Creative Commons
Chiunque abbia accesso a Internet può pubblicare con grande facilità e spesso gratuitamente testi, audio, immagini, video, software, dati, ovvero qualunque entità suscettibile di essere rappresentata in formato digitale.
Tali pubblicazioni sono potenzialmente consultabili da qualunque altra persona al mondo dotata di connessione a Internet.
Le modalità di pubblicazione sono molteplici e in costante evoluzione, tra cui: siti web personali, blog, reti peer-to-peer (come BitTorrent), social network (come Facebook o Google+), spazi per i commenti, piattaforme di distribuzione video (come YouTube o Vimeo) o di aggregazione di fotografie (come Flickr), Apple iTunes e ‘apps’ per piattaforme mobili (come Apple o Android). È anche agevole contribuire a opere collaborative come l’enciclopedia on-line Wikipedia.
Il tipico utente di Internet sfrutta entusiasticamente tali possibilità di pubblicazione: tra il 2000 e il 2006 ripetuti sondaggi – tra cui quelli di Pew Research – avevano stimato che tra il 40 e il 60% degli utenti Internet pubblicava on-line.
Col successo delle reti sociali, che hanno ulteriormente facilitato la pubblicazione di testi, foto e video, e con la diffusione dei dispositivi mobili connessi alla rete, che aumentano le opportunità, la percentuale di coloro che pubblicano opere on-line sfiora ormai il 100%.
Di conseguenza, se accettiamo che ‘autore’ significhi chiunque renda pubbliche opere dell’ingegno, indipendentemente dalla loro lunghezza o complessità, non è inesatto dire che – almeno per coloro che non sono in condizioni di ‘divario digitale’ – i due concetti di ‘persona’ e di ‘autore’ si sono ormai sovrapposti.
Nel 2000, con questa evoluzione in vista, un gruppo di persone negli Stati Uniti d’America si pose il problema dello stato giuridico dell’enorme quantitativo di opere pubblicate on-line. In quasi tutto il mondo, infatti, le opere dell’ingegno che superino un livello di originalità minimo sono tutelate da uno strumento giuridico noto come diritto d’autore. Tale diritto, oltre a riconoscere all’autore dei diritti morali, concede allo stesso un monopolio temporaneo sugli usi dell’opera, monopolio tramite il quale l’autore potrà cercare di ottenere un ritorno economico per la sua attività. In altre parole, la collettività rinuncia ad alcuni diritti relativi all’accesso alla conoscenza in cambio – almeno, questa è la speranza alla base dell’intero sistema – di una maggiore produzione di opere grazie all’incentivo del monopolio temporaneo. Una specificità del diritto d’autore è che, a differenza dei brevetti o dei marchi, la sua tutela scatta automaticamente, ovvero, senza che sia necessario adempiere alcuna formalità, come la registrazione presso un ufficio o l’apposizione di particolari segni sull’opera. La conseguenza di questa scelta è che tutte le opere protette dal diritto d’autore, in assenza di altre indicazioni, sono automaticamente tutelate secondo quanto previsto dalla legge sul diritto d’autore, ovvero con la massima tutela possibile. Tutela che, dopo decenni di progressivi inasprimenti, è in questo momento molto ampia (sono vietati quasi tutti gli usi possibili di un’opera) e molto estesa nel tempo (fino a 70 anni dopo la morte dell’autore). Tutto ciò che viene pubblicato su Internet – anche solo uno scritto su un blog o un breve video su una rete sociale – ricade quindi sotto la tutela automatica del diritto d’autore, la stessa che protegge l’ultimo film di Hollywood o un best seller di una grande casa editrice. Tale tutela estrema, pensata in un’epoca di supporti fisici, quando era relativamente limitato il numero degli autori e ancor più quello degli editori, è oggi spesso in contrasto con gli interessi o i desideri dei nuovi autori che si affacciano al web. Autori spesso non interessati a usufruire dei diritti concessi in automatico dalla legge sul diritto d’autore. Tra le categorie potenzialmente interessate a rinunciare ad almeno alcuni di tali diritti rientrano, per esempio, appassionati desiderosi di facilitare la diffusione dei propri testi (per esempio, blogger), enti pubblici interessati a pubblicizzare al meglio le proprie pubblicazioni, artisti che aspirano a farsi conoscere grazie a una più libera circolazione delle proprie opere. In attesa di un ripensamento radicale del diritto d’autore, ormai riconosciuto come necessario da un numero crescente di giuristi, politici e istituzioni (come l’Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale, il governo britannico e la Commissione Europea), cosa è possibile fare per evitare che tutti i contenuti del web siano automaticamente protetti in maniera molto restrittiva? La risposta è semplice: occorre indicare esplicitamente che l’autore dell’opera rinuncia ad almeno alcuni dei diritti concessi dalla legge, secondo il motto ‘alcuni diritti riservati’ invece del tradizionale ‘tutti i diritti riservati’. Così, nel 2000, il gruppo di persone sopra menzionato, sotto la guida del giurista Lawrence Lessig, all’epoca professore presso l’Università di Stanford, fondò a San Francisco un’associazione no-profit, Creative Commons, con l’obiettivo di redigere e rendere disponibile a chiunque, gratuitamente, un insieme di licenze di diritto d’autore ispirate al modello ‘alcuni diritti riservati’.
Le prime licenze furono lanciate il 16 dicembre 2002. Oggi le licenze, giunte alla versione 3.0, sono sei, e dichiarano l’intenzione dell’autore di rinunciare in maniera perpetua a molti dei diritti previsti dalla legge sul diritto d’autore. Le licenze Creative Commons, originariamente in lingua inglese, sono poi state tradotte e adattate alle giurisdizioni di oltre 50 Stati nazionali da team di volontari, al fine di renderle sia più accessibili sia più solide in caso di controversia legale. Per l’Italia la traduzione e l’adattamento sono stati curati dal Centro NEXA su Internet & Società del Politecnico di Torino. Per pubblicare un’opera con licenza Creative Commons è sufficiente identificare la licenza più adatta ai propri scopi e poi indicare sulla pagina web, sulla copertina del libro o del cd, nei titoli di coda del video, ecc., che l’opera è rilasciata con la licenza Creative Commons prescelta, indicando anche la URL corrispondente, in modo che l’utente possa reperire sia una descrizione in linguaggio accessibile delle condizioni di licenza sia il testo completo della licenza stessa.
In questo momento si stima che siano disponibili on-line centinaia di milioni di opere digitali rilasciate con licenza Creative Commons.
Tra queste spiccano i milioni di pagine dell’enciclopedia on-line Wikipedia, i 150 milioni di fotografie su Flickr.com, tutti i contenuti didattici del MIT (progetto OpenCourseWare) e il sito della Casa Bianca. Di recente YouTube ha introdotto la possibilità di marchiare con licenza Creative Commons i propri video. In Italia le licenze Creative Commons sono usate, oltre che da innumerevoli blog, da siti di associazioni e altro ancora, anche da testate giornalistiche importanti, come La Stampa di Torino (inserti settimanali sui libri e sulla scienza, archivio storico, ecc.), e dal sito della Polizia di Stato.
Le licenze
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(dalla più generosa alla più restrittiva)
‘Diritti’ sul diritto d’autore
Attribuzione: tutte le licenze prevedono che chi usa, diffonde, copia, ecc. l’opera riconosca l’autore originario. Questo in Italia e in molti altri paesi è un diritto morale inalienabile, ma la licenza lo ricorda lo stesso a tutti.
Non commerciale: l’autore può vietare gli usi prevalentemente commerciali, in genere perché vuole riservarli per sé.
Non opere derivate: l’autore può vietare l’effettuazione di opere derivate, come traduzioni o adattamenti.
Condividi allo stesso modo: nel caso in cui le opere derivate siano consentite, l’autore impone che tali opere vengano rilasciate con la stessa licenza dell’opera originaria, un concetto molto vicino a quello di ‘copyleft’, ben noto in ambito software.