CREDITO
(XI, p. 814; App. II, I, p. 722; III, I, p. 451; credito agevolato, IV, I, p. 543)
Legislazione creditizia. − Premessa. − La situazione economica del nostro paese si caratterizza, agli inizi del ventesimo secolo, per la mancanza di un significativo capitale industriale, idoneo ad assecondare lo sviluppo dei settori produttivi. Ciò ha inciso notevolmente sul problema del finanziamento delle imprese, per decenni affidato all'intervento determinante degli enti creditizi. Le banche, infatti, grazie alla loro funzione intermediatrice, hanno costituito in quel particolare momento storico gli unici organismi in grado di aggregare i mezzi finanziari necessari al fabbisogno dell'economia. Da qui il convincimento, maturato a livello politico, della opportunità di sottoporre a controllo pubblico il settore creditizio, sì da assicurare il regolare svolgimento di un'attività reputata di fondamentale importanza per le sorti della nazione.
L'esperienza del primo quarto di secolo dimostra, tuttavia, quanto abbia tardato ad affermarsi in Italia una concezione interventistica nella quale trovino giusto componimento il carattere privatistico della gestione creditizia e la rilevanza pubblicistica riconosciuta all'azione posta in essere dalle banche. A seguito di una serie di tentativi, espletati in sede parlamentare nel corso di oltre un decennio, è soltanto nel 1926 che si giunge all'emanazione di alcuni provvedimenti legislativi (R.D.L. n. 1511 e n. 1830) in base ai quali, per la prima volta, c. e risparmio assurgono a oggetto di particolare attenzione nell'ordinamento giuridico. Al centro della realtà finanziaria dell'epoca è il fenomeno della cosiddetta banca mista che, affiancando forme di c. mobiliare alle tradizionali operazioni di prestito, evidenzia una pericolosa commistione tra il comparto industriale e quello bancario; rileva, altresì, la mancata distinzione tra le erogazioni di credito a breve e quelle a medio e lungo termine, onde la configurabilità di un limite operativo di natura tecnica del quale non si tiene conto nei menzionati interventi legislativi del 1926.
Gli anni successivi alla grande crisi del 1929-30 denunciano le conseguenze negative di tale sistema. La crisi economica che colpì il mondo occidentale, facilmente si trasmette dalle imprese produttive agli enti creditizi che di quelle detengono partecipazioni; questi ultimi, poi, vengono a trovarsi nella impossibilità di far fronte ai propri impegni, data la mancata correlazione tecnica tra le forme della provvista e quelle degli impieghi. Si delinea così l'esigenza di modificare la regolamentazione del settore in termini che consacrino il principio della separatezza tra banca e industria, nonché quello della specializzazione funzionale del c.; capisaldi questi del nuovo assetto strutturale e operativo posto a fondamento della riforma legislativa del 1936 (R.D.L. 12 marzo 1936, n. 375, successivamente modificato e integrato).
Con la cosiddetta legge bancaria il finanziamento delle imprese viene incentrato prevalentemente nell'azione creditizia. Si individua, a livello normativo, l'opzione per un ''mercato regolato'' nel quale la banca, assoggettata com'è a controlli pubblici, può meglio adempiere l'obbligo di restituzione dei depositi, con margini di maggiore tutela dei risparmiatori (sui quali non grava il rischio degli investimenti). Tuttavia, almeno nell'originaria visione legislativa, è presente l'intento di raccordare la funzione espletata dal sistema bancario con quella, alternativa, che si realizza attraverso la Borsa valori: a base di ciò è, forse, il convincimento della unitarietà del fenomeno finanziario, della quale si deve tener conto anche nella regolamentazione normativa (significative, al riguardo, le disposizioni degli artt. 2, 43 e 45, legge bancaria).
Con l'avvento dello Stato sociale, in epoca repubblicana, alla materia creditizia viene riconosciuta rilevanza costituzionale: l'art. 47 Cost., dopo l'affermazione programmatica della tutela del risparmio in tutte le sue forme, pone tra gli obiettivi della Repubblica la disciplina, il coordinamento e il controllo dell'esercizio del credito. Il mutato ordine istituzionale si riflette anche a livello di modello organizzativo del settore: pur restando immutato lo schema interventistico pubblico, cambiano le autorità titolari di poteri di controllo secondo criteri che tengono conto vuoi della compagine politica di riferimento, vuoi delle competenze tecniche necessarie nell'azione di vigilanza. Con il D.L.C.P.S. n. 691 del 1947 la nuova diarchia di vertice è rappresentata dal Comitato interministeriale per il c. e il risparmio (presieduto dal ministro del Tesoro) e dalla Banca d'Italia, che si sostituiscono rispettivamente al Comitato dei ministri (presieduto dal Capo del Governo) e all'Ispettorato (v. oltre).
L'ammodernamento di taluni settori produttivi (specie quello agricolo) e lo sviluppo delle zone meno progredite (Mezzogiorno) sono a base di una politica d'incentivazione che si traduce in numerosi provvedimenti di legislazione speciale destinati alla concessione di agevolazioni (sotto forma di contributi sia in linea capitale che in conto interessi). Le istituzioni creditizie sono chiamate a concorrere alla realizzazione di tali interventi partecipando al finanziamento delle imprese. Si determina, peraltro, un'attenuazione del criterio della affidabilità nella valutazione del merito del c., data la tendenza degli enti erogatori ad assecondare le istanze socio-politiche evidenziate nei paralleli procedimenti amministrativi di attribuzione dei benefici. Al fondo di tale sistema si individua, quindi, un'alterazione delle ordinarie condizioni di concorrenza bancaria.
A partire dagli anni Sessanta si verifica una progressiva espansione del deficit pubblico cui fa riscontro, col rapido sviluppo dell'attività produttiva, il raggiungimento di un più elevato livello occupazionale. Si assiste a una crescente diminuzione dell'autofinanziamento delle imprese e a un incremento del risparmio delle famiglie. Ciò causa una situazione di squilibrio finanziario nel sistema produttivo: cambia il ruolo della banca e l'intermediazione creditizia accentua il suo carattere di necessario tramite per la realizzazione di ogni iniziativa economica. La crisi, che nel frattempo ha colpito numerose imprese (specie quelle di grandi dimensioni), induce i pubblici poteri a perseguire nella ''politica di finanziamenti'' anche quando questi ultimi non trovano più giustificazione nelle condizioni reali degli enti beneficiari delle erogazioni. In tale contesto vanno lette le disposizioni di alcune leggi che, pur non rispondendo immediatamente a una funzione assistenziale, tuttavia appaiono riconducibili alla tematica dei salvataggi. Ci si riferisce alla l. 5 dicembre 1978, n. 787, istitutiva dei cosiddetti consorzi bancari, nonché alla l. 3 aprile 1979, n. 95, sull'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi; nate con un intento conservativo e/o di risanamento delle imprese, tali leggi finiscono col denunciare la ''doppia anima'' che ne contraddistingue l'essenza e, dunque, denotano quanto sia modificata la natura dell'intervento dello Stato in economia.
La valorizzazione del carattere imprenditoriale degli enti creditizi, conseguente all'integrazione economica europea, di cui si dirà in seguito, ha come risultato un'accentuazione della concorrenza bancaria; a essa appaiono orientati sia alcuni provvedimenti delle autorità creditizie (volti ad ampliare la dimensione operativa degli appartenenti al sistema), sia la l. 10 febbraio 1981, n. 23, la quale, tra l'altro, prevede la possibilità di sottoporre a procedura liquidatoria gli istituti di c. speciale. Mutano le condizioni e le tecniche dei finanziamenti, anche a causa di un processo innovativo, tuttora in corso, che ha portato cambiamenti tanto sul versante dei ''prodotti'' che su quello degli ''intermediari''. Si individuano i presupposti per un mercato più selettivo nel quale vieppiù i soggetti prenditori di c. dovranno dar conto della fondatezza e del merito delle loro richieste.
L'ordinamento del credito. − La riforma bancaria del 1936 conferisce carattere ordinamentale alla disciplina del settore creditizio. La predisposizione di una diarchia politico-tecnica contraddistingue l'organizzazione verticistica del sistema bancario, secondo un modello improntato alla realizzazione di un rapporto di direzione politica-attività amministrativa, coerente con la visione dirigistica dell'economia imperante all'epoca. Comitato dei Ministri (nel dopoguerra sostituito dal Comitato interministeriale per il credito e il risparmio) e Ispettorato per la difesa del risparmio e l'esercizio del credito (le cui funzioni vennero nel 1947 istituzionalizzate nella Banca d'Italia) individuano le autorità pubbliche tra cui detto rapporto si articola; al primo compete l'emanazione di atti-direttive, i cui contenuti, recepiti in sede tecnica, vengono assunti a fondamento di provvedimenti amministrativi generali con efficacia normativa indirizzati agli enti creditizi. Da qui il carattere flessibile della disciplina bancaria che, incentrata sull'utilizzo dello strumento amministrativo, si configura particolarmente idonea a rimodularsi in relazione al variare della realtà economica sottostante presa in considerazione.
La normativa contenuta nella legge bancaria non trova, tuttavia, integrale applicazione nei confronti della generalità degli appartenenti al settore; se ad essa non si sottraggono le aziende che praticano il c. commerciale con operazioni a breve, limitato si configura l'assoggettamento alla stessa degli istituti di c. destinati a finanziare particolari settori produttivi con attività di medio e lungo termine. A base di tale differenziazione è l'intento legislativo di tener separate forme di c. diverse con riguardo sia al momento temporale che ne caratterizza lo svolgimento, sia al settore d'investimento in cui i mezzi finanziari impiegati trovano allocazione. Il criterio della specializzazione funzionale del c. caratterizza tale sistema (cosiddetta banca pura); a tale diversità di regime non è estranea, inoltre, la considerazione che mentre le aziende creano moneta bancaria, direttamente interagendo sul livello della liquidità complessiva del sistema, gli istituti si limitano a intermediare la raccolta e il passaggio dei fondi dai centri di formazione a quelli di allocazione. Di ciò tiene conto il legislatore allorché, innovando con la menzionata l. n. 23 del 1981 la disciplina relativa a questi ultimi, nel disporre la loro sottoposizione alla normativa dell'intera legge bancaria, ha fatto salva l'applicabilità delle disposizioni degli articoli da 32 a 35, legge bancaria, le quali − com'è noto − attengono alla regolamentazione dei flussi creditizi.
La dottrina tradizionalmente distingue le varie forme di intervento esperibili dalle autorità creditizie con riguardo ai diversi momenti (genetico, funzionale ovvero patologico) in cui si articola l'iter vitae di una banca; più semplicemente si può parlare di intervento sugli aspetti organizzativi (costituzione e articolazione periferica, fusione, cessione di sedi o filiali, liquidazione coatta) ovvero su quelli della gestione aziendale (rapporto tra patrimonio e depositi, forme d'impiego, assunzione di partecipazione, ecc.). Trattasi di un'attività di vigilanza − connotata dalla condizione di assoluta trasparenza cui gli enti a essa sottoposti sono tenuti nei confronti dell'organo tecnico istituzionalmente competente − preordinata all'obiettivo di carattere generale della stabilità del sistema; il giudizio conoscitivo-valutativo, che sottende l'adozione dei provvedimenti assunti dall'autorità, dà vita a un controllo di legittimità (talora esteso al merito), nel quale la posizione specifica dell'ente creditizio oggetto di esame è presa in considerazione con riferimento alla situazione globale dell'intero settore.
I controlli posti in essere sulle gestioni aziendali presentano l'ulteriore valenza di consentire alle autorità pubbliche la possibilità di governare la liquidità monetaria, attesa l'incidenza su quest'ultima del fenomeno creditizio, attraverso l'attivazione degli strumenti di pagamento. La storia economica del nostro paese ha visto spesso impegnati nella lotta all'inflazione meccanismi di ingegneria finanziaria, nei quali il ricorso ai controlli previsti negli articoli da 32 a 35 della legge bancaria appare strumentale a una logica di drenaggio degli eccessi di liquidità. Allo stesso ordine di considerazioni sembra ispirata, sul finire degli anni Sessanta, la costituzione del CIPE, predisposta con d.P.R 30 maggio 1968, n. 626, in un'ottica di sviluppo programmato dell'economia; assegnando a tale organo interministeriale una posizione sovrordinata rispetto al CICR (Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio), il legislatore ha arricchito il quadro autoritativo di vertice dell'ordinamento bancario secondo un criterio che, ormai, ben conosce l'interazione tra c. e moneta, per cui si erige a sistema la regolamentazione dei flussi finanziari.
Innovazione finanziaria e integrazione economica. − L'intregrazione economica che, a livello regionale europeo, contraddistingue la realizzazione del mercato comune, istituito col Trattato di Roma del 1957, la ricerca da parte degli enti creditizi di nuovi spazi di attività, paralleli a quello bancario (nei quali far rifluire quelle forme operative che, ai sensi della normativa di settore, sarebbero altrimenti a essi sottratte), individuano le principali cause del processo innovativo che ha inciso e sta profondamente incidendo sui caratteri del sistema finanziario italiano. Come si è già accennato, il cambiamento attiene alla creazione di ''nuovi prodotti'' e di ''nuovi intermediari'' ai quali si ricollegga una delicata problematica, relativa vuoi alla qualificazione giuridica degli stessi, vuoi alla identificazione degli effetti indotti sui profili istituzionali dell'ordinamento creditizio.
Sotto il primo aspetto ha rilievo la mancanza di una regolamentazione legislativa delle nuove fattispecie negoziali, sicché ogni inquadramento giuridico della materia deve essere riportato a una logica meramente interpretativa. Con riguardo, invece, alle conseguenze di carattere generale indotte da tale processo innovativo sorge questione circa le modalità di gestione dei servizi finanziari di cui trattasi, qualora questi ultimi siano sul piano economico comunque riconducibili all'operatività bancaria.
La possibilità che detti servizi siano svolti direttamente da enti creditizi ovvero per il tramite di soggetti cui i medesimi partecipano evidenzia chiaramente come tale realtà interagisca sul modello organizzativo bancario affermatosi nel nostro paese. Al venir meno del carattere esclusivo dell'attività posta in essere, da taluno ipotizzato con riferimento al primo caso, sembra corrispondere l'adesione allo schema di ''banca universale'' di tipo tedesco; per converso, ispirata al mantenimento della formula sin qui sperimentata in Italia appare la struttura del ''gruppo polifunzionale'', schema organizzativo reputato idoneo a conciliare l'incremento delle dimensioni operative delle banche con i vantaggi della specializzazione. L'elaborazione di tale modello fa capo alle autorità di vigilanza che hanno, per tal via, coordinato in chiave unitaria l'azione di soggetti, operanti in settori diversi, interessati alla realizzazione di una strategia comune (essendo tra loro configurabile un legame economico).
La fenomenologia descritta incide sulla nozione di attività bancaria che viene a essere estesa a ricomprendere fattispecie negoziali al presente non rientranti in uno stretto ambito di intermediazione creditizia. Il riconoscimento alle banche della possibilità di eseguire una vasta gamma di operazioni si è avuto con la direttiva CEE n. 89/646: significativa, tuttavia, l'assegnazione in via esclusiva agli enti creditizi dell'attività di raccolta di risparmio tra il pubblico, onde la conferma della tipicità del modello italiano. Problema diverso è quello del controllo degli intermediari non bancari; la direttiva soprarichiamata offre indicazioni di valore sistematico in ordine alla soluzione assumibile, assoggettando alla vigilanza delle autorità di settore le attività finanziarie specificate nell'elenco alla stessa allegato. Appare verosimile, quindi, un apposito intervento legislativo che, nel rispetto del quadro istituzionale di riferimento, elimini il divario oggi configurabile tra i soggetti abilitati all'offerta di servizi finanziari conferendo omogeneità alla disciplina del mercato.
Il processo d'integrazione economica europea produce rilevanti effetti anche sulle strutture dell'ordinamento creditizio: la liberalizzazione dell'accesso al settore si traduce nel venir meno della valutazione delle esigenze economiche del mercato e, quindi, in una obiettivazione dei criteri (onorabilità, professionalità, fondo di dotazione e programma di attività), che presiedono al rilascio del provvedimento che autorizza l'esercizio dell'attività (v. in tal senso i contenuti della direttiva CEE n. 77/780, recepita nel nostro ordinamento con la l. n. 74 del 1985 e col d.P.R. n. 350 del 1985). Da qui la naturale riduzione dei poteri discrezionali dell'autorità pubblica che ha indotto la dottrina a ravvisare come ''atto dovuto'' l'intervento abilitativo alla costituzione di banche; sul piano fattuale si individua una facilitazione per gli appartenenti al settore industriale nell'accesso alla proprietà bancaria, superando così la separatezza che per decenni ha caratterizzato il nostro sistema.
Nella prospettiva degli anni Novanta la politica creditizia sembra orientata verso il rafforzamento della consistenza patrimoniale degli enti creditizi. Tale obiettivo viene attuato attraverso misure idonee a garantire la permanenza all'interno del settore: si introducono i cosiddetti coefficienti obbligatori minimi, che legano la dimensione operativa delle banche alla consistenza dei loro mezzi patrimoniali. In tale prospettiva l'organo di vigilanza ha sollecitato la trasformazione delle banche pubbliche con l'obiettivo di una dimensione ottimale delle aziende da raggiungersi attraverso processi di concentrazione bancaria: tale istanza ha trovato accoglimento a livello legislativo nella l. n. 218 del 30 luglio 1990, contenente "disposizioni in materia di ristrutturazione e integrazione patrimoniale degli istituti di credito di diritto pubblico". Il controllo si qualifica, ora, in chiave ''prudenziale'', essendo orientato alla stabilità del sistema e improntato a regole, che, su base obiettiva, ne assicurano la realizzazione. Sembra definitivamente tramontato ogni collegamento dell'azione di vigilanza con concezioni interventistiche pubbliche: siamo ad una svolta della disciplina del c. nella quale la logica di mercato, e non già la direzione dell'attività, viene posta a fondamento della crescita di tale importante settore dell'economia.
Bibl.: P. Vitale, Pubblico e privato nell'ordinamento bancario, Milano 1977; M. S. Giannini, Diritto pubblico dell'economia, Bologna 1977; F. Capriglione, Intervento pubblico e ordinamento del credito, Milano 1978; AA.VV., La legge bancaria. Note e documenti sulla ''storia segreta'', a cura di M. Porzio, Bologna 1981; A. Fazio, F. Capriglione, Governo del credito e analisi economica del diritto, in Banca borsa e titoli di credito, 1 (1983), pp. 310 ss.; R. Costi, L'ordinamento bancario italiano, Bologna 1986; G. Minervini, Attuazione della direttiva CEE 77/780 e libertà di concorrenza, in Giurisprudenza Commerciale, 1 (1986), pp. 979 ss.; G. Oppo, Sulle nuove prospettive del diritto della banca, in Diritto della banca e del mercato finanziario, 1 (1988), pp. 292 ss.; G. Sangiorgio, Credito (Ordinamento amministrativo del), in Digesto delle discipline pubblicistiche, Torino 1989; AA.VV., Intermediazione finanziaria non bancaria e gruppi bancari plurifunzionali: le esigenze di regolamentazione prudenziale, in Temi di discussione del Servizio Studi della Banca d'Italia, 113, Roma 1989; V. Mezzacapo, Commento sub art. 1 del d.P.R. n. 350 del 1985, in Codice commentato della Banca, a cura di F. Capriglione e V. Mezzacapo, 2 (1990), pp. 1402 ss.
Politica del credito. - La politica del c. è una delle componenti della politica economica. In Italia essa ha assunto, soprattutto in determinati periodi, un ruolo particolarmente attivo e rilevante nel consentire che gli obiettivi finali della politica economica venissero conseguiti in modo efficace e con costi economico-sociali contenuti. Al fine di raggiungere obiettivi economici prefissati, o di ottenere desiderati valori nelle variabili-obiettivo ''finali'', le autorità monetarie sono solite introdurre appropriate modifiche negli strumenti a loro disposizione. Obiettivi finali della politica monetaria e creditizia possono essere − di volta in volta − un dato aumento del reddito, degli investimenti, un dato livello dell'occupazione, un dato tasso di inflazione, un dato livello del disavanzo dello Stato o una particolare configurazione dei conti con l'estero.
Gli strumenti. − Per raggiungere questi obiettivi le autorità monetarie possono disporre di strumenti di controllo indiretto o di strumenti di controllo diretto del c. e degli aggregati monetari.
Gli strumenti di controllo indiretto operano essenzialmente modificando le condizioni nelle quali le aziende di c. massimizzano il loro profitto. In tal modo l'intervento delle autorità agisce per il tramite dei mercati influenzando il comportamento ottimale delle banche e, conseguentemente, il volume e il costo degli aggregati creditizi. Strumenti di questo genere possono avere un effetto immediato sulla creazione di base monetaria − e più precisamente sulla componente ''interna'' della base monetaria, nel caso di un regime di tassi di cambio fissi, o sull'intera base monetaria, in presenza di un sistema di cambi flessibili −, oppure possono incidere sulla creazione dei depositi bancari, del c. e della moneta per un prefissato stock di base monetaria. Nel primo caso l'intervento della banca centrale agisce sul finanziamento del sistema bancario (accesso allo sconto e suo costo), o sull'equilibrio dei mercati finanziari (operazioni di mercato aperto). Nel secondo, invece, i provvedimenti adottati dalle autorità monetarie interessano direttamente ed esclusivamente il costo, la composizione e il livello delle riserve obbligatorie delle aziende di c., dal momento che di fatto vengono a limitare la libertà di gestione degli operatori bancari incidendo sulla loro funzione di utilità.
Gli strumenti di controllo diretto sul c. influenzano il volume, la composizione e il costo del c. bancario, con finalità selettive e/o anticicliche. Di sovente sono stati introdotti al fine di potenziare l'efficacia e l'incisività dei controlli indiretti, e utilizzati spesso con un orizzonte temporale limitato. I controlli diretti riguardano le operazioni delle aziende di c. all'interno (massimali sul volume di c. erogato, vincoli sulla composizione del portafoglio delle aziende di credito). Alternativamente questo tipo di strumenti viene attivato per incidere sul grado di indebitamento verso l'estero del sistema bancario (vincoli sulla posizione debitoria netta sull'estero delle aziende di credito). La Banca d'Italia è ricorsa in modo particolare a questo tipo di interventi di controllo amministrativo sul c. negli anni Settanta; nel 1973, infatti, al controllo della base monetaria è stato affiancato l'obbligo per le banche di investire in titoli a lungo termine ed è stato posto un limite massimo all'espansione dei prestiti bancari. Inoltre, in Italia, sempre in quegli anni si è preferito utilizzare l'indebitamento netto sull'estero delle aziende di c. come principale strumento di copertura finanziaria del disavanzo della bilancia dei pagamenti.
Gli obiettivi. − Al fine di aumentare l'efficacia delle loro politiche, le autorità monetarie fanno ricorso a due categorie di indicatori congiunturali: gli obiettivi intermedi e gli obiettivi operativi della politica monetaria e creditizia.
Obiettivi intermedi sono: a) il credito totale interno (CTI), costituito dalla somma dell'indebitamento del settore statale, degli impieghi bancari e di quelli degli istituti di c. speciale, oltre che delle obbligazioni emesse dagli enti locali e dalle imprese, pubbliche e private; b) le componenti del CTI, il c. totale interno al settore non statale e il fabbisogno interno del settore statale; c) altri aggregati e indicatori monetari, come l'offerta di moneta (M2) o, in alternativa, il livello di un determinato tasso di interesse del mercato monetario o una precisa configurazione della struttura a termine dei tassi di interesse.
La caratteristica degli obiettivi intermedi è quella di avere un collegamento macroeconomico con gli obiettivi finali della politica monetaria e creditizia, siano questi ultimi obiettivi di sviluppo (del reddito e dell'occupazione) ovvero di stabilizzazione (equilibrio esterno, controllo dei prezzi). La scelta degli obiettivi intermedi è quindi motivata sia dalla natura degli obiettivi finali della politica in questione, sia dall'interpretazione economica che viene data a questi fenomeni.
Di particolare interesse in questo contesto è il dibattito keynesiani-monetaristi sulla funzione della politica monetaria e sull'efficacia dei suoi canali di trasmissione. La condotta della politica economica, e soprattutto di quella monetaria, può essere etichettata come keynesiana o monetarista non tanto perché rappresentativa in termini operativi di schemi teorici divergenti, quanto perché è il risultato di un insieme diverso di strumenti, obiettivi intermedi e soprattutto obiettivi finali adottati e perseguiti. I disaccordi sostanziali hanno a che fare in realtà con le motivazioni e il ruolo da assegnare alle politiche di stabilizzazione.
Poiché gli obiettivi intermedi non sempre sono in grado di fornire informazioni con sufficiente frequenza e attendibilità, le autorità hanno introdotto − tra gli strumenti e gli obiettivi intermedi − un indicatore aggiuntivo, gli obiettivi operativi della politica monetaria e creditizia. Questi ultimi hanno la duplice caratteristica di fornire informazioni affidabili, anche nel breve termine, e di avere un collegamento stabile, di natura prevalentemente tecnica, con gli obiettivi intermedi menzionati in precedenza. A seconda delle circostanze, possono essere utilizzati come obiettivi operativi la base monetaria a disposizione delle aziende di c., le riserve libere delle aziende di c. o un tasso di interesse particolarmente indicativo dello stato di tensione dei mercati creditizi.
Le strategie. − Il modus operandi delle politiche del c. adottate in Italia dalle autorità monetarie è stato di volta in volta influenzato sia dalla scelta degli obiettivi finali che dalla struttura dei mercati monetari e creditizi. È possibile identificare tre strategie messe in atto dalle autorità dal 1966 a oggi.
a) La prima strategia − posta in essere dal 1966 ai primi anni Settanta − è articolata nel modo seguente: con l'ausilio di strumenti indiretti le autorità influenzano i tassi di interesse di alcuni titoli obbligazionari rilevanti (obiettivo operativo), e così stabilizzano i tassi di interesse a lungo termine (obiettivo intermedio), al fine di realizzare l'obiettivo finale (assicurare un adeguato finanziamento del processo di accumulazione del capitale e coprire il fabbisogno del Tesoro).
Effetto di questa politica di sostegno del corso dei titoli è l'accresciuta stabilità dei prezzi dei titoli stessi che ne aumenta la liquidità e l'appetibilità per il pubblico e ovvia alla deficienza strutturale dei mercati finanziari italiani, caratterizzati da un'insufficiente offerta di averi finanziari a breve termine. Le autorità monetarie perdono, tuttavia, il controllo dell'offerta di base monetaria, non consentono alle forze di mercato di operare liberamente nel mercato del c., mercato di cui finiscono con impedire un adeguato sviluppo, soprattutto nel comparto a breve termine. È da notare che misure di intervento dirette alla stabilizzazione dei tassi di interesse delle obbligazioni vengono abbandonate già tra la fine del 1969 e il 1970, quando l'aumento dei tassi di interesse interni e la successiva crisi petrolifera obbligano le autorità a sospendere gli interventi di sostegno delle quotazioni dei titoli.
b) La seconda è una strategia di emergenza, posta in essere − con fasi alterne − dalla primavera del 1974 sino alla fine del decennio. Lo schema operativo su cui si fonda è il seguente: con l'ausilio di strumenti di controllo indiretto e diretto del c., le autorità infuenzano l'obiettivo operativo base monetaria (liquidità) delle aziende di c. e l'obiettivo intermedio c. totale interno (cui si deve aggiungere, in subordine, l'obiettivo di mantenere una certa struttura a termine dei tassi di interesse), al fine di raggiungere l'obiettivo finale del riequilibrio della bilancia dei pagamenti.
Le autorità desiderano controllare il finanziamento complessivo che affluisce al settore pubblico e al settore privato al fine di limitare la loro possibilità di spesa e di riequilibrare i conti con l'estero. Esse cercano di frenare la tendenza del risparmio (delle famiglie) a rinunciare agli acquisti di titoli a lungo termine a reddito fisso a favore di impieghi più liquidi, come i depositi presso le aziende di credito. Questa tendenza è dovuta all'impatto negativo sulle aspettative dell'abbandono della politica di stabilizzazione dei tassi. Le autorità aumentano l'offerta di titoli a breve termine e impongono alle aziende di c. l'acquisto di nuove emissioni di titoli a reddito fisso meno liquidi, con l'ausilio di misure amministrative (i vincoli di portafoglio). Si cerca di contenere l'aumento dei tassi di interesse a lungo termine, affidando a variazioni dei tassi di interesse a breve il compito di riflettere le tensioni del mercato del credito. In linea di massima, tuttavia, è lecito affermare che i tassi di interesse nominali diventano scarsamente significativi come strumento di allocazione del c., a causa della rilevanza e della variabilità del tasso di inflazione.
c) La terza è una strategia di normalizzazione ed è stata progressivamente adottata dalle autorità monetarie italiane sin dai primi anni Ottanta. Essa continua ad avere come obiettivo centrale il contenimento del tasso di inflazione, obiettivo che le autorità intendono perseguire attraverso il controllo degli aggregati monetari.
Lo schema operativo secondo cui si articola è il seguente: con l'ausilio di strumenti di controllo indiretto le autorità influenzano l'obiettivo operativo base monetaria delle aziende di c. e così gli obiettivi intermedi c. totale interno (più precisamente la componente collegata con il finanziamento del settore non statale) e l'offerta di moneta M2, compatibilmente con gli obiettivi finali (tasso di attività adeguato e riduzione delle pressioni inflazionistiche). L'entità del fabbisogno statale impone progressivamente l'abbandono dell'obiettivo intermedio c. totale interno, che resta tuttavia un importante punto di raccordo tra politica monetaria e politica fiscale.
Anche in questo caso il meccanismo di trasmissione prescelto dalle autorità monetarie per il loro intervento agisce fondamentalmente attraverso il sistema bancario; anzi, le scelte di politica economica operate si rivelano efficaci proprio per la posizione centrale di tale sistema nel mercato monetario e finanziario.
Ne risulta una graduale introduzione di nuovi strumenti finanziari a breve e a lungo termine, la comparsa di nuove categorie di operatori non bancari, modifiche alla normativa fiscale e alle modalità di contrattazione, tutti elementi che favoriscono l'espansione dei mercati finanziari e tendono a migliorarne l'efficienza. I tassi di interesse riflettono con maggior precisione il gioco della domanda e dell'offerta di credito. Il risparmio si orienta verso questi mercati a discapito dei depositi bancari. Le autorità accompagnano questo ''processo di disintermediazione'' del c. con l'abolizione di vincoli di portafoglio imposti al sistema bancario. Esse controllano l'erogazione e il costo del credito con gli strumenti indiretti tradizionali. La necessità di finanziare il disavanzo dello Stato limita, tuttavia, la libertà di manovra delle autorità.
Per il c. vedi anche statistica del credito e monetaria, in questa Appendice.
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