Creatività
Si designa come creatività quella capacità della mente che si traduce nella produzione di innovazioni nei processi di conoscenza e di dominio del mondo oggettuale. Affinché un'innovazione venga designata come creativa, o venga attribuita a creatività, occorre che sia consensualmente apprezzata come un salto di qualità rispetto allo stato precedente del sapere e/o della tecnica. Creativi sono dunque in pratica, e più concretamente, tutti i processi intellettuali che comportano l'introduzione di nuove concezioni e soluzioni: queste possono consistere, nei casi più tipici e marcati, in rivoluzionari punti di vista filosofici e scientifici, o nell'invenzione di nuovi apparati tecnici atti a raggiungere risultati desiderati.
Il tema riguarda sia il campo del pensiero puro e dell'arte, sia quello della tecnologia e della scienza. Mentre nell'accezione comune e negli stereotipi correnti l'individuo tipicamente creativo è l'artista, negli studi psicologici si è preferito focalizzare l'attenzione sulla creatività tecnica e scientifica, e in particolare su quelle proposte che costituiscono mutamenti fecondi nel modo di considerare i problemi, tanto da permettere di riconsiderare interi settori del sapere, o di rispondere a importanti obiettivi teorici o pratici. Se nel linguaggio quotidiano il concetto di creatività è legato al significato corrente del verbo creare, e quindi all'idea di una produzione di qualcosa che non esisteva, da un punto di vista psicologico ciò che interessa maggiormente è la verifica dell'ipotesi secondo la quale i processi di conoscenza della natura e di dominio manipolativo del mondo oggettuale non avanzano tanto per accumulazione di dati successivi, quanto più spesso per improvvisi mutamenti di prospettive e di punti di vista.
Contributi significativi a questa concezione dell'evoluzione delle conoscenze, cioè 'per salti', o per contributi innovativi, sono venuti sia dalla psicologia che dall'epistemologia. In campo psicologico gli studiosi della Gestalt dimostrarono che alcuni fra i più comuni processi di apprendimento, in particolare nel campo della soluzione di problemi, avvengono precisamente per una ristrutturazione brusca del campo cognitivo globale. W. Köhler (v., 1917), in particolare, dimostrò questo fatto sugli scimpanzé, parlando di Einsicht. In campo epistemologico i notissimi studi di T. Kuhn, nel riferirsi fra l'altro alla scuola della Gestalt, dimostrarono come i progressi delle prospettive scientifiche siano spesso legati a mutamenti repentini di 'paradigmi' rispetto a sistematizzazioni inveterate tipiche di una scienza istituzionalmente 'normale', cioè non più adeguata alle nuove acquisizioni di dati.
Occorre però sottolineare che questi contributi metodologici, se da un lato mettono in luce una delle matrici principali della creatività sul piano più strettamente razionale e cognitivo, peraltro non risolvono il quesito che essa pone circa la propria essenza. Infatti il problem solving più 'produttivo' e financo più innovativo, inteso in generale, si rivela essere qualcosa di settoriale e al tempo stesso di ordinario, che fa parte dei processi quotidiani della conoscenza umana, e non vale certamente a spiegare quella complessità 'straordinaria' di impegno - impegno quindi globalmente personale, e affettivo non meno che cognitivo - che caratterizza l'atto più propriamente creativo. Anche la concezione kuhniana della "struttura delle rivoluzioni scientifiche" riguarda processi psicologico-culturali non necessariamente legati a sforzi ed eventi specifici di creatività. Ciò non toglie che la creatività propriamente detta sia verosimilmente da considerare come un'accentuazione e accelerazione particolare dei processi innovativi più ordinari di conoscenza: e questo, sia nel problem solving sia nella innovazione degli orientamenti metodologici.
È vero che i 'salti' più creativi della conoscenza scientifica e della tecnologia sono oggi dovuti, assai più che un tempo, a un lavoro collettivo, e cioè implicano sia collaborazioni quotidiane dirette fra scienziati e tecnici di uno stesso istituto, sia collegamenti ed emulazioni fra enti e laboratori distanti fra loro. Tuttavia è possibile osservare che lo sviluppo delle scienze e delle tecniche risponde di fatto ancora largamente, e forse non meno che nei decenni e nei secoli precedenti, all'inventività e genialità dei singoli. L'immagine romanticizzata dell'uomo di genio che emerge dalla massa è oggi tendenzialmente scomparsa, sia in rapporto all'enorme allargamento della base di coloro ai quali sono richiesti sforzi e contributi creativi, sia in funzione dell'inserimento dello scienziato o del ricercatore in tessuti istituzionali complessi: ma questa evoluzione non invalida la constatazione che taluni individui dimostrano capacità superiori, e talora eccezionali, nella soluzione di problemi e nella proposta di nuovi punti di vista. Tuttora accade molto comunemente che pochi soggetti forniscano, anche all'interno di situazioni di lavoro di gruppo, specifici contributi personali di grande portata: il carattere collettivo della ricerca non ne oscura infatti - in genere - il chiaro e inequivocabile spicco come individui singoli. L'immagine generale della creatività è dunque indissolubile da un apprezzamento differenziale che riguarda talune capacità degli esseri umani: essa è inscindibile dall'idea tradizionale, peraltro pienamente fondata, che non tutti siano ugualmente creativi e che esista una minoranza di soggetti più creativi degli altri. I soggetti così designati non soltanto sono capaci di singole concezioni o invenzioni originali, ma dimostrano anche in genere un notevole grado di fecondità o molteplicità di idee. L'idea stessa corrente della creatività, oltre a possedere quindi un evidente contenuto qualitativo (identificabile con il grado di innovatività o di originalità), ne ha anche uno quantitativo, in quanto implica l'immagine di una ricca produttività propositiva.
Il problema psicologico della creatività consiste quindi, se visto nel suo aspetto centrale e più tipico, nel cercare di capire quali sono le condizioni psicologiche operanti in un individuo (o talora, eventualmente, all'interno di un piccolo gruppo) che causano, o che favoriscono, i singoli eventi creativi, visti quindi come mutamenti o salti cognitivi, in tutti i casi in cui essi sono abbastanza spiccati da costituire una rottura rispetto alle concezioni precedenti e da avere significative e positive conseguenze sociali.
Il tema della creatività, per quanto non centrale nello studio del comportamento e dei meccanismi di conoscenza dell'uomo, gode di una propria caratterizzazione e di una discreta autonomia nell'ambito delle ricerche psicologiche moderne: esiste una identificabile tradizione di studi su questo argomento, e quindi anche un riconoscibile 'problema della creatività', non solo in psicologia ma anche in psicopedagogia. Tuttavia questo ambito di ricerca copre un insieme disparato di interrogativi, i quali hanno per oggetto pertinente non già una specifica, ben definita - ed eventualmente del tutto ipotetica - caratteristica autonoma della mente, ma piuttosto un insieme di capacità e di specificità. Analogamente a quanto accade per il concetto di intelligenza e quindi per il problema della sua valutazione (e si può peraltro ricordare subito qui, di sfuggita, che la creatività è certamente uno dei parametri possibili - e non dei secondari - che definiscono l'intelligenza), anche nel nostro caso sembra sia in pratica impossibile non soltanto identificare un 'fattore generale' della creatività, come si è detto, ma anche semplicemente enumerare un insieme definito e omogeneo di possibili fattori e sottofattori che la compongano. Le qualità o proprietà mentali, dunque, che costituiscono ciò che raggruppiamo sotto questa etichetta, ovvero anche - in pratica - le caratteristiche psicologiche di quel soggetto ideale che definiamo come 'individuo creativo' ci si presentano non solo come molteplici e non esattamente numerabili, ma anche come eterogenee, implicando esse fattori sia cognitivi che affettivi, difficilmente ordinabili in modo soddisfacente.
Valga qualche indicazione esemplificativa generale. In primo luogo, e anche a un primo sguardo, possono essere validamente ritenuti componenti della creatività taluni aspetti molto diversi dell'attività mentale razionale come l'alto grado di intelligenza astratta e la capacità di sintesi, la tendenza a lasciar 'divergere' il pensiero e le proprie congetture secondo molteplici ramificazioni ipotetiche, la predisposizione a operare su immagini mentali, ed eventualmente anche la tendenza a fantasticare. In secondo luogo, però, non sono di importanza secondaria altri fattori della personalità meno direttamente legati all'intelligenza, come la motivazione all'esplorazione e al mutamento, l'ostinazione e la concentrazione degli interessi, la fiducia nelle proprie capacità, l'alta soglia di tolleranza alle frustrazioni, il solido equilibrio emotivo.
Sulla base di queste considerazioni si può comprendere come il tema - e il problema - della creatività sia oggi per un verso del tutto attuale, eppure al tempo stesso meno definito, meno dotato di senso e di pregnanza, se non addirittura concettualmente invecchiato, qualora venga paragonato a come veniva concepito agli albori della psicologia scientifica. Da un lato, infatti, vedremo subito come il tema abbia ai nostri tempi una sua particolare attualità sociale e politica. Da un altro lato non vi è dubbio che l'idea stessa della creatività avesse una sua autonoma seduzione, e quindi una riconoscibilità ben maggiore, in un'epoca in cui la ricerca psicologica, ancora agli albori e meno legata a procedure empiriche, volentieri inclinava a teorizzare spinte vitalistiche primarie (quale la volontà, oggi concetto scientificamente obsoleto) amando quindi far leva su concezioni spiritualistiche che assegnavano alla mente umana una sua essenziale e qualificante produttività, una sorta di innovatività libera e originaria che appariva, in quell'ottica, irriducibile sia alle leggi della società che a quelle della biologia.
La scomparsa di queste illusioni, insieme alla scoperta del carattere composito e non facilmente definibile - se non addirittura intrinsecamente sfuggente - del concetto di creatività, non possono che relativizzarne il senso, mettendo in luce il fatto che esso, più che designare neutralmente un oggetto della psicologia scientifica, di fatto connota un valore. In quest'ottica l'idea di creatività ci si presenta - almeno per taluni aspetti - come un costrutto sociale (v. Calvi, 1965).
L'interesse per questo tema nella cultura moderna è storicamente legato a due matrici ideologiche molto diverse fra loro. In primo luogo, il movimento romantico dette una forte importanza alla creatività in generale, legandola non soltanto alla naturalità dei sentimenti e all'intuizione poetica, ma anche al tormento interiore e perfino al disagio dello spirito, e quindi contrapponendola sia alla serenità classica, sia alla nuova razionalità pratica derivata dall'illuminismo. Questo tipo di concezione della creatività lasciò la sua impronta su gran parte della cultura europea per tutto il secolo scorso. In secondo luogo invece, e con orientamenti ben diversi, lo sviluppo della tecnica e della razionalità scientifica, facendo leva sull'idea di progresso, mise l'accento sul valore dell'intelligenza innovativa del singolo nel processo dell'invenzione e nella scoperta, sottolineando il ruolo fortemente creativo di scienziati e inventori altamente pratici e concretamente razionalisti, come ad esempio, e tipicamente, Thomas A. Edison.
La creatività venne dunque riferita per un verso all'affettività, all'intuizione e alla sfera generale dei valori poetici, in una visione sostanzialmente antirazionalistica che sopravvisse in particolare nel pensiero filosofico francese fino all'inizio di questo nostro secolo; per un altro verso fu invece collegata allo stereotipo dell'uomo di genio in campo scientifico, e concepita in rapporto alle imprese dell'intelligenza pratica e calcolante, secondo una concezione che ebbe la sua maggiore fortuna nei paesi anglosassoni. L'ipotesi di ascendenza rousseauiana e romantica, secondo cui la creatività è un dono naturale universale del bambino - dono peraltro eventualmente sottoutilizzato o represso per responsabilità della società organizzata - ebbe una notevole fortuna in campo educativo, dove informò in modo variabile, già nel secolo scorso, vari aspetti della nascente pedagogia moderna, per poi caratterizzare, nel nostro secolo, tutti i tentativi di educazione antiautoritaria.
Non mancarono peraltro i tentativi di sintesi, secondo una formula che nell'insieme ha resistito validamente alla prova del tempo: in questa prospettiva ciò che caratterizza l'atto creativo è precisamente la felice unione di fattori affettivi e di fattori razionali. La concezione 'sintetica' della creatività fu propugnata e difesa da quelli che sono ricordati come i due principali indagatori storici di questo tema: in primo luogo uno dei fondatori della psicologia scientifica moderna, Francis Galton - persona del resto fortemente originale e genialmente creativa -, e in seguito Sigmund Freud.Gli studi sulla creatività sono da sempre divisi in due grandi campi: in primo luogo quelli a contenuto essenzialmente biografico, centrati sullo studio delle persone di genio e degli intelletti più eccezionalmente produttivi; in secondo luogo quelli riguardanti le possibili condizioni psicologiche generali che preparano un successivo emergere del procedimento creativo, oppure che determinano direttamente e strutturano il processo creativo stesso. I due filoni hanno prodotto qualche convergenza, nella misura in cui lo studio delle persone di genio è sfociato in ipotesi sulle condizioni generali che favoriscono la creatività.
Fin dagli albori della psicologia scientifica, e ancor prima di essa, fu naturale speranza l'idea che lo studio della biografia e della mentalità degli uomini eccezionali rivelasse ciò che secondo un'immagine consolidata veniva designato come il segreto del loro ingegno. Da un lato l'indagine sui costumi della famiglia, sull'infanzia e sull'educazione, da un altro lato l'esame delle loro abitudini e ideologie e del modo quotidiano di lavorare e ragionare sembravano promettere la cattura di un arcano, e in sostanza la definizione di una sorta di formula procedurale, che garantisse la riproducibilità di procedimenti intellettuali di alto valore. Di qui anche la speranza, già più modesta, che lo studio dei processi creativi permettesse di ottenere qualche indicazione generale, utile per l'impostazione dei processi educativi nella scuola, e anche per l'organizzazione di qualsiasi lavoro intellettuale.
Gli studi sulle persone di genio non hanno però condotto ai risultati sperati. Coloro che hanno conquistato la fama per i loro contributi a carattere più originalmente innovativo, in particolare in campo scientifico, non presentano caratteristiche omogenee di personalità, né tratti biografici significativi in comune; inoltre, l'importanza dei contributi specifici dei singoli non trova sempre riscontro nella precocità delle doti (non mancano i casi di emergenza tardiva delle qualità intellettuali migliori) e neppure nell'eccellenza nella carriera scolastica, che anzi in taluni casi può essere addirittura mediocre, come è noto che avvenne per Charles Darwin. Una prima valutazione approssimativa dell'intelligenza di 300 uomini eminenti, eseguita da Terman (v. Cox, 1926), parve dimostrare una intelligenza non eccezionale nella maggioranza dei casi, e comunque indicò una sostanziale mancanza di correlazione fra grado di intelligenza generale e grado di genialità creativa. Altre indagini successive confermarono lo stesso tipo di discrepanza, pur correggendone talune generalizzazioni.Molti casi di innovazioni creative in personalità di spicco hanno attirato l'attenzione su singolarità specifiche, che si ritiene possano entrare in gioco, se non in tutti, almeno in molti casi. Due temi, in particolare, sembrano emergere dall'osservazione delle vicende creative dei grandi uomini: il primo è quello della selettività degli interessi, il secondo quello dell'incubazione.
Per il primo punto, non poche persone in grado di fornire contributi di significato internazionale sono stati studenti, e sono studiosi, da un lato non necessariamente eccellenti sul piano generale e talora perfino accusati di una certa inerzia (se non addirittura di scarso interesse) rispetto al tipo di ricerca e di lavoro intellettuale predominanti nel loro ambiente, eppure tendenti d'altro lato a manifestare interessi fortemente selettivi, e quindi capaci di fornire sforzi intellettuali concentrati e straordinariamente tenaci su quei temi specifici che hanno catturato la loro attenzione. Sui temi, dunque, oggetto di un'opzione strettamente personale, essi riescono a mobilitare un impegno passionale disciplinato ma intenso, spesso scarsamente palese all'esterno, e talora del tutto idiosincrasico. Qui il tema della creatività sembra legarsi a quelle particolarità di condotta che si rendono evidenti in personalità non necessariamente introverse nel senso più tipico, ma tuttavia caratterizzate da moderati tratti autistici ben compensati; si ha quindi il genere di individualismo tipico di personalità emotivamente solide ma non pienamente sintoniche con l'ambiente, e dotate di un profilo generale che tende a coincidere con lo stereotipo corrente della persona 'originale' (v., fra gli altri, Roe, 1952 e Barron, 1969).
Il secondo punto, quello dell''incubazione', riguarda la capacità, tipica di molte persone creative, di sospendere per un periodo più o meno lungo il loro sforzo esplicito di ricerca, per poi riprendere improvvisamente in mano il tema abbandonato e giungere in tempi brevissimi alla soluzione del problema. Si suppone che, almeno in molti di questi casi, ciò che entra in gioco sia un tipo di preparazione mentale, se non addirittura di elaborazione, del tutto inconscia. Gli esempi più tipici si hanno qui da parte dei matematici, ma si cita anche il caso di Rainer Maria Rilke, il quale - anche in rapporto a un periodo di depressione dell'umore - non scrisse quasi nulla per dieci anni, dal 1912 al 1922, per poi produrre nello spazio di pochissimi giorni, di getto e senza quasi correzioni, i Sonetti a Orfeo, e subito dopo completare le Elegie Duinesi. Altre volte la soluzione del problema compare in sogno: è notissimo il caso dell'anello benzenico, comparso in sogno ad August Kekulé.
Il concetto di incubazione rinvia alle ipotesi di Galton e di Freud sulla creatività. Più di un secolo fa Galton sostenne che la creatività consiste nella capacità dell'individuo di produrre liberamente idee anche irrazionali, e in seguito di impiegarle a finalità costruttive: di qui l'ipotesi, da allora accreditata, che le persone più creative abbiano una maggiore capacità di 'associare liberamente' e di permettere che le proprie ideazioni seguano, senza immediate finalità adattive, sentieri multipli e variamente ramificati. Questa teoria, che si connette all'idea di un modo di pensare 'aperto' e financo 'avventuroso' (v. Bartlett, 1958), ha condotto al concetto, dovuto a Guilford, di un 'pensiero divergente' anziché 'convergente'. Il pensiero divergente, da sempre tipico della ricerca artistico-letteraria, sarebbe peraltro prezioso in qualsiasi tipo di produzione di idee e di compiti intellettuali, dove potrebbe affiancarsi o legarsi a forme di pensiero 'convergente al compito' e 'allo scopo', secondo quel tipo di specializzazione intellettuale che è nello stile più tradizionale della ricerca tecnico-scientifica (v. Guilford, 1950 e 1967).
Fin qui la creatività fa tuttavia i conti con l'irrazionalità 'afinalistica' assai più che con la ricchezza del mondo degli affetti. La prospettiva freudiana è, sotto questo aspetto, più comprensiva e complessa. Secondo Freud esistono forme di pensiero 'primario', più strettamente legate all'inconscio, dove le tematiche ideative, dipendendo direttamente dalle pulsioni (e quindi dal principio del piacere e più marginalmente dalla presenza di tendenze aggressive), non tengono conto delle esigenze e dei limiti imposti dal principio della realtà: a partire da questi processi primari nascono peraltro spunti che, opportunamente filtrati dall'Io e in particolare sottoposti a processi di razionalizzazione e di sublimazione, costituiscono la matrice, oltre che del gioco, delle fantasie e dei sogni, anche dell'arte e della creatività nel senso più generale. In questo senso l'artista e la persona creativa sarebbero individui che beneficiano del fatto di rimanere in un contatto particolarmente stretto con le fantasie proprie dei processi elementari e infantili del pensiero.
Questi concetti sono stati variamente estesi e articolati nelle scuole post-freudiane. In Melanie Klein e nella sua scuola l'attività creativa, tipica dell'artista, è legata a una necessità riparativa nei confronti di tendenze distruttive innate, universali nel bambino. Nella prospettiva psicanalitica di Ernst Kris (v., 1952) la creatività può essere vista non solo e non tanto come un dato della personalità, quanto come il risultato contingente di una regressione controllata del pensiero, caratterizzata da un distacco parziale del soggetto dalle esigenze della realtà esterna: si ha in questi casi una 'regressione al servizio dell'Io'. L'idea della regressione creativa è presente, e sempre in una prospettiva psicanalitica allargata, anche in H. Ellenberger, il quale studiando la vita di alcuni grandi uomini ha notato l'emergere di un periodo più o meno lungo di 'malattia creativa', caratterizzata da una regressione dell'Io (quindi con un maggiore contatto con l'inconscio) in un clima psicologico che associa il disagio soggettivo con una ricca produttività di idee.
L'idea della regressione creativa fu già un motivo tipico del movimento romantico. Alla stessa tradizione appartiene il principio, in seguito fatto proprio da una parte del movimento positivista, secondo cui esisterebbe un legame fra genialità e follia. Quest'ultima ipotesi non è stata peraltro confermata, nel senso che non è stata dimostrata una presenza significativamente maggiore di patologia mentale fra le persone fortemente creative, rispetto alla popolazione più ampia di coloro che hanno vocazioni intellettuali, artistiche, o che inclinano alla ricerca scientifica. Inoltre, se da un lato è certamente vero che molte persone creative presentano tendenze ciclotimiche, cioè soffrono di un'alternanza di periodi di depressione e di euforia, è anche evidente che moltissime altre sono portatrici di personalità decisamente stabili. (Su questo tema generale, v. Rothenberg, 1990).
Anche al di fuori delle specifiche ideologie che legano la genialità creativa al disordine mentale, esiste certamente, tuttora attiva fra le tematiche culturali del nostro secolo, una tradizione più generica (ancora una volta di ascendenza romantica) la quale sostiene e predica nei modi più vari la necessità di 'lasciarsi andare' alla spontaneità dei sentimenti e al libero fluire delle immagini, e perfino al disordine e alla sregolazione psichica per trovare non solo ispirazioni poetiche, ma anche nuove idee e soluzioni ai problemi. Sul piano dell'arte l'applicazione più estrema di questa teoria si ebbe nel movimento surrealista, dove peraltro i tentativi di 'scrittura automatica' e di destrutturazione deliberata della ragione non produssero affatto i risultati sperati. In questa stessa prospettiva generale, e sia pure in un campo di applicazione molto più modesto e banale, numerosi studiosi di psicologia applicata hanno proposto, all'interno di istituzioni e aziende, l'utilizzazione di incontri di gruppo di 'liberazione emotiva' o di sedute di brainstorming, in cui ogni partecipante estrinseca in totale libertà le proprie emozioni e idee e proposte senza preoccuparsi della loro applicabilità. Il tentativo è qui dunque non tanto di fondere affettività e razionalità, fantasia e senso della realtà, secondo la più corrente immagine 'sintetica' della creatività, quanto al contrario di scindere nuovamente questi fattori, lasciando una temporanea libertà alla fantasia ed eventualmente anche al sentimento, per poi compiere una cernita empirica in un secondo momento.
Gli studi moderni sulla creatività hanno ricevuto impulso negli Stati Uniti nel secondo dopoguerra a partire dall'inizio della competizione spaziale con l'Unione Sovietica e dalle prime polemiche sulle carenze del sistema educativo nordamericano. Nel corso degli anni sessanta l'interesse per questo problema subiva una netta accentuazione. Infatti il diffondersi all'interno della cultura generale occidentale - in particolare tra i giovani - dei temi dell'inventività e dell'affettività, in contrasto con gli orientamenti educativi più disciplinari e tradizionalisti dei decenni precedenti, non mancava di influenzare anche una parte consistente delle ricerche psicologiche accademiche. In quell'epoca la polemica contro i limiti dei test di intelligenza e contro l'interrogazione scolastica basata su questionari si legava alla rinnovata fiducia nella possibilità che una società democratica, individualistica e ricca di opportunità - come quella americana - potesse evocare e quindi far sbocciare nell'animo di tutti i singoli individui una messe di tesori latenti e abitualmente sottoutilizzati, traducentisi in proposte operative e in nuove idee e valori. La sottolineatura, talora enfatica, del valore della creatività individuale era quindi parte integrante di un'ideologia politico-sociale nettamente caratterizzata, dove l'idea della creatività si associava da un lato a una concezione eminentemente ottimistica della natura umana, dall'altro all'etica dell'affermazione di sé e della libera concorrenza in una società concepita come ricca di opportunità per tutti. Lo sforzo di aprire uguali prospettive di scolarizzazione a tutte le componenti della società americana (compresa quella di colore) si legava in quegli anni alla fiducia che nuove energie più vitali e, appunto, creative venissero ad arricchire e anzi a elevare decisamente la qualità del prodotto intellettuale medio emergente dal crogiolo dei popoli e delle culture. In tale ambito la creatività veniva considerata non tanto come una caratteristica differenziale della personalità - e quindi come qualcosa che è distribuito in modo inevitabilmente ineguale fra gli individui - quanto come una sorta di potenzialità generale, una spinta innovativa universale verso l'affermazione di sé così come verso la proposta di nuove e migliori idee sociali.
A partire dall'inizio degli anni settanta, peraltro, un più realistico apprezzamento dell'importanza delle differenze fra gli individui riproponeva ideali meno astrattamente egualitari, e quindi ristabiliva l'importanza della valutazione dei singoli, in funzione dell'utilizzazione ottimale delle capacità dei più dotati, e dello sviluppo differenziato di potenzialità innovative e creative disegualmente distribuite.In anni a noi più prossimi, in primo luogo la sfida tecnologica giapponese e poi, a partire dalla fine degli anni ottanta, lo straordinario successo, all'interno delle scuole americane di ogni ordine e grado, dei giovani nuovi immigrati dall'Estremo Oriente (soprattutto Vietnam e Cina), in contrasto con le difficoltà gravissime dei cittadini di lontana origine africana a qualificarsi nell'istruzione media e superiore - anche se provenienti da famiglie non indigenti - e con i limitati risultati scolastici della media dei latino-americani, riproponevano, insieme agli interrogativi più ovvi sull'importanza evidente dei valori culturali ed educativo-familiari in gioco, anche una serie di dubbi - assai più inquietanti e di grave significato politico - circa la presenza eventuale e il peso possibile (peraltro mai definitivamente provato) di differenze statisticamente significative a livello delle grandi popolazioni naturali, per quanto riguarda la distribuzione dei fattori genetici preposti allo sviluppo dell'intelligenza e di altri aspetti della personalità. Il problema, più generale, del peso dei fattori biologici ereditari nella determinazione dei tratti della personalità, peso che si ritiene oggi in ambito scientifico - in netto contrasto con quell'ottimismo relativistico e culturalistico che fu tipico degli anni trenta-quaranta - da prendere assai seriamente in considerazione, ha finito per coinvolgere, nel corso degli anni ottanta, e in modo assai più diretto di quanto accadesse in precedenza, il tema stesso della creatività.
L'importanza dell'argomento è nel frattempo divenuta assai maggiore che negli anni settanta, in rapporto allo sviluppo dell'informatica e dell'elettronica, al mutamento dei processi produttivi, alla competizione fra Estremo Oriente e paesi occidentali. Sia negli Stati Uniti che in Europa, l'evoluzione tecnologica e il trasformarsi delle forme della competizione fra sistemi socioeconomici hanno penalizzato i meccanismi produttivi tipici dei grandi complessi industriali tradizionali, ai lavoratori dei quali venivano richieste qualità di disciplina, autodisciplina, precisione e costanza lavorativa, per premiare invece i sistemi produttivi moderni, molto più flessibili, in cui anche all'addetto meno qualificato viene richiesto non soltanto di lavorare in modo non ripetitivo, ma anche - secondo il modello industriale giapponese - di intervenire direttamente, e appunto in modo liberamente propositivo e innovativo, sulle tecniche di produzione e sulle modifiche da introdurre nei modelli da porre in vendita. Di qui un incentivo sempre maggiore allo sviluppo della creatività, e quindi una valorizzazione rapidamente crescente dei contributi di chiunque sia portatore di questo tipo di qualità intellettuale, a qualunque livello egli appartenga all'interno dell'apparato produttivo.
In modo analogo, anche nel settore delle amministrazioni e dei servizi, l'informatizzazione e i mutamenti dei criteri gestionali sono andati promuovendo il principio secondo cui il rendimento dell'organizzazione dipende in gran parte dall'assunzione di responsabilità e dalla capacità di autonomia decisionale dei singoli e dei piccoli gruppi cooperativi, all'interno di strutture comunicative molto flessibili. Nell'insieme questi mutamenti hanno finito col proporre un modello di lavoratore 'medio' assai più qualificato culturalmente e professionalmente che in passato, e soprattutto molto più in grado di produrre idee autonome e di assumersene il carico e le conseguenze. Così, anche nella convivenza quotidiana fuori dalla scuola e dai luoghi di lavoro, la complessità del vivere tipico delle grandi comunità urbane dell'Occidente sembra imporre oggi la presenza di risorse psicologiche individuali sufficientemente sofisticate da permettere di utilizzare in modo non passivo ma attivamente adattivo tutti i complessi servizi esistenti, come ad esempio i servizi pubblici di trasporto e di comunicazione (dalle biglietterie automatiche ai sistemi computerizzati di informazione), i servizi sociali e sanitari, gli strumenti cooperativo-associativi legali, quelli bancari, giuridici, e così via. Le persone che non sono motivate o che comunque non sono pienamente in grado di esplorare continuamente e attivamente i vantaggi di questi servizi - la cui tecnologia si aggiorna oggi a un ritmo molto veloce - si trovano a essere escluse dalle informazioni, e quindi da quelle opportunità che sono decisive alla loro sopravvivenza sociale.
Il tema della creatività si lega - in questo ambito - più strettamente che in passato ai temi della esploratività attiva, della flessibilità dei ruoli e della duttilità mentale. Anche per questo motivo la creatività come qualità individuale tende a costituirsi come un filtro fortemente selettivo nei confronti delle opportunità che vengono offerte ai singoli. In pratica, mentre nelle società preindustriali e nella società industriale preinformatica moltissimi soggetti risultavano in grado di adeguarsi all'uso degli strumenti di produzione e di comunicazione correnti, nelle società industriali attuali le qualità attitudinali richieste penalizzano fortemente e anzi emarginano gli individui che tendono alla ripetitività dei ruoli e agli atteggiamenti più passivi.
Questa situazione, se da un lato tende dunque a escludere fuori dai confini della società produttiva una massa rapidamente crescente di persone che non hanno le capacità psicologiche idonee e/o non hanno ricevuto l'idonea preparazione educativa, da un altro lato tende invece a premiare con maggiore decisione un numero relativamente ristretto di soggetti i quali, oltre ad aver ricevuto un'educazione adeguata alle loro capacità, si rivelano fin dall'inizio dell'età adulta come fortemente motivati, duttili, inventivi e creativi. A questa minoranza - peraltro non necessariamente piccola - di individui che si presentano, oltre che scolasticamente preparati, anche molto attivi e intellettualmente 'dotati', viene richiesto di fornire un contributo decisivo non soltanto nell'ambito della ricerca scientifica, ma anche in quel terreno più applicativo ed empirico che costituisce uno dei principali parametri su cui oggi si decide la sopravvivenza di un dato sistema industriale rispetto ai sistemi concorrenti: cioè la capacità di quel sistema di sviluppare continuamente un numero molto alto di innovazioni nella produzione di oggetti ad alto contenuto tecnologico.
È tenendo conto di questo panorama storico-sociale che si può capire come gli studi sulla creatività concernano oggi prevalentemente non già la presenza di questa qualità (o meglio dell'insieme delle qualità raggruppate sotto questa etichetta) nella generalità delle persone e nella massa dei cittadini e dei lavoratori dell'industria e dei servizi, quanto piuttosto il tema dell'emergere di forme di produttività intellettuale fortemente innovative all'interno di una minoranza - peraltro, occorre insistere, non necessariamente piccola - di individui di intelligenza superiore alla media. Di qui un problema politico e pratico-organizzativo di grande rilevanza sociale: quello che consiste nel garantire a una data popolazione naturale i benefici di un sistema scolastico il quale non discrimini gli allievi per censo e posizione sociale, sia in grado di fornire a tutti il massimo di possibilità culturali, e al tempo stesso identifichi precocemente e con sicurezza i soggetti più dotati, motivati e creativi, fornendo loro l'opportunità di progredire nello studio e di inserirsi ai massimi livelli possibili all'interno dei vari organismi produttivi, dell'insegnamento e della ricerca.
Le ricerche recenti sulla creatività non hanno fornito risultati nettamente innovativi, pur precisando molto meglio le ipotesi già espresse nei decenni del secondo dopoguerra. In generale, sembra che in tutti gli aspetti della questione una maggiore cautela sia d'obbligo rispetto al passato. In particolare, l'idea di una educazione specifica alla creatività viene oggi proposta più di rado e comunque in modo molto più moderato: il problema educativo non sembra tollerare unilateralismi e semplificazioni. Anche in campo pedagogico, dunque, la speranza romantica secondo cui lo scatenamento continuo della spontaneità e l'abbattimento delle barriere repressive e disciplinari possono rendere i bambini più felici, intelligenti e liberamente produttivi non ha oggi molto credito: lo sviluppo della personalità appare qualcosa di necessariamente armonico, e quindi di razionale non meno che emozionale, di cognitivo non meno che affettivo. A questo proposito, se è vero che il senso di sicurezza e di fiducia in se stessi e nei propri mezzi è uno dei presupposti possibili per lo sviluppo di una personalità creativa nel bambino, sembra oggi chiaro che questo obiettivo può venir raggiunto in modo ottimale in un clima familiare e scolastico la cui protettività non sia priva di aspetti disciplinari.
Peraltro sono falliti anche i tentativi di vincolare la creatività a parametri psicologici generali più noti e quantificabili. Per quanto riguarda il più ovvio e generico fra questi, l'intelligenza, si ritiene oggi particolarmente attendibile e significativo quanto emerge, in particolare, dalle ricerche di Getzels e Jackson (v., 1962) e di Andreani e Orio (v., 1972): questi studi dimostrano che, mentre è facile constatare - come è giusto attendersi - una scarsa creatività nei soggetti di intelligenza bassa o media, si può riscontrare, invece, a seconda dei singoli individui, sia una presenza molto spiccata, sia una sostanziale assenza di creatività in chi è dotato di un livello medio-alto o alto di intelligenza.
Peraltro, anche a questo proposito occorre sottolineare che la valutazione della creatività individuale è in ogni caso approssimativa. Se essa serve a distinguere senza equivoci un individuo creativo da uno che non lo è, non vale però né per valutare differenze più sottili, né per quantificare i dati: e questo, sia che la valutazione stessa si basi sui risultati scolastici e accademici, sia che emerga come una delle variabili di un profilo complessivo di personalità, ad esempio nei risultati di una batteria integrata 'standard' delle scale e reattivi mentali più comuni, dal Wechsler-Bellevue al Rorschach. I tentativi di costruire scale e reattivi specifici per la creatività, per quanto interessanti ai fini di una storia della psicologia e della psicopedagogia (v. Trombetta, 1989), hanno dato nell'insieme risultati scarsi e discutibili, così che possono venir considerati irrilevanti ai fini pratici.
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