COVATA (fr. couvade; sp. covada; ted. Männerkindbett; ingl. couvade)
È la curiosa costumanza per cui la donna, immediatamente dopo lo sgravo lascia il letto al marito, il quale, prendendo la cura del neonato e, talvolta, simulando le doglie del parto, riceve le felicitazioni degli amici e dei vicini. Era praticata nell'epoca antica, dai Celtiberi (Strab., III, 165), dai Corsi (Diod., V, 15) e dai Tibareni del Ponto (Apoll. Rod., II, 1, 11) e sembra si fosse conservata sino a tempi recenti (Bowmann) nel paese basco e nel Béarn. Oggi il costume si trova sporadicamente sopra una vasta area dell'Africa (Congo), dell'Asia (Khond del Bengala, Miri dell'Assam, Miao-tze della Cina), dell'Indonesia (Mentawei, Daiaki di Borneo, Buru, Timor-Laut, Filippine), dell'Oceania (Melanesia) e dell'America (Eschimesi, Indiani della California, varie tribù di Caribi, Zaparo, Carajá, gli estinti Abiponi).
Nonostante la larga diffusione, la costumanza non presenta uniformità di caratteri, anzi mostra da un luogo a un altro differenze notevoli nella forma e nel contenuto. Difatti, alcuni studiosi, dall'aver rilevato che la puerpera talora continua a rimanere nel proprio giaciglio, e che talaltra lo lascia per accudire alle faccende domestiche, hanno pensato a due tipi di covate, uno consistente nello sgravo simulato dell'uomo e l'altro nel regime dietetico che egli s'impone e nelle cure che appresta al neonato. Donde il concetto del "puerperio dell'uomo" o "maritale), che è servito di titolo per raggruppare una serie di pratiche di scarsa attinenza con la covata vera e propria, e che ha dato origine a ipotesi numerose, in parte prive di fondamento.
Non sono pochi gli etnologi che hanno creduto di vedere nella covata, specialmente in quella tipica della prima forma, un espediente inteso a trattenere il padre del fanciullo presso la donna, in un'epoca in cui i vincoli famigliari sono incerti e non ancora sanzionati. Il Bachofen pone la covata in quella categoria di riti che accennano all'adozione o la configurano muovendo dal principio che, in quella forma della primitiva evoluzione sociale, contrassegnata dal governo muliebre (matriarcato), il riconoscimento della parentela paterna si esegue imitando artificialmente lo svolgersi naturale della parentela materna. D'onde lo sgravo simulato o simbolico del padre, tendente a mettere in evidenza la parte che spetta al maschio nella creazione della prole.
Con le nuove ricerche etnografiche, l'istituzione si presenta in miglior luce. E già il Tylor mise avanti l'idea che la covata costituisca un rito di natura magico-simpatica a fondamento della parentela tra il genitore e i figli, aprendo così la via al Frazer che, facendo rientrare la costumanza in una più larga categoria di fatti, distingue la covata pre-natalizia da quella post-natalizia. La prima comporta soltanto restrizioni nella vita alimentare e in quella di relazione del padre, prima che la creatura sia nata ("covata dietetica"); la seconda comporta la simulazione del parto ("covata pseudo-materna"). La teoria del Bachofen cede, così, alla nuova interpretazione, che mette in rilievo soprattutto l'elemento magico, per il quale la covata non ha tanto lo scopo del riconoscimento o della legittimazione del figlio, quando di liberare la puerpera dal male, trasferendolo nel marito. Il Lévy-Bruhl, partendo dal concetto della comunione d'essenza e dalla partecipazione mistica fra i genitori e il figlio, secondo la mentalità prelogica primitiva, propende a vedere nella covata un insieme di tabu e di precauzioni, che s'impongono al padre o alla madre, o a tutti e due, dal giorno della gravidanza fino a quello della nascita del bambino, e anche oltre la nascita. Recentemente R. Corso, partendo dall'esame comparativo d'una forma arcaica esistente nel Marocco, ha distinto due tipi di covata: paterna e materna, facendo vedere che la prima (covata impropria) altro non è che l'imitazione dell'altra (covata propria).
Bibl.: Friedrichs, Das männliche Wochenbett, in Ausland, 1890, nn. 41-43, 45; Kunike, Das sogenannte Männerkindbett, in Zeitschr. für Ethnologie, XLIII (1911); J. G. Frazer, Totemism and Exogamy, IV, Londra 1910; Roth, Signification of couvade, in Journal of the anthrop. Institute, XXII (1893); Schuller, A couvade, Parö 1910; Casas, La covada y el origen del totemismo, Toledo 1924; L. Lévy-Bruhl, Les fonctions mentales dans les sociétés inférieures, Parigi 1910; J. Bowman, La couvade, in Rev. anthr., XXXV, Parigi 1925; R. Corso, Sopra una forma arcaica di adozione nel Marocco, in Ann. del. R. Ist. orient., I (1928-29), Napoli 1929, pp. 34-40; W. R. Dawson, The custom of couvade, Manchester 1929. V. anche, per alcune sopravvivenze in Europa: R. Corso, I nèi materni, nel vol. Reviviscenze, s. 1ª, Catania 1927.