CRATINO (Κρατῖνος, Cratīnus)
Creatore della commedia satirica politica in Atene. Conosciamo con qualche sicurezza la data della sua morte, 423-421; e da un luogo di Luciano apprendiamo che morì assai vecchio. Potremo quindi fissare la sua nascita intorno al 500. Di lui non è rimasta alcuna commedia completa; ma i frammenti che possediamo (di 24 commedie) confermano le lodi unanimi degli antichi, i quali salutavano in lui il più spontaneo, il più geniale e ispirato dei poeti comici. Una metà di queste commedie svolgeva soggetti mitici: tale il Dionisalessandro, che intrecciava buffamente le gesta del dio a quelle di Paride troiano; tale anche l'Ulisse, di cui possiamo alla meglio riordire la tela, sulla traccia dei frammenti e aiutandoci col Ciclope di Euripide, che per molti particolari accenna a una larga derivazione dalla commedia di Cratino.
Ma la più famosa commedia di C. fu La Damigiana (Πυτίνη); e, grazie a uno scritto di Luciano, ne conosciamo abbastanza bene il contenuto e la storia. C. era più che ardente cultore di Bacco; e gli altri commediografi lo canzonavano, affermando che i suoi ultimi lavori d'altro non sapevano se non di mosto. Punto sul vivo, il canuto artista scrisse La Damigiana, e con essa trionfò nella gara sui suoi competitori, uno dei quali era pure Aristofane. Eccone l'argomento.
Commedia, sposa legittima di Cratino, sdegnata che il poeta la trascuri per una donnetta di nessun conto, Damigiana, pensa al divorzio, ed espone le sue ragioni ad alcuni amici comuni. Uno di essi prende le difese dell'assente: si sa, per un artista ci vuole anche qualche po' di svago; ma troverà sempre tempo per curare la sposa legittima. Ma Commedia risponde che ormai per lei è proprio come fosse vedova. Gli amici rampognano acerbamente il vecchio: per quel maledetto bere (usciamo di metafora) egli non è più il poeta di una volta. Ma Cratino risponde, con un verso divenuto famoso, che "chi beve acqua non farà mai nulla di buono". E, dubitando ancora gli amici, si abbandona all'estro; e così impetuosi gli sgorgano i versi dalle labbra, che gli amici rimangono entusiasti e sbalorditi, e, certo, confutati e convinti.
La scarsità del materiale ci impedisce di formulare esatte conclusioni sull'arte di C.: qualche punto, però, sembra che si possa fissarlo. La beffa aggressiva (σκῶμμα), che è tanta parte della commedia antica, e che in Aristofane, per lo più, si riveste d'immagini e di simboli ingegnosi, in C. appare diretta, nuda, rozza, indica senza veli metaforici la persona presa di mira, la colpa che le si imputa, il biasimo che le si infligge; fa pensare all'aceto italico più che non al sale attico. Ma l'acre bile non ottunde in lui né il fine sentimento della bellezza, né la facoltà e la passione di esprimere con immagini colorite, con musiche parole. Perfino si compiace di minute descrizioni floreali, accarezzate, di sapore quasi romantico. E palese è la predilezione per gli spunti lirici suscettibili di sviluppi coloriti e musicali, e per leggende popolari, tanto trascurate al suo tempo dalla grande letteratura: quella, per esempio, del paese di Bengodi, a cui era dedicata tutta una sua commedia, Le ricchezze (Πλοῦτοι).
Da queste due note, che sicuramente si raccolgono nei frammenti, si rileva che la sua arte, come quella di Aristofane, dové trovare uno dei tratti caratteristici nel continuo agevole trapasso dalla bassa scurrilità all'aereo lirismo.
I frammenti in Meineke, Fragmenta poetarum comoediae antiquae, Berlino 1839 e Historia critica comicorum graecorum; Kock, Comicorun. atticorum fragmenta, Lipsia 1880. Il frammento del Dionisalessandro fu pubblicato negli Oxyrhynchus Papyri, IV, p. 61 segg.
Bibl.: E. Romagnoli, Le commedie d'Aristofane tradotte, Bologna, p. lvi seg.; A. Körte, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XI, col. 1647 segg.