credere [crese, III singol. pass. rem.: v. Parodi, Lingua 259; credesse, cong. imperf. I singol.]
1. Il verbo, frequentissimo in tutte le opere di D., ha in costruzione intransitiva il semantema fondamentale (dall'originario latino credere, " offrire ", " prestare ") di " prestar fede " a una persona, " accettare come vero " ciò che dice e quindi, in linea secondaria, seguirne i consigli, gl'insegnamenti: Sed ella non ti crede, / dì che domandi Amor, che sa lo vero (Vn XII 13 29); Maladetti siate voi, e la vostra presunzione, e chi a voi crede! (Cv IV V 9); se non mi credi, pon mente a la spiga, / ch'ogn'erba si conosce per lo seme (Pg XVI 113); Dì, dì / sicuramente, e credi come a dii (Pd V 123); ma mi credette e amò come saggio (Fiore XLIII 13); E per ciò non ti credo (Detto 157); Cv II Voi che 'ntendendo 35 (ripreso in II IX 6), IV VI 6, IX 13 e 16, Pd VI 19, Fiore CLVI 11, CLVIII 12. In questa accezione può venir usato assolutamente ma con ovvio complemento sottinteso: Però parla con esse e odi e credi; / ché la verace luce che le appaga / da sé non lascia lor torcer li piedi (Pd III 31); al participio in Vn V 4. In senso lato talora si connette ai tratti del volto: s'i' vo' credere a' sembianti / che soglion esser testimon del core (Pg XXVIII 44); o a figurazioni simboliche: colpa di quella ch'al serpente crese (Pg XXXII 32); o ancora a facoltà astratte: s'i' credo a Ragione (Detto 371). E passivo in Cv IV VI 5 E così ‛ autore ', quinci derivato, si prende per ogni persona degna d'essere creduta e obedita, e VI 6 e 7.
Nell'accezione di " ritenere vera " una cosa, o anche possibile, o giusta, il verbo, molto spesso seguito da un pronome neutro, è transitivo: ne la prima [parte] chiamo e domando queste donne se vegnono da lei [Beatrice], dicendo loro che io lo credo, però che tornano quasi ingentilite (Vn XXII 11); di questo molti, sì come esperti, mi potrebbero testimoniare a chi non lo credesse (XXVI 1); e qual donna gentil questo non crede, / vada con lei e miri li atti sui (Cv III Amor che ne la mente 39, ripreso in VII 8 e XIV 9, e nella glossa di III VII 11 Dico che ‛ qual donna gentile non crede quello ch'io dico, che vada con lei, e miri li suoi atti '); me degno a ciò né io né altri 'l crede (If II 33); S'elli avesse potuto creder prima / ... ciò c'ha veduto pur con la mia rima (XIII 46); Se tu se' or, lettore, a creder lento / ciò ch'io dirò, non sarà maraviglia (XXV 46); Io veggio che tu credi queste cose / perch'io le dico, ma non vedi come; / sì che, se son credute, sono ascose (Pd XX 88 e 90); Né lui né altri già ciò non credesse (Fiore XCIV 12); che sia certano di ciò ch'or non crede (CCXXVII 8). Altri esempi in Rime CVI 142, Cv II VII 12, X 6 (dove c. corrisponde a " ritener tale ", come in IV XIX 10 e If XIX 62, eccezionalmente con oggetto di persona), IV VI 11, Pd XV 61, Fiore XXXVIII 6, LXV 10 e 14, XCVI 11, CXXXIII 12, CXXXV 4, CXLV 13, CLVI 8, CLX 6, CXCV 14, CCII 13. Ha complemento predicativo e significa " ritenere ", in Pd V 58 ogne permutanza credi stolta, e XXII 141 per che già la credetti rara e densa. Assume un più specifico valore e un'ardente forza espressiva, accordata con la coscienza del cattolico D., quando è immesso in un discorso di tono religioso e riguarda la parola divina, gli articoli della fede cristiana, o tutt'intera la fede stessa: la... Santa Ecclesia... dice, crede e predica quelle nobilissime creature quasi innumerabili (Cv II V 5); e non possano credere miracolo alcuno sanza visibilmente avere di ciò esperienza (III VII 16); dunque potrà essere detto quelli obediente che crederà li malvagi comandamenti, come quelli che crederà li buoni? (IV XXIV 13, con implicito senso di " mettere in pratica ", " seguire "); battesmo, / ch'è porta de la fede che tu credi (If IV 36); a guisa del ver primo che l'uom crede (Pd II 45); quel che credi / del primo padre e del nostro Diletto (XIII 110); culminando nella solenne professione enunciata da D. in Pd XXIV 140, dopo il fermo invito di s. Pietro (ma or convien espremer quel che credi, XXIV 122), e introdotta dall'invocazione: O santo padre, e spirito che vedi / ciò che credesti (XXIV 125). In tale circolo di valori non sarà poi da trascurare il risvolto sarcastico di Fiore V 13 non creder né Luca, né Matteo, / né Marco, né Giovanni. Al participio presente, in Fiore CXXIV 3 credente ched e' sia o consolato, allude a una categoria di Catari, gli eretici ancora diffusi nel Duecento, e precisamente ai ‛ membri comuni ', distinti da coloro che erano stati sottoposti al ‛ consolamentum ' o battesimo spirituale.
Con lo stesso senso e la stessa intonazione ammette tuttavia, e in passi di forte tensione spirituale, la costruzione con ‛ in ' seguito dal nome della persona o della cosa fatte oggetto della fede: A questo regno / non salì mai chi non credette 'n Cristo (Pd XIX 104); L'anima glorïosa onde si parla, / tornata ne la carne, in che fu poco, / credette in lui che potëa aiutarla (XX 114); ond'ei credette in quella [la redenzione futura], e non sofferse / da indi il puzzo più del paganesmo (XX 124); Io credo in uno Dio / solo ed etterno, che tutto 'l ciel move, / non moto, con amore e con disio (XXIV 130); e credo in tre persone etterne (XXIV 139); quei che credettero in Cristo venturo (XXXII 24); e v. poi Fiore CXVII 2, CCXXVII 5. In questo paragrafo andrà forse collocata anche l'occorrenza di Fiore XXII 6 in quello Schifo, folle chi si crede, con ‛ si ' pronominale; ma il Petronio spiega: " chi fiducioso si abbandona a lui ".
Casi di uso assoluto si riscontrano in Pd XIX 78 ov'è la colpa sua, se ei non crede?; XXIV 40 S'elli ama bene e bene spera e crede / non t'è occulto; XX 115; non riferiti a tematica religiosa, in Pg VII 12 ond'e' si maraviglia, / che crede e non; XXVI 105, Pd X 45.
2. Con proposizione subordinata implicita o esplicita è per " stimare, reputar vero ", " ammettere come vero " (rafforzato spesso da ‛ certo ', ‛ per certo ', ‛ ragionevolmente ', e simili), con non infrequente slittamento verso il confinante e affine piano semantico di " esser certo ": Aristotile credette... che fossero pure otto cieli (Cv II III 3: è il c. per causas proprio della speculazione filosofica, come in II III 4, IV 3, IV VI 9); non dee creder quella / cui par bene esser bella, / esser amata da questi cotali (Rime CVI 138); chi loda sé mostra che non creda essere buono tenuto (Cv I II 7); ragionevole è credere che li movitori del cielo de la Luna siano de l'ordine de li Angeli (II V 13); e io così credo, così affermo e così certo sono ad altra vita migliore dopo questa passare (VIII 16); sono molti tanto vilmente ostinati, che non possono credere che né per loro né per altrui si possano le cose sapere (IV XV 14); e anche vo' che tu per certo credi / che sotto l'acqua è gente che sospira (If VII 117); similmente nelle seguenti occorrenze: Rime LII 14, Vn XIX 16 (dove vale precisamente " ritener conveniente "), Cv I XI 13 e 20, II IX 7, III V 9, 10 e 12, VI 10, VII 6, XV 6, IV VIII 9 (due volte), IX 15, XII 16, XV 13, XX 3, XXIII 9 (la seconda occorrenza) e 10, XXVII 3, XXIX 1; If XII 129, XIII 83, XVII 93, XIX 121, XXVII 61, XXIX 8 (qui, contestualmente, " ritenere di poter fare " una cosa), Pg III 24 e 97, IV 5, XI 94, XXI 128, XXVII 25, XXXIII 35, Pd V 75, VI 15, VIII 1 e 85, XIII 37 e 139, XV 55, XIX 145, XXIX 83 (due volte), XXX 20, XXXII 59, XXXIII 44; Fiore VI 10, VII 10, LVII 12, LXI 9, XCVII 3, C 12, CXVIII 13, CXXXVI 3, CXLVII 5, CCXV 9, CCXX 11, CCXXX 5. Con ellissi del verbo ‛ essere ', in Rime CVI 147 Oh cotal donna pera / che... crede amor fuor d'orto di ragione!; Cv IV XXIII 9 (la prima occorrenza), Pg XXI 127.
3. Del pari come reggente di una subordinata vale assai spesso " esser d'opinione ", " pensare " (con la possibile implicita connotazione di " sperare " o " temere "), " immaginare " (con l'altra possibile connotazione di " illudersi "), ma la differenza semantica fra questo punto e il precedente è in numerosi esempi piuttosto sottile: credendo che mi difendesse la sua veduta da questa battaglia (Vn XVI 4); dentro vi saltò, forse credendo saltare uno muro (Cv I XI 10); ogni casa che da lungi vede crede che sia l'albergo (IV XII 15); E io credo che se Cristo fosse stato non crucifisso... elli sarebbe a li ottantuno anno di mortale corpo in etternale transmutato (IV XXIV 6); i' non averei creduto / che morte tanta n'avesse disfatta (If III 56); ché non credetti ritornarci mai (VIII 96); " Io credo ", diss'io lui, " che tu m'inganni... " (XXXIII 139); sì che 'n inferno i' credea tornar anche (XXXIV 81); Voi credete / forse che siamo esperti d'esto loco (Pg II 61); Io ti credea trovar là giù di sotto (XXIII 83); Da lui partir non credo ma' pensare (Fiore XXXVIII 5). Per la costruzione del tipo Se questa donna sapesse la mia condizione, io non credo che così gabbasse la mia persona, anzi credo che molta pietade le ne verrebbe (Vn XIV 9), v. F. Brambilla Ageno, Il verbo nell'italiano antico, Milano-Napoli 1964, 356-360. Gli altri luoghi dove c. ha tal senso sono: Vn V 3, XIV 10, XVI 9 11, XIX 4 3, XXIII 11 e 12, XXIV 6, XXVII 2; Rime LXVIII 6, LXXX 17, LXXXIII 21, LXXXVIII 6, XCI 31, CXI 7, Rime dubbie VI 11, VII 5; Cv I V 9, XI 11 e 15, II VIII 8, X 7, XIV 5 e 7, IV I 5, IV 12, IX 13, XII 15, XV 12 (traduzione da Cicerone; il passo è forse in Off. I VI 18), XVI 6, XXVII 14, XXVIII 5; If XII 17 e 42, XIII 71 e 110, XVI 48, XIX 77, XXI 79, XXIX 20, XXXII 121, XXXIV 88, Pg V 76, XIII 41, 112 e 140, XXII 121, XXVI 120, XXVII 28, XXVIII 137, Pd II 60, IV 53, V 32, XXXII 146; Fiore VII 3, IX 7, LXXVI 5, CVIII 3, CXXXIV 5 e 6, CLXXIII 7, CLXXIX 8 e 9, CLXXXII 9, CXCIX 5, CCXXXI 12. Ha uso assoluto in Vn VII 1, XXIV 3, If IX 129, XVI 36.
Son parimenti da registrare le occorrenze in cui c., conservando i significati su esposti, è riflessivo (v. Ageno, Il verbo, cit., pp. 141-142): Io mi credea del tutto esser partito / da queste nostre rime, messer Cino (Rime CXIV 1): passa Lisetta baldanzosamente, / come colei che mi si crede torre (CXVII 4); sono molti tanto presuntuosi, che si credono tutto sapere (Cv IV XV 12); E quel frustato celar si credette / bassando 'l viso (If XVIII 46); Io fui uom d'arme, e poi fui cordigliero, / credendomi, sì cinto, fare ammenda (XXVII 68); Vn XIV 3, Cv IV XXVII 13 e 15 (traduz. da Off. I XIV 43), If XXX 141, Fiore LX 14, CLVII 3, CLXXXII 3, CCIII 2.
Altrove infine, anche in uso assoluto, ha forma impersonale: Questo m'avvene ovunque ella mi vede, / e sì è cosa umil, che noi si crede (Vn XXVII 5 14); molte volte credendosi [a] alcuno dar loda, si dà biasimo (Cv III X 9); O ciel, nel cui girar par che si creda / le condizion di qua giù tramutarsi (Pg XX 13); e così anche in Vn XIV 1, XVII 1 (con l'intonazione di " reputar opportuno "; per la variante credeimi e la discussione testuale, v. l'edizione del Barbi, ad l.); Rime dubbie I 14 (per l'interpretazione v. A. Pézard, La rotta gonna, I, Parigi 1967, 99); Cv II XII 8 (due volte), XIII 30, VI 10, III XIV 14, If XXXI 120, Pd VI 110; ha soggetto impersonale uom in Fiore CLXXVII 12.
In più di un luogo il verbo è quasi fraseologico e la sua adozione a reggente di una proposizione subordinata sembra voler attenuare nel periodo che ne risulta un'affermazione o una negazione altrimenti troppo recisa, specie quando si tratta di fatti favolosi o incerti, e quando entra in gioco il riserbo o il pudore di chi parla: assai credo che deggia dilettare / libero core e van d'intendimenti (Rime LXI 5); Canzone, io credo che saranno radi / color che tua ragione intendan bene (Cv II Voi che 'ntendendo 53, e v. la glossa di XI 7); Maggior paura non credo che fosse / quando Fetonte abbandonò li freni (If XVII 106); Non credo che la sua madre più m'ami (Pg VIII 73); Non credo che così a buccia strema / Erisittone fosse fatto secco (XXIII 25); tale eclissi credo che 'n ciel fue / quando patì la supprema possanza (Pd XXVII 35); e nei luoghi simili di Vn XL 2, Rime LXIX 12, If X 54, XIII 25; (il ben noto Cred'io ch'ei credette ch'io credesse, dove si fa evidente il compiacimento per l'artificio retorico e l'intellettualismo linguistico caratteristici nel canto di Pier della Vigna), XX 18, XXIII 15, XXV 19, XXIX 58, XXX 96, Pg III 75, VIII 46, XIII 52, XXV 136, XXVIII 64, XXXIII 16, Pd XXXIII 76 e 92 (La forma universal di questo nodo / credo ch'i' vidi; ma per il Sapegno qui c. ha valore asseverativo: " so d'aver veduto "); Fiore CVII 12, CXI 7, CCV 7, Detto 344. Questa sfumatura s'avverte anche dove il verbo alla prima persona singolare, da solo, o all'interno di un sintagma, costituisce un inciso; Di maraviglia, credo, mi dipinsi (Pg II 82); e analogamente in Vn XII 11 12, If XX 64, Pg XIII 132, XXII 135, XXVII 94, Pd VIII 21, XVIII 99, XXVIII 39, Fiore VII 5. È ancora in incisi, ma non alla prima persona, in Cv IV X 9 dico che le divizie, come altri credea, non possono dare nobiltade; Vn XXII 2, Cv IV Le dolci rime 49 (impersonale, ripreso in X 3 e 7), Pd I 91, XX 103.
A frase interrogativa introdotta dal pronome ‛ chi ' conferisce un tono temperatamente negativo, quando della negazione stessa non rappresenta un modo più elegante e letterario; ma può anche annunciare un fatto singolare e poco credibile: chi crederà ch'io sia omai sì colto? (Rime CXVI 10); Chi crederebbe che l'odor d'un pomo / sì governasse, generando brama, / e quel d'un'acqua, non sappiendo como? (Pg XXIII 34); Chi crederebbe giù nel mondo errante / che Riféo Troiano in questo tondo / fosse la quinta de le luci sante? (Pd XX 67).
Raramente sostantivato, col valore di " credenza ", " opinione ": Pd n 62 vedrai sommerso / nel falso il creder tuo; If XXVII 69, Pg XXII 31; nonché di " fede ": Pd XXIV 128 tu vuo' ch'io manifesti / la forma qui del pronto creder mio; XIII 50, XXIV 133.