella filatura continua si possono lavorare: cotoni bassi puri (naturali o tinti in fiocco); cotoni bassi misti con cascami di cotone di 1ª qualità e non oleosi (non unti); cascami diversi di cotone non oleosi e sfilacciato di stracci di cotone greggio; cascami di qualità scadente anche oleosi; cascami colorati e sfilacciato di stracci colorati di cotone.
Il diagramma di lavorazione è il seguente:
La preparazione dei cascami filabili si effettua in locali generalmente isolati, essendo facile l'incendio, e per mezzo di macchine speciali a seconda del tipo da lavorare. Quelle più in uso sono: il lupo o willow e il battitoio (fig. 64) per battere e pulire tutti i cascami in genere purché non contengano filetto e stracci di cotone; il crighton semplice (fig. 65) e il doppio Crighton con rompitore per aprire e pulire specialmente i cascami denominati bottoni e sottogriglie; la sfilacciatrice a 1 o 2 tamburi (fig. 66) per la scopatura mista che non contenga fili duri o stracci; la macchina tirafiletto per aprire il filetto prima di passarlo alla sfilacciatrice; le sfilacciatrici a 4 e a 6 tamburi per sfilacciare filetto vergine, filetto colorato e stracci di cotone preventivamente tagliati.
Le mischie si effettuano generalmente a mano e in apposito locale disponendo per strati i tipi e i quantitativi di cascame preparato e provvedendo contemporaneamente alla necessaria oleatura con saponina oleosa sciolta in acqua tepida, allo scopo di rendere le fibre aderenti e morbide. L'impasto si lascia per qualche tempo in riposo (almeno 12 ore) prima di passare alla battitura.
La battitura della mischia ha lo scopo di aprire e mescolare le qualità che la compongono. Si ottiene: a) con la carda lupo (fig. 67) quando la mischia passa alle macchine di cardatura mediante caricatrice a bilancia; b) con due o tre passaggi di battitoio quando l'alimentazione alla cardatura è fatta con ovatta o tele.
L'operazione caratteristica della filatura continua è la cardatura, la quale viene eseguita con 2 0 3 carde a cilindri, delle quali la prima è chiamata carda sgrossatrice o rompitrice, l'ultima carda finitrice o filatrice; l'insieme è denominato assortimento (figg. 68 e 69). A seconda del titolo, della qualità e della regolarità del filato che si vuol ottenere, si usa l'assortimento a 2 0 a 3 carde.
Il passaggio del cotone cardato dalla carda sgrossatrice alla carda filatrice può avvenire con diversi sistemi: 1. mediante tele od ovatte formate dal velo, staccato dal pettine dello scaricatore ed avvolto su un cilindro, tagliato poi a un determinato peso sotto forma di materasso; 2. mediante tele formate dalla riunione d'un certo numero di nastri, ottenuti col velo dello scaricatore; 3. mediante graticci che dispongono automaticamente il velo d'uscita d'ogni carda sulla tavola d'alimentazione dell'altra con una sovrapposizione regolare, ottenuta ingegnosamente.
La carda filatrice all'uscita è munita del partitore o divisore di velo e dello strofinatoio. Il partitore di velo, composto di 2 cilindri divisori a dischi e cinghiette separate, serve a dividere il velo, che viene staccato dallo scaricatore per mezzo del pettine, in tante strisce uguali tra di loro. Lo strofinatoio è formato da 4 paia di manicotti di cuoio rigato il cui movimento serve ad arrotondare le strisce di velo dando loro una falsa torsione, uguale a quella che si potrebbe dare sfregandole fra le mani. A seconda del titolo e della larghezza della macchina, il velo può essere diviso in tante strisce uguali, che possono variare da 40 a 180. Le strisce costituenti gli orli del velo detti fili persi o cimosse, e che sono irregolari, vengono sempre scartate. I fili arrotondati dal rota-frotteur passano nella bacchetta di guida e si avvolgono mediante i rulli d'avvolgimento su diversi cilindri di legno chiamati cannelle, ognuno dei quali può ricevere da 20 a 40 fili o stoppini. Le cannelle quando hanno raggiunto un determinato diametro vengono levate e passano all'alimentazione del filatoio.
Gli stoppini all'uscita della carda filatrice si tengono di circa mezzo numero più grossi del titolo che si vuol ottenere; così p. es. per avere al filatoio il titolo 6 inglese, si tiene il provino dello stoppino a circa 5 ½.
I filatoi, ring e selfacting, per filati cardati sono di speciale costruzione.
Il ring (fig. 70) ha le stesse caratteristiche del ring per filati di cotone, solamente che in luogo dei cilindri di stiro si hanno dei cilindri d'alimentazione con uno speciale dispositivo per lo svolgimento dello stoppino dalle cannelle. Sui ring generalmente si filano cascami dal titolo 3 all'8, e un po' più torti dell'ordinario perché durante la lavorazione è necessaria una certa resistenza.
Il selfacting (fig. 71) lavora in 3 tempi: 1. alimentazione e uscita del carro, durante il quale movimento lo stoppino si raffina, si fa più uguale e riceve una prima leggera torsione; 2. arresto del carro e torsione supplementare: completata l'uscita il carro rimane fermo il breve tempo necessario perché lo stoppino riceva la torsione definitiva stabilita; 3. rientrata del carro e relativo avvolgimento: la gugliata di filato, man mano che il carro rientra, si avvolge sul tubetto infilato sul fuso, prendendo la forma di bobine o di fusoni. Durante questi 3 tempi distinti, i fusi assumono diverse velocità che permettono lo svolgersi dei singoli movimenti senza determinare rotture di fili.
Recentemente sono stati costruiti selfacting nei quali la parte viaggiante è l'alimentazione (ossia la banchina porta cilindri) con buoni risultati, oltre che tecnici anche di rendimento. Per i filati di cascame il selfacting è preferibile al ring, ed è anche quello maggiormente in uso perché più adatto a produrre filati soffici, rotondi ed uniformi, che sono le caratteristiche generalmente richieste per tali filati, che servono quasi esclusivamente per maglieria, per tessuti felpati e per coperte. Si usa anche filare titoli grossi dal numero inglese 0,5 al numero 3, con un filatoio speciale somigliante a un ordinario banco a fusi, nel quale sono aboliti i cilindri di stiro (fig. 72).
La produzione degli assortimenti e dei filatoi varia a seconda della qualità del filato, del titolo e del grado di torsione che si desidera. Un assortimento può produrre in 8 ore da kg. 90 a kg. 120 di titolo inglese. Un selfacting di circa 500 fusi può dare in 8 ore la stessa produzione.
In Italia la zona del Biellese è specializzata nella lavorazione dei filati cardati nelle diverse qualità: bianchi, scuri, misti, colorati. Ivi esistono pure rinomate officine per la costruzione di assortimenti completi e di macchine accessorie.
Organizzazione tecnico-economica di una filatura. - Gli elementi tecnici ed economici che vanno considerati per un'organizzazione razionale della filatura sono numerosi e complessi. Se ne fa qui appresso un cenno, anche per lumeggiare le più recenti tendenze industriali al riguardo.
Pubblicazione. - In passato la località più adatta per un impianto di filatura era quella che poteva permettere sul posto lo sfruttamento d'una forza idraulica e che si trovasse nelle vicinanze d'una linea ferroviaria o marittima per facilitare il trasporto della materia prima e quindi anche del prodotto. Quest'ultima condizione era pure necessaria nei casi in cui per speciali circostanze si installavano impianti a vapore, assai costosi e oggi totalmente abbandonati, perché ponevano come condizione necessaria l'economico e facile rifornimento del carbone. La maestranza, pur essendo indispensabile, poteva passare in seconda linea e per essa, che in maggior parte veniva importata, si provvedeva con la costruzione di case per impiegati, di case per operai, di dormitorî, di spacci di consumo.
Le numerose reti di distribuzione d'energia elettrica a distanza, il maggiore sviluppo delle linee ferroviarie, il sensibile miglioramento apportato alle strade di grande comunicazione e secondarie, la possibilità di disporre di automezzi rapidi e abbastanza economici, hanno reso più libera e facile la scelta della località per un impianto di filatura ed oggi la località preferita è quella che dispone d'una maestranza abbondante specialmente femminile.
Fabbricati. - I fabbricati per una filatura possono essere a capannoni a un solo piano con copertura a lucernarî, oppure a diversi piani con copertura a terrazza. Nel caso d'una filatura a un solo piano, si hanno i seguenti vantaggi: distribuzione del macchinario in modo che le diverse lavorazioni siano consecutive, evitando così inutili trasporti di materia; maggiore stabilità delle macchine; utilizzazione completa della luce diurna; facilità di sorveglianza sugli operai e alle macchine; minori pericoli di gravi danni in caso d'incendio. E, per contro, i seguenti svantaggi: maggiore spesa per il terreno, che, a parità del numero di fusi, può avere un'estensione da 3 a 5 volte superiore; maggior costo degl'impianti in dipendenza del molto maggiore sviluppo delle trasmissioni, delle tubazioni, del numero di apparecchi per il riscaldamento, la ventilazione e l'umidificazione.
Le filature moderne sono in Italia generalmente a un solo piano del tipo a capannone con lucernari a doppia vetrata orientati a nord; oppure a tetto piano con lucernarî convenientemente disposti. Le costruzioni possono essere in muratura con travi di ferro e colonne di ghisa, o con la completa ossatura: travi, pilastri tiranti e voltini in cemento armato. I soffitti, con camera d'aria, sono di tavelloni intonacati e, a seconda del tipo, la copertura viene fatta con tegole marsigliesi, con eternit, holzcement o asfalto ermetico. L'uso delle travi, delle paradelle, delle perline in legno è abbandonato; quindi le moderne costruzioni sono completamente incombustibili e di forma rigida e stabile. I pavimenti per lo più sono in piastrelle di cemento, boggiardate e a forte resistenza, oppure in gettata di cemento boggiardato. I pavimenti di tavole di legno forte e quelli di lapisligneus, ossia preparati con l'ossicloruro di magnesio, magnesio calcinato e segatura di legno, sono i meno usati.
Tanto nei fabbricati a un solo piano quanto in quelli a più piani, l'ampiezza delle campate nel senso longitudinale (ossia nel senso della larghezza delle macchine) deve essere di m. 3,50 oppure di m. 7. Quest'ultima è preferita per non avere un ingombro eccessivo di colonne o pilastri. A seconda della larghezza del fabbricato le campate nel senso trasversale (ossia nel senso della lunghezza delle macchine) potranno variare da 5 a 7 metri; la misura preferita è di metri 6. Nella campata di 7 metri si possono collocare: 2 battitoi, 3 carde, 4 pettinatrici, 3 passaggi di stiratoi, 2 banchi in grosso, 4 banchi intermedî, in fino o extrafini, 4 ring, 2 selfacting.
Illuminazione. - Nei cotonifici (filature, tessiture e lavorazioni del genere) le sale di lavoro sono illuminate col sistema di illuminazione generale. Questa, mentre per il passato consisteva in una installazione di diverse lampade pendenti dal soffitto a un'altezza dal pavimento di m. 2,20-2,50, dotate d'un riflettore a piatto circolare del diametro di cm. 25-30 e con una lampadina da 16-25 candele, oggi è ottenuta con riflettori o armature speciali, installati a determinate distanze sotto il soffitto di ogni locale e con lampade da 100-300 candele in modo da avere una grande ed uniforme diffusione di luce. Nella fig. 73 sono rappresentati i tipi di riflettori o armature più in uso per stabilimenti industriali.
Umidificazione e ventilazione. - Nelle filature di cotone è necessario mantenere nei locali di lavoro un certo grado di temperatura e una certa umidità, sì da mettere il cotone nelle migliori condizioni per il trattamento che deve subire nei diversi passaggi di lavoro. Le condizioni più favorevoli stabilite dalla pratica sono: per i locali di batteria e carderia, umidità relativa 50-55%, temperatura 20-25°; per i locali di pettinatrici, stiratoi, banchi a fusi, umidità relativa 55-65%, temperatura 20-25°; per i locali di filatura (ring e selfacting), umidità relativa 65-72%, temperatura 20-25°.
La temperatura e l'umidità dell'aria nell'interno dei locali dipendono naturalmente dalle condizioni di temperatura ed umidità esterne; sono quindi variabili di giorno in giorno e maggiormente di stagione in stagione, onde la necessità di speciali impianti per mantenere i locali di lavoro nelle condizioni richieste. I sistemi normalmente adottati per l'umidificazione sono tre: umidificazione a sistema centrale; umidificazione a sistema locale; umidificazione diretta. Il migliore e il più applicato tra questi sistemi è il terzo, consistente in uno speciale impianto con vaporizzatori o polverizzatori d'acqua ad aria compressa, facilmente regolabili, che permettono di ottenere e mantenere in ogni reparto le condizioni di calore e d'umidità desiderate, qualunque siano le condizioni termiche ed igrometriche esterne. L'impianto ad aria compressa ha inoltre il vantaggio di provvedere a un cambiamento uniforme d'aria nei locali, perche ogni ugello polverizzatore funziona come iniettore d'aria, che viene prelevata esternamente. Durante i mesi estivi, quando la temperatura degli ambienti di lavoro sale a limiti insopportabili, questo impianto, la cui regolazione è facile e perfetta, funziona benissimo coi locali aperti, favorendo il cambiamento diretto dell'aria.
Alla ventilazione si provvede mediante ampie finestre e altresì applicando, nei punti più polverosi, aspiratori che hanno il duplice scopo di asportare la polvere e di cambiare l'aria; verso il centro della sala spesso si mettono in opera dei lucernarî con telai apribili, oppure degli sfiatatoi che si possano aprire e chiudere secondo il bisogno.
La temperatura e l'umidità dei locali di lavoro vengono registrate ogni 3 ore su apposite tabelle, mediante speciali apparecchi (termometri, igrometri) collocati in determinati punti del locale. L'apparecchio oggi più in uso è lo psicrometro, il quale è formato da due termometri, uno a secco e l'altro ad umido, quest'ultimo col bulbo tenuto costantemente bagnato da uno stoppino pescante in una bacinella contenente acqua, posta sotto il bulbo stesso. Il grado di temperatura è dato dal termometro a secco, e quello di umidità viene rilevato da un'apposita tabellina applicata sull'apparecchio, dopo che si è determinata la differenza tra i gradi del termometro a secco e quello ad umido.
Riscaldamento. - I sistemi più in uso per il riscaldamento d'un cotonificio sono il riscaldamento per radiazione e il riscaldamento per ventilazione.
Il riscaldamento per radiazione è ottenuto facendo circolare il vapore in tubi lisci di diametro determinato, lungo i quali sono generalmente inseriti dei tubi nervati di ghisa o dei tubi ai quali sono state applicate speciali alette di ferro, per aumentarne la superficie di riscaldamento. Il riscaldamento per ventilazione è ottenuto dall'azione d'un ventilatore e da una batteria di radiatori nella quale circola il vapore: l'insieme forma un apparecchio chiamato aereotermo o termoventilatore (fig. 74). Gli aereotermi vengono fissati ai muri o alle colonne dei locali da riscaldare in determinati punti, in modo da assicurare una regolare distribuzione del calore.
Questo sistema di riscaldamento, che è uno dei più moderni, consente economia di vapore, rapidità di funzionamento, e presenta il vantaggio che durante la stagione estiva gli apparecchi possono funzionare da ventilatori prelevando l'aria esternamente.
Prevenzioni contro l'incendio. - Nei cotonifici, oltre ai soliti apparecchi a mano e di prima necessità, per l'estinzione degl'incendî, distribuiti in ogni locale e specialmente in quelli di maggior pericolo, sono installati anche, sia in locali interni sia all'esterno, degli idranti. Questi idranti o sono in collegamento con l'impianto generale di distribuzione d'acqua, oppure fanno parte d'un impianto apposito con relativo serbatoio d'acqua e pompa a grande effetto. L'impianto generalmente più usato è quello degli estintori automatici sistema Grinnell: esso consiste in un serbatoio d'acqua di capacità stabilita collocato in un punto alquanto più alto dello stabilimento, dal quale si diparte una tubazione principale diramantesi in altre secondarie fino a una rete di tubazioni minori fissate al soffitto di ogni locale di lavoro, dei magazzini, dei corridoi, ecc. In tutte queste tubazioni l'acqua si trova in permanenza e sotto pressione per effetto dell'altezza alla quale è collocato il serbatoio. Nelle tubazioni correnti sotto i soffitti sono inserite, a una distanza che può variare da 3 a 5 metri una dall'altra a seconda del tipo di fabbricato e del genere della materia in lavoro, delle valvole speciali (fig. 75) otturate per mezzo d'una piastrina di lega metallica che alla temperatura di circa 600 fonde lasciando libero sfogo all'acqua che si spande ininterrottamente sotto forma di doccia sulla parte sottostante incendiata per un raggio variabile da 3 a 5 metri.
Entrano a far parte delle misure di prevenzione gli avvisatori elettrici d'incendio che consistono in piccoli apparecchi elettrici distribuiti in diversi punti dei locali. Gli stabilimenti d'una certa importanza, oltre agl'impianti precedentemente descritti, possiedono anche autopompe per incendio con relativo attrezzamento e dispongono d'un gruppo d'operai appositamente istruito, che interviene subito in caso di sinistro.
Macchinarî. - Dovendo determinare il macchinario occorrente per l'impianto d'una filatura, è necessario conoscere oltre alla qualità del cotone da lavorare, il numero dei fusi che si desidera installare e il titolo medio del filato da produrre; oppure la produzione giornaliera e il titolo medio del filato. Nel primo caso conoscendo il numero dei fusi e il titolo medio si calcola prima la produzione giornaliera (8 om di lavoro) e cioè:
Nel secondo, invece, conoscendo la produzione totale giornaliera e il titolo medio del filato, si calcola il numero dei fusi e cioè:
In ciascun caso si viene così ad ottenere un terzo dato necessario, e precisamente: produzione totale (giornaliera); numero dei fusi; titolo medio del filato.
Il numero dei fusi servirà a stabilire il numero dei filatoi (ring o selfacting) aventi uno scartamento adatto per una lunghezza di macchina approssimativamente preventivata. La produzione totale servirà di base per determinare il macchinario occorrente secondo il diagramma di lavoro (che in questo calcolo segue il procedimento inverso) e il relativo piano di filatura appositamente studiato. In esso vengono fissati in linea di massima i titoli e gli accoppiamenti di ogni passaggio di lavorazione, applicando le norme che sono state indicate, sugli stiri, sulle torsioni e sulle velocità.
Nel procedimento è necessario calcolare, per ogni passaggio, una percentuale di maggiore produzione per gli eventuali scarti di lavorazione, fermate, rotture, ecc., che praticamente è della seguente misura: per i banchi in fino ed extrafini; 4% per i banchi intermedî; 3% per i banchi in grosso; 2%, per gli stiratoi; 2% per le pettinatrici; 2% per le carde. Al numero delle carde si dovrà aggiungere un 6% che può rappresentare quelle ferme, perché in molatura; le riunitrici e gli stiratoi riunitori si determineranno in relazione al numero delle teste delle pettinatrici; le teste degli stiratoi si moltiplicheranno per 2 0 per 3 se per il genere di lavoro si dovranno fare 2 0 3 passaggi; il numero dei battitoi potrà essere il doppio se la battitura verrà effettuata a 2 passaggi; gli apritoi si calcoleranno in relazione al numero dei battitoi finitori, tenendo presente che in generale una combinazione di apritoi che abbia l'apparecchio per la formazione dell'ovatta alimenta 2 battitoi finitori, e che l'apriballe può produrre da kg. 8000 a 12.000 in 8 ore di lavoro.
Le tabelle seguenti indicano alcuni piani di filatura praticamente adottati. Si osservi però che se viene applicato il lungo stiro ai filatoi, si può per alcune lavorazioni ridurre un passaggio dei banchi a fusi e per altre portare a queste macchine un sensibile ingrossamento al titolo dello stoppino.
La pianta riprodotta alla fig. 76 rappresenta una filatura di cotone americano di 20.000 fusi (ring) dei quali 10.000 fusi per water, titolo 32-38 pettinato doppio stoppino e 100.000 fusi per trama, titolo 24-32 cardato semplice stoppino. Alla filatura è annesso un reparto di ritorcitura di 5000 fusi e un reparto di aspatura di 20 aspe.
Il fabbricato è a capannoni in cemento armato con lucernarî orientati a nord; l'ampiezza delle campate è di m. 6 con uno spazio di m. 7 tra il centro dei pilastri. Il macchinario installato è il seguente: 1 apriballe per mischia pneumatica con 3 camere di mischia; 1 combinazione di apritoi verticali e orizzontali; 2 battitoi finitori; 50 carde a cappelli; 2 riunitrici di nastri; 2 stiratoi riunitori; 12 pettinatrici; 5 stiratoi (3 a 2 passaggi, 2 a 3 passaggi); 32 banchi a fusi (4 in grosso, 8 intermedî, 20 in fino); 40 ring da 500 fusi cadauno (20 ring Water, 20 ring Trama); 3 accoppiatrici; 10 ritorcitoi; 10 aspe doppie; 1 lupo o willow; 1 macchina per aprire stoppini; 1 macchina per rompere anelli di filatura; 2 carde per cardare cascami battuti; 1 pressa per pacchi; 1 pressa per colli.
I gruppi: batteria; carderia; pettinatrici, stiratoi e banchi; accoppiatrici, ritorcitoi ed aspe sono azionati ciascuno da trasmissione comandata da relativo motore situato in apposito locale. I ring sono direttamente azionati da motori a velocità variabile. Potenza complessiva circa HP 550. Portineria, uffici, infermeria, camera d'allattamento, refettorio, spogliatoi sono disposti esternamente al salone nei punti più comodi lungo il lato di facciata a mezzogiorno. Volendo raddoppiare la filatura basterebbe continuare la costruzione delle campate e la sistemazione delle macchine lungo il lato di levante seguendo la pianta risultante dall'aggiunta del poligono ABCDEF ribaltato sul lato AB.
Comando dei macchinarî. - Usando il comando misto, parte del macchinario d'una filatura avente la medesima funzione lavorativa e con requisiti di velocità poco variabile, viene raggruppato e azionato mediante trasmissione comandata da un motore di potenza calcolata; parte invece è azionato singolarmente con un motore adatto, accoppiato direttamente o collocato sull'incastellatura della macchina. La pratica consiglia il comando a gruppi, ossia con trasmissione, per il seguente macchinario: carde, stiratoi, banchi a fusi, selfacting, aspe. Per apritoi e battitoi, pettinatrici, ring e ritorcitoi, il comando individuale presenta maggiori vantaggi anche se il costo d'impianto è superiore a quello dell'altro sistema.
Le velocità degli alberi di trasmissione sono generalmente le seguenti:
Meritano speciale considerazione i motori a velocità variabile per comando diretto dei ring, i quali permettono diverse gradazioni di velocità che sono necessarie specialmente durante l'avviamento della macchina. Alcuni tipi di questi motori hanno applicato il regolatore automatico dî velocità che funziona in sincronismo con la formazione della bobina.
Nella fig. 77 è rappresentato un impianto di filatura nella quale i ring sono direttamente comandati da motori a velocità variabile.
Forza motrice. - Una filatura può servirsi dell'energia termica e di quella idraulica. L'energia idraulica può essere direttamente sfruttata, oppure trasformata prima in energia elettrica. Le filature d'una certa anzianità e potenzialità sono generalmente dotate d'un proprio impianto di forza motrice eseguito in tempi nei quali l'impianto di uno stabilimento si accompagnava a quello dello sfruttamento d'una forza idraulica.
Lo sviluppo odierno delle grandi centrali idroelettriche, con relativa distribuzione d'energia a distanza, ha dato la possibilità all'industriale di acquistare da una società di distribuzione d'energia elettrica della zona, o anche da più società, il fabbisogno di forza motrice che in generale è complessivamente di circa HP 25 ogni 1000 fusi. In Italia, eccettuate quelle poche filature che dispongono di forza idraulica ad alta pressione e che mediante turbine di varia potenzialità azionano direttamente trasmissioni dalle quali dipendono gruppi di macchine o anche singole macchine, tutte le altre filature si servono generalmente di motori elettrici.
Mano d'opera. - La mano d'opera occorrente per una filatura varia a seconda dell'organizzazione tecnica, dell'abilità e attività della maestranza, del genere e quantità del macchinario installato, della qualità del cotone che si lavora e del titolo medio del filato che si produce. In linea generale il personale necessario è così distribuito:
Personale tecnico: 1 direttore tecnico o capo fabbrica; 1 capo sala o 2 capi reparto (1 per la preparazione e 1 per la filatura) se la filatura supera 40 mila fusi; 1 assistente ogni 4 serie di apritoi con 8 battitoi finitori, ogni 24 pettinatrici e relative riunitrici e stiratoi riunitori, ogni 100 carde, ogni 6 assortimenti di banchi a fusi e relativi stiratoi, ogni 50 ring, ogni 20 selfacting, ogni 40 ritorcitoi e relative accoppiatrici, ogni 100 aspe; 1 assistente (che provvede anche alla pesatura) per incassatura, se la produzione superi i kg. 5000 giornalieri.
Personale d'ufficio: 1 contabile; 1 aiuto contabile; 1 spedizioniere; i magazziniere ogni 50 mila fusi; 1 dattilografa ogni 20 mila fusi.
Personale di servizio generale: 1 capo meccanico; 1 fabbro ogni 10 mila fusi; 1 falegname ogni 20 mila fusi; 1 elettricista e 1 aiutante elettricista ogni 50 mila fusi; 1 muratore e 1 garzone ogni 50 mila fusi; 1 portinaio; 2 guardiani; 1 manovale o facchino ogni kg. 1000 di produzione.
Personale addetto alle varie operazioni e macchine:
Mischia: 1 operaio per circa balle 20 giornaliere.
Apritoi e battitoi: 1 operaio ogni caricatore; 1 operaio all'uscita di ogni 2 serie d'aplitoi misti; 1 operaio ogni 2 battitoi.
Carde: 1 operaia ogni 10-12 carde; 1 molatore; 1 oliatore; 2 spazzatamburi; 1 portatele; 3 portavasi ogni 100 carde.
Riunitrici e stiratoi riunitori: 1 operaia ogni 2 riunitrici; 1 operaia ogni 2 stiratoi riunitori.
Pettinatrici: 1 operaia ogni 4 pettinatrici.
Stiratoi: 1 operaia ogni 12-16 teste. Banchi a fusi:
1 oliatore ogni 40 banchi e 2 portaspole.
Banco in grosso: 1 operaia e 1 aiutante.
Banco intermedio: 1 operaia; 1 aiutante ogni 2 intermedî.
Banco in fino: 1 operaia ogni 2; 1 aiutante ogni 4-6 in fino.
Banco extrafino: 1 operaia ogni 4;1 aiutante ogni 8 extrafini.
Ring: 1 oliatore ogni 50 ring; 2 attaccacordine.
Ring Water: 1 operaia ogni ring da fusi 400-500. Ogni 10-12 ring: i maestra alle levate; 3 operaie alle levate; 2 ai tubetti.
Ring Trama: 1 operaia ogni ring da fusi 400-500. Ogni 10 ring: i maestra alle levate; 1 aiutante maestra; 3 operaie alle levate; 3 ai tubetti.
Selfacting: ogni 2 selfacting da circa 800 fusi cad.: 1 filatore; 3 attaccafili; 2 spolatori.
Accoppiatura: 1 operaia ogni 20 rocche.
Ritorcitura: 1 operaia ogni macchina o anche 2 ogni 3 macchine.
Aspatura: 1 operaia ogni aspa. Ogni 50 aspe: 2 matassatrici; 1 impaccatore. Ogni 100 aspe: 1 imballatore.
Incassatura: 1 operaia ogni kg. 500 netti di produzione trama su bobine, 1 operaia ogni kg. 800 netti di produzione water su fusi.
In questi ultimi tempi l'assillante problema della diminuzione dei costi di produzione ha portato a un'accurata revisione e sistemazione degl'impianti, delle macchine e dei metodi di lavoro; nonché a una selezione e riduzione della mano d'opera impiegata. In una filatura bene organizzata e dove il macchinario sia disposto razionalmente, il personale occupato per ogni 1000 fusi (servizio generale compreso, escluso solo direttore e capo ufficio) non dovrebbe eccedere questi limiti:
Dal numero limite, è escluso il personale adibito alle lavorazioni diverse: accoppiatura e ritorcitura, aspatura e impaccatura, rocchettiera, gazatura, per il quale si tiene conto distinto per ciascuna lavorazione, al fine di determinare il relativo costo di produzione.
Produzione e costi. - Il grado d'organizzazione industriale d'una filatura è generalmente giudicato attraverso i dati di produzione e relativo costo per chilogrammo. La produzione viene giornalmente calcolata per ogni filatoio servendosi del contatore applicato a ogni macchina, che per i ring è in relazione al diametro del 10 cilindro e per i selfacting alla lunghezza della gugliata e numero dei fusi.
Per ogni periodo giornaliero di lavoro, si rileva da ciascun filatoio il titolo del filato in lavoro e dal relativo contatore il numero delle matassine prodotte (hanks). Nei riguardi della produzione queste matassine vengono comunemente chiamate punti. È noto che il peso in grammi di una matassina di filato titolo inglese si ha dividendo gr. 453,6 (libbra) per il titolo, quindi la produzione d'ogni macchina sarà calcolata usando la seguente formula: produzione in grammi
Per facilitare il conteggio viene preparato un prontuario in relazione al numero dei fusi delle macchine, in modo che basta moltiplicare i punti prodotti per il numero fisso corrispondente al titolo
Calcolata così la produzione teorica giornaliera per ciascun filatoio, si provvede al riassunto titoli e produzione, ossia al raggruppamento della produzione delle macchine che filano uno stesso titolo e qualità.
Dalle rispettive produzioni si detrae una percentuale fissa (2% a 4%) per compensare il raccorciamento del filato per effetto della torsione, gli scarti, i fusi che rimangono qualche tempo fermi per la rottura della cordina, ecc. Con questa detrazione si ottiene la produzione reale (sia pure con qualche leggiera approssimazione) della quale si tiene calcolo e che generalmente viene anche controllata mediante pesatura.
Dalla produzione totale complessiva, si calcola il corrispondente titolo medio moltiplicando i singoli titoli per la relativa produzione e dividendo la somma di questi prodotti per la produzione totale.
Esempio:
Calcolato il titolo medio effettivo, si usa ragguagliare la produzione a un titolo fisso che ciascuna filatura stabilisce, basandosi sul titolo medio approssimativo che generalmente lavora. Il titolo fisso servirà di base costante per seguire la regolarità della produzione e del relativo costo al kg. La formula per il ragguaglio è la seguente:
Riferendoci all'esempio precedente e stabilendo il titolo 24 per quello fisso di filatura, si avrà: produzione ragguagliata al titolo fisso
Il ragguaglio della produzione al titolo fisso viene calcolato ogni giorno; però maggiore importanza assume quello calcolato quindicinalmente. Infatti la quindicina è il periodo di lavoro più usato, al termine del quale si sogliono riassumere tutti i dati di consumo, di produzione e di costo.
In base al titolo medio, alcune filature usano anche calcolare giornalmente o quindicinalmente i grammi e le matassine per ogni fuso installato:
Gli elementi per la determinazione del costo di produzione si possono distinguere in 4 categorie: mano d'opera; forza motrice; scorte, accessorî e ingredienti; spese generali.
La spesa per la mano d'opera deve comprendere gli stipendî degli impiegati e degli assistenti tecnici, la paga degli operai, le eventuali gratificazioni o interessenze sulla produzione, il contributo della ditta per le assicurazioni sociali e sindacali della maestranza. La spesa di forza motrice deve essere quella che risulta dall'effettivo consumo; oppure, per quelle filature che hanno un impianto proprio, la spesa inerente al suo funzionamento e manutenzione. La spesa per le scorte, accessorî e ingredienti deve comprendere tutti gli articoli e i pezzi di ricambio di normale consumo, quali lubrificanti, corda e cordiria, guarnizioni, anellini, cinghie, panno, pelli, scope, spazzole, lampadine, carta per imballo, ecc. Le spese generali devono comprendere gl'interessi sul capitale impiegato, gli ammortamenti sui fabbricati ed impianti, gli stipendî e le interessenze al personale d'amministrazione, le imposte e tasse, le diverse assicurazioni: vita, infortunî, responsabilità civile, incendio. In generale viene fatto un riassunto approssimativo di tutte queste spese in modo da assegnare alla parte tecnica una spesa fissa giornaliera o quindicinale.
Bibl.: M. Maiseau, Histoire descriptive de la filature e du tissage du coton, Parigi 1837; B. A. Dobson, Studie über das Krempeln der Baumwolle, Lipsia 1895; Th. Thornley, Cotton-combing machines, Londra 1902; J. B. Haeffelé e P. Dupont, Filature du coton, Parigi 1905; Th. Thornley, Practical treatise on mule spinning, Manchester 1908; J. Nasmith, The students' cotton spinning, Manchester 1910; id., Cotton mill construction, Manchester 1910; T. Thornley, Selfacting mules, Manchester 1910; L. Tonelli, Il selfacting, Milano 1911; Taggart Bauer, Die Baumwollspinnerei, Berlino 1914; J. B. Haeffelè, P. Dupont e L. Flamand, Aide-mémoire pratique de la filature du coton, Saint-Dié 1921; W. S. Taggart, Cotton spinning, Londra 1922; L. J. Mill, Practical ring-spinning, Manchester 1922; T. Thornley, Advanced cotton spinning, Londra 1923; W. S. Taggart, Cotton mill management, Londra 1923; id., Cotton spinning calculations, Manchester 1923; C. Saldini, Le fibre tessili, Bologna 1924; G. Beltrami, La filatura del cotone, Milano 1925; J. Wiernsberger, Aide-mémoire du filateur, Parigi 1926; G. Guaitani, La filatura del cotone, Bergamo 1927; C. Carminati, Il filatore di cotone, Milano 1927; L. Gridelli, Il filatore di cotone, Gallarate 1927; P. Lamitier, Traité théorique et pratique de la filature du coton, Parigi e Liegi 1928; J. A. Colin, Étude sur le retordage, Suresnes 1929; id., Traité complet de la filature du coton, voll. 2, Suresnes 1929; C. Barnshow, High drafting in cotton spinning, Londra 1930; P. Luc, De la torsion des fils simples du coton, Parigi s. a.; J. Lasch, Taschenbuch für den praktischen Baumwoll Spinner und Zwirner, Lipsia s. a.
Tessitura.
Operazioni di tessitura. - La tessitura del cotone comprende in generale le seguenti operazioni: condizionatura, incannatura, orditura (a strati e a sezioni), imbozzimatura, rimettaggio, bobinatura della trama, lavorazione a telaio, verifica, misurazione, infaldatura, pulitura e piegatura in doppio del tessuto. Le prime cinque operazioni costituiscono la preparazione dell'ordito (catena), che è di importanza grandissima per ottenere dai telai un buon rendimento. Ciò che si spende per un'accurata preparazione, si guadagna poi ad usura a telaio. La possibilità di poter affidare un maggior numero di telai, specialmente se automatici, a una sola operaia, dipende in gran parte dalla preparazione dei filati, oltre che dalla loro buona qualità e dall'articolo da fabbricare. Le tessiture di cotone vanno distinte in tessiture in greggio e a colori, secondo che impiegano filati greggi o colorati; la lavorazione è per certi particolari differente, così pure il macchinario.
Condizionatura. - I filati da ordire, se si arricciano, devono essere condizionati per ben fissare la torsione. Specie se si ordisce col sistema delle bobine fisse, è indispensabile che il filato non faccia ricci. I filati tinti in matassa di solito non ne hanno bisogno.
Un sistema pronto ed efficace per fissare la torsione è la vaporizzazione; il filato dopo essere stato incannato sui coni di legno, viene collocato, a mezzo di appositi carrelli, in una camera nella quale si introduce del vapore. Tale camera, semplicissima, deve avere un tubo di scarico a valvola che lasci uscire il vapore a operazione finita, prima che siano tolti i carrelli o le ceste contenenti le rocche. Per il cotone di solito basta un'ora di permanenza del filato in tale camera. Spesso si può evitare la vaporizzazione inumidendo il filato mediante polverizzazioni d'acqua. Se si tratta di filati colorati, bisogna fare attenzione che la vaporizzazione, o l'inumidimento, non alteri i colori. Il vapore ingiallisce un po' i filati greggi.
Incannatura. - Consiste nello svolgere il filato destinato a formare la catena, che viene dalla filatura sotto forma di bobine e di matasse, avvolgendolo contemporaneamente su speciali bobinoni adatti all'orditura; ha lo scopo di riunire una determinata quantità di filato su tali bobinoni, di pulire e di eliminare i punti più deboli del filato stesso. Per il compimento di questa operazione si usano generalmente tre diversi tipi di bobinoni: con rocchetti a flange (fig. 78,1); con rocche incrociate cilindriche (fig. 78,2); con rocche incrociate coniche (fig. 78,3). La corsa normale nei tre tipi è di 125 mm.
Se si tratta di svolgere da bobine di filatura (fusoni), le macchine che lavorano rocchetti a flange svolgono in media circa 200 m. di filato al minuto e sono le meno economiche, anche per il costo dei rocchetti, soggetti facilmente a guastarsi (fig. 79). Le macchine che lavorano rocche incrociate, cilindriche o coniche, con il sistema a tamburo fesso con entrata automatica del filo, svolgono 400 m. e più al minuto (fig. 80): un'operaia può accudire a circa 20 tamburi con catena 32 (titolo inglese) producendo almeno kg. 60 in 8 ore. Dovendo formare rocche coniche, bisogna aver cura che l'avvolgimento avvenga sempre nel senso della torsione del filato, e cioè come nelle bobine di filatura; quindi i filati ritorti vanno avvolti in senso contrario a quelli unici. Ciò si ottiene semplicemente variando l'inclinazione del porta-rocche all'incannatoio. Vi sono macchine speciali per la produzione di rocche coniche molto lunghe (corsa 175 mm.) con uno svolgimento pure di m. 400 e più al minuto (fig. 81). Anche in questo caso bisogna che l'avvolgimento avvenga nel senso della torsione del filato.
Se si tratta di svolgere da matasse, la velocità varia secondo la resistenza dei filati, ma in generale non supera i 100 m. al minuto. Dalla velocità di svolgimento dipende il numero di teste che può essere affidato a un'operaia; ma il costo di mano d'opera al kg. dell'incannatura, non dipende dalla velocità di svolgimento, perché quanto più tale velocità è forte, tanto minor numero di teste può essere affidato a un'operaia. Molta influenza ha invece la grossezza delle bobine da svolgere.
I rocchetti a flange e le rocche incrociate cilindriche si fanno del diametro massimo di 115 mm.: i primi contengono circa 400 gr. di filato, le seconde gr. 450; le rocche coniche di solito si fanno del diam. di 200 mm., e contengono almeno gr. 1000 di filato. Le rocche incrociate cilindriche, affinché alla orditura vadano bene, devono essere avvolte su cilindri di legno del diametro non inferiore a mm. 35. È molto in uso la tintura in rocche, nel qual caso si adopera un tubetto perforato (di metallo o di carta) e deve essere possibile all'incannatoio ottenere le rocche sufficientemente molli, in modo che il colore passi facilmente.
All'incannatura si devono evitare eccessivi stiramenti al filato; se questo, però, ha dei punti deboli, è meglio che si rompa all'incannatura piuttosto che nelle successive operazioni. La pulizia fatta mediante velluti è efficace, ma va praticata con riguardo per il troppo stiramento che può dare al filato a danno dell'elasticità. Il più delle volte si può frenare il filato per quel tanto che occorre facendolo passare attraverso barre di vetro o di porcellana. Buonissimi risultati dà il freno regolabile a dischi, il quale frena e pulisce nello stesso tempo (fig. 82).
Al fine di poter eliminare i nodi difettosi di filatura, conviene far passare il filo attraverso appropriate trafile; i nodi, poi, vanno tagliati ben corti e sempre con le apposite forbici (fig. 83). In commercio vi sono anche buoni apparecchi che annodano e tagliano contemporaneamente (fig. 84). È utile applicare alle macchine da incannatura aspiratori del pulviscolo, dannoso se si appiccica al filato.
Orditura a strati. - È l'orditura fatta mediante subbî, che poi vengono riuniti alla macchina d'appretto, in modo che i varî strati di filato si sovrappongano. Per l'orditura del cotone sono ancora in uso i rocchetti a flange e le rocche incrociate cilindriche girevoli, specialmente quando si tratta di filati colorati. Ma va prendendo sempre più piede l'orditura a rocche coniche fisse, perché si può raddoppiare, triplicare e in certi casi aumentare ancor di più la produzione dell'orditoio.
Nell'orditura con bobine girevoli la velocità normale di avvolgimento sul subbio varia da 40 a 70 metri al minuto, secondo la natura del filato; l'orditoio non deve arrestarsi di colpo quando si rompe un filo, ma dolcemente; servono a tale scopo i rulli tenditori. È bene lavorare sempre col guardiafili, il quale conviene abbia 4 file di aghi d'arresto. È importante che ogni rocchetto contenga tanto filato quanto ne porta un subbio e bisogna sempre incominciare il subbio con i rocchetti pieni e finirlo con i rocchetti vuoti; solo così tutti i subbî e i fili d'una partita avranno la medesima tensione.
Con l'orditoio comune (fig. 85), il filato si svolge a velocità costante, mentre il rocchetto varia di velocità secondo il diametro; quindi il filato diventa sempre meno teso a mano a mano che il rocchetto, vuotandosi, si alleggerisce: da ciò la necessità di uniformare il contenuto d'un rocchetto alla capacità del subbio: con flange di 55 cm. di diametro, lavorando con 500 fili, un subbio di orditura, alto cm. 140 tra le flange, porta circa m. 16.000 di catena 32,12.000 di 24 e 8.000 di 16 (titolo inglese). Invece con l'orditoio d'origine americana, poco usato in Italia, il filato si svolge a velocità variabile per mantenere al rocchetto una velocità costante, sia quando è pieno, sia quando è vuoto, per ottenere una tensione uniforme del subbio dal principio alla fine. Ma purché si abbia per regola d'incominciare sempre il subbio con i rocchetti pieni e tutti dello stesso diametro, l'orditoio comune a velocità costante va benissimo, ed è da preferirsi.
Nell'orditura con bobine fisse il filato si svolge senza fatica alle più alte velocità e si può dargli la tensione desiderata mediante freni a dischi, applicati alla rastrelliera, in corrispondenza di ogni rocca. Con questo sistema si ordiscono facilmente anche i filati più deboli; ma devono essere bene condizionati in modo da non arricciarsi. La velocità d'avvolgimento sul subbio varia secondo la resistenza del filato, ed anche secondo il tipo di orditoio adottato: con l'orditoio comune la velocità può arrivare a 150 e più metri al minuto, mentre con orditoi speciali (che hanno il guardiafili elettrico collocato sulla rastrelliera, sicché non c'è mai bisogno di girare indietro il subbio, e sono eliminati i rulli tenditori e altri organi) la velocità può essere portata a 400 e più metri al minuto (fig. 86). Le rastrelliere a rocche fisse sono state perfezionate in modo da permettere anche il rapido ricambio delle rocche. Ma l'orditura va molto curata in tutti i particolari, e non conviene quindi esagerare in velocità. Pochi fili molli possono produrre serî inconvenienti: perdita di produzione a telaio e tessuti difettosi. I subbî d'orditura devono essere ben dritti, leggeri e col cilindro di legno di diametro piuttosto grande (mm. 160), per evitare che all'apprettatura, quando si vuotano, girino troppo velocemente.
Per cotone si usano anche tubi di lamiera d'acciaio con saldatura, dello spessore di mm. 2 e del diametro di mm. 130, che pesano kg. 6 al metro; hanno il vantaggio di mantenersi dritti. Cilindri speciali di lamiera forata si usano per orditi, che vanno poi tinti sul cilindro stesso, come si fa per le rocche incrociate cilindriche. Si deve poter ottenere l'ordito più o meno teso a volontà, cosa possibile lavorando col sistema delle bobine fisse. Si deve ordire usando sempre il guardiafili e tagliando i nodi ben corti con le apposite forbici. Meno nodi ha un ordimento, tanto maggior resa dà il telaio. È cosa utile applicare sopra le rastrelliere degli aspiratori allo scopo di eliminare il pulviscolo, senza però disturbare il filato.
È un errore, agli effetti dell'apprettatura, ordire troppi fili su un subbio; di regola, non si dovrebbero sorpassare i 550 fili.
I subbî d'orditura devono avere una larghezza tra le flange di circa 10 cm. minore di quella dei tamburi d'asciugamento di rame della macchina d'appretto; le misure più usate sono 140,165 e 190 cm., secondo che si tratti di telai bassi, medî o alti. Si usa fare gli orditoi col tamburo estensibile per regolare tali altezze; ma, essendo fissa la larghezza della macchina d'appretto, ciò non è sempre necessario. Il tamburo dell'orditoio si tiene 1 cm. più basso della larghezza tra le flange del subbio.
Nelle grandi organizzazioni si usa collocare incannatoi e orditoi nella filatura, in modo che il filato possa, sul luogo stesso di produzione, essere condizionato, incannato e ordito. La filatura manda poi alla tessitura i subbî orditi col numero di fili prescritti, su appositi carri, risparmiando così il trasporto delle casse e dei tubetti. Con questo sistema la filatura può anche meglio rendersi conto dell'andamento in lavoro del filato.
Orditura a sezioni. - È l'orditura fatta a mezzo d'un aspo, in modo che le varie sezioni, costituite da un determinato numero di fili, vengono collocate una di fianco all'altra, generalmente con avvolgimento conico (fig. 87). Dall'aspo l'ordito passa poi su un subbio che, di solito, va direttamente a telaio. L'orditura a sezioni conviene specialmente quando si tratta di filati che non hanno bisogno d'essere imbozzimati (o che sono stati preventivamente imbozzimati in matasse), cioè trova conveniente impiego nelle tessiture che lavorano filati ritorti e soprattutto nelle tessiture a colori, per la facilità di poter disporre svariati disegni di poche pezze ognuno senza sprechi.
Però il subbio che proviene dall'orditoio a sezioni può, occorrendo, essere passato alla macchina da imbozzimare (come si usa per la lana cardata) se si tratta di filati grossi.
Per cotone è consigliabile che l'aspo abbia una circonferenza di m. 2,50 e che l'apparato avvolgitore possa contenere subbî con flange di 55 cm. di diametro. Di solito questi orditoi sono a spostamento laterale dell'aspo, sia durante l'orditura sia durante l'avvolgimento sul subbio, il quale rimane fisso; ma si costruiscono anche col sistema, usato per la seta, a spostamento laterale del porta-pettine durante l'orditura e del subbio durante l'avvolgimento, mentre l'aspo rimane sempre fisso. Anche qui si possono adottare rocchetti a flange e rocche incrociate cilindriche girevoli, come pure rocche coniche fisse; la produzione è maggiore con queste ultime, perché l'orditoio può essere spinto ad alte velocità. Le rastrelliere, di solito, portano circa 400 rocche e in certi casi è conveniente porre sulla rastrelliera direttamente le bobine come vengono dalla filatura, anche per evitare nodi, tanto dannosi quando si tratta di catene molto fitte in pettine.
Imbozzimatura (v. bozzima). - È operazione d'importanza grandissima; un filato anche debole può andare bene a telaio se opportunamente trattato con la bozzima, detta anche appretto o colla. La natura e l'intensità della bozzima variano secondo la qualità del filato e l'articolo da fabbricare e solo la pratica può indicare quali materie sia meglio adoperare e quali siano le proporzioni più convenienti.
La bozzima riesce meglio cuocendola in autoclave (fig. 88), sotto pressione da 2 a 3 atmosfere; la capacità più usata è di 300 litri. La fecola e le altre farine vengono sciolte a parte, a freddo, in un recipiente collocato sopra l'autoclave e versate poi in questo; gli altri ingredienti subiscono trattamenti diversi secondo la loro natura. La durata della bollitura varia da un minimo di 15 a un massimo di 45 minuti, secondo che si tratti di bozzima leggierissima o pesantissima, cioè secondo il grado di densità. La giusta cottura si rileva dall'aspetto filante e trasparente della miscela. Una cottura insufficiente, come spesso avviene col vecchio sistema delle vasche aperte, danneggia gl'ingredienti e ne ostacola la coesione.
La bozzima, quando è pronta, passa, sotto pressione, in un recipiente collocato in alto, vicino all'imbozzimatrice. Da questo recipiente, secondo il bisogno, la bozzima viene immessa nella vasca di rame (marna), dove viene mantenuta calda, sia direttamente, da vapore introdotto nella vasca per mezzo di serpentino, sia indirettamente, da vapore introdotto in un doppio fondo. Il vapore diretto diluisce la bozzima, ma c'è un certo compenso nell'evaporazione. In ogni caso, dovendo il filato pescare nella vasca, è necessario che la bozzima sia liquida e calda per evitare che il filato si attortigli.
Molte sono le sostanze adoperate nella formazione delle bozzime. Esse si possono classificare in 5 gruppi:
1. sostanze incollanti (fecola di patate, farina di granturco farina di frumento, amido, destrina, gelatina);
2. sostanze per ammorbidire e lisciare (cera d'api, sapone, sego, olio di ricino);
3. sostanze per appesantire (caolino, cloruro di magnesio);
4. sostanze per indurire (colofonia, colla da falegname);
5. sostanze antisettiche per impedire la putrefazione (solfato di ferro, cloruro di zinco).
Esistono anche preparati speciali, da mescolare alla fecola in sostituzione delle varie sostanze, i quali dànno ottimi risultati, semplificando il compito dell'imbozzimatore.
Le ricette che seguono, semplici e consigliate da lunga esperienza sono di esito sicuro per i varî articoli di cotone.
Se la catena è molto fitta e il tessuto molto battuto in trama, il filato esige una bozzima più forte che non quando è destinato a una catena rada e a un tessuto poco battuto. Così pure le catene destinate ai telai automatici vanno imbozzimate un po' più fortemente di quelle destinate ai telai comuni, perché devono sopportare lo sfregamento delle lamelle del guardiafili.
I subbî d'ordito devono all'incollatoio essere opportunamente frenati e i cilindri spremitori dell'appretto debbono essere ben dritti e col panolo in ordine, in modo che non lascino solchi sul filato. Buonissimi risultati dànno, a questo scopo, i manicotti di lana senza cucitura. È bene che i cilindri spremitori siano muniti di frizione, per servirsene in caso di bisogno specialmente quando l'appretto è denso.
L'asciugamento si fa con due sistemi: a mezzo di tamburi di rame (sizing) o ad aria calda. Il primo sistema conviene per i filati greggi e il secondo per i colorati, perché il colore potrebbe subire alterazioni al contatto della lamiera di rame riscaldata. Con circa 2500 fili di catena 32 (tit. ingl.) una macchina a tamburi produce circa m. 12.000 in 8 ore. L'asciugamento ad aria calda è alquanto più lento, ma dà un filato più pieno e più rotondo.
Se si asciuga mediante tamburi di rame (fig. 89), il tamburo o i tamburi vanno comandati, al fine di non affaticare il filato e conservargli l'elasticità. Le larghezze normali di questi tamburi sono 150, 175, 200 centimetri. Lo spessore della lamiera di rame è in rapporto al diametro dei tamburi e alla pressione del vapore; deve essere di mm. 3,5 per il tamburo grande (m. 2 di diametro) e di mm. 2,5 per il tamburo piccolo (m. 1,20). Nell'acquistare queste macchine è bene stabilire tali misure, che sono di prescrizione in Italia. È preferibile la chiusura con cerchio a quella con bulloni.
Se si asciuga ad aria calda (fig. 90), sono preferibili i sistemi che non affaticano molto il filato stirandolo con giri e rigiri e che non mettono a contatto del filato stesso, ancora umido, troppi cilindri. La corrente d'aria deve essere diretta sempre in senso contrario al percorso della catena. La necessaria durezza dei subbî dev'essere ottenuta col compressore e non con l'eccessivo tiraggio della frizione.
Ad ogni subbio apprettato, prima che sia tolto dall'avvolgitrice, è bene applicare l'apposito pettine aperto, oppure la striscia di carta incollata, per conservare la distribuzione dei fili.
È buona regola in apprettatura, affinché al telaio i fili laterali lavorino ben tesi sopportando il tiraggio prodotto dalla trama, di tenere la larghezza tra le flange dei subbî dei telai maggiore di qualche centimetro dell'altezza in pettine. La macchina d'appretto deve avere una larghezza che vada d'accordo con i subbî d'orditura; la testiera, però, è bene che sia allargata, tanto da poter avvolgere subbî per telai alti fino a 205 cm. di luce ed aventi flange fino a 55 cm. di diametro. Per i telai fino a 125 cm. di luce, va bene la macchina d'appretto larga 150 cm.; per telai fino a 150 cm. quella da 175 cm., per telai fino a 205 cm. quella da 200 cm. Volendo adottare un'unica misura di macchina d'appretto, si scelga quella da 175 cm., con tastiera allargata fino a 205 cm., che va bene per tutti i telai da 110 a 205 cm. e con la quale si possono impiegare subbî di orditura fino a 165 cm. tra le flange.
Qualunque sia il sistema con il quale si appretta, il filato deve uscire dalla macchina rotondo, liscio ed elastico. Macchine d'appretto d'ogni sistema si costruiscono bene in Italia.
Nelle tessiture a colori è utile l'imbozzimatura in matasse dei filati semplici (e qualche volta anche dei ritorti), per poter preparare i subbî dei telai con l'orditoio a sezioni; è reso così possibile mettere a telaio poche pezze d'un dato disegno, senza lo spreco di tempo, di lavoro e di materiale che richiede l'orditura a strati e la conseguente imbozzimatura. L'imbozzimatura in matasse è eseguita di solito subito dopo l'operazione di tintoria o di candeggio delle matasse.
L'impianto si compone di 6 macchine: Caldaia per cuocere la bozzima (fig. 91), Imbozzimatrice (fig. 92), Pressa idraulica (fig. 93), Macchina per sbattere le matasse (fig. 94), Spazzolatrice (fig. 95), Asciugatoio (fig. 96).
Fra le materie impiegate per l'imbozzimatura dei filati di cotone in matassa, primeggia l'amido di frumento, essendo quello che dà una bozzima migliore e più a buon mercato. La bozzima vien preparata in caldaia a doppio fondo; e la ricetta più comune è la seguente:
L'amido di frumento viene stemperato in acqua portata e tenuta all'ebollizione per 5 minuti. Si aggiungono poi altri kg. 200 di acqua fredda e in seguito, nella salda d'amido, si emulsiona il sapone e il sego. Le matasse vengono impregnate in questa bozzima a circa 50° servendosi dell'apposita macchina (fig. 92).
Dopo l'imbozzimatura le matasse vengono collocate nella pressa idraulica e pressate finché non esca più liquido. Durante questa operazione la bozzima abbandona buona parte di acqua, lasciando sul filato le materie incollanti. Dopo la pressatura le matasse vengono battute con l'apposita macchina allo scopo di rompere un po' la durezza lasciata dalla pressatura; in seguito vengono spazzolate allo scopo di staccare i fili gli uni dagli altri prima dell'asciugamento e di dare al filato la superficie liscia necessaria per il buon andamento a telaio. L'asciugamento viene fatto poi rapidamente con gli asciugatoi ad aspo, simili a quelli impiegati nelle tintorie; oppure con la macchina ad aria calda.
Rimettaggio. - Per cotone si usano tanto i licci con maglie di tortiglia makò (occhiello della stessa tortiglia) apprettate e verniciate nel mezzo, che i licci di acciaio. Specialmente per filati delicati, la preferenza è ancora per i licci di tortiglia.
Per tele domestic pesanti, tortiglia makò 40 a 20 capi e anche a 24. La lunghezza delle maglie di tortiglia varia da 30 a 40 cm., secondo l'apertura dell'ordito. In generale va bene la lunghezza di 32 cm. per i telai fino a 200 cm. di luce, e di 36 cm. per i telai più alti e per le macchine d'armature.
Larghissimo uso hanno anche i licci di acciaio, costruiti in diverse forme e misure; nei casi di riduzioni miste, questi licci, essendo mobili, sono utilissimi. La lunghezza ordinaria delle maglie d'acciaio è di cm. 28 per i telai altissimi occorrono maglie di almeno cm. 30.
I pettini per cotone sono d'acciaio con legatura a spago e pece e le riduzioni arrivano fino a un massimo di 20 denti al cm. Per riduzioni più fitte conviene la legatura di metallo e stagnata. Lo spessore dei denti è in rapporto alla fittezza; la lunghezza normale dei denti (boccatura) è di cm. 12 per telai fino a 205 cm. e di cm. 14 per altezze maggiori.
L'allicciatura si esegue generalmente a mano, specie se si tratta di rimettaggi non seguenti. Se la catena è destinata a telai muniti di guardiafili (indispensabile questo nei telai automatici e ora usato anche nei telai comuni), le lamelle vengono applicate ad ogni filo durante l'allicciatura; la produzione di un banco di allicciatrici è, in questo caso, di circa 1200 fili all'ora. Il tipo di lamella più comune per guardiafili è quello chiuso (fig. 97) della lunghezza di mm. 125; deve essere di buon acciaio flessibile e del peso massimo di gr. 1600 al mille.
Vi sono poi macchine che fanno automaticamente la cernita dei fili e li porgono all'incorsatrice, sostituendo l'operaia addetta a questo lavoro, con una produzione di circa 2000 fili all'ora. Un banco di allicciatura ha quindi bisogno d'una sola operaia.
Nelle grandi tessiture di cotone a telai automatici, caricati dello stesso articolo, sono utili le speciali macchine per l'annodatura dei fili (fig. 98) allo scopo di risparmiare l'allicciatura. La produzione è di circa 10.000 fili all'ora. Queste macchine, ingegnosissime, possono essere mobili, per annodare a telaio, oppure fisse, da collocare nel riparto allicciatura. In commercio esistono anche macchine per attortigliare i fili di catena, con una produzione di circa 7000 attortigliature all'ora, e macchine per incorsare e per passare i fili nel pettine.
La convenienza di usare le diverse macchine inerenti al rimettaggio dipende più che altro dal genere di produzione e dal grado d'organizzazione della tessitura. È da notare che queste macchine sono delicate e richiedono cura e perizia. In generale il lavoro meccanico serve solo per catene semplici con un unico titolo di filato.
Riassumendo, conviene tenere presente che il filato deve andare a telaio elastico, coi nodi ben fatti e ben tagliati, con giusto appretto, senza appiccicature, né incroci di fili; e, data l'importanza molto maggiore che ha l'ordito, rispetto alla trama, sulla produzione del telaio, si deve mettere ogni cura per far sì che al telaio esso riesca a sopportare lo sforzo richiestogli, senza formare pelo e senza rompersi.
Bobinatura della trama. - Le trame di cotone greggio (e anche spesso le colorate) vengono dalla filatura già pronte per andare a telaio, sia su tubetti comuni di carta sia su tubetti speciali di legno per telai automatici. Ma i filati, se arrivano in tessitura in matasse o in rocche incrociate cilindriche oppure su fusoni non adatti alle navette dei telai, devono essere messi in bobine. Due sono le macchine spolettiere più in uso per il cotone, le quali rappresentano due diversi sistemi: quello a fusi verticali (fig. 99) e quello a fusi orizzontali (fig. 100).
La prima è una macchina di buon comando, che lavora alla perfezione (circa 1500 giri dei fusi al minuto), ma che esige un tubetto con un foro in punta di almeno 5 mm. per lasciar passare il fuso. La seconda è di precisione; può raggiungere altissime velocità e non ha vincoli per quanto riguarda il foro del tubetto, perché il fuso non è passante; essa è preferita dalle tessiture con telai automatici potendosi usare gli stessi tubetti di legno della filatura e potendosi spingere la velocità dei fusi a circa 3500 giri al minuto. Queste macchine si fabbricano molto bene in Italia. Naturalmente, maggiore è la velocità, minore è il numero dei fusi che un'operaia può alimentare. In ambedue i tipi è possibile formare, occorrendo, la riserva di filato per il tastatore dei telai automatici.
Si usa molto, con grande vantaggio per la produzione, tingere il filato in rocche, passando poi le rocche tinte alla spolettiera e svolgendole tenute fisse. La spolettiera può così essere spinta a grande velocità e l'operaia può accudire a un numero maggiore di fusi che non con le solite matasse. È conveniente svolgere la rocca tinta quando è ancora un po' umida, perché la bobina, senza bisogno di eccessivo freno, riesce dura e compatta. Bis0gna aver cura che la rocca sia collocata in modo da svolgersi in senso contrario alla torsione del filato, come avviene per le comuni bobine di filatura.
Lavorazione a telaio: a) Telaio meccanico comune. - Il telaio meccanico comune per cotone viene costruito in diversi modi per quanto riguarda i varî movimenti e ogni zona industriale ha le sue preferenze; ma, prescindendo ora dalle abitudini, l'esperienza ha dimostrato la grande praticità e comodità del telaio che ha per caratteristica principale il movimento esterno dei licci (fig. 101). Con esso è possibile, come nel sistema a movimenti interni, eliminare, volendo, le molle per l'abbassamento dei licci, sostituendole con attacchi combinati in modo che a determinate alzate corrispondano determinate abbassate. Ciò è utile specialmente tessendo articoli pesanti, molto battuti.
Le caratteristiche da preferire nel telaio sono le seguenti: cassa battente robusta a pettine fisso; battuta a frusta col battispole di sopra e la candela collocata esteriormente; movimento ad eccentrici in tela (in due pezzi) collocato internamente al telaio, più movimento ad eccentrici per 6 licci collocato esternamente (eccentrici dei licci staccati con collegamenti a denti), regolatore positivo, meglio se collocato dalla parte del comando per lasciar libera la parte opposta, con cricco per far retrocedere automaticamente il tessuto quando il telaio è arrestato dalla forchetta; spalle sufficientemente profonde da poter contenere, volendo, la macchina d'armature fino a 16 licci; albero inferiore prolungato per ricevere tanto gli eccentrici esterni, quanto il comando della macchina d'armature o della macchina Jacquard; costruzione adatta a portare un subbio di ordito fino a 55 cm. di diametro; possibilità di poter con tale subbio abbassare il portafili fino a circa 10 cm. al disotto del piano della cassa battente; subbio in ferro con perni, pulegge di frizione per la catena fisse alle estremità del subbio e flange mobili; freno dell'ordito a leve e pesi; cassetti lunghi circa cm. 60, cioè sufficientemente ampî da poter portare, occorrendo, anche una navetta grande (altezza 40 mm., larghezza 50 mm., lunghezza totale 420 mm.), e linguette lunghe il più possibile con perni regolabili; per questi cassetti occorrono tacchetti che misurino millimetri 52-54 dal centro del foro al restringimento. Il telaio deve essere munito di due freni, uno che agisca mediante il rifermo, l'altro per mezzo della forchetta; quando agisce questo secondo freno (per la rottura della trama o perché la bobina è terminata) il telaio deve fermarsi sulla battuta e la navetta trovarsi dalla parte della messa in moto affinché l'operaia possa procedere comodamente al cambio.
Le bobine più comunemente usate per cotone sono di tre differenti dimensioni, alle quali corrispondono tre diverse navette (fig. 102).
La bobina immediatamente superiore, usata specialmente per trame di cascame, oppure nel caso di telai marcianti a velocità ridotte, è di mm. 33 × 185.
L'angolo delle navette deve adattarsi bene all'angolo che forma il pettine col fondo della cassa battente, che di solito è di 86 o di 84 gradi. Nei telai automatici d'origine americana tale angolo è retto.
Come si rileva dalle misure, queste navette sono molto robuste e quindi di grande durata; sono davanti più basse che non dietro, affinché si adattino meglio all'apertura dell'ordito (bocca o passo) e ne sia facilitato il passaggio. Con questo sistema l'apertura dell'ordito può essere tenuta più piccola che non con le solite navette. L'altezza sul davanti è costante nei tre tipi (32 mm.), affinché si adatti alle spondine del telaio. Siccome le tre navette variano poco nella larghezza (6 mm.) e nell'altezza dietro (4 mm.), si può, occorrendo, alternarle sullo stesso telaio senza neppure cambiare il tacchetto e solo spostando un po' le spondine ed eventualmente i perni delle linguette, che, come si è detto, è bene che possano muoversi avanti e indietro.
Una buona navetta deve essere fatta di legno compresso e ben stagionato; ottimo è il corniolo americano. La sua durata dipende, oltre che dalla qualità dell'articolo da fabbricare, dalla velocità del telaio. Indipendentemente dalle dimensioni delle bobine, che di solito indicano la navetta da adoperare, nei telai fino a 125 cm. di luce si usa adoperare la navetta piccola, fino a 205 cm. la media, e per le altezze superiori, la grossa; ma quest'ultima deve andar bene anche sui telai bassi.
Oggi che l'eccessiva velocità è stata bandita anche dai telai comuni e che si preferisce, giustamente, andare più adagio ed affidare, piuttosto, un numero maggiore di telai a una sola operaia, è bene avere un tipo unico di telaio, robusto e agile, capace di portare una grossa bobina di trama, sufficientemente profondo sì da poter ricevere la macchina d'armature e la macchina Jacquard, adatto a produrre tutti gli articoli comuni di cotone e che si possa, volendo, trasformare in telaio a più navette e anche in telaio automatico, aggiungendo i relativi movimenti. Il sistema a pettine mobile, creato per le grandi velocità, ha fatto il suo tempo; vi sono, è vero, pettini mobili perfezionati, ma in generale è preferibile il sistema a pettine fisso, col quale l'andatura del telaio può essere quasi egualmente leggiera, col vantaggio di minor pericolo di sfasciamento delle bobine. I blocca-navette sono utili per impedire lo sfasciamento delle bobine e per diminuire il consumo dei tacchetti, specialmente nei telai a pettine mobile; ma sono sempre un po' ingombranti e richiedono una certa manutenzione. I migliori sistemi sono quelli che agiscono sul fulcro della linguetta.
Le velocità massime consigliate per i telai da cotone, tessendo articoli facili con filati molto buoni, sono le seguenti:
Per tessere fustagni, moleskins e in generale articoli pesanti con molte battute, si usa adoperare un telaio speciale col movimento dei licci a tamburo (fig. 103); ma in generale tali tessuti possono essere fabbricati anche sul telaio comune, purché sufficientemente robusto; e il telaio a movimenti esterni dei licci può essere montato a bilanciere, con lo stesso effetto dei tamburi. In caso di telai a movimenti interni dei licci, va preferito il sistema con le calcole aventi il fulcro dal lato posteriore del telaio, perché più comodo per l'assistente.
La macchina d'armature (ratière) da preferirsi per cotone è quella a doppia levata e a doppia sospensione dei licci (fig. 104). Ha il vantaggio di andar bene su qualunque altezza del telaio cambiando soltanto i tiranti, mentre la macchina rimane sempre allo stesso posto rispetto agli altri organi del telaio. Per 16 licci occorre nel telaio uno spazio utile di almeno 22 cm. Lo stesso tipo di macchina viene fornito anche a due cilindri con movimento automatico per il cambio delle armature per produrre tessuti con bordi trasversali.
Per quanto riguarda la macchina Jacquard, va notato che l'impalcatura dev'essere isolata dal telaio; che la posizione razionale del cilindro è quella sul fianco sinistro della macchina; che fino a 160 battute al minuto basta un solo cilindro, mentre per una maggiore velocità convengono i due cilindri.
I tessuti a spugna (v. armatura: Tessitura) si tessono su telai a una o più navette, muniti di speciali dispositivi per ottenere le due necessarie differenti corse della cassa battente, il rallentamento a momento opportuno del subbio portante la catena che deve formare il riccio e lo speciale sistema d'avvolgimento del tessuto voluminoso (fig. 105). L'Italia produce bene queste macchine.
b) Telaio automatico a cambiamento di bobina - Le tessiture di cotone, specialmente se in greggio, hanno abbandonato o tendono ad abbandonare il telaio meccanico comune, sostituendolo col telaio automatico (fig. 106).
Oggi, essendo scaduto il brevetto americano Northrop, i varî costruttori hanno creato loro tipi di telai automatici a cambiamento di bobina facendoli oggetto costante di studio per perfezionarli, semplificarli sempre più, e renderli adatti a qualsiasi articolo e alla capacità delle comuni maestranze. In generale, essi hanno il serbatoio a bariletto a bobine indipendenti e di conseguenza la battuta a spada.
Molti sono anche i costruttori di apparecchi per il cambio automatico della bobina da adattare ai telai comuni con battuta a frusta (fig. 107). Questi apparecchi devono avere un serbatoio a forma di arco, che permetta la corsa del battispola, e le bobine sovrapposte le une alle altre. Inoltre, dalla parte del cambiamento, la bacchetta che guida il tacchetto deve essere spostata indietro o in alto affinché la bobina possa passare: nel primo caso si deve adoperare un tacchetto a gomito, come quello in uso fin dallo scorso secolo in certi telai per seta con battuta a frusta, per evitare le macchie d'olio; nel secondo caso, si deve usare un tacchetto di forma normale, ma alquanto più lungo, e in tal caso il martello è collocato sulla cassa battente. Infine vi sono apparecchi che scaricano la bobina in senso orizzontale; in questo caso si adoperano tacchetti normali e la navetta scorre col fondo appoggiato al pettine del telaio.
Certo la battuta a frusta, che ha trionfato finora nei telai meccanici comuni per cotone, è più leggera e agile di quella a spada; ma occorre che le bobine siano tutte dello stesso diametro per mantenersi dritte nel serbatoio.
Tanto i telai completamente automatici, quanto i varî apparecchi cambiabobine, si basano in generale sullo stesso principio del Northrop e i perfezionamenti escogitati si riferiscono a particolari modi di collocare o d'ottenere i singoli movimenti, non all'insieme di ciò che costituisce l'automatismo.
Un telaio a cambiamento di bobine, per essere completamente automatico, deve avere: la guardia per l'esatta posizione della navetta, il tastatore per provocare il cambiamento della bobina quando sta per vuotarsi, la trancia per tagliare il capo di trama d'ogni nuova bobina inserita, il guardiafili per l'arresto del telaio quando un filo si rompe, il freno automatico che, regolato in principio, mantenga all'ordito la stessa tensione fino al termine del subbio.
Con i comuni telai la tessitrice ha un lavoro piuttosto gravoso, che richiede molta attenzione per scoprire i fili rotti, una certa forza fisica per fermare e mettere in moto ogni momento il telaio, e una speciale abilità; inoltre l'aspirare, come ancora si usa, tante volte in un giorno la trama è dannoso alla salute. Non si può quindi pretendere che l'operaia lavori intensamente per tutte le otto ore di seguito; gran parte del tempo essa rimane in riposo ad aspettare che la navetta si vuoti e che i fili si rompano.
Col telaio automatico, invece, se un filo si rompe, il telaio si ferma subito da sé senza produrre difetti nel tessuto; e quando la bobina nella navetta è vuota, viene automaticamente sostituita da un'altra piena; se poi la trama si rompe il telaio subito si ferma nel caso che si lavori col tastatore, oppure cambia la bobina nel caso che si lavori senza. Quindi nessuna attenzione e nessuna fatica da parte dell'operaia, la quale può continuare la sua occupazione per tutte le otto ore, stancandosi meno che ai telai comuni.
Nei telai automatici, le rotture di fili hanno grande importanza, perché da esse dipende principalmente il numero dei telai che si possono affidare a un'operaia: bisogna quindi far subire all'ordito il minore sforzo possibile. I telai automatici possono funzionare con e senza tastatore. Lavorando senza tastatore (articoli correnti, specialmente in tela), il lavoro è alquanto semplificato. Lavorando col tastatore, l'operaia deve, oltre che attaccare i fili, rimettere in moto il telaio dopo una rottura di trama, mentre il caricamento del serbatoio è bene sia fatto da altra operaia che costi meno.
La tessitrice che fa tutto nell'automatismo non esiste: vi è l'operaia attaccafili e l'operaia che carica il serbatoio. La prima, oltre che attaccare i fili, deve rimettere il telaio in moto quando si ferma per mancato infilaggio della trama nella navetta, oppure per rottura della trama quando si lavora col tastatore.
All'operaia attaccafili si deve chiedere equo lavoro (240 fili attaccati in un giorno, cioè un filo in 2 minuti) dietro equo compenso.
Il numero di telai da affidare a un'attaccafili non si può stabilire con una regola generale per tutte le tessiture, anche se hanno gli stessi telai e se lavorano gli stessi articoli; esso dipende esclusivamente dal numero di volte che il telaio si ferma in un giorno per qualsiasi causa. È più logico parlare di numero di fili da affidare a un'operaia che di numero di telai. Se un'operaia può attaccare 240 fili al giorno, è indifferente che li attacchi su 40 piuttosto che su 4 telai, ed è evidente che, se si rompessero soltanto 2 fili al giorno per telaio, un'attaccafili, se non avesse altro da fare, basterebbe per 120 telai, come succede in certe tessiture americane che lavorano garze per medicazione. In tal caso bisogna provvedere i telai di apparecchi di segnalazione dell'arresto e disporli in modo che l'operaia abbia il minor percorso possibile da fare; come regola poi l'attaccafili, quando accudisce a molti telai, fa ogni volta un giro completo senza ritornare indietro.
Altrettanto si dica per l'operaia che deve caricare i serbatoi: il numero di telai da affidarle dipende dal consumo di bobine. Essa può caricare almeno 5000 bobine in 8 ore e cioè una bobina in circa 5 secondi; quindi, se i telai consumano ognuno 50 bobine al giorno, potranno esserle affidati 100 telai; se invece consunano ognuno 100 bobine, soltanto 50. Le fermate dei telai per la trama hanno luogo quando questa si rompe due volte di seguito al momento del cambio; oppure, se funziona il tastatore, quando si rompe durante il percorso della navetta. Nel primo caso l'operaia non ha che da rimettere in moto il telaio; nel secondo invece deve prima togliere la navetta e rimetterla esattamente nel punto dove la trama si è rotta. Di tutte le fermate va preso nota per cercarne accuratamente le cause e diminuirle il più possibile.
Avendo in tessitura bisogno d'un numero molto minore di operaie, è reso possibile il lavoro in doppia squadra, con grande beneficio sul costo di produzione, essendo certe spese suddivise su un maggior numero di metri prodotti; non volendo raddoppiare la produzione, 1000 telai comuni possono essere sostituiti con vantaggio da 500 automatici lavoranti in doppia squadra.
La produzione d'un telaio automatico deve essere di almeno il 90% della produzione teorica; mentre la produzione dei telai comuni, con articoli correnti, è in media del 70%, e se il rendimento è maggiore, di solito questo si deve al non aver tenuto esatto calcolo delle ore di lavoro o dei telai battenti in confronto di quelli installati. Il telaio automatico si fa andare alquanto più adagio del telaio comune, ma quello produce quanto questo e anche più, per la maggior resa. Inoltre il telaio, andando adagio, consuma poche scorte e i fili si rompono meno.
È un errore esagerare in velocità; meglio andare adagio e affidare più telai ad un'operaia. Per quanto i telai automatici, se ben costruiti, possano raggiungere le stesse velocità dei comuni, ecco le velocità che conviene adottare impiegando filati buoni:
Le bobine più comuni dei telai autonatici per cotone sono di tre diverse dimensioni, alle quali corrispondono tre diverse navette (misure in mm.).
È consigliabile, per titoli fini e medî, la bobina 2 (mm. 27 × 170, fig. 108), perché richiede una navetta di proporzioni comuni e quindi un'apertura d'ordito normale. È pure molto usata la bobina 30 ×185, anche perché la navetta, essendo larga, si adatta bene ai cassetti dei telai a battuta a spada.
La navetta nei telai automatici ha funzioni importantissime e delicate, affidate particolarmente a due organi: alla chiocciola per l'infilaggio della trama e alla molla per l'esatto collocamento della bobina. Almeno una volta alla settimana le viti che fissano questi due organi alla navetta vanno ripassate, perché il legno, scaldandosi, le può allentare.
Si nota che, lavorando con trama a torsione normale (destra), l'infilaggio è più facile se il serbatoio è a destra, perché la bobina scendendo tende ad allentare la tensione della trama. I telai d'origine americana sono tutti d'una sola mano, col comando a sinistra il serbatoio a destra e quindi la chiocciola della navetta a destra. Le chiocciole poi sono destre o sinistre secondo che si tratti di trama a torsione destra o sinistra.
È consigliabile, dal lato economico, se la filatura è vicina alla tessitura, adoperare trama filata direttamente sul tubetto di legno. Però conviene ribobinare le trame molto grosse e di qualità scadente; certo, se la trama viene ribobinata, vi sono meno rotture e quindi, nel caso che si lavori col tastatore, meno fermate del telaio; ma di solito il lavoro alla spolettiera richiede una trama resistente, cioè più torta dalla trama comune, e ciò rende il tessuto meno pieno.
Col telaio automatico, lavorando senza tastatore, il consumo di trama può ridursi in confronto dei telai comuni, se la trama è buona e bene confezionata.
Coi telai automatici il trasporto della trama assume grande importanza, tanto che si sono studiati degli speciali fusi sui quali adattare le comuni bobine di filatura; ciò anche allo scopo di risparmiare l'ingente spesa per la scorta di tubetti di legno.
Però sono sempre preferibili questi, perché più leggieri e più equilibrati. Un tubetto di legno per automatici mm. 27 × 170 (fig. 108) pesa gr. 28 (tara) e contiene circa gr. 16 di trama. Quindi occorrono kg. 175 di tubetti ogni 100 kg. di filato netto, mentre bastano kg. 25 dei soliti tubetti di carta provenienti dai filatoi ad anelli.
Per trasportare kg. 100 di trama su tubetti automatici, bisogna calcolare - tenendo conto anche del ritorno delle casse e dei tubetti vuoti - quasi tre volte quanto si spende per trasportare la stessa quantità di trama su tubetti di carta. Da ciò l'utilità di avere la filatura vicina alla tessitura. Segue il conto approssimativo inerente al trasporto delle trame:
Le bobine di trama vengono pulite dai residui (e si hanno residui specialmente lavorando col tastatore) con una macchina speciale fabbricata in Italia (fig. 109). Questa arriva a pulire circa 2000 tubetti all'ora e funziona inappuntabilmente, lasciando intatto il tubetto. La pulizia ai tubetti è bene, potendo, che sia fatta in filatura anziché in tessitura.
L'automatismo è questione più meccanica che tessile; ma non basta acquistare telai automatici, oppure applicare a vecchi telai apparecchi cambia-bobine, per dire di avere introdotto vantaggiosamente l'automatismo; vi è tutta un'organizzazione da formare, che va dalla qualità del filato all'articolo da fabbricare, organizzazione che richiede cure assidue e volenterose da parte dei dirigenti. Questi, per i primi, devono sapersi spogliare della naturale diffidenza verso il nuovo e mettersi sulla via della revisione di tutte le operazioni inerenti alle loro tessiture. Esistono in tutti i paesi, industrialmente più progrediti, organizzazioni che, attraverso anni ed anni di studî e di esperimenti, hanno raggiunto un alto grado di razionalizzazione con conseguente fortissima riduzione dei costi di produzione, pure avendo elevato le paghe alle maestranze; a questi esempî i dirigenti devono guardare, non con incredulità e contrarietà, ma col fermo proposito di uguagliarli, approfittando dei loro preziosi insegnamenti per raggiungere il massimo rendimento con la minima spesa.
Decisa l'adozione dell'automatismo, i dirigenti devono imporne l'applicazione energicamente e senza incertezze. Per prima cosa essi devono stabilire, per tutte le lavorazioni, dall'incannatura in avanti, la possibilità di produzione delle singole macchine; poi la possibilità di rendimento dell'operaia con equo lavoro, basandosi su esperienze ormai controllate e sicure. A tale normale possibilità di rendimento deve corrispondere un adeguato compenso, il quale, per nessuna ragione, deve poi essere modificato. L'eventuale maggior rendimento, conseguenza di maggiore attività o abilità, deve costituire il legittimo premio dell'operaia, premio fecondo di frutti anche per l'azienda. La produzione d'ogni macchina va controllata giornalmente, anche per mezzo di contatori o di segnalatori, cercando subito le cause di eventuale minore rendimento. In principio vi saranno lotte da combattere contro pregiudizî e contro inveterate abitudini, ma la vittoria è sicura; i fatti dimostreranno che due grandi scopi si saranno raggiunti: riduzione del costo di produzione e diminuzione di fatica da parte delle maestranze.
c) Telaio automatico a cambiamento di navetta. - Oltre il telaio automatico a cambiamento di bobine, si usa anche il telaio a cambiamento di navetta (fig. 110) che pure funziona benissimo; e il cambiamento può avvenire tanto a telaio fermo quanto a telaio in moto, sistema quest'ultimo molto usato in Giappone. Col cambiamento di navetta si ha il vantaggio, rispetto al cambiamento di bobina, di poter adoperare navette comuni e bobine di trama su tubetti comuni, oppure bobine che si svolgono dall'interno; ma l'operazione di carico e scarico delle navette è naturalmente più lunga e nell'insieme il telaio non si presenta più semplice dell'altro.
d) Telaio meccanico comune con nuove applicazioni. - Per non sottostare alla spesa ingente che comporta l'installazione di telai automatici, si può adottare il sistema di applicare ai comuni telai meccanici il guardiafili ed eventualmente il tastatore, impiegando in trama una bobina alquanto più grossa del normale, cioè di mm. 33 × 185 (anche gli stessi fusoni di catena). Una tale bobina contiene almeno gr. 35 di trama 32 (tit. ingl.) pari a circa m. 1900. La navetta (fig. 111) è stata studiata in modo da occupare il minor volume possibile. Tale navetta può essere adattata ai cassetti dei comuni telai meccanici ed esige un'apertura dell'ordito di poco superiore a quella che viene normalmente usata per il cotone.
Il telaio viene però fatto andare più adagio; p. es., se si tratta del telaio di 110 cm. di luce, invece di 190 battute al minuto, solo 165. Ma essendo il telaio fornito di guardia fili, di bobine grosse di trama e di tastatore, e andando adagio, la resa è di almeno l'80%, quindi la produzione effettiva di 63.360 battute (165 × 60 × 8 × 0,8), cioè all'incirca uguale alla produzione del telaio comune, che batte 190 colpi al minuto e che rende solo il 70% (63.840 battute).
Le bobine di trama mm. 33 × 185 possono essere prodotte direttamente in filatura, oppure alla spolettiera col tubetto di legno (fig. 114); in questo secondo caso i risultati a telaio sono migliori, ma bisogna tener conto del costo della bobinatura.
Anche con questo sistema è reso possibile il lavoro a doppia squadra, perché almeno metà delle tessitrici rimangono libere. Chi ha 1000 telai, può ridurli a 750 con una produzione pari a quella di 1500, con grande vantaggio sui costi. È un sistema adatto per coloro che, avendo telai comuni solidi e in buone condizioni, non trovano conveniente sobbarcarsi all'ingente spesa e alla complessa organizzazione dei telai automatici.
Lavorazione a telaio nelle tessiture a colori. - Si adopera generalmente ancora il telaio meccanico comune a 4 navette, a cassetti montanti, con cambiamento da una sola parte; sono molto in uso tanto il movimento derivato dal principio Jacquard (fig. 112), quanto il movimento a eccentrici (fig. 113).
Di solito i telai da cotone per quadrettati vengono montati con eccentrici interni a tela e con macchina d'armature a 16 licci. Le altezze più comuni sono 108 e 160 cm. di luce in pettine; le velocità, rispettivamente, 160 e 135 battute al minuto. Siccome questi telai marciano a velocità limitate, è bene adottare in trama la bobina più grossa possibile, almeno mm. 30 × 170, affinché a telaio duri molto; la navetta necessaria per questa bobina, come si è visto, è di misure normali. È meglio però adottare una bobina ancora più grossa e cioè quella, già citata, di mm. 33 × 185, con la speciale navetta (fig. 111); il vantaggio nella produzione è grandissimo e non occorre forzare il filato, né ridurre la velocità dei telai. Il miglior tubetto per bobine trama da prepararsi alla spolettiera è quello rappresentato dalla fig. 114, di legno bene stagionato. Nel caso di tessiture che fabbrichino articoli quadrettati non complicati in catena, può convenire l'applicazione ai comuni telai a più navette, del guardiafili e del tastatore, usando bobine grosse mm. 33 × 185. L'operaia viene così liberata da una duplice sorveglianza: all'ordito, per scoprire i fili rotti; alla trama, per scoprire quando le bobine stanno per vuotarsi. In entrambi i casi il telaio deve fermarsi da sé, e l'operaia, liberata dal compito più gravoso, se prima accudiva a 2 telai, potrà accudire almeno a 4, con minor fatica. Il telaio deve essere munito di freni d'arresto sulla battuta.
Guardiafili e tastatore sono apparecchi abbastanza semplici e poco costosi, che non complicano il telaio; mentre si riduce almeno alla metà il numero delle tessitrici, con grande beneficio sui costi di produzione, anche per la possibilità di poter organizzare, in tutto o in parte, il lavoro a doppia squadra.
Anche le tessiture a colori tendono a introdurre il telaio automatico a più navette (fig. 115), il quale si perfeziona sempre più e può dare buoni risultati, purché sia mantenuto costantemente a telaio l'articolo adatto e i filati siano di buona qualità. Certe tessiture a colori, che producono su vasta scala pochi articoli per lo più rigati, tessono questi articoli su telai automatici a una navetta (figg. 106, 107, 110) e gli articoli quadrettati su telai comuni a più navette (figg. 112, 113) con bobine di trama grosse.
Verifica del tessuto. - La pezza, ultimata nella lunghezza stabilita dagli appositi segni, è tolta dal telaio e portata in magazzino per verificare se contenga difetti. Si utilizza all'uopo un apparecchio molto semplice di costruzione e di funzionamento (fig. 116).
Per non perdere tempo, conviene sempre togliere dal telaio la pezza insieme col cilindro sul quale è arrotolata e quindi in tessitura occorrono i necessarî cilindri di ricambio.
Misurazione e infaldatura del tessuto. - Si fa per mezzo della macchina a tavola piana (fig. 117), correntemente costruita in Italia.
Pulizia del tessuto. - Alle pezze di cotone, prima di mandarle alle successive lavorazioni di finitura, bisogna togliere le filacce e le altre impurità, in modo che si presentino ben pulite. È un'operazione che di solito si esegue a mano, specialmente se le pezze provengono dai telai comuni. Ma i tessuti prodotti dai telai automatici portano a una delle cimosse (quella dalla parte del cambio) dei codini di trama, che possono essere tolti rapidamente passando la pezza alla cimatrice (fig. 118). Basta una semplice cimatrice a due cilindri con 8 coltelli ognuno, con banchi mobili, con spazzole e con forte aspiratore. La lunghezza dei cilindri conviene sia di 180 cm. per poter passare, volendo, due pezze basse alla volta. La produzione si può calcolare di m. 500 all'ora, quindi con due pezze m. 1000. È bene, per il buon funzionamento della macchina, che le pezze vengano svolte direttamente dai cilindri tolti dai telai. La pulizia fatta per mezzo della cimatrice avvantaggia l'aspetto del tessuto. Queste macchine si costruiscono bene in Italia.
Piegatura in doppio del tessuto. - Si usa piegare in doppio i tessuti greggi alti, allo scopo di renderli maneggevoli. L'operazione si fa prontamente con un'apposita macchina (fig. 119), la quale non è altro che una comune macchina per infaldare con l'aggiunta dell'apparecchio per doppiare.
Organizzazione tecnico-economica di una tessitura. - Se alcuni degli elementi tecnico-economici per l'organizzazione razionale d'una tessitura, specialmente quelli riguardanti l'ubicazione, la forza motrice e altri del genere, presentano analogia con quelli della filatura, molti se ne differenziano largamente e ai principali di essi qui si fa particolare cenno.
Fabbricati. - Il tipo di fabbricato più adatto per una tessitura è quello a capannoni con ampî lucernarî (cristalli lunghi 180 cm.) che consentano abbondante illuminazione. I lucernarî devono essere sempre rivolti a nord.
Illuminazione, inumidimento, ventilazione, riscaldamento. - Per ciò che riguarda tutti questi diversi impianti valgono in genere per la tessitura tutti gli accenni e le considerazioni già fatti per la filatura. L'umidità è condizione indispensabile per ottenere una buona produzione e deve poter raggiungere gli 80 gradi igrometrici.
Macchinarî e trasmissione. - Il sistema di trasmissione più usato in Italia è quello perpendicolare agli alberi dei telai (cinghie semi-incrociate), ed è il più economico e il meno ingombrante. Normalmente le trasmissioni distano dal pavimento m. 4; le colonne sono quindi lunghe m. 4,50. Ogni trasmissione deve essere comandata da un motoriduttore (fig. 120) applicato direttamente alla trasmissione stessa, che resta così indipendente dalle altre.
Nello stabilire la distanza tra le colonne o i pilastri (se si tratta di cemento armato) che sostengono il tetto, bisogna tenere conto che dietro i telai deve esservi sufficiente spazio perché possa passarvi il carrello che porta il nuovo subbio da caricare, perciò almeno 60 cm. di spazio utile. E i telai devono essere disposti, rispetto alle colonne, in modo che il carrello possa percorrere dietro i telai tutta la larghezza della sala, cioè le colonne non devono essere in mezzo al viale. Tanto i telai meccanici comuni, quanto quelli automatici, quando sono caricati con subbî di grande diametro, misurano circa m. 1,50. Calcolando anche sul davanti dei telai uno spazio di 60 cm si avrà una distanza tra le colonne di m. 4,20 (30+150+60+150+30). È un errore grave disporre i telai senza uno spazio posteriore sufficientemente ampio, perché è proprio dalla parte posteriore che i telai vanno sorvegliati. La distanza minima da tenere, tra centro e centro delle colonne, è, come si è visto, di m. 4,20 e, nel caso di tessiture che lavorino con due subbî, non meno di m. 4,50-4,80. Naturalmente tra le colonne bisogna mettere il supporto pendente. Quanto si spende in più per aumentare lo spazio utilissimo dietro i telai, si può risparmiare nell'ampiezza delle campate. Anzi è bene (specialmente nelle tessiture con telai automatici) che le campate siano larghe appena il necessario da permettere al carrello di voltare per collocare il nuovo subbio; per telai da 110 centimetri di luce, bastano 90 cm., misurati tra le parti più sporgenti dei due telai. I quali misurano, di solito, cm. 140 al massimo, in più dell'altezza in pettine; quindi l'ampiezza d'una campata per telai da 110 cm. sarà di m. 6 (0,05+2,50+0,90+2,50+0,05).
Tra le pulegge di due telai vicini si lascia uno spazio di cm. 9, al massimo 10, affinché si possano togliere, occorrendo, le bussole delle pulegge folli; e la linea di mezzo di tale spazio deve essere a piombo con la puleggia della trasmissione.
Invece, in generale, le tessiture di cotone in Italia hanno una distanza tra le colonne di m. 3,50, al massimo 3,80, in modo che, dietro i telai, non solo non può passare il carrello col subbio pieno, ma l'operaia si trova a disagio quando deve attaccare i fili; per contro si vedono dei viali immensi che non solo non servono a nulla, ma, nel caso di telai automatici, sono di danno. Nelle grandi tessiture un albero porta 80 telai (20 spazî fra le colonne); avendo i supporti alla distanza di soli m. 2,10, la trasmissione può avere il primo albero, quello innestato sul motoriduttore, da 80 mm., poi un albero da 70, uno da 60 e i rimanenti da 50 mm.: diametri cioè degradanti. Alberi della lunghezza di due spazî e cioè m. 8,40. Velocità delle trasmissioni da 120 a 150 giri, secondo che si tratti di telai alti o bassi. Gli alberi devono girare in modo che le cinghie scendano dalla parte delle colonne.
Il motoriduttore può essere applicato a metà della trasmissione, nel qual caso si ha una più razionale distribuzione di potenza e risparmio nel diametro degli alberi.
Sulle trasmissioni pulegge doppie a cresta del diametro di mm. 300 e della larghezza di 170 mm. (cresta nel mezzo, larga alla base 10 mm. e alta mm. 20). Affinché il telaio lavori bene, la cinghia deve essere sufficientemente larga (50 millimetri per tutti i telai fino a m. 2,05 di luce in pettine e 60 mm. per quelli più alti); la cinghia lavora, così, senza sforzo e senza bisogno di tirarla troppo. Le pulegge devono essere di diametro esatto in rapporto alla velocità; è uno sbaglio applicare ai telai pulegge minori, facendo lavorare solamente una piccola parte della cinghia.
Molto in uso, specialmente nei nuovi impianti di telai automatici, è il comando singolo con motore elettrico a ingranaggi e giunto a scorrimento, per ottenere una maggiore regolarità di battuta (fig. 121).
Per un telaio automatico alto in pettine 110 cm. si calcola una potenza di Kw. 0,65.
La pianta qui riprodotta (fig. 122) indica come debbono essere disposti i varî riparti, secondo il succedersi delle singole lavorazioni.
Sono 960 telai automatici di 110 cm. di luce in pettine, suddivisi su 12 linee di trasmissioni da 80 telai ognuna; per essi occorrono 13 campate. Per la preparazione e magazzino pezze, occorrono altre 5 campate uguali alle precedenti, più una sesta, aperta, che fa da tettoia. Il corpo principale A B C D è quindi composto di 19 campate di metri 6 ognuna, con 22 spazî tra le colonne di m. 4,20 ognuno; esso forma cioè un quadrilatero di m. 114 × 92,40, coprendo un'area di mq. 10.534. I servizî accessorî: autorimessa, locale caldaia, officina, spogliatoi, gabinetti, sono collocati lungo la periferia del quadrilatero.
Portineria, uffici varî, magazzino scorte, portico filati (al centro doppio portico per il ricovero dei carri durante lo scarico e il carico), scelta cascame e scuderia, formano corpi a parte lungo il muro di cinta.
La potenza complessiva è di 500 HP con tanti motoriduttori quante sono le trasmissioni.
Avendo spazio disponibile, lo si riserva al lato N per eventuali aggiunte di telai e al cortile S per eventuali ingrandimenti dei servizî. Invece, nel disporre i varî servizi, per potere all'occorrenza fare spostamenti, si adottino sempre campate uguali a quelle dei telai affinché sia facile aggiungere o togliere spazio secondo il bisogno; tutti i muri e le tramezze, ad eccezione dei due A B e D C, devono essere muniti di colonne o pilastri se si tratta di cemento armato.
È bene calcolare lo spazio e il macchinario per tutti i reparti, in modo che risultino sufficienti per un lavoro di 8 ore; si potrà così poi eventualmente introdurre la doppia squadra, senza nulla modificare.
Avendo telai di diversa altezza, si allarga naturalmente l'ampiezza delle relative campate di quel tanto che è necessario, in modo che resti un viale appena sufficiente perché possa girarvi il carrello che porta il subbio pieno.
Produzione e costi: a) telai meccanici comuni. - Si supponga di tessere un tessuto greggio a tela, alto cm. 83, con 28 fili al cm. di catena 32 e 28 battute di trama 32 (tit. ingl.), sul telaio comune di 110 cm. di luce in pettine, alla velocità di 190 battute al minuto: 190 × 60 × 8 = 91.200 battute teoriche.
Con una produzione effettiva del 70% si hanno 63.840 battute, pari a metri 22,80 di tessuto in 8 ore di lavoro, e un consumo di trama di kg. 1,062. Essendo la percentuale di perdita del 30%, il telaio starà fermo 144 minuti su 480 di lavoro. Il subbio con flange da 55 cm. di diametro contiene il filato necessario per almeno 1500 metri di tessuto; rimarrà quindi a telaio circa 65 giorni lavorativi di 8 ore ognuno. Calcolando che, per caricare il telaio ed avviarlo, si impieghi mezza giornata (4 ore), se il subbio rimane a telaio 65 giorni, la perdita sarà di circa 4 minuti al giorno. Circa il tempo occorrente per il cambiamento della trama è da nolare che impiegando bobine normali di mm. 24 × 150 di trama 32, che contengono ognuna gr. 13 netti di trama, corrispondenti a 750 metri, l'operaia dovrà cambiare nella giornata 82 volte la bobina a ogni telaio; e, supposto che per ogni cambiamento occorrano 10 secondi, perderà quasi 14 minuti per ogni telaio. Se si calcola poi una rottura di trama ogni 3-4 bobine, la perdita aumenterà di circa 4 minuti; perdita complessiva, quindi, minuti 18 ogni telaio. Circa, infine, il tempo occorrente per attaccare i fili rotti, si calcola che occorrano 2 minuti per ogni rottura: quindi un'operaia attaccherà 30 fili in un'ora e 240 in 8 ore. Data la forte velocità del telaio, il numero dei fili che si rompono giornalmente si può calcolare di uno ogni 250: avendo il subbio 2324 fili, si romperanno, in 8 ore, circa 10 fili, e si impiegheranno 20 minuti per attaccarli. Le operazioni di levare il tubetto vuoto, di introdurre la nuova bobina nella navetta, di infilare la trama ed altre minori, si fanno col telaio in moto.
Riassumendo, il tempo che un'operaia perde per ogni telaio è: per la trama minuti 18, per l'ordito minuti 20, totale minuti 38, durante i quali il telaio sta fermo. Se l'operaia lavorasse così intensamente 4 ore su 8, essa potrebbe accudire a 6 telai (240:38); ma in pratica, a meno che si tratti di articoli molto facili, p. es. garze per medicazione, in Italia un'operaia non fa rendere a dovere più di 4 telai, il che significa che su 8 ore lavora intensamente solo ore 2 ½, cioè circa il 30% del tempo a sua disposizione.
È da tenere conto, d'altra parte, che sia le rotture di fili sia il cambiamento di bobine, possono avvenire contemporaneamente, obbligando i telai a fermate forzate in attesa che l'operaia sia libera; qualche volta poi l'operaia deve perdere tempo per guasti alle macchine o per disfare del tessuto difettoso.
Supposto che l'operaia che accudisce a 4 telai sia compensata in misura di L. 16 al giorno, il costo d'un telaio, per la sola tessitrice, sarà di L. 4 al giorno.
b) telai automatici a cambiamento di bobina. - Si supponga di tessere lo stesso tessuto a tela, 83 cm. 32-32 (tit. ingl.) 28-28 al cm., sullo stesso telaio da 110 cm., ma completamente automatico, alla velocità di sole 150 battute al minuto, lavorando senza tastatore 150 × 60 × 8 = 72.000 battute teoriche.
Con una produzione effettiva del 90%, si hanno 64.800 battute, pari a m. 23,10 di tessuto in 8 ore, e cioè una produzione, pur andando a velocità così ridotta, superiore a quella del telaio comune. Essendo la percentuale di perdita del 10%, il telaio rimarrà fermo soltanto 48 minuti su 480 di lavoro.
Circa il tempo occorrente all'operaia per rifornire il serbatoio per la trama è da notare che una bobina mm. 27 × 170 (la più usata) di trama 32, contiene gr. 16 di filato; il consumo in 8 ore essendo di circa gr. 1100, occorreranno 70 bobine e cioè meno di tre serbatoi. Calcolando di impiegare per il carico del serbatoio in media 5 secondi ogni bobina, occorreranno, nelle 8 ore, 6 minuti per ogni telaio. Se si calcola poi di avere una trama che si rompe ogni 6 bobine, il tempo necessario per la carica del serbatoio aumenterà di circa 1 minuto, quindi occorreranno 7 minuti per ogni telaio al giorno. Se non ha altro da fare, un'operaia può accudire al rifornimento di 68 telai (480:7).
In una tessitura bene organizzata, per tessere tale articolo, non si deve avere più d'un filo rotto al giorno ogni 500 di ordito; per attaccare un filo un'operaia deve impiegare, compreso il tempo per recarsi al telaio fermo, al massimo 2 minuti. Ne risulta che un'operaia può attaccare in 8 ore 240 fili, quindi può accudire (240 × 500) a 120.000 fili. (In America un operaio specializzato arriva ad attaccarne 350). Poiché il nostro tessuto ha 2324 fili, non se ne devono rompere in un giorno più di 5 ogni telaio, ad attaccare i quali occorrono 10 minuti. Se non ha altro da fare, un'operaia può accudire a 48 telai (480:10). Nel caso che la stessa operaia accudisca così alla trama come all'ordito, il tempo impiegato sarà di 7 minuti per la tramȧ, 10 minuti per la catena, totale minuti 17; l'operaia potrà quindi accudire a 28 telai automatici di 110 cm. di luce con l'articolo indicato (480:17).
Ma non è detto che, aumentando il numero dei telai automatici per operaia, aumenti proporzionalmente il risparmio di mano d'opera. Oltre un certo limite può succedere anzi il contrario; e tale limite varia da tessitura a tessitura, dipendendo specialmente dal numero di fili e di trame che si rompono e dal titolo della trama. Il risparmio più sensibile si ha dal passaggio da 2-3 telai comuni per operaia a 8-12 automatici; infatti il costo della tessitrice si riduce circa alla quarta parte; cioè, se prima si spendeva con 3 telai comuni L. 5 ognuno, si spenderà poi con 12 telai automatici soltanto L. 1,25 ognuno. Il risparmio di L. 3,75 per telaio è grandissimo, e va tenuto conto che un'operaia abile può tenere 8-12 automatici bassi senza alcun aiuto, se si tratta di ordito buono e di trama fina; cioè, oltre che attaccare i fili, essa può caricare da sola i serbatoi.
Aumentando ancora il numero di telai, il risparmio deve incidere su L. 1,25, cioè su un costo già molto ridotto; e va tenuto conto che, aumentando i telai, l'operaia ha bisogno di aiuto e il risparmio viene quindi in parte annullato. Concludendo, la convenienza di affidare un numero maggiore o minore di telai a un'operaia o a un gruppo d'operaie, è questione che va studiata in tutti i particolari caso per caso, tenendo conto d'ogni elemento, ma soprattutto dei fili e delle trame che si rompono nelle otto ore di lavoro, provocando l'arresto dei telai.
Si può però ritenere che, lavorando continuativamente articoli del genere di quello citato (2324 fili di catena 32), è possibile affidare a due operaie (attaccafili e carica-serbatoi) 48 telai senza tastatore, purché ordito e trama siano molto buoni e ben preparati. Pagando L. 16 l'operaia che attacca i fili e L. 12 quella che carica i serbatoi e compie altri piccoli servizî, in totale si avrà una spesa di L. 28 al giorno di 8 ore e cioè di L. 0,60 circa per telaio. Prima però di arrivare a tanto, le nuove tessiture devono proporsi un compito più modesto, cioè la formazione di sezioni di 80 telai automatici bassi, col personale seguente: i assistente; 1 carica telai; 1 maestra; 4 attaccafili (20 telai per operaia); 2 operaie per il carico dei serbatoi; 1 operaia a giornata di scorta e di aiuto, cioè 10 persone in totale.
Ciò si otterrà abbastanza facilmente, se i filati saranno buoni e se verrà mantenuto costantemente a telaio lo stesso articolo del genere di quello citato. Coi telai comuni, come si è visto, anche affidando 4 telai a un'operaia, a L. 16 al giorno, la spesa sarebbe di L. 4 per telaio. Il risparmio quindi di mano d'opera con gli automatici può essere fortissimo; ma bisogna tenere conto dei servizî accessorî e del costo dell'installazione col relativo gravame per interessi e ammortamenti, che è considerevole.
c) telai comuni, con guardiafili, tastatore e bobine grosse. - Si supponga di tessere sempre lo stesso tessuto 83 cm. 32-32 (tit. ingl.) 28-28 al cm., sullo stesso telaio da 110 cm. comune, ma fornito di guardiafili, di bobine di trama grosse (mm. 33 × 185 con gr. 35 di filato pari a m. 1900) e di tastatore, alla velocità di 165 battute al minuto: 165 × 60 × 8 = 79.200 battute teoriche. Con una produzione effettiva dell'80%, si hanno 63.360 battute, corrispondenti a metri 22,60 di tessuto in 8 ore, produzione pari all'incirca a quella del telaio comune. Essendo la percentuale di perdita del 20%, il telaio rimarrà fermo 96 minuti su 480 di lavoro.
L'operaia dovrà cambiare nelle 8 ore circa 30 volte la bobina ogni telaio; supposto che per ogni cambiamento occorrano 10 secondi, perderà 5 minuti ogni telaio, che potranno diventare 6 per le eventuali rotture di trama. Supponendo che si rompano 8 fili al giorno per telaio (uno ogni 300 fili) e che occorrano 2 minuti per attaccarne uno, l'operaia perderà 16 minuti e cioè in totale, fra trama e ordito, minuti 22 al giorno per telaio (6 + 16). Affidando 8 telai a ogni operaia (con questo sistema e trattandosi di trama finissima si è arrivati, però, in taluni casi, ad affidargliene 12), questa impiegherà per tenerli attivi 176 minuti (22 × 8) dei 480 che ha a disposizione nella giornata di 8 ore, e cioè il 37%. Supponendo che un'operaia, con 8 telai, guadagni L. 16 al giorno, il telaio costerà, di sola tessitrice, L. 2 al giorno, in confronto di L. 4 per il telaio comune e di L. o,60 per il telaio a cambiamento automatico della bobina. In confronto a quest'ultimo sistema va però tenuto conto che la spesa per l'applicazione del guardiafili, del tastatore e delle bobine grosse al telaio comune è modesta (circa L. 500 ogni telaio) e quindi modesti gli oneri per interessi e ammortamenti, che invece gravano fortemente sul sistema completamente automatico.
d) Costo comparato fra i tre diversi sistemi. - Telai da 110 cm. di luce, che tessono il solito articolo greggio cm. 83, filati 32-32 (tit. ingl.) 28-28 al cm. Ogni metro di tessuto contiene gr. 47 di catena e gr. 47 di trama.
Vengono affidati:
1° Sistema - a un'operaia: 4 telai comuni, con bobine di trama solite mm. 24 × 150; battute 190 al minuto; resa 70%. Battute effettive 63.840 ogni telaio in ore 8 di lavoro; guadagno dell'operaia L. 16.
2° Sistema - a 2 operaie (una per attaccare i fili e l'altra per caricare i serbatoi): 48 telai completamente automatici, con bobine di trama mm. 27 × 170; battute 150 al minuto; resa 90%. Battute effettive 60.750 ogni telaio in ore 7 ½ di lavoro; guadagno delle due operaie L. 28.
3° Sistema - a un'operaia: 8 telai comuni, con guardiafili, tastatore e bobine di trama grosse mm. 33 × 185; battute 165 al minuto; resa 80%. Battute effettive 59.400 ogni telaio in ore 7 ½ di lavoro; guadagno dell'operaia L. 16.
Si suppone che col primo sistema si lavori a semplice turno (8 ore) e con gli altri due sistemi a doppio turno (15 ore).
Si dà ai telai usati, in buono stato, un valore di L. 1200 ognuno. Si dà ai telai completamente automatici nuovi, un valore di L. 7000 ognuno comprese le lamelle del guardiafili. Si calcola una spesa di L. 500 per ogni telaio usato, per applicarvi il guardiafili con le relative lamelle, il tastatore e per adattare i cassetti alla navetta grande e cambiare le pulegge della velocità; valore, quindi, L. 1700 ognuno.
Il costo può calcolarsi all'incirca il seguente:
In questi conti ha influenza il valore attribuito ai telai; se si adottassero telai nuovi anche nel 1° e 3° sistema, i costi si staccherebbero alquanto in favore del 2° sistema (telai automatici). Può darsi che una tessitura abbia telai comuni in ottimo stato e che si adattino convenientemente ad essere trasformati in automatici, applicandovi un buon apparecchio cambia-bobine; in tal caso il costo del telaio automatico scenderebbe di molto con vantaggio per il 2° sistema. Così pure se nel 2° e 3° sistema, invece di 15 ore se ne potessero fare 16 (con turni alternati di 4 in 4 ore), il vantaggio per questi aumenterebbe in confronto del 1° sistema. Bisogna anche tener conto del costo della bobinatura della trama nel 2° e 3° sistema, se dovesse venire effettuata; questo costo varia secondo il titolo e la qualità del filato e secondo che si tratti di svolgimento da bobine piccole o grosse, oppure da matasse. I dati esposti non hanno valore assoluto, e variano secondo la struttura particolare dell'azienda. Grande importanza ha la possibilità del lavoro a doppia squadra per dividere le spese fisse su un numero doppio di metri prodotti.
Rapporto fra numero di telai automatici installati, numero di persone occupate e relativa spesa. - Si supponga di avere una tessitura di 960 telai automatici di 110 cm. di luce, per lavorare il solito tessuto greggio a tela: altezza 83 cm., fili 2324 di catena 32, battute 28 di trama (tit. ingl.) o pochi articoli similari. La produzione giornaliera sarà di battute 62.208.000 (64.800 × 960), corrispondenti a metri 22.217 ed a pezze 155 circa, di metri 143 ognuna. Il consumo giornaliero di filati sarà di circa: kg. 1050 di ordito (15 subbî) e kg. 1050 di trama (66.000 bobine).
Occorrono circa 400 teste d'incannatoi a rocche incrociate coniche, 3 orditoi comuni a rocche fisse e 2 macchine a imbozzimare a tamburi.
Supponendo di affidare a due operaie (una per attaccare i fili, che sono in totale 111.552, e l'altra per caricare i serbatoi) 48 telai senza tastatore, la tabella nella colonna qui di fianco dà l'elenco del personale che tale tessitura dovrà al massimo avere e la spesa per giornata di 8 ore.
Nel caso che la trama venisse ribobinata, si usa calcolare al massimo un fuso ogni telaio se si tratta di spolettiera veloce (circa 3000 giri dei fusi al minuto). Un'operaia può accudire a 25 fusi, con buona trama 32 (tit. ingl.) su grosse bobine; per 960 telai occorrerebbero quindi 40 persone, compresa la maestra e i servizî.
Decisa la ribobinatura della trama, bisogna disporre che questa venga filata sui ring Water, aventi anelli di pollici ingl. 1 ½ di diametro; quindi in filatura vi saranno i medesimi ring tanto per Water quanto per trama. In questo caso si impiegano tubetti aventi alla base un diametro esterno di circa mm. 13 per ottenere bobine di mm. 33 × 185, sia in Water sia in trama.
Le singole paghe esposte non hanno valore assoluto, bensì soltanto proporzionale le une alle altre. Il costo per battuta, per quanto riguarda l'intera paga del personale impiegato, sarà di millesimi di centesimo 5,563 (L. 3461:62.208.000). Il costo di ogni telaio, di conseguenza, è di L. 3,605 per giornata di 8 ore.
Concludendo: una simile tessitura dovrà occupare al massimo 180 persone, tutto compreso, e cioè 18-19 persone ogni 100 telai; ma certe tessiture sono arrivate ad averne anche meno, se bene organizzate per fabbricare un unico articolo facile, con filati fini e molto buoni. Va ripetuto che grande importanza, agli effetti dell'impiego della mano d'opera, ha la continuità dell'articolo. Se invece d'un solo articolo e d'un unico titolo di filato, gli articoli e i filati sono diversi, oppure se si deve lavorare col tastatore, è necessario calcolare quanto maggior personale richiedono le singole operazioni, tenendo presente, come base del calcolo, i dati su riportati.
Una tessitura con lo stesso numero di telai meccanici comuni (960), dando 4 telai per operaia, avrà bisogno di almeno 300 persone in luogo di 180; ma nella maggior parte delle tessiture di cotone greggio in Italia si dànno 3 telai per operaia e necessitano quindi 470 persone.
Naturalmente una nuova tessitura, con lo stesso numero di telai automatici, deve in principio proporsi un compito più modesto, come già precedentemente accennato, e cioè la formazione di sezioni di 80 telai, affidandone 20 ad ogni attaccafili e 40 ad ogni operaia carica-serbatoi. In sala, al posto di 86 persone, se ne avranno 121 e precisamente:
Quindi in totale, in luogo di 180 persone, se ne avranno 215 e cioè 22-23 persone ogni 100 telai, con una spesa di millesimi di centesimo 6,518 ogni battuta (L. 4055:62.208.000). Il costo per telaio di conseguenza sarebbe di L. 4,224 per giornata di 8 ore.
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Rifinitura dei tessuti.
Pochi sono i tessuti di cotone che, tolti da telaio, vanno direttamente al consumo; tra questi si annoverano le tele gregge, ma anch'esse subiscono di solito, da parte della massaia, un po' d'imbianchimento prima che ne siano formati indumenti.
In generale i tessuti di cotone richiedono non poche operazioni per corrispondere agli scopi ai quali sono destinati, cioè per essere commerciabili. I tessuti di cotone vanno divisi in quattro grandi gruppi: candeggiati, tinti in pezza, stampati, tinti in filo.
Appartengono ai gruppi dei candeggiati anche i tessuti per biancheria formati di filati colorati solidi al candeggio; questi tessuti, prima di essere messi in commercio, vengono appunto candeggiati.
I tessuti tinti in pezza si dividono in due gruppi principali: tessuti a colori comuni, tessuti a colori solidi. Tra questi ultimi c'è il nero per ossidazione, detto anche nero fino, adoperato specialmente per i tessuti da ombrelle e per i satins.
I tessuti a colori, tolti da telaio, possono venire vaporizzati, apprettati, calandrati e garzati, secondo l'uso al quale sono destinati. (V. apparecchiatura; candegcio; mercerizzazione; tintura; stampa).
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Industria e commercio dei manufatti.
Storia. - La fabbricazione dei tessuti di cotone risale a epoca remotissima, ed è originaria dell'India. Molti documenti storici accennano a questa fabbricazione: nella legge di Manu si parla di filati di cotone usati dai Bramini nelle pratiche religiose; Erodoto accenna a una pianta che fornisce una sorta di lana per tessuti; Teofrasto menziona anch'egli un albero dal quale gl'Indiani traggono materia per vestimento; Strabone e Plinio parlano di tessuti di cotone e nel primo secolo d. C. si fa senz'altro accenno all'esportazione di cotone indiano nei paesi della costa orientale africana e alle più notevoli caratteristiche delle qualità ordinarie e fini di tessuto.
È certo, comunque, che dall'antichità fino agl'inizî dell'età moderna l'India ebbe pressoché il monopolio della fabbricazione e dell'esportazione dei tessuti di cotone. Nell'età romana, tali tessuti affluivano ai paesi del Mediterraneo, nel Medioevo ai diversi paesi d'Europa, ed erano considerati prodotti di lusso. Marco Polo cita la costa del Coromandel come il centro di produzione dei tessuti più belli e più fini.
Ancora fin verso il 1600, l'industria indiana era fiorentissima e provvedeva, non solo alle esigenze del mercato interno, ma agli approvvigionamenti dell'Europa e soprattutto dei tre grandi mercati consumatori vicini: Arabia, Birmania e Isole orientali. I principali distretti produttori sembra siano stati in quell'epoca il Bengala, la costa del Coromandel, Cambay, Patan, Baroda, Broach, Surat, Multan, Sukkur. L'arte di filare e tessere veniva esercitata da individui appartenenti a determinate caste ed era occupazione ereditaria; i filatori e tessitori erano uniti in corporazioni e attraverso queste trattavano coi clienti. La Compagnia inglese delle Indie Orientali che verso il 1601 iniziò la spedizione di prodotti indiani in Inghilterra, s'interessò molto a questa industria caratteristica dell'India, cercò di promuoverne lo sviluppo e di dare incremento alle possibilità d'esportazione.
Frattanto però un centro manifatturiero che doveva assumere importanza mondiale si andava costituendo in Europa e più precisamente in Inghilterra. L'arte della filatura e tessitura del cotone era conosciuta da tempo dagli Europei: sembra infatti che la tessitura fosse già praticata in Spagna e a Venezia fin dall'inizio del '200; comunque verso il '400 l'industria fioriva in Olanda, specialmente a Leida e ad Amsterdam e in Italia, specialmente a Cremona che fabbricava ed esportava rinomati fustagni e in altri centri lombardi, specializzati nella produzione di mercerie. Questi primi centri però ben presto decaddero e l'industria manifatturiera del cotone segnò per qualche secolo in Europa un ristagno. Fabbriche di fustagno si segnalarono a Rouen nel 1534, a Lione nel 1580, a Troyes nel 1581. Nel 1585, sembra che operai fiamminghi emigrati da Anversa abbiano introdotto la filatura e tessitura in Inghilterra. Comunque il primo documento che ne faccia menzione in maniera non equivoca è del 1641: esso accenna a una manifattura sorta a Manchester, in una zona cioè che più tardi, per le sue caratteristiche climatiche di umidità particolarmente idonee alla lavorazione del cotone, per la vicinanza ai grandi depositi di carbone e ferro, doveva diventare il centro mondiale dell'industria.
Nei primi due anni l'industria cotoniera inglese ebbe modestissima importanza, specie in confronto all'industria laniera. La filatura e tessitura era praticata a domicilio, da donne e ragazzi, e da uomini nelle epoche di sospensione dei lavori campestri. Le operazioni erano condotte manualmente con utensili molto semplici nel loro funzionamento. Per le difficoltà di approvvigionamento della materia prima e per necessità tecniche si usava far la trama di lino e solo l'ordito di cotone.
Ma se l'industria ebbe inizio modestissimo, presentò tuttavia fino dall'origine caratteristiche tali che non poteva non esserne favorito in breve tempo e prima d'ogni altra industria il trapasso a forme di gestione capitalistica. Intanto, mentre per ogni altra industria era possibile in genere all'artigiano trovare sul luogo la materia prima, per il cotone e per la materia complementare, il lino, egli fu costretto a ricorrere ai grossi mercanti che ne facevano importazione da paesi lontani. E se, ancora in un primo tempo, l'artigiano poté acquistare la materia prima, lavorarla e vendere il manufatto, in un secondo tempo egli dové accettare dal mercante imprenditore la materia greggia, lavorarla, consegnargli il prodotto finale e vedersi liquidare la differenza di valore che rappresentava il compenso del suo lavoro. Più tardi anche il telaio fu fornito, sotto forma di cessione in uso, dal mercante imprenditore.
Oltre che per questi motivi inerenti alla materia prima, l'industria presentò una situazione caratteristica anche per il fatto che essendo industria nuova e sorta in piccoli centri rurali, poté sottrarsi sin dall'inizio ai regolamenti e alle restrizioni corporativistiche che inceppavano invece le più grandi industrie (la laniera, p. es.) e ne ritardavano l'evoluzione. Così ancor prima del 1750, epoca in cui a un dipresso s'inizia l'attività di ricerca per impianti meccanici, la lavorazione del cotone si trova già esercitata in piccole fabbriche aventi dai 20 ai 40 telai e un certo numero d'operai salariati.
Fra gli altri fatti, infine, che contribuirono al progresso repentino dell'industria cotoniera inglese fra lo scorcio del sec. XVIII e l'inizio del sec. XIX, vanno ricordati soprattutto: il modo con cui furono regolati i rapporti di concorrenza fra l'industria cotoniera inglese e l'industria indiana e fra queste e l'industria laniera; la tendenza a un maggior consumo di tessuti di cotone manifestatasi nell'epoca in esame; la maggiore concentrazione dell'industria cotoniera, che era sorta in una ristretta zona nel Lancashire del sud e nello Staffordshire in confronto all'industria laniera sparsa un po' dappertutto. La Compagnia delle Indie, in verità, non facilitò soltanto l'esportazione dall'India di tessuti di cotone, ma si preoccupò anche di rifornire di cotone greggio l'industria locale inglese. Tuttavia l'industria indiana produceva tessuti così fini, che il mercato inglese non poteva non risentirne influenza. Dal 1697 al 1702 l'importazione di manufatti indiani raggiunse 1.053.723 sterline, cifra molto elevata per quei tempi. Si assisté allora allo svilupparsi d'una politica di protezione, non solo nell'interesse dell'industria cotoniera locale, la cui importanza era del resto ancora modesta, ma della più grande industria laniera che vedeva le classi ricche e povere del paese orientarsi verso i tessuti di cotone. Nel 1701 l'importazione di manufatti fu vietata, salvo che per scopi di riesportazione; più tardi il divieto fu abrogato, ma l'importazione fu colpita da fortissimi dazî protettivi. Questa politica però se favorì l'industria cotoniera, non giovò gran che all'industria laniera. Il consumo infatti continuava a spostarsi, per ragioni economiche, dai tessuti di lana ai tessuti di cotone, e se l'India trovava difficoltà a collocare i suoi prodotti in ragione dei dazî, l'industria cotoniera inglese era facilmente in grado di far fronte alle maggiori richieste, né l'industria laniera poteva altrimenti arrestare questo movimento. E così i particolari elementi che caratterizzarono il sorgere dell'industria cotoniera, le preferenze dei consumatori per i tessuti di cotone, la necessità di soddisfare il consumo, il maggior accentramento, finirono con l'essere gli elementi fondamentali che spinsero l'industria a quell'evoluzione meccanica, che, caratteristica della seconda metà del sec. XVIII, aprì l'era dell'industria moderna.
Le invenzioni si iniziano più propriamente nel 1730 con un piccolo apparecchio per filare (roller spinning) di S. Wyatt, che doveva servire a facilitare appunto la filatura del cotone. Più importante fu però l'invenzione della navetta volante (fly-shuttle) fatta da J. Kay nel 1738: con essa fu infatti possibile raddoppiare la quantità di lavoro che il tessitore poteva compiere in un giorno, e ciò consentì non solo l'assorbimento di tutto il filato che il mercato locale, nei limiti della sua potenzialità produttiva, poteva dare, ma portò alla necessità di aumentare la potenzialità di rendimento della filatura, per andare appunto incontro alle crescenti richieste della tessitura. I trovati del periodo susseguente, iniziati dallo stesso Kay, dal Wyatt e da L. Paul, e portati a risultati concreti da Hargreaves, Arkwright e Crompton riguardarono infatti il campo della filatura, e soltanto quando il problema della produzione meccanica del filato fu risolto, e di nuovo la tessitura si trovò in condizioni meno progredite di sviluppo, con le nuove invenzioni di Cartwright, di Horrocks e di altri fu creata e perfezionata la tessitura meccanica. Insomma, il periodo di queste invenzioni meccaniche è caratterizzato da una parte dalla necessità di aumentare la produzione cotoniera per far fronte all'accresciuta richiesta del consumo, dall'altra dalla necessità di stabilire una posizione di equilibrio fra produzione di filato e produzione di tessuto, e dare uguale potenzialità di rendimento ai due rami dell'industria.
Un'invenzione importante apre il periodo più intenso di ricerche nel campo della filatura: la macchina per stirare le fibre, che il Paul, assistito dal Wyatt, creò nel 1738, e che fu costituita essenzialmente da coppie di cilindri attraverso cui si faceva passare la massa di fibre. Nel 1764, J. Hargreaves inventò la gianetta (spinning jenny), macchina per filare, per solo ordito: era questa una macchina del tipo intermittente, che compiva cioè in due tempi le tre operazioni fondamentali della filatura: stiro e torsione nel primo, avvolgimento o bobinatura nel secondo. Composta da un telaio avente da una parte la serie degli stoppini e dall'altra la serie dei fusi, la gianetta, più che una vera e propria macchina, si poteva considerare un complesso di vecchi utensili per filare, armonicamente combinati e regolati in maniera da potere essere messi in moto con sforzo unico; la macchina infatti comprendeva circa 120 fusi che un ragazzo o una donna potevano far agire mediante una manovella.
Qualche anno più tardi, nel 1768, R. Arkwright, utilizzando precedenti esperienze di Wyatt e Paul, costruì una macchina per filare che permetteva di utilizzare la fibra di cotone sia per trama sia per ordito e di sottrarre quindi l'industria alla necessità di servirsi del lino. La macchina dell'Arkwright era di tipo continuo, compiva cioè le tre operazioni fondamentali della filatura in un sol tempo: essa comprendeva un ingranaggio (donde il nome di Throstle frame dato alla macchina a ricordare il tordo di cui essa, col cigolio, imitava il canto) mosso dapprima da un cavallo poi idraulicamente (donde il nuovo nome di Water frame), che attraverso una correggia e un albero verticale trasmetteva il movimento a un'altra piccola ruota e quindi a quattro paia di cilindri attraverso cui passavano gli stoppini per giungere alle bobine: il torcimento avveniva durante il passaggio del filo dagli ultimi cilindri alle alette. L'Arkwright applicò la sua macchina a uno stabilimento da lui eretto a Cromford nel 1771 e nel 1773 riuscì a ottenere il primo tessuto con ordito e trama interamente di cotone; continuò quindi le sue ricerche fino al 1775 circa, prendendo nuovi brevetti per la cardatura, la stiratura, la torcitura del cotone.
Nel 1779, infine, si perviene con S. Crompton, all'invenzione della mule che si può considerare più propriamente l'antesignano dei moderni filatoi intermittenti. Questa macchina rappresentò il completamento dell'invenzione di Hargreaves con quella di Arkwright. Essa era mossa da cavalli e compiva le operazioni della filatura in due tempi: nel primo stirava e torceva le fibre, nel secondo procedeva al bobinaggio; il primo tempo era caratterizzato dal movimento d'una carrucola che si allontanava dalla parte fissa del telaio; il secondo tempo da un movimento inverso della stessa carrucola. La macchina del Crompton servì soprattutto, come del resto i moderni filatoi intermittenti, alla produzione dei numeri fini di filato, e da ciò, secondo alcuni, il nome di mule, corruzione di muslin (mussola), tessuto richiedente un filato fine alla cui produzione si addiceva particolarmente la macchina; secondo altri invece il nome faceva riferimento alla combinazione delle macchine scoperte rispettivamente da Hargreaves e Arkwright. Con le invenzioni di Hargreaves, Arkwright e Crompton, la produzione meccanica del filato si poté dire realizzata.
Nel 1785, Cartwright inventò il telaio meccanico, iniziando anche nel campo della tessitura la nuova fase di produzione. Da quest'epoca i perfezionamenti e le nuove applicazioni si successero ininterrotte. Watt con l'invenzione della macchina a vapore rendeva intanto possibile già fin dal 1785 l'applicazione del vapore all'industria, liberandola dalla dipendenza delle forze animali e idrauliche e fabbricava soltanto per stabilimenti cotonieri, da quell'anno al 1800, 84 macchine a vapore; Horrocks nel 1803 brevetta il telaio meccanico in ferro e nel 1813 l'imbozzimatrice o macchina per incollare; R. Roberts nel 1825 inventa il selfacting mule, Bullough nel 1841 migliora ancora il telaio meccanico. In America Fr. C. Lowell nel 1814 sperimenta un telaio meccanico, J. Thorpe nel 1828 crea il filatoio continuo ad anelli (ring-frame), diffusosi poi verso il 1840 in Europa. Anche nel campo delle operazioni preparatorie le invenzioni si avvicendano: una cardatrice fu inventata nel 1748 dal Paul, macchina che fu migliorata da Less, Arkwright, Wood e da altri e rimase di fondamentale importanza nello sviluppo successivo della cardatura meccanica; è del 1792 il saw-gin di E. Whitney, del 1797 lo scutcher o macchina per pulire il cotone di Snodgrass.
Gli effetti di queste invenzioni sull'organizzazione dell'industria si possono valutare sia indirettamente, attraverso i dati sulla materia prima importata e sui manufatti prodotti, sia direttamente attraverso le statistiche disponibili sul numero dei fusi e telai. Dall'inizio del '700 al 1841 l'importazione di cotone greggio ebbe in Inghilterra il seguente andamento:
Il consumo locale e l'esportazione di manufatti dell'industria inglese variò dal 1766 al 1829-31 come segue:
Nel 1811 si calcolava che fossero in attività già 5.000.000 di fusi di cui 310.500 del tipo Arkwright, 4.600.000 del tipo Crompton, 156.000 del tipo Hargreaves. Nel 1820 il numero dei telai meccanici si accertò in 14.500, nel 1829 in 55.500, nel 1833 in 100.000.
Nonostante le lunghe guerre contro Napoleone, il periodo dal 1800 al 1817 fu per l'industria inglese di grande espansione. L'applicazione del vapore all'industria si diffuse rapidamente; il mercato interno presentò possibilità d'assorbimento sempre più notevoli, il mercato internazionale era completamente aperto alla penetrazione commerciale. Fino al 1820, anzi, si può dire che l'industria cotoniera inglese abbia goduto di condizioni di monopolio, aiutata in ciò dalla legislazione che in principio proibì rigorosamente l'esportazione di pezzi di macchina o loro disegni. L'industria indiana, allontanata nel periodo delle trasformazioni industriali dal mercato inglese, attraverso i dazî protettivi, soggetta a forte concorrenza di prezzi, dopo, con l'iniziarsi della fabbricazione meccanica, aveva finito col dovere subire la concorrenza anche sul proprio mercato.
I tentativi d'organizzazione dell'industria nell'Europa continentale, durante il periodo napoleonico, rimasero pressoché sterili, a causa delle continue guerre, dei cambiamenti territoriali, dell'intensa mobilitazione d'uomini e di ricchezze. Solo la Svizzera poté presto organizzare una vera e propria industria cotoniera. La Francia aveva visto sorgere una prima filatura di cotone ad Amiens nel 1773, ma la lavorazione vi era ancora completamente manuale; nel 1784 un certo Martin d'Amiens ottenne, come primo importatore, il monopolio dell'uso delle macchine per filare e tessere; egli organizzò una filatura presso Arpajon, altre ne sorsero in Piccardia, Fiandra, Normandia, Alsazia; tuttavia il grosso dell'industria si organizzò fra il 1820 e il 1830 quando la pace e la diminuzione di prezzi diedero una certa tranquillità al mercato. La Germania sviluppò la sua industria ancora più tardi; l'organizzazione corporativa quivi si prolungò più che altrove e ritardò le trasformazioni economiche. L'Italia, come si vedrà più innanzi, vide sorgere nel 1808 la prima filatura meccanica a Sant'Antonio in Intra, ma la lavorazione si sviluppò più propriamente dal 1820 circa in poi. In Russia e in Austria l'industria ebbe sviluppo all'incirca nella stessa epoca.
Gli Stati Uniti, invece, organizzarono la loro industria un po' prima dei paesi continentali europei. La filatura e tessitura a mano sembra non sia stata ignorata dagli indigeni e anzi Colombo ce li descrive come molto abili in questo genere di lavoro. Il primo stabilimento sorse però solo nel 1788, il secondo nel 1790 a Rhode Island. La guerra del 1812, producendo la contrazione delle importazioni dall'Inghilterra, diede un certo impulso all'industria. Questa si andò sviluppando nella New England, dove abbondavano la forza idraulica, i capitali e la mano d'opera, e solo più tardi si diffuse negli stati del sud. Un vero e proprio sviluppo dell'industria americana si ebbe però fra il 1845 e il 1859.
Comunque, al 1846 i principali centri industriali europei e quelli degli Stati Uniti si potevano dire già organizzati. Una statistica relativa a quell'anno accertava il seguente numero di fusi nei varî paesi:
In quell'anno, Inghilterra, Scozia e Irlanda insieme accentravano il 49,40% dei fusi esistenti nel mondo, e dominavano quasi completamente i mercati di consumo asiatici, africani e dell'America latina.
Il periodo che va dal 1850 alla fine del secolo è caratterizzato da una parte dallo sviluppo tecnico dell'industria e da fenomeni di concentrazione delle imprese, dall'altra dal sorgere d'industrie in nuovi paesi, specialmente extraeuropei: India, Giappone, Cina, Brasile, ecc.
Per dare un'idea del progresso tecnico dell'industria nel cinquantennio basta ricordare che mentre nel 1850 il numero dei fusi e telai esistenti in media negli stabilimenti del Lancashire fu accertato rispettivamente in 10.858 e 155, nel 1885 questo numero medio salì rispettivamente a 15.227, e 213.
Circa lo sviluppo dell'industria nei paesi extraeuropei, è da ricordare che in India il primo stabilimento meccanico sorse nel 1851 a Broach, ad opera d'Inglesi, il secondo nel 1854 a Bombay; l'industria presto si diffuse così da raggiungere nel 1890 i 137 stabilimenti con 3.274.196 fusi e 23.142 telai.
In Giappone, il primo stabilimento cotoniero, progettato fin dal 1862, sorse solo nel 1868 a Isonohama, il secondo nel 1870 a Sakai; l'industria incontrò però molte difficoltà iniziali, nonostante che il governo intervenisse ad aiutarla e nel 1890 contava soltanto 36 stabilimenti con 277.895 fusi; solo la guerra con la Cina del 1894-95 e quella con la Russia del 1904-05 valsero a darle prosperità. In Cina il primo stabilimento sorse nel 1890 a Shanghai, il secondo dopo qualche anno nello stesso luogo; lo sviluppo dell'industria fu però agl'inizi molto lento e solo verso il 1906 cominciò ad assumere rilievo.
Dal 1895, anno in cui tutti i gruppi d'industria che oggidì forniscono manufatti di cotone erano già costituiti, agli anni più recenti, lo sviluppo raggiunto dagl'impianti può essere indirettamente rilevato dalle statistiche relative al numero dei fusi e dei telai nei principali paesi del mondo.
Già al 1895 il numero dei fusi esistenti nel mondo era di 94.568.000 e quello dei telai di 1.905.150. Nell'immediato anteguerra l'industria segnava un ulteriore progresso: il consumo del cotone sodo si valutava, nel 1913, in 22 milioni di balle circa, il numero dei fusi in 1472 milioni, quello dei telai in 2,8 milioni circa. Dopo il periodo eccezionale della guerra e dell'immediato dopoguerra, l'industria segnava un nuovo ritmo di accrescimento e mentre il consumo del cotone sodo raggiungeva nel 1925 i 25,3 milioni di balle, il numero dei fusi e dei telai saliva rispettivamente a 168 e a 3,2 milioni circa. Rispetto all'anteguerra si aveva così un aumento del 15% nel consumo di cotone sodo, un aumento del 14,13% nel numero dei fusi e un aumento del 14,28% nel numero dei telai.
L'accrescimento nel consumo di manufatti di cotone risulta evidente dalle cifre riportate. È da notare, però, che lo sviluppo della produzione non ha avuto uguale importanza per i singoli gruppi d'industria; anzi il fatto più caratteristico nella più recente storia dell'industria cotoniera mondiale è il rapido formarsi di nuovi centri industriali, che hanno acquisito talvolta, e in breve tempo, una capacità di concorrenza e d'espansione sorprendenti. Questo fatto risulta meglio illustrato dalle cifre seguenti, in cui sono date le percentuali di fusi e telai con cui ciascuno dei maggiori centri industriali ha concorso, attraverso un trentacinquennio, al totale delle installazioni tessili.
Come si vede, dal 1895 al 1929, l'industria europea, e più specialmente l'industria inglese, ha ceduto progressivamente terreno alle industrie asiatica e americana. Solo in Italia e in qualche altro stato dell'Europa continentale lo sviluppo degl'impianti è stato superiore al ritmo d'incremento delle installazioni mondiali, ma senza poter per ciò compensare il progressivo regresso delle maggiori industrie dell'Europa.
Questi diversi rapporti fra gruppi d'industria risultano ancor meglio chiariti dalle cifre relative al consumo del cotone sodo.
Nel 1928 le filature europee (Inghilterra e continente) assorbivano il 43,8% del cotone sodo disponibile in confronto al 55,3% del 1913, e la diminuzione era dovuta soprattutto all'Inghilterra, e in più limitata misura alla Germania, alla Russia e agli stati successori dell'ex-impero austro-ungarico, senza che trovasse compenso negli aumenti di produzione in Francia, Italia, Olanda, ecc.; la differenza veniva assorbita dalle industrie americana e asiatica, salvo un accidentale regresso dell'India, dovuto alla situazione instabile generale di quel mercato. In cifre assolute si può valutare che il consumo dell'Europa continentale e dell'Inghilterra sia diminuito, rispetto al 1913, di 2,1 milioni di balle nel 1926, di 1,3 circa nel 1927 e di 1,1 circa nel 1928, con una leggiera tendenza a miglioramento, non mantenutasi, a quanto sembra, nel 1929; mentre il consumo extraeuropeo è aumentato circa di 4,1 milioni di balle nel 1926, di 5,2 nel 1927, di 4,3 milioni di balle nel 1928. Lo sviluppo delle industrie extraeuropee apparirebbe poi maggiore se si potesse tener conto delle tessiture a mano che contribuiscono ancora in misura non indifferente, specialmente nei mercati asiatici, alla produzione mondiale.
Correlativamente a queste variazioni nella produzione totale e nell'ordine d'importanza delle diverse industrie, si sono naturalmente avute sensibili variazioni nelle correnti del commercio internazionale. I manufatti di cotone vengono, com'è noto, esportati dai grandi paesi industriali a centri industrialmente meno progrediti, oppure da paesi aventi una certa produzione tipica a paesi aventi altra produzione tipica, così da attuare scambî e integrazioni di qualità: l'Europa, per es., esporta verso l'Asia, l'America e l'Africa, in genere, filati e tessuti fini, pregiati, tinti, imbianchiti e stampati; gli Stati Uniti esportano verso l'America latina, l'Estremo Oriente e il Canada, in genere, filati e tessuti di qualità media; il Giappone, l'India, la Cina esportano nei mercati asiatici e africani, in genere, qualità inferiori, talvolta medie. Ora, nel dopoguerra, le vendite di alcuni paesi europei (Inghilterra e Germania specialmente, poiché alcune industrie come l'italiana hanno sviluppato i loro affari) si sono contratte su quasi tutti i mercati, e si sono invece accresciute le vendite giapponesi sui mercati asiatici e africani e le vendite degli Stati Uniti sui mercati sud-americani. Le esportazioni stesse dei grandi centri industriali europei verso i paesi dell'Europa orientale e del sud-America si sono esse stesse contratte per lo svilupparsi d'industrie locali, spesso protette da forti dazî doganali.
Si rileva dalle statistiche come l'Inghilterra che nel 1913 forniva fino al 70% dei tessuti di cotone vi concorreva nel 1928 solo col 42,5%, mentre il Giappone da un concorso trascurabile passava al 14,3%.
Se questi fatti hanno contraddistinto l'andamento della produzione e del commercio dall'anteguerra in poi, è da osservare che a partire dal 1929 le possibilità di sviluppo delle industrie più giovani si sono attenuate e si è creato invece, per tutte le industrie, uno stato generale di disagio. Si è trovata ragione di ciò, oltre che nelle condizioni generali dell'economia mondiale, nel fatto che in definitiva se gl'impianti nei paesi aventi industria giovane o in formazione aumentavano con ritmo sempre più intenso, quelli dei paesi più vecchi non si riducevano affatto in linea assoluta, determinandosi per questo una sproporzione di potenzialità produttiva dell'industria rispetto alla capacità di assorbimento del mercato mondiale.
È vero che il consumo di manufatti di cotone continua ad aumentare, essendovi ancora dei paesi in cui il consumo è minimo; anzi, quel che caratterizza attualmente il consumo cotoniero è la sua ineguale distribuzione nel mondo, per cui, mentre, per es., gli Stati Uniti hanno un consumo annuo medio di cotonate di circa 66,5 metri per abitante, l'India vede scendere questo consumo a 11 metri circa. È vero anche che i grandi paesi consumatori tendono a crearsi un'industria propria locale, e le imponenti masse di popolazione che abitano questi paesi (India, Cina) e il basso consumo attuale rendono per lo meno lontana la possibilità d'una completa emancipazione da industrie estere (ancora attualmente in India, su un consumo medio annuo di 11 metri di cotonate per abitante, circa 5 metri sono prodotto d'importazioni). Ma, oltre al fatto della grande espansione degl'impianti e d'un possibile intensificarsi di politica protettiva, quel che fa temere sulle possibilità d'un più largo collocamento dei manufatti di cotone è anche la concorrenza dei manufatti di seta artificiale, concorrenza che, già notevole in Europa e in America, tende a svilupparsi grandemente sui mercati asiatici.
Dal punto di vista del valore della produzione, si è calcolato recentemente che l'industria tessile cotoniera produca annualmente per circa 120 miliardi di lire così distribuite: Europa 42%, America 31%, Asia 25%, Africa e Australia 2%. I principali paesi produttori risulterebbero nell'ordine: Stati Uniti 34 miliardi, Inghilterra 17, Giappone 11, India 10, Germania 7, Francia 6,5, U.R.S.S. 6, Italia 4,5. In quantità, la produzione di filati in alcuni di questi e in altri paesi sarebbe stata nel 1927 e nel 1928 la seguente:
Tipica dei più recenti anni è la tendenza, nell'industria cotoniera, alle fusioni e ai consolidamenti per una più economica produzione e una meno accesa concorrenza fra i varî gruppi industriali. Basti accennare per tutti alla costituzione del consorzio del Lancashire, in Inghilterra, di cui si dirà meglio in seguito; al consorzio delle filature egiziane; a quello italiano; ai consolidamenti dell'industria americana, cecoslovacca, polacca, ecc.
Principali centri manifatturieri. - Inghilterra. - Si è visto come l'industria inglese sia stata la prima a darsi una grande attrezzatura meccanica e ad acquistare vasta importanza internazionale.
Nel 1929 questa industria contava 1805 imprese manifatturiere, 59.133.966 fusi e 739.887 telai. L'industria ha il suo centro di produzione nei Lancashire e questa localizzazione trova giustificazione negli elementi cui più sopra si è accennato. I luoghi in cui si concentra la filatura sono Oldham, Bolton, Rochdale, Manchester; quelli in cui si concentra la tessitura Burnley, Blackburn, Preston e Nelson. La filatura di titoli alti (da 60 a 300), che utilizza prevalentemente cotone egiziano, si concentra nei distretti di Bolton e Manchester; quella dei titoli medî che utilizza cotone americano, in Oldham e Rochdale. Bolton nel 1929 contava 7.642.732 fusi e 25.047 telai; Manchester 3.493.068 fusi e 20.406 telai; Oldham 17.105.626 fusi e 12.101 telai, Rochdale 3.766.606 fusi e 13.914 telai. Il maggior numero di telai è concentrato però, come si è detto, a Burnley (97.329), Blackburn (91.249), Preston (70.334), Nelson (57.984).
Dati recenti sulla produzione inglese non sono disponibili. Occorre far ricorso al censimento del 1924, secondo il quale furono prodotti in Inghilterra, in quell'anno, 5384 milioni di yard (4.923 milioni di metri) di tessuti di cotone per un valore di 156 milioni di sterline. È da notare che tali cifre risultavano già inferiori del 25% a quelle del precedente censimento che aveva avuto luogo nel 1907. La ragione di questa diminuzione della produzione, che si manifestava già nel 1924 e che si accentuava negli ultimi anni, va ricercata nella situazione di difficoltà in cui si è venuta a trovare l'industria inglese nel dopoguerra. Questa industria nel corso della sua attività secolare si è sempre più orientata verso l'esportazione, la quale in certi periodi, ha finito col rappresentare anche il 90% e più dell'intera produzione. Ora, nel dopoguerra e nei più recenti anni, in ragione della formidabile concorrenza delle industrie giapponese e indiana sui mercati asiatici, queste correnti di esportazioni hanno segnato un sensibile declino, come può rilevarsi dal prospetto seguente:
Sono notevolmente diminuite le esportazioni di filati in Germania, in Olanda e in India, che rappresentavano e rappresentano i principali mercati di assorbimento, e le esportazioni di tessuti in Asia (India e Cina specialmente) e in misura meno notevole in tutti gli altri continenti.
Oltre che la notevole concorrenza del Giappone e dell'India nell'approvvigionamento dei mercati asiatici, sulla diminuzione dell'esportazione e sullo stato di crisi dell'industria britannica hanno influito anche elementi organizzativi interni, quali la capitalizzazione eccessiva, l'altezza dei costi, l'aspra concorrenza fra le diverse imprese, la specializzazione di queste secondo il tipo del cotone sodo lavorato, la divisione fra imprese diverse dei diversi rami della lavorazione (la rifinatura è generalmente compiuta da ditte specializzate) con conseguente mancanza di elasticità nella produzione, e soprattutto il non più moderno attrezzamento tecnico delle fabbriche. Circa l'ultima delle cause accennate si osserva in Inghilterra che la rinnovazione degl'impianti e il progresso tecnico dell'industria sono stati seriamente ostacolati dalla scarsa consistenza finanziaria delle imprese e, secondo alcuni, dalle difficoltà conseguenti alla rivalutazione della sterlina e al boom finanziario del 1920. Non è però da dimenticare l'influenza che sul fenomeno ha avuto la caratteristica mentalità conservatrice degl'industriali inglesi, nonché la resistenza degli operai a ogni innovazione tecnica che diminuisse le possibilità d'impiego di mano d'opera. Non può non attribuirsi a questi motivi il fatto che il telaio automatico, largamente adottato in altri centri industriali, sia stato invece in pochi casi installato in Inghilterra, che pur possiede un'industria di costruzione di macchine tessili fra le più perfette del mondo.
Comunque, e senza entrare in ulteriori particolari circa l'influenza dell'orario lavorativo degli operai sul rendimento dell'industria e della molteplicità delle ditte sull'uniformità e regolarità della produzione, questo stato di fatto creatosi nell'industria inglese ha fatto convergere gli sforzi degl'interessati verso forme organizzative, che potessero segnare un miglioramento della situazione. La razionalizzazione dell'industria intesa come costituzione di potenti organizzazioni del tipo cosiddetto "verticale", che potessero assicurarsi il controllo di tutto il processo produttivo, dall'importazione del cotone greggio, ai tipi di lavorazione, alla vendita e all'esportazione del prodotto finito, è stata oggetto non soltanto di ampie discussioni, ma, in alcuni importanti casi, di concrete realizzazioni. Così nella sezione dedita alla lavorazione di cotone americano, si poté costituire nel 1929 un potente organismo, la Lancashire Cotton Corporation, destinato a raggruppare e fondere una molteplicità di stabilimenti cotonieri di filatura, tessitura, tintoria, ecc., a liberarli dal gravame degl'interessi passivi, a riorganizzare la loro produzione su basi efficienti e razionali, eliminando il maggior numero di spese improduttive, a dare unità di controllo alla produzione e distribuzione. Al dicembre 1929 il consorzio riuniva già 71 aziende, e controllava circa 6.750.000 fusi e 20.000 telai; esso era poi in trattative per assorbimenti di molte altre aziende lavoranti cotone americano. Un'organizzazione del genere fu creata anche nella sezione dedita alla lavorazione del cotone egiziano, con la costituzione, nello stesso anno 1929, della Combined Egyptian Mills, avente il controllo di circa 3 milioni di fusi.
Nel campo dell'attività esportativa, va invece menzionata l'Eastern Textile Association che è stata creata nel 1928, e che riunisce in un cartello verticale un gruppo di filatori, tessitori, candeggiatori, tintori, spedizionieri, allo scopo di provvedere a una rigida standardizzazione dei tessuti e di migliorare il controllo delle vendite sui mercati dell'Estremo Oriente e soprattutto della Cina, dove la concorrenza giapponese è andata facendosi sempre più minacciosa. Questo consorzio riuscì, attraverso la propria organizzazione, a vendere nella sola Cina oltre mezzo milione di pezze nello spazio d'un anno, ciò che ha incoraggiato il sorgere di altre organizzazioni del genere.
Stati Uniti. - Se per potenzialità d'impianti gli Stati Uniti seguono l'Inghilterra nell'ordine dei paesi manifatturieri di cotone, contando (1929) 36.216.000 fusi in confronto ai 59.134.000 dell'Inghilterra e 736.379 telai contro 739.887, per quanto riguarda invece l'entità della produzione essi debbono senz'altro considerarsi al primo posto.
Secondo il censimento del 1927, esistevano negli Stati Uniti in quell'anno 1347 stabilimenti cotonieri, di cui 665 filature e tessiture insieme 387 filature e 220 tessiture soltanto, oltre a 75 stabilimenti adibiti a lavorazioni complementari. La maggior parte di questi stabilimenti, 834 circa, si concentrano negli stati produttori di cotone, 302 negli stati del New England e 211 in altri stati. Si calcolò nel 1927 che il 57,5% della produzione fosse data dagli stati del sud (North Carolina 19,8%, South Carolina 14,8%, Georgia 11,5%, ecc.) e il 33,1% dagli stati del New England (Massachusetts 18,2%).
Nello stesso anno la produzione totale di filati fu calcolata in 1 miliardo di chilogrammi, costituita per il 52% circa da numeri sotto 20 e per il 43% da numeri da 21 a 40 tit. ingl.; la produzione di tessuti in 7,4 miliardi di metri quadrati, costituita in gran parte da tessuti ordinarî in ragione della grossezza della maggior parte dei filati prodotti. Gli sheetings costituiscono la classe più importante della produzione nordamericana e rappresentarono nel 1927 il 10,7% del valore e il 20,7% del quantitativo totale prodotto; seguono gli stampati, e infine vengono i tessuti per pneumatici, i ducks, gli shirtings, i satins, i tessuti misti con seta, ecc.
L'industria cotoniera nord-americana, data la vastità del mercato interno, invia sui mercati esteri una percentuale della produzione (5-6% circa) molto minore di quella dell'Inghilterra. Nel 1929 infatti l'esportazione di filati fu di 12,5 milioni di chilogrammi, diretta principalmente nel Sud-America e nel Canada, e quella dei tessuti di 461,9 milioni di metri quadrati, diretta principalmente nelle Isole Filippine, Cuba, Canada, America Centrale e Meridionale e costituita in prevalenza da sheetings greggi e imbianchiti. L'esportazione nord-americana di anteguerra fu per i tessuti di 371,8 milioni di metri quadrati.
Gli Stati Uniti importavano notevoli quantità di tessuti greggi e imbianchiti, e anche di tessuti colorati e stampati, fabbricati in genere con filato fine dall'Inghilterra, dalla Svizzera, dall'Italia, ecc., ma questa importazione tende a diminuire ormai di anno in anno.
Germania. - La potenzialità dell'attrezzatura industriale pone la Germania al terzo posto tra i paesi cotonieri del mondo, e ciò nonostante che la guerra avesse creato all'industria, con la chiusura dei mercati di sbocco, una condizione gravissima di crisi, e il distacco dell'Alsazia-Lorena avesse ridotto di molto, con la pace, l'efficienza degl'impianti.
Nel 1929 la Germania contava 11.155.000 fusi contro 10.163.000 nel 1913 e 250.000 telai contro 230.000 nel 1913. Essa in quell'anno aveva quindi ripreso in pieno la sua primitiva potenzialità, colmando le perdite subite col distacco dell'Alsazia. Però, nonostante questa rapida ripresa, si calcola che nello stesso anno 1929 l'industria lavorasse al 60-70% della sua capacità, in causa della crisi mondiale che frattanto si manifestava. Nel 1928 l'industria tedesca produsse 1070 milioni di marchi di filati e 1476 milioni di marchi di tessuto.
I centri più importanti dell'industria tedesca sono la Prussia (specialmente la Renania e la Westfalia), la Baviera, la Sassonia, il Württemberg, la Turingia, il Baden. Chemnitz si può considerare una delle più importanti città cotoniere della repubblica.
Una caratteristica delle tessiture tedesche di cotone è che esse non lavorano soltanto il filato di produzione propria, ma ne assorbono anche forti quantitativi (nel 1929 : 33.171 tonnellate) dalla Cecoslovacchia e dalla Francia. D'altra parte, molti stabilimenti tedeschi usano rifinire tessuti greggi prodotti nei paesi vicini, principalmente Inghilterra e Francia. L'esportazione tedesca di filati raggiunse nel 1929 le tonnellate 11.780 e si diresse principalmente in Olanda; l'esportazione di tessuti fu di tonn. 36.767 e si diresse in Inghilterra, Argentina, Stati Uniti, Danimarca, Olanda e, per modesti quantitativi, in Asia e Africa. L'esportazione di tessuti è costituita quasi interamente da qualità medie e superiori, particolarmente di maglierie, velluti, tessuti per tappezzeria.
Francia. - Per la sua capacità produttiva e l'attrezzatura industriale la Francia va considerata il quarto paese cotoniero del mondo dopo l'Inghilterra, gli Stati Uniti e la Germania. Essa è poi al secondo posto, fra i paesi d'Europa, come quantità d'esportazione.
L'industria francese conta approssimativamente 9.188.000 fusi di filatura, 1.431.000 fusi da ritorcitura, 192.600 telai meccanici, 8.100 telai a mano, 285 stampatrici; essa occupa all'incirca 229.000 operai. L'industria non è però organizzata, se non in piccola parte, in grandi sistemi produttivi; essa conta tuttora un gran numero di tessiture con meno di 600 telai. I centri principali dell'industria cotoniera francese sono: la Normandia la Piccardia, l'Artois, le Fiandre con le importanti città di Rouen, Lilla, Tourcoing, Roubaix, Amiens; i Vosgi, con Épinal, Saint-Dié, ecc.; l'Alsazia con Mulhouse; le vallate della Loira e del Rodano. Tra i diversi rami, particolare importanza riveste quello delle rifiniture e delle confezioni, tanto che la Francia può figurare come il principale paese esportatore d'oggetti di cotone cuciti.
La produzione di tessuti di cotone fu calcolata nel 1927 intorno a 12,41 milioni di pezze, di cui il 30-35% diretto all'estero. L'esportazione di filati fu nel 1929 di 16.146 tonn., e si diresse principalmente nel Belgio e Lussemburgo, in Germania, Olanda, Svizzera; quella dei tessuti fu di 2,7 miliardi di franchi, diretta principalmente nelle colonie francesi e in altri paesi d'Europa. Le più importanti categorie di tessuti esportati sono, in ordine di valore, i tinti in pezza, i greggi, gl'imbianchiti e gli stampati. I tessuti tinti e imbianchiti vanno nelle colonie, i tessuti greggi in Germania e Svizzera, dove vengono in gran parte sottoposti a successiva lavorazione.
Altre industrie europee. - Centri cotonieri di notevole importanza si hanno anche in Cecoslovacchia, Svizzera, Olanda, Belgio, Polonia. Il numero dei fusi e dei telai di cui dispongono questi gruppi industriali si può rilevare dalle tabelle riportate a pag. 733. In genere queste industrie non soltanto lavorano per il mercato interno, ma alimentano anche discrete correnti d'esportazione. Così l'Olanda, che ha un'ottima industria, localizzata in massima nel distretto di Twente, con più di 100 stabilimenti,1.160.000 fusi e 52.000 telai, e che alimenta una notevole esportazione verso le colonie olandesi; l'India britannica, l'Africa e l'Argentina (nel 1929 l'esportazione di tessuti fu di 30.357 tonn.); così la Svizzera che conta anch'essa un centinaio di stabilimenti, la cui caratteristica principale è di produrre tipi di qualità superiore (mussoline, voiles, tessuti trasparenti e leggieri e simili) largamente richiesti e apprezzati sul mercato interno e su quelli esteri; così la Cecoslovacchia che ha ereditato circa il 75% dei fusi e il 90% dei telai dell'ex-impero austro-ungarico, e che ha continuato perciò a fornire i territorî confinanti, come se facessero parte dell'antica unità statale; così infine la Polonia che anch'essa ha ereditato molti degli impianti dell'ex-impero russo, e continua perciò le vecchie forniture alla Siberia e all'Ucraina.
India. - Tra i paesi cotonieri d'Asia, l'India occupa il primo posto, per potenzialità d'impianti, superando lo stesso Giappone, che ha però una capacità d'esportazione enormemente maggiore. Lo sviluppo dell'industria è stato certamente rapido, nonostante le frequenti crisi cui essa è andata incontro. Nel 1910 i fusi erano 6.196.000 e i telai 82.725; nel 1929 i fusi erano 8.704.000 e i telai 166.532.
In relazione a questo sviluppo la produzione, rispetto all'anteguerra, si è più che raddoppiata: quella dei filati per l'anno fiscale 31 marzo 1929-30 si valutò in 833 milioni di libbre, di cui la metà costituita da filati di numero dal 20 al 30; la produzione di tessuti fu di 2.419 milioni di yard. I tipi prodotti dalle tessiture indiane sono in genere quelli più ordinarî e i pesanti ricavati dal cotone indiano, per quanto i cotoni egiziani e americani vengano pure impiegati nella lavorazione dei tipi di minor consumo. Questa produzione è integrata da quella delle tessiture a mano che si calcola supplisca al 25% del consumo interno dei tipi più correnti.
Il centro principale dell'industria indiana della presidenza di Bombay con 6 milioni circa di fusi e 133 mila telai nel 1929. La presidenza di Madras e le Provincie unite di Agra e Oudh contano ciascuna più di mezzo milione di fusi e qualche migliaio di telai, ma sono naturalmente lontani, come centri industriali, dall'importanza di Bombay.
Nonostante la notevole produzione locale, l'India rimane sempre uno dei più importanti mercati importatori del mondo; anzi può dirsi che su quel mercato si saggino attualmente le possibilità di concorrenza delle maggiori industrie esportatrici. Questa importanza del mercato indiano, ai fini del commercio dei manufatti di cotone, può essere meglio rilevata dalla tabella che precede, in cui lo stato della produzione, importazione, esportazione, riesportazione e consumo è posto in luce per un lungo periodo di anni.
È da notare nell'importazione dei tessuti il forte incremento delle provenienze giapponesi in confronto al regresso delle provenienze inglesi.
Giappone. - Il Giappone, come s'è visto, iniziava relativamente tardi la sua attività nel campo cotoniero; tuttavia in 25 anni esso ha saputo dare alla sua industria uno sviluppo e un'organizzazione grandiosi, facendone una delle più formidabili concorrenti sul mercato mondiale. Oggi il Giappone esporta circa il triplo dei tessuti spediti all'estero dagli Stati Uniti, e la terza parte di quelli spediti all'estero dall'Inghilterra.
Lo sviluppo rapidissimo dell'industria giapponese può essere meglio lumeggiato dalle seguenti cifre relative al consumo di cotone sodo, all'attività dei fusi e alla produzione di filati e tessuti:
Per molti anni Ōsaka fu il principale centro dell'industria cotoniera giapponese; recentemente tuttavia Nagoya ha sviluppato la sua produzione in modo da divenire un altro importantissimo centro manifatturiero. Così nel 1928, mentre la prefettura di Ōsaka dava il 23% della produzione totale, Nagoya ne forniva il 21%.
Le caratteristiche qualitative della produzione giapponese sono tali da consentirle larga possibilità di penetrazione nei mercati poveri, asiatici e americani in specie: la lavorazione verte infatti nella sua quasi esclusività sugli articoli di qualità medie e inferiori, ottenuti da filati di cotoni indiani a fibra corta e di cotoni americani a fibra media e corta. D'altra parte l'organizzazione tecnica dell'industria è tale da consentirle per sé stessa una rapida espansione: le aziende sono poche e accentratissime, controllate da limitati gruppi familiari, affiancate da un'organizzazione commerciale di vendita finanziariamente potente. La stessa vicinanza dei più grandi mercati d'assorbimento, Cina, Indie britannica e olandesi, favorisce la penetrazione dell'industria.
Attualmente il Giappone segue immediatamente l'Inghilterra per quanto riguarda l'entità del commercio d'esportazione. Nel 1929 esso esportò 67.631 balle di filati, quasi esclusivamente in India e Cina e 1,8 miliardi di yard quadrate di tessuti, quasi esclusivamente in India, Cina, Indie olandesi ed Egitto. La penetrazione dei prodotti giapponesi nel mercato indiano è stata negli ultimi anni così attiva, da minacciare, oltre che l'esportazione inglese, la stessa industria locale, e da rendere perciò necessarî forti aumenti di dazî. Gli shirtings e gli sheetings tra i greggi; i satins e i Jeans tra i colorati, i tinti e gli stampati; e gli shirtings tra gli imbianchiti, sono i tipi di tessuti nei quali la produzione e l'esportazione giapponesi si sono particolarmente affermate.
Cina. - Come si è detto, l'industria cotoniera ebbe inizio in Cina nel 1895. Da quell'epoca essa ha segnato un rapido sviluppo, soprattutto nel ramo controllato dai giapponesi, che vi hanno impiegato notevoli capitali: negli ultimi dieci anni, in particolare, il numero dei fusi è stato triplicato e quello dei telai più che quadruplicato. I particolari di questo sviluppo possono rilevarsi dal prospetto seguente:
Come si vede, l'industria cotoniera è controllata principalmente da Cinesi e Giapponesi, e, in molto minore estensione, da Inglesi. Gli stabilimenti giapponesi sembrano i meglio attrezzati e amministrati: essi si possono considerare come vere e proprie ramificazioni dell'industria nipponica, per la produzione dei tessuti greggi richiesti dal mercato cinese; le tessiture sono fornite di telai automatici, mentre p. es. quelle cinesi ne sono spesso sprovviste. Shanghai è il massimo centro dell'industria cinese: vi si accentra il 75% degl'impianti, cioè tutti gli stabilimenti posseduti dagl'Inglesi, due terzi degli stabilimenti giapponesi e un terzo di quelli cinesi. Dopo Shanghai i maggiori centri cotonieri sono le provincie di Kiang-su, Chih-li (Ho-pe) e Hu-pe. La produzione di filati fu nel 1929 di 942,6 milioni di libbre e quella dei tessuti di 591,2 milioni di yard, contro appena 45 milioni nel 1915. I tessuti greggi nelle qualità più correnti e le flanelle rappresentano la parte più importante della produzione; va sviluppandosi però anche, nelle tessiture giapponesi, la produzione di tessuti tinti e imbianchiti di qualità media. comunque l'industria dispone nel complesso d'un vasto e favorevole mercato: i tessuti di cotone sono in grandissimo uso presso tutte le classi sociali, la mano d'opera è abbondantissima e a buon mercato.
Nei confronti delle industrie estere, la Cina continua a rimanere, come l'India, un grande mercato d'assorbimento di manufatti. Non è da dimenticare tuttavia che le importazioni di quel paese, con lo sviluppo dell'industria locale, tendono a contrarsi. Nel 1929 la Cina importò 31,3 milioni di libbre di filati e 106,4 milioni di sterline di tessuti. Il 44% dei filati provengono dal Giappone, il 25% dall'India, e il 26% da Hong-kong, dove pervengono in transito dall'India e dall'Inghilterra: circa i tessuti, le statistiche d'esportazione dei due maggiori paesi fornitori, Giappone e Inghilterra, dànno rispettivamente, nel 1929, spedizioni per 530,6 e 188,3 milioni di yard. Come si vede, l'industria giapponese, avvalendosi di un'ottima organizzazione commerciale, di eccellenti trasporti e concedendo larghe facilità di credito, è riuscita a crearsi una formidabile posizione su quel mercato, facendovi regredire sensibilmente il commercio britannico.
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L'industria italiana. - In Italia e particolarmente nella provincia di Milano, ove già prima del 1349 i fabbricanti di fustagni erano costituiti in università, la produzione dei tessuti di cotone è antichissima. Anche la plaga del Bustese è nota per aver introdotto fin dal 1560 l'arte di filare e tessere la bombacina.
Sull'ulteriore incremento di questa lavorazione sono, però, assai scarsi i dati e non sembra che essa abbia fatto nel secolo successivo notevoli progressi. L'anagrafe veneta noverava nel 1776 nella provincia di Bergamo 262 telai per la fabbricazione del fustagno e la casa Ponti in Lombardia praticava la manifattura dei fustagni e dei rasati fin dal 1780, ma non vi è ancora cenno in nessun luogo di filatura meccanica.
E mentre l'Inghilterra impiantava già nel 1760 le prime filature, l'Italia attese ben 50 anni a dare inizio a imprese di filatura con criteri industriali. Infatti, una lapide murata nell'ex-monastero di S. Antonio in Intra ricorda che i fratelli Sigismondo e Gian Giacomo Müller vi impiantavano nel 1808 la prima filatura meccanica di cotone diventata poi sutermeister e dagli annuarî della casa Ponti si rileva che Andrea Ponti nel 1812 e Pasquale Borghi insieme coi fratelli, nel 1819, fondavano rispettivamente a Gallarate e a Varano i primi opifici forniti di Gianette. Però i filatoi semi-automȧtici Mule-Jenny entrarono in funzione in Italia solo il 23 agosto 1823 quando Giuseppe, Bartolomeo e Francesco Ponti inaugurarono lo stabilimento di Solbiate.
Creati gl'impianti, con uguale arditezza e chiaroveggenza, i Ponti iniziarono in seguito su vasta scala l'importazione diretta dei cotoni dall'America e dall'India. Tale lavoro, svolto a mezzo di filiali aperte a Milano e a Trieste, li ricompensò largamente e indusse anche un altro ben noto pioniere, Francesco Turati, modesto commerciante al minuto di manifatture, a tentare il commercio d'importazione e a dedicarsi quindi alla filatura e alla tessitura nello stabilimento di Montorio Veronese. Nel 1834 Costanzo Cantoni fondava il cotonificio di Legnano e gl'impianti industriali da lui creati venivano poi assumendo, soprattutto per l'iniziativa del figlio Eugenio, un notevole incremento con impronta innovatrice assai avanzata per i tempi.
Mentre l'industria cotoniera così si andava affermando in Lombardia, altre iniziative sorgevano contemporaneamente in Piemonte, in Liguria e nell'Italia meridionale. In quest'ultima e precisamente nella Campania sorsero, anche per incoraggiamento in un primo tempo del governo murattiano e poi del governo borbonico, filature, tessiture, tintorie e stamperie di cotone, le quali, da principio modestissime, andarono rapidamente ingrandendosi e acquistando rinomanza per prodotti di assoluta e indiscussa bontà.
Alcuni dati statistici possono dare un'idea del progresso dell'industria nelle varie regioni d'Italia. Secondo quanto è stato affermato da uno studioso, nel 1845 funzionavano nel Regno di Sardegna (in Piemonte e Liguria) da 60 a 70 filature di cotone con un complesso di 100.000 fusi che davano lavoro a 4500 operai: di queste filature 35 avevano meno di 1000 fusi ciascuna; il consumo di cotone era di kg. 2.640.000 per un valore di L. 3.000.000: si producevano numeri grossi a eccezione della Manifattura di Pont Canavese che filava titoli fini; le tessiture erano 250 con 14.500 telai battenti cotone. Nel 1855, secondo Giovanni Frattini, i cotonifici lombardi possedevano 123.000 fusi e davano lavoro a 1800 operai; il consumo di cotone era di 5 milioni di kg. annui e i telai operanti ammontavano a 17.000.
In Lombardia, Eugenio Cantoni, continuando l'opera paterna, febbrilmente lavorava a organizzare aziende e renderle indipendenti, affidandone la direzione a giovani cresciuti sotto la sua guida animatrice. Nell'ambito della sua casa, sorsero la Introini di Gallarate, ove Alessandro Maino iniziò la sua carriera, la filatura di Bellano, la ritorcitura di Besozzo poi Roncari, la filatura Fritsch a Castello di Lecco. Lavorando sempre per conto della casa Cantoni, sorsero gli stabilimenti Guzzi a Canegrate e Restelli a Sangiorgio e, incoraggiate dalla sua prodigiosa attività, nacquero altre aziende, quali la Garattola della casa Candiani a Legnano, la filatura Amman diventata poi Fedele Borghi e quella Krumm distrutta più tardi da un incendio, la Schoch a Castiglione Olona, ora Milani e Nipoti, e molte altre. Eugenio Cantoni, poi, trasformata nel 1872 la sua ditta in società anonima, dava impulso, alla Maddalena, all'ampliamento d'una piccola stamperia a mano, creando la prima stamperia meccanica a cilindri, che, dopo vinte molte difficoltà, si staccò dal cotonificio Cantoni, per costituire una nuova società ch'ebbe grande successo sotto la gerenza di Ernesto De Angeli (v). Lo stesso Cantoni, per introdurre in Italia l'industria dei ricami a macchina, creò la ditta Reiser; perché non mancasse l'industria dei filati cucirini, ne fondò sotto il nome di Sheller e C. la prima fabbrica. Quanto ai velluti, dopo aver persuaso il duca Raimondo Visconti a rilevare la fabbrica di cord di Vaprio, promosse la creazione della ditta Sacconaghi, portata al maggior grado di perfezione da Pietro Taschini, e fondò il Cotonificio veneziano allo scopo di preparare un nuovo centro industriale in previsione d'una futura esportazione. Infine, nell'intento di dare all'industria maggiore indipendenza e autonomia, fondò la ditta Bonicalzi per la fabbricazione dei pettini e dei licci, l'officina Cantoni-Krumm per la fabbricazione dei telai, e, associato all'ingegnere Franco Tosi, (v.), promosse il graduale sviluppo delle grandi officine meccaniche che portano il nome di quest'ultimo.
Nel 1864 si incontrano le iniziative sorte per impulso di Cristoforo Benigno Crespi che, dopo lo stabilimento di Vaprio (1864), costruì quelli di Vigevano (1867), Ghemme (1870) e Capriate d'Adda (1877), ora Crespi d'Adda. Dopo il 1870 l'industria cotoniera in Lombardia si andava anche estendendo fra le prealpi bergamasche, e più particolarmente nella Valle del Serio con una schiera di stabilimenti l'uno a valle dell'altro, che utilizzavano le successive cadute dell'acqua di quel fiume. Quegli stabilimenti, diventati tutti importanti, riuniscono nei pochi chilometri della valle Seriana il dieci per cento circa dei fusi d'Italia.
In Piemonte sorgevano la manifattura di Cuorgnè, la filatura di San Germano Chisone, la tessitura di Mathi Canavese, le manifatture Dora e Subalpina, il cotonificio Mazzonis e nel Novarese tutto un gruppo di importanti cotonifici che producono una grande varietà di tessuti; né vanno dimenticate le specialità di Chieri, del Canavese e di Galliate. Nelle altre regioni d'Italia molto meno attivo, anzi in genere quasi insignificante, fu il movimento per l'industria cotoniera; si può citare in Toscana la tessitura meccanica G. Dumas (1826), frazionatasi poi e sviluppatasi in varie ditte fra cui la Dini e la Pontecorvo; e in Sicilia l'Ainis, il cui stabilimento venne distrutto dal terremoto nel 1908.
Accanto alle filature e alle tessiture si svilupparono le industrie del candeggio, della tintoria e della stamperia. Già dal sec. XVIII tali industrie esistevano in Italia e particolarmente in alcuni centri lombardi, quali Como, Milano, Pavia, Cremona, e troviamo che un certo Speich impiantava una stamperia a Genova, dove più tardi i fratelli Muratori e F. Marchesi (1805) ne fondarono un'altra che si riforniva di tessuti traendoli dalla locale tessitura a mano. Nell'Italia meridionale ebbe importanza la tintoria di "rosso Adrianopoli", sorta, intorno al 1825, per iniziativa di Giovanni Giacomo Meyer in Scafati, presso valle di Pompei. Nel 1830 J. R. Glarner a Sarno fondò una stamperia di tessuti; altrettanto faceva G. Brunner a Messina. Nel 1835 si costituì la società in accomandita semplice Schlaepfer Wenner & C. con sede a Salerno, dove esistevano già piccoli stabilimenti di filatura e tintoria. La nuova ditta acquistò lo stabilimento di tessitura a mano dei signori Vonwiller & Zublin di Angri, nonché la loro tintoria di "rosso Adrianopoli" in Fratte di Salerno, dove venne subito impiantato un nuovo stabilimento di stamperia. Nel 1850 Federico Mylius iniziava la fabbricazione e la stampa dei tessuti con un impianto a Torre Pellice, in Piemonte, che venne poi rilevato dai baroni Mazzonis. Degna di nota è la modestissima stamperia a mano che aveva fondato, nel 1869, a Milano, un certo Crosta. Tale impianto fu il nucleo originario dello stabilimento alla Maddalena ingrandito, come si è detto, per iniziativa di Eugenio Cantoni, divenuto poi l'attuale stamperia De Angeli Frua.
L'industria cotoniera italiana, iniziatasi così nella prima metà del secolo scorso, prendeva sviluppo concreto dopo l'unificazione politica del nostro paese, continuando la fase ascensionale sino alla vigilia della guerra europea per poi consolidarsi, attraverso lo sviluppo degl'impianti e il rinnovo di materiale, nell'ultimo decennio.
I rami che attualmente caratterizzano l'industria cotoniera sono: la filatura, la tessitura, la rifinitura (candeggio, tintoria, stamperia). Esistono poi varie industrie collaterali che, per il carattere speciale della loro produzione, devono tenersi separate, sebbene in sostanza lavorino esclusivamente, o quasi, la fibra del cotone e siano parte viva e attiva dell'organismo industriale cotoniero. Così la ritorcitura, gli ovattifici, i cascamifici, i calzifici, i maglifici, i ricamifici, i nastrifici, le fabbriche di passamanerie, e di filati cucirini, ecc. Una caratteristica dell'industria cotoniera italiana, in confronto dell'estera, è che parecchie delle maggiori aziende non trattano esclusivamente un ramo della lavorazione, ma ne raggruppano e svolgono tutti i cicli, attendendo alla trasformazione completa della materia prima in manufatto finito (tessuti tinti, colorati, stampati).
Impianti. - Lo sviluppo dell'industria cotoniera italiana può rilevarsi indirettamente dalla statistica dei fusi e dei telai:
Le aziende industriali cotoniere in Italia nel 1930 erano 993, con 1250 stabilimenti, in maggioranza nel Settentrione:
La suddivisione degli stabilimenti in reparti corrispondenti ai varî rami dell'industria risulta la seguente:
Le ditte che esercitano la filatura sono 120 e possiedono 205 stabilimenti con 5.450.000 fusi. Vi erano al 1930, un solo stabilimento con più di 100.000 fusi, 29 con oltre 50.000, 68 con oltre 20.000. I fusi di filatura sono, per la maggior parte, in Lombardia e Piemonte:
Presso le filature troviamo, in genere, i reparti di ritorcitura; non è però raro il caso di trovarli aggiunti alle tessiture e in stabilimenti autonomi che lavorano per conto proprio o per conto di terzi. Gli stabilimenti o reparti di ritorcitura erano 113 nel 1912 e 128 nel 1921; nel 1930 salivano a 230. I fusi di ritorcitura installati, da 20.000 che erano nel 1876, sono saliti a 300.000 nel 1908, a 700.000 nel 1921 e a 1.013.569 nel 1930. Nel 1930 il Piemonte contava 61 stabilimenti e 293.303 fusi, la Liguria rispettivamente 17 e 65.860, la Lombardia 108 e 411.136, il Veneto 22 e 117.456, l'Italia centrale 14 e 78.776, l'Italia meridionale 8 e 47.038.
Sono infine da comprendere, nel gruppo filature, gli stabilimenti e i reparti di filatura col sistema uso lana, in numero di 62 e con 105.000 fusi installati. Eccone la distribuzione: Piemonte 30 stabilimenti con 44.342 fusi, Lombardia 24 con 41.038, Veneto 7 con 16.745, Italia meridionale 1 con 2.875.
Le ditte di tessitura che producono tessuti di tutto cotone o nei quali il cotone entra in percentuale preponderante sommavano nel 1930 a 740 e possedevano 850 stabilimenti e reparti con un totale di circa 150.000 telai installati. Si distribuivano nelle varie regioni come segue:
Le tessiture, come si vede, sono ancora più raggruppate territorialmente delle filature e la maggior parte di esse si concentra nella Lombardia e più precisamente nelle provincie di Milano, Varese e Bergamo. Il numero dei telai a mano è ormai molto ridotto, mentre nel campo dei telai meccanici va sempre più aumentando l'uso dei tipi automatici e semiautomatici. Al 1930 fra gli stabilimenti di tessitura se ne contavano già 4 con oltre 1500 telai meccanici, 12 con oltre 1000, 29 con oltre 700, 36 con oltre 500.
La seguente tabella dà un'idea della qualità e dell'entità del macchinario che richiedono le industrie del candeggio, della mercerizzazione e della tintoria:
Lo sviluppo attualmente conseguito dalla stamperia di filati e tessuti è segnato dall'esistenza di 26 stabilimenti, con un totale di 165 macchine da stampa, col necessario corredo e completamento di tutto il macchinario per la preparazione e lo sviluppo dei colori, per la rifinitura e l'apprestamento degli articoli. Si aggiungano ancora qualche dozzina di telai per stampa a mano e oltre 2000 metri lineari di tavoli.
Le ditte che producono cucirini sono una trentina, e risiedono specialmente in Toscana. Dei fusi di filatura più sopra menzionati questa industria ne impiega, per i suoi bisogni, 150.000 circa, ai quali va poi aggiunto l'ingente macchinario speciale di apprestamento e di rifinitura dei filati.
Il macchinario che serve alla rifinitura è svariatissimo e difficile a censirsi. Si contano in Italia circa 40 reparti di finitura per filati e per tessuti annessi ai cotonifici.
Forza motrice. - L'industria cotoniera sorse in primo luogo dove era possibile sfruttare direttamente la forza idraulica e lo dimostra chiaramente l'ubicazione di quasi tutti gli stabilimenti più antichi. Solo più tardi, risolto il problema del trasporto a grandi distanze della energia elettrica, gl'industriali potevano costruire i loro opifici dove, invece, abbondava la mano d'opera. Attualmente l'industria si serve in forte preponderanza di energia elettrica (in parte prodotta da centrali proprie). Nonostante la radicale trasformazione avvenuta negl'impianti motori di varî stabilimenti, il consumo d'energia idraulica è ancora considerevole, mentre risulta che la forza motrice termica (a vapore), per quanto esistano, in complesso, impianti non trascurabili, viene solamente adoperata in caso di forza maggiore (siccità) e negli opifici che, dato il carattere della lavorazione, non ne possono fare a meno come le tintorie e le stamperie. Va però sempre più estendendosi l'uso dei generatori elettrici di vapore.
In base alle ultime rilevazioni statistiche, l'entità della forza motrice impiegata nell'industria cotoniera risulta di 55 mila HP idraulici, 185 mila elettrici e 46 mila termici, con un totale di 286 mila HP.
Mano d'opera. - La cifra complessiva delle maestranze occupate nei cotonifici italiani si aggira intorno alle 256.000 persone d'ambo i sessi. La filatura, comprese la ritorcitura, la filatura di cascami e le fabbriche di cucirini, conta 3500 capi operai e 100.000 operai; la tessitura rispettivamente 2000 e 121.000; le lavorazioni successive 400 e 29.000 con un totale rispettivamente di 5900 e 250.000.
In via approssimativa si può stabilire che dei 250.000 operai il 25% è rappresentato dagli uomini, il 68% dalle donne e il 7% dai fanciulli d'ambo i sessi con meno di 15 anni. Nella filatura e nella tessitura circa l'80% della maestranza è femminile; nelle lavorazioni successive avviene il contrario. Il Piemonte assorbe il 25% della maestranza totale, la Liguria il 2,4%, la Lombardia il 57%, il Veneto l'8%, l'Italia centrale il 4,1%, l'Italia meridionale il 3,5%.
Il personale impiegatizio dei cotonifici (direttori, contabili, scrivani, ecc.) e delle sedi commerciali (procuratori, segretarî, scrivani, ecc.), supera certamente le 15.000 persone.
I salarî, esclusi gli stipendî agl'impiegati, si aggirano intorno al miliardo annuo di lire.
Capitali investiti. - Le società per azioni esercitanti l'industria cotoniera nel 1930 erano 300 con un capitale azionario sul miliardo e mezzo di lire rappresentante il 30% di quello investito in Italia nelle industrie tessili propriamente dette. Il macchinario posseduto da queste società costituisce circa il 60% dei fusi di filatura, e il 50% dei telai meccanici e a mano, oltre a un buon numero di macchine di rifinitura.
Materie prime e prodotti lavorati. - Lo sviluppo dell'industria cotoniera italiana, oltre che dalle cifre statistiche riflettenti gl'impianti, è rappresentato in via assoluta anche dai dati dell'importazione della materia prima e dell'importazione ed esportazione di manufatti.
La massima parte del cotone sodo importato è destinata alle filature, una piccola parte è assorbita da altri usi industriali o riesportata. L'importazione si è andata orientando verso qualità di cotoni destinate alla fabbricazione di filati e tessuti fini.
L'entità, in peso, del filato annualmente prodotto in Italia si può desumere da quella stessa delle importazioni della materia prima e poiché, per gli anni sin qui seguiti, si calcola in media al 13% il calo per la trasformazione del cotone sodo in filato, l'87% del sodo importato può rappresentare, con buona approssimazione, il filato prodotto.
Ecco i dati della produzione teorica e denunciata di filati, avvertendo che la prima è stata calcolata con interpolazioni così da eliminare per quanto possibile l'influenza di particolari condizioni di mercato:
Il filato prodotto dall'industria italiana va sempre più raffinandosi, e ciò può arguirsi dal titolo medio salito dal n. 19.783 nel 1910 al n. 24.064 nel 1929.
Il nucleo principale della produzione è costituito dai filati greggi, semplici e ritorti, assorbiti specialmente dalle tessiture. Vi è poi la produzione dei filati tinti e imbianchiti, quella dei filati per uso dei calzifici, maglifici, ricamifici e nastrifici, quella dei filati cucirini, greggi, candeggiati e tinti, lucidati, mercerizzati, confezionati su tubetti, rocche incrociate, cartonami e anche in gomitoli e matassine.
Qui appresso si riportano alcuni dati sulla destinazione del filato:
La tessitura assorbe circa il 70%, in peso, del filato prodotto e la sua produzione, per le esigenze che deve soddisfare, è delle più varie e complesse. In base ai risultati del 1928 e 1929, la produzione italiana complessiva della tessitura di cotone (esclusi i nastri, i galloni e i passamani) si poteva fondatamente stimare di un miliardo circa di metri e di 150 milioni di kg. in peso. Complessivamente si ha, inoltre, un consumo di circa 5 milioni di kg. di seta artificiale e 800 mila kg. di altre fibre tessili (seta naturale, lino, canapa, lana, ecc.). Nella tabella che segue sono esposti i dati globali di produzione risultanti dalle statistiche tenute dall'Associazione cotoniera sulle denunce dei tessitori con più di 30 telai:
Il peso medio dei tessuti per metro corrente fu di 146 gr. nel 1921 e attraverso a varie oscillazioni salì a 147 gr. nel 1929.
La produzione italiana di tessuti di cotone reca un contributo veramente notevole al complesso della produzione mondiale, e mentre soddisfa in larga misura al fabbisogno interno, è in grado di partecipare con un'alta percentuale al commercio estero. Una buona parte delle tessiture può fabbricare fino a 100 tipi differenti di tessuti, e la produzione viene così a comprendere una vastissima gamma di specie e di colori: stoffe per vestiti e confezioni diverse, tele vichy, caroline, casline, crétonnes, velluti, satins, tessuti da parati, biancheria da letto, fazzoletti, madapolams, piqués, percalli, ecc. Fra le varietà di stoffe si notano specialmente: zephirs, oxfords, diagonali, cachemires, tessuti fantasia a colori, tessuti operati. Vi è poi l'industria dei velluti, oggi in pieno sviluppo, che dà una produzione di circa 20 mila m. al giorno di velluti cord, pari a q. 12-14 mila all'anno, e m. 8-10 mila al giorno di velvet e felpe, pari a q. 10-12 mila all'anno, con un totale quindi, di ben 25 mila quintali, del valore di circa 150 milioni di lire.
Per la massima parte, le tessiture italiane non si limitano a tessere soltanto il greggio, ma si servono anche di stabilimenti speciali o posseggono proprî reparti di candeggio, tintoria, stampa e finitura, in modo da presentare direttamente sul mercato il prodotto finito.
Ad accrescere il pregio e la varietà dei prodotti italiani è entrata a far parte della lavorazione dei tessuti, specie in questi ultimi anni, la seta artificiale. La produzione di essa ha avuto un grande sviluppo in Italia e i cotonieri non hanno tardato ad usarla, commista al cotone, nella fabbricazione, ottenendo il massimo successo specie nelle stoffe per donna, nei fazzoletti da testa, negli scialli, nelle stoffe da parati e nelle maglierie. Nelle sole tessiture di cotone si può calcolare che il consumo di seta artificiale raggiunga i 5 milioni di kg. all'anno, mentre altri ingenti quantitativi sono assorbiti nella fabbricazione delle maglie e delle calze. I tessuti misti con seta artificiale sono molto apprezzati all'estero e particolarmente sui mercati orientali. Il consumo di questa fibra in confronto alle altre può rilevarsi dalla tabella che segue.
Commercio dei manufatti di cotone. - Preso come base il quantitativo annuo di cotone sodo importato, ridotto a filato, sommato ad esso il peso dei filati e tessuti importati, sottratto quello dei filati e tessuti esportati può calcolarsi l'entità teorica in peso di filati e tessuti assorbiti ogni anno dal mercato italiano.
Riferendo i suddetti dati al numero degli abitanti la media del consumo individuale di manufatti del decennio 1904-1913 risulta di kg. 3,723 e quella del decennio 1920-1929 di kg. 2,869. Si rileva che la capacità d'assorbimento del mercato interno nel dopo guerra è diminuita, diminuzione non in tutto imputabile al minor consumo ma ad un miglioramento della produzione come qualità; soltanto in questi ultimi anni tende ad aumentare: il consumo per abitante è passato infatti da kg. 3,583 nel 1926 a 2,703 nel 1927, a 3,001 nel 1928, a 3,140 nel 1929.
Nel commercio interno i manufatti si dividono in due categorie: manufatti che escono dalla fabbrica già pronti per il consumo diretto, e manufatti che sono, invece, destinati ad ulteriori trasformazioni industriali. Fanno parte della prima categoria i filati cucirini e un'esigua porzione di filati usuali destinati agli usi domestici (come per calze a mano, ecc.); una piccola parte di tessuti greggi pure per usi familiari (lenzuola, biancheria, ecc.) e tutti i tessuti finiti, fatti con fili colorati o mercerizzati. Appartengono alla seconda categoria la massima parte dei filati che devono soddisfare le richieste delle tessiture, nonché la massima parte dei tessuti greggi, destinati a ulteriori lavorazioni.
In generale l'industriale vende la merce a grossisti che, a loro volta, la distribuiscono ai dettaglianti delle varie zone. Il passaggio diretto della merce dal produttore al venditore al minuto si verifica assai raramente. ma si è andato sviluppando, specie in questi ultimi tempi, attraverso l'organizzazione dei grandi magazzini di vendita nelle città più importanti.
L'industria cotoniera italiana è oggi industria eminentemente esportatrice; circa la metà della sua produzione viene esportata e questa esportazione, per un totale di circa due miliardi di lire all'anno, costituisce circa un settimo del valore dell'esportazione complessiva dell'Italia. La bilancia commerciale con l'estero per i manufatti di cotone dal 1900 in poi è sempre stata attiva, con una crescente eccedenza di esportazioni:
L'esportazione, iniziata dapprima da alcuni pochi fabbricanti che in periodi di sovraproduzione tentarono il collocamento all'estero della merce rimasta invenduta, fu continuata con sempre più alacri iniziative sotto la spinta della necessità di mantenere l'industria fiorente mediante nuovi sbocchi ai prodotti. Notevolissimo è l'incremento raggiunto in questi ultimi tempi, nonostante le crescenti difficoltà che si frappongono alla penetrazione in nuovi mercati e al mantenimento dei vecchi. Oggi l'industria cotoniera italiana fornisce regolarmente una trentina di paesi europei, una decina di africani, una dozzina di sudamericani e anche una dozzina di paesi asiatici; in complesso, si può calcolare che, solo fuori d'Italia, venti o venticinque milioni d'individui si vestano annualmente di cotonate italiane.
Al commercio estero dei manufatti cotonieri hanno contribuito diversamente i filati e i tessuti, come dimostrano i seguenti prospetti:
I filati che oggi s'importano in misura ancora notevole sono quelli greggi, semplici e ritorti, e alcune qualità di cucirini. I tipi di tessuti che predominano nelle importazioni variano di anno in anno. In generale, però, la quantità più ingente è data dai greggi lisci, che vengono sottoposti, in massima parte, a un'ulteriore lavorazione nelle tintorie e stamperie. Fra i tessuti imbianchiti importati figurano in maggior copia le mussoline, i cambrics (ad uso dei ricamatori) i nansooks, gli shirtings di fine qualità, e i ghinghamps, mentre i colorati consistono per lo più in satins, voiles, popelines e crêpes. Gli stampati sono generalmente dei tessuti "novità"; ad essi s'aggiungono ricami, pizzi, velluti e oggetti cuciti, come biancheria da letto e da tavola, busti da donna, maglieria lavorata e altre diverse confezioni.
Abbastanza considerevole è l'importazione dei cascami. Essa fu di q. 31.872 nel 1927, q. 49.973 nel 1928 e q. 50.553 nel 1929.
L'esportazione dei filati dall'Italia raggiunge cifre ragguardevoli specialmente nei tipi greggi, semplici e ritorti, in titoli varî con forte percentuale di titoli fini.
La grande maggioranza dei tessuti esportati è costituita da quelli a colori e tinti. Il successo all'estero di questi tipi di tessuti è dovuto alla ricerca continuata di nuovi articoli. Pure considerevole, sebbene inferiore a quella dell'anteguerra, è l'esportazione dei tessuti stampati, conosciuti e rinomati in diversi paesi per il buon gusto e la raffinatezza della loro fabbricazione. Né minore successo all'estero riportano i tessuti imbianchiti.
L'esportazione di cascami di cotone è anch'essa notevole. Nel 1927, essa fu di q. 87.348, nel 1928 di q. 86.357, nel 1929 di q. 93.464.
Per provenienze e per destinazioni il nostro commercio estero cotoniero (escluso sempre quello del cotone greggio e dei cascami) è ripartito come dai seguenti prospetti:
Come si vede, il primo posto sul mercato italiano è tenuto dall'Inghilterra, seguita dalla Francia, dalla Germania e dagli altri paesi. Per quanto riguarda la distribuzione delle nostre esportazioni si ha:
I paesi verso i quali si avviarono le prime nostre esportazioni di qualche importanza furono l'Argentina, il Brasile e la Turchia. Nel 1897 si esportavano in Argentina 11.595 quintali di filati; nel Brasile 5.029 q. e in Turchia 11.503 q. Nello stesso anno si esportavano nel Sud America q. 34.996 e in Turchia q. 15.740 di tessuti di cotone. In seguito la nostra esportazione si sviluppò in quasi tutti i mercati del mondo, ma il sorgere di stati manufatturieri concorrenti, il perfezionarsi dell'industria tessile nelle stesse nazioni importatrici e, infine, la guerra mondiale, hanno determinato cambiamenti di destinazione per i manufatti italiani, come per quelli di paesi più forti di noi nell'esportazione, quale l'Inghilterra. La massima parte dei manufatti italiani di cotone è attualmente venduta in Europa, e in ordine decrescente, in America, in Africa, in Asia e in Australia.
Il valore dei manufatti di cotone esportati rappresenta il 30 per cento circa del valore totale delle esportazioni di manufatti tessili. Ma, ove si tenga conto che il prezzo unitario del cotone è sensibilmente inferiore a quello della seta, della lana e del lino, risulta evidente che l'industria cotoniera, come massa esportatrice, ha la maggiore importanza fra le industrie tessili italiane.
L'organizzazione cotoniera italiana. - Gli enti che in Italia assistono l'industria cotoniera sia nella sua attività economica, sia in quella tecnica e sindacale sono la Federazione sindacale fascista dell'industria cotoniera italiana e l'Associazione italiana fascista degl'industriali cotonieri.
La prima, riconosciuta con decr. 3 aprile 1927, n. 538, è emanazione diretta dell'ordinamento corporativo vigente in Italia: ha quindi i compiti proprî delle federazioni di categoria. La seconda fu creata invece all'epoca in cui l'industria cominciava a dominare quasi completamente il mercato interno e ad acquistare importanza internazionale, precisamente nel 1893. La prima ragione sociale fu quella di "Associazione fra gli industriali cotonieri e Borsa cotoni", modificata nel giugno 1910 in "Associazione cotoniera italiana". Nel 1927, l'Associazione assunse l'attuale nome.
In relazione agli scopi per cui è costituita, l'associazione studia, patrocina ed attua tutto quanto può riuscire di utilità e d'interesse per le industrie del cotone, nel campo commerciale e tecnico e in quello morale e nazionale dei soci; agisce infine in pieno accordo con gli enti e le istituzioni affini per un migliore conseguimento degli scopi comuni.
Per il conseguimento di questi scopi l'associazione assume, nell'ambito della sua competenza, la rappresentanza dell'industria cotoniera italiana nei rapporti coi pubblici poteri, nelle relazioni internazionali, con le federazioni e associazioni cotoniere degli altri paesi; ha facoltà di costituire tutti i servizî e uffici inerenti alle finalità di sua competenza; ha inoltre facoltà di promuovere, col consenso dei soci, accordi fra le ditte aderenti e di emanare, sempre col consenso dei soci, norme da osservarsi da ciascuna delle aziende associate nell'esercizio della sua attività industriale e commerciale.
I principali servizî che l'associazione mette a disposizione dei soci sono: l'arbitraggio di Milano per cotoni sodi e la camera arbitrale, gli arbitraggi relativi alle controversie riflettenti l'industria e il commercio dei filati e dei tessuti di cotone, il collegio dei probiviri, l'ufficio dei marchi e delle etichette, l'ufficio di statistica, l'ufficio per la tutela dei crediti e le informazioni commerciali, l'ufficio tecnico economico, l'ufficio delle pratiche amministrative presso le autorità centrali e l'ufficio studî e consulenza in materia fiscale.
Oltre questi due maggiori enti, si hanno ancora il Sindacato italiano dei filatori di cotone, il Consorzio tra filatori di cotone per la denuncia delle vendite di filati entro il regno, l'Istituto cotoniero italiano.
Bibl.: Associazione italiana fascista degli industriali cotonieri, Annuario dell'industria cotoniera italiana, Milano; Confederazione generale fascista dell'industria italiana, L'industria italiana, Roma 1929; G. Mortara, Prospettive economiche, Milano 1921 segg.
V. tavv. a colori.