CREMONA
Città della Lombardia, capoluogo di provincia, presso la riva sinistra del Po.La scelta del sito destinato ad accogliere il centro urbano di C., dedotta colonia nel 218 a.C. dai Romani insieme alla vicina Piacenza, fu suggerita dalla morfologia del terreno in rapporto al corso del Po, che, rispetto alla situazione attuale, passava più a settentrione. Il perimetro della città romana è ipoteticamente ricostruibile: il tracciato della cinta muraria è abbastanza sicuro verso N, dove scorreva la Cremonella (od. via Virgilio e via Battisti), a O (od. via Ruggero Manna e via Cesari) e a S (od. via Tibaldi); per quanto riguarda il limite orientale, dati archeologici di varia natura rendono probabile una sua collocazione lungo la via Antica Porta Marzia e la via Aselli, a definire una forma urbis che non presentava necessariamente un disegno geometricamente quadrangolare.Negli anni prossimi alla caduta dell'Impero romano alcune notizie testimoniano la vitalità della chiesa locale: è accertata la presenza del vescovo Giovanni al sinodo di Milano del 451; nel 501 Eustasius episcopus presenziò al quarto sinodo romano; un'iscrizione sepolcrale cristiana del 12 dicembre 537 ricorda poi uno Stefano lictor (CIL, V, 1, 1872, nrr. 4118-4119). La C. bizantina doveva conservare adeguate capacità organizzative e strutture difensive che le permisero di resistere ai Longobardi fino al 21 agosto 603, quando la città fu espugnata dal re Agilulfo e punita con la distruzione. Sotto i Longobardi C. non fu sede di ducato e il ricordo dell'antico municipium, dal punto di vista amministrativo, dovette essere tenuto vivo solo dalla funzione coordinatrice della diocesi. Durante il regno di Liutprando, la città padana costituiva già un mercato frequentato, soprattutto per il commercio del sale, ed era dotata di un porto. Mutato il clima politico, un primo atto di Carlo Magno (781) riguardò l'estensione della protezione e delle immunità regie alla chiesa di C., relativamente ai commerci della dogana e ai traffici sul Po. Il capitolare di Lotario I (825) relativo all'istituzione a C. di una scuola per le città di Reggio, Piacenza, Parma e Modena riflette una riacquistata vitalità non solo economica ed è il segno della rinascita culturale di ispirazione carolingia. A partire dalla fine del sec. 10° un violento contrasto impegnò la classe dei cives cremonesi, arricchitisi con il commercio, contro il vescovo, divenuto l'autorità più eminente nelle iniziative di protezione civile e militare della città, tra l'altro minacciata dalle incursioni degli Ungari. I contrasti di natura politica si intrecciarono con i conflitti religiosi, vivi soprattutto nella seconda metà del sec. 11°: i cives si unirono ai Benedettini e divennero propugnatori delle radicali istanze patariniche volte alla riforma della Chiesa romana, in un contesto non dissimile da quello milanese. Anche l'edificazione della chiesa di S. Agata (1077) e le nuove fondazioni monasteriali dal 1066 (S. Tommaso) al 1090 (S. Salvatore), donate alla Santa Sede o a Cluny, assunsero caratteri antiepiscopali.La concordia raggiunta tra i diversi ordini di cittadini alla fine del sec. 11° preludeva alla costituzione del Comune nel 1114; gli organismi amministrativi previdero, già nel 1118, un Arengo e un Consiglio della città, mentre tra il 1120 e il 1127 si arrivò all'istituzione dei consules e poi, dal 1182, del podestà. La vita comunale fu caratterizzata da una politica filoimperiale, nonostante un periodo di ostilità nei confronti di Federico I dal 1166 al 1175, quando i Cremonesi fecero parte della societas Lombardiae. Nel sec. 13° divenne sempre più rilevante, anche in ordine ad aspetti economico-amministrativi, la presenza degli Umiliati, accanto ai Gerosolimitani, ai Templari e ai Frati Gaudenti. La fazione ghibellina prevalse durante il regno di Federico II e nel periodo del dominio di Oberto II Pallavicino (1249-1266); la città divenne poi guelfa per quarantacinque anni, dopo l'istituzione di un Consorzio di fede e di pace (1267), finché nel 1311 i fuoriusciti del partito opposto rientrarono per l'intervento di Enrico VII. Insanabili lotte intestine segnarono il periodo successivo, terminato con l'annessione alla signoria milanese di Azzo Visconti (1334). I destini della città padana furono legati quindi alle fortune politiche dei Visconti fino a Gian Galeazzo, dal 1385 al 1402, cui seguirono le signorie locali di Ugolino Cavalcabò e Cabrino Fondulo (1403-1420).La continuità tra lo spazio urbano della città romana e l'area della città medievale è confortata da pochi dati archeologici: il mosaico del cortiletto del Torrazzo (in deposito presso il battistero) potrebbe collegarsi all'esistenza di una ecclesia, fra i secc. 4° e 5°, nell'area della cattedrale, che comprendeva spazi cimiteriali già nel sec. 6°; nel luogo dove sorge attualmente la basilica di S. Lorenzo sono testimoniati successivi insediamenti di carattere religioso, a partire dalla necropoli romana, attraverso la costituzione di una piccola cappella, documentata solo dalle fonti (Sicardo, Chronica; MGH. SS, XXXI, 1903, p. 159), fino alla fondazione monasteriale (986) voluta dal vescovo Odelrico. La città tardoantica fu distrutta nel 603, ma già nel sec. 8° è documentata l'esistenza di un porto (Vulpariolo) e di una dogana; in relazione alle invasioni degli Ungari e alle loro distruzioni, nel sec. 10° sono testimoniate mura, porte, postierle e torri (Le carte cremonesi, 1979-1988, I, nr. 44).Dal 902 l'amministrazione della giustizia fu di esclusiva competenza vescovile nell'ambito della munitiuncula, una struttura fortificata all'interno delle mura cittadine, cui vennero annesse due torri. Civitas per antonomasia e punto di riferimento qualitativo per il centro altomedievale, la munitiuncula, entro un perimetro murario con quattro porte probabilmente più ristretto di quello romano, comprendeva il palazzo vescovile, gli edifici sacri "infra terminos matricis ecclesiae" (tra cui le due chiese cattedrali di S. Maria e di S. Stefano, testimoniate dagli anni 774-800; Gualazzini, 1968), le case canonicali e i cimiteri cristiani.Alla fine del sec. 10°, in un'area suburbana prossima a paludi, la fondazione del complesso monastico benedettino di S. Lorenzo (986) preludeva a interventi di bonifica finalizzati alla creazione di nuovi quartieri nella zona sudorientale della città e costituisce un episodio significativo della riorganizzazione del tessuto urbano tra il 10° e l'11° secolo. Al fenomeno non furono estranee, nella prima metà del sec. 11°, la distruzione dell'antica cittadella vescovile, in precedenza ulteriormente fortificata (Le carte cremonesi, 1979-1988, I, nr. 169), e, prima del 1037, la conseguente costruzione di una Civitatem Maiorem da parte dei Cremonesi. In quest'ultima furono inclusi i sobborghi formatisi a E, S-E, N-E e S-O, anche su terreni un tempo bagnati dal Po; nel sec. 11° l'ampliamento urbano si estese soprattutto a N-O, nella c.d. Città Nuova, dove fin dal sec. 10° esisteva la chiesa di S. Silvestro (927). Altro segno evidente del fenomeno è l'incremento edilizio, soprattutto di natura religiosa: le chiese di S. Vittore, riedificata nel 1021, S. Lucia, che figura già esistente nel 1035, S. Agata, fondata nel sobborgo fuori porta Pertusio (1077), il monastero di S. Giovanni Evangelista, fuori porta S. Lorenzo (1079), S. Vitale, citata nel 1088, nel sobborgo fuori porta Natali. La costruzione di nuovi quartieri intorno a queste e ad altre chiese suburbane nella prima metà del sec. 12° portò a edificare un nuovo perimetro murario dal 1169 al 1187. All'inizio dello stesso secolo, nell'area dell'antica cittadella vescovile, era iniziata la costruzione di una nuova cattedrale (1107), interrotta per il grande terremoto del 1117 e ripresa nel 1129; nel 1196 il vescovo Sicardo consacrava l'altare dei patroni ss. Archelao e Imerio. Dal 1152 si hanno riferimenti documentari al palatium episcopi (o palatium civitatis) e solo verso la fine del secolo (1193 e 1194) è citato il palazzo dei Consoli. La frammentazione partitica, l'espansione economica e l'accresciuta articolazione sociale si tradussero, per la vita del Comune, in una politica urbanistica destinata a offrire riferimenti architettonici diversi per il potere civile ed ecclesiastico, che tuttavia razionalmente si divisero lo spazio, fronteggiandosi, nella platea maior. Quest'ultima era stata intanto interessata dall'edificazione del battistero, iniziato nel 1167; verso la fine del sec. 12° e agli inizi del successivo si costruirono le chiese di S. Lorenzo e S. Michele. In un secondo momento la divisione tra milites e populares connotò l'evoluzione del tessuto urbano medievale di C. in rapporto ai due nuclei, ancor oggi ben individuabili, delle piazze del Duomo e di S. Agata: da una parte la costruzione del palazzo del Comune (1206), poi ampliato di altri bracci verso il 1245, cui si affiancò in seguito la loggia dei Militi (1292); dall'altra l'edificazione del palazzo Cittanova (1256).L'ampliamento della città proseguì durante i secc. 13° e 14° con la creazione di nuovi borghi al di fuori delle porte: all'interno la struttura urbana si veniva arricchendo grazie ai complessi conventuali dei Francescani (fine del sec. 13°), dei Domenicani (in città dalla fine del sec. 13°) e degli Agostiniani (1339), mentre gli Umiliati svolgevano un ruolo attivo anche in rapporto all'organizzazione del tessuto cittadino (cinque case nel 1298); al terzo decennio del sec. 13° risale la prima fase della costruzione della torre campanaria, il c.d. Torrazzo, che completò la fisionomia della platea maior.In attesa di una lettura più meditata dei reperti della prima fase altomedievale recentemente emersi nella chiesa dei Ss. Vitale e Geroldo (tracce di una piccola aula forse dei secc. 8°-9°), i resti del corpo orientale di una delle due chiese rifondate dal vescovo Odelrico intorno al 986 nell'ambito dell'erigendo monastero di S. Lorenzo aprono il capitolo dell'architettura medievale cremonese. Una frammentaria cripta ad aula con pareti laterali incise da supporti di sezione rettangolare in funzione della copertura, insieme agli estradossi di due absidi relative alla costruzione, riportano alla tipologia delle soluzioni cruciali adottate tra i secc. 10° e 11° nell'area padana e nell'arco alpino. Quanto rimane delle absidi maggiore e minore di un secondo edificio precedente la chiesa dei Ss. Vitale e Geroldo costituisce un esempio di architettura minore romanica del primo quarto del 12° secolo.I pochi resti architettonici fin qui indicati informano sulle esperienze architettoniche che precedettero o furono contemporanee alla fase romanica della cattedrale, il cui aspetto attuale è il risultato di numerosi interventi che hanno modificato fisionomia e icnografia del primo progetto realizzato negli anni tra il 1107 (data della lapide di fondazione con i profeti Enoch ed Elia) e il 1117, quando il terremoto interruppe e rovinò in gran parte la fabbrica. In questa fase la chiesa presentava sostegni a sistema alternato e, a seconda delle ipotesi, volte esapartite oppure copertura a capriate senza archi trasversi. Secondo alcuni studiosi l'edificio fu irrimediabilmente distrutto e quindi ricostruito ex novo nel terzo decennio del sec. 12° (Cochetti Pratesi, 1974; 1979, pp. 70-92); per altri invece si sarebbero utilizzate parti superstiti della prima fabbrica (Porter, 1915-1917, II, pp. 380-386; Quintavalle, 1973, pp. 123-144; 1991, pp. 194-213). In ogni caso la ripresa dei lavori nel 1129 e altri interventi alterarono successivamente la struttura, che si caratterizzò per un diverso disegno del triforio e per il tetto a capriate con archi trasversi; il cleristorio della navata centrale era poi costituito da alte finestre al centro di ogni campata. L'ulteriore modifica della copertura, con l'erezione delle volte costolonate, daterebbe ai primi decenni del sec. 13° oppure, secondo un'ipotesi recente (Autenrieth, 1992, p. 370), al 1383. Rispetto all'esistenza del transetto sono state avanzate concrete indicazioni a sostegno della tesi che questa parte della cattedrale fosse già stata prevista, o almeno parzialmente eseguita, nel 12° secolo. In quello stesso secolo e nel 14° fu inoltre predisposto un preciso piano di arricchimento cromatico dell'orditura muraria.I resti dell'abside centrale e i reperti musivi del Camposanto confortano l'ipotesi dell'esistenza di un secondo edificio parallelo al duomo romanico, probabilmente con funzioni di doppia cattedrale, già nel primo decennio del 12° secolo. La cultura architettonica testimoniata nella fase romanica della cattedrale cremonese ha suggerito legami con il duomo di Modena e anche, attraverso comuni soluzioni strutturali riscontrabili nelle cattedrali di Parma e Piacenza, richiami all'architettura anglonormanna, non disgiunti da influssi renani.La facciata attuale fu in sostanza elaborata tra gli inizi del Duecento, in rapporto con le maestranze antelamiche, e il principio del Trecento; imprese tardoduecentesche (protiri della testata nord del transetto e della facciata, rosone di quest'ultima) sono attribuibili allo stesso architetto-scultore, Giacomo Porrata, ricordato nella lapide del 1274 relativa al rosone; inserendosi in una cultura architettonica genericamente emiliana, egli modellò lo spazio attraverso la modulazione della parete marmorea. Nel transetto, eretto in due tempi (1288 e 1342), gli artefici rivelano formazione e interessi culturali affini, in rapporto a una tradizione costruttiva schiettamente cremonese, evidenziati nella cromatica smaterializzazione della parete in cotto, soprattutto nelle due fronti.Una più attenta considerazione e rilettura delle soluzioni costruttive ha permesso di valutare la sapienza tecnico-strutturale dei maestri che progettarono e realizzarono il battistero, iniziato nel 1167, ma interessato da interventi eseguiti nella seconda metà del sec. 16°: nell'edificio è soprattutto evidenziata la coerenza di un sistema basato sul "gioco concatenato [...] di due diversi ma coordinati gusci murari, quello interno e quello esterno" (Peroni, 1979, p. 9), che prepara l'impostazione della cupola a otto spicchi e si conclude nella struttura a fornici impiegata nell'intervallo tra la cupola stessa e l'estradosso piramidale. Tale sistema di copertura porta a compimento aspetti tecnici e formali ampiamente esemplificati in Lombardia (per es. il tiburio della chiesa di S. Michele a Pavia) almeno dal principio dell'11° secolo.Se nel battistero cremonese la scelta dei fornici si inserisce chiaramente in un sostrato di cultura architettonica d'ambito lombardo, un gruppo di chiese - S. Lorenzo, S. Michele, S. Lucia, S. Omobono, S. Vincenzo (le ultime tre solo in parte degli inizi del sec. 13°) - esprime una versione autonoma, tipicamente locale, nella soluzione c.d. a beccatelli dei fornici absidali, aspetto morfologico e insieme funzionale che risolve il passaggio tra l'estradosso di una semicalotta e la verticalità della parete esterna. L'antico interno delle chiese di S. Lorenzo (fine sec. 12°) e di S. Michele (inizi sec. 13°) recupera il tradizionale schema basilicale a tre navate ripartite da colonnati, originariamente non voltato, con cripta a oratorio sotto il presbiterio (nel primo caso chorus psallentium benedettino; Voltini, 1987b, p. 138).Nei pronunciamenti critici più avvertiti riguardanti il Torrazzo si sono indicati gli accenti pittorici, ben radicati nella tecnica laterizia cremonese (Romanini, 1964, I, pp. 224-228; Puerari, 1971, pp. 68-72); dopo averne individuato la derivazione dalla tipica torre campanaria della tradizione romanica lombarda - tra l'altro ben testimoniata in versione cremonese nel campanile di S. Agata, della seconda metà del sec. 12° - il monumento è stato proposto come esempio di un tipo architettonico nuovo per la Lombardia, la torre-guglia (fine sec. 13°-inizi 14°). La revisione dei riferimenti cronologici più divulgati ha distinto quattro fasi nello sviluppo della costruzione: una prima anticipata al terzo decennio del sec. 13°, una seconda al 1250-1267, una terza verso il 1284, come raccordo per la quarta fase, rappresentata dalla guglia marmorea terminata entro il 1305.Nella chiesa di S. Luca, più volte rimaneggiata, le parti medievali di sapore gotico richiamano la spazialità nitida e il "compatto percorso rettangolare" tipici dell'architettura lombarda tardoduecentesca (Romanini, 1964, I, p. 154); il prolungamento verso O e l'ossatura sostanziale della facciata a capanna, originariamente con due occhi laterali 'a cielo', appartengono ai primi del Trecento. Evidenti affinità con S. Luca rivela la chiesa di S. Agostino, per quanto è possibile riconoscere dell'edificio trecentesco, la cui immagine ideale restituisce un edificio 'a sala' coperto da tetto a vista di schietto sapore padano; la facciata a vento in cotto, eseguita tra il 1339 e il 1345, presenta indiscutibili rapporti con i prospetti del transetto della cattedrale cremonese, analogie presenti anche nei resti inediti di aperture appartenenti all'antico chiostro trecentesco.Diversi caratteri culturali si colgono nelle parti gotiche riconoscibili della basilica di S. Francesco, eretta dai Minori alla fine del sec. 13°, in origine delineata con una pianta rettangolare e conclusione orientale a croce. Gli accenti marcatamente emiliani, confermati anche dai caratteri spaziali e dall'accentuata verticalità, si evidenziano in particolare nelle ampie volte quadrangolari a crociera archiacuta, che denunciano un legame diretto con la cultura nordica.La difficoltà di lettura degli elementi medievali nel palazzo del Comune, del 1206, ampliato verso il 1245 e ancora rimaneggiato nella seconda metà del sec. 15° e nel 16°, fino all'ultimo intervento del 1838, a opera di Luigi Voghera, è analoga a quella del palazzo Cittanova, del 1256, ma pesantemente alterato nella parte superiore durante il 19° secolo. In entrambi i casi, l'attuale condizione permette comunque di riconoscere caratteristiche riferibili alla metà del Duecento e almeno di rintracciare, all'origine, l'adozione del modulo e del tracciato rettilinei, a pianta semplice e forme squadrate, di ascendenza cistercense.Pur nella ripresa di uno schema identico ai primi broletti lombardi, la loggia dei Militi (1292) esprime nuovi rapporti luministici tra le membrature, insieme ad aspetti della cultura locale, e costituisce un interessante esempio di architettura comunale, avviata a trasformarsi in signorile, nella Lombardia del tardo Duecento.I resti inediti di elementi architettonici emersi recentemente nella chiesa di S. Vitale presentano aspetti gotici, di tipica fattura lombarda, nei frammenti di modanature in cotto modellate a stampo, e si inseriscono nella tradizione laterizia cremonese di raffinata elaborazione della parete per i minuti inserti decorativi e le accurate stilature: i reperti sono orientativamente assegnabili al terzo quarto del 14° secolo.La prima testimonianza della scultura medievale cremonese è rappresentata dai cinque capitelli di varia tipologia decorativa, reimpiegati nella più tarda cripta di S. Michele e assegnabili a epoca longobarda (seconda metà sec. 7°-inizi 8°) per analogie con opere di scultura e oreficeria, in particolare con i capitelli di S. Giorgio in Valpolicella. Al sec. 11° vanno riferiti alcuni frammenti erratici, murati all'esterno della facciata principale della cattedrale, unitamente alle formelle figurate, a sinistra del protiro centrale, avvicinate alla corrente comasco-veronese. Sono questi gli esempi riferibili al probabile corredo scultoreo della cattedrale prima della decorazione plastica romanica, per la quale i problemi di definizione cronologica e stilistica si sono sempre presentati complessi e tuttora aperti, legati come sono alla discussione riguardante l'architettura. Per la creazione più alta, costituita dalle lastre con i quattro profeti del portale maggiore, cronologicamente attestati tra il 1007 e il 1117, sono state avanzate diverse proposte: per alcuni riconducibili all'attività di uno scultore a conoscenza del plasticismo wiligelmico rinserrato nella geometria delle forme aquitaniche, il Maestro dei Profeti (Salvini, 1951, pp. 157-159), per altri sono attribuibili, seppure in termini diversi, alla mano dello stesso Wiligelmo dopo l'esperienza modenese (Porter, 1915-1917, II, p. 387; Quintavalle, 1984, pp. 821-829), oppure inseriti in una vasta rete di relazioni con opere appartenenti ad aree culturali del mondo germanico e testimoniate nella plastica dell'Italia settentrionale da esempi come il pulpito di S. Giulio d'Orta (Cochetti Pratesi, 1976b, pp. 35-53). Sempre a premesse wiligelmiche, con riflessi del Maestro del Portale dei Principi secondo alcuni o, secondo un altro orientamento, allo stesso Wiligelmo, andrebbe ricondotto un importante nucleo di sculture, comprendente Enoch ed Elia, che reggono la lapide di fondazione, i due telamoni e le due mensole del portale maggiore, i simboli degli evangelisti, i due episodi della Genesi e i fregi con tralcio abitato. La maniera del Maestro della Pescheria è stata individuata in un leone nel sottoportico di facciata e in un'acquasantiera, già messa in relazione con i rilievi dei paratici del duomo di Piacenza. L'architrave con Cristo e gli apostoli è stato assegnato a Wiligelmo, oppure messo in relazione con la bottega di Niccolò, nella prima fase di ricostruzione (1135-1140). L'intervento dello stesso Niccolò si riscontrerebbe nelle statue dei c.d. Baldes e Berta, più probabilmente Adamo ed Eva (in deposito presso il palazzo vescovile; Quintavalle, 1991, pp. 216, 467), per le quali si era precedentemente proposto il riferimento agli anni 1140-1150, leggendovi il dissolvimento dello stile di quest'ultimo scultore.Le opere del Maestro della Lunetta (così detto dalla lunetta conservata a Milano, Castello Sforzesco, Civ. Raccolte d'Arte Antica), attivo nella cattedrale tra il 1107 e il 1117, evidenziano una cultura eclettica, tra suggestioni wiligelmiche, consuetudini lombarde e riflessi borgognoni; dal suo catalogo andrebbero tuttavia espunti i capitelli con telamoni e aquila, cinque cariatidi e arieti con sirena, le figure dell'angelo e del leone, che, presentando elementi formali di origine oltralpina e tedesca, affini tra l'altro ai capitelli della collegiata di S. Orso ad Aosta, rendono proponibile una datazione tra il 1140 e il 1150. Da affiancare alla decorazione plastica della cattedrale sono i due picchiotti in bronzo con protomi leonine (Tesoro della cattedrale), degli inizi del sec. 12°, provenienti dal battistero e inseribili nell'ambito della produzione in metallo italo-settentrionale, cui non sono estranei riferimenti formali alla tradizione mosana.Sempre di provenienza erratica sono altre sculture inserite nel portale nord: l'Angelo annunciante, variamente datato al 1107-1117 o al 1180-1190, e l'Annunciata, che per alcuni presenta evidenti notazioni campionesi (fine sec. 12°; Puerari, 1971, p. 92), mentre per altri è opera decisamente più tarda (seconda metà sec. 13°; Quintavalle, 1973, p. 158).Piuttosto limitate sono le testimonianze scultoree del sec. 12° non legate alla fabbrica della cattedrale: databili tra l'ultimo trentennio del sec. 12° e gli inizi del 13°, i capitelli del battistero e delle chiese di S. Michele e S. Lorenzo si inseriscono in un fenomeno di continuità e di rinnovamento della tradizione riscontrabile nella valle del Po e della Loira a partire dal sec. 11°; un'inedita formella raffigurante una mano benedicente tra due angeli, murata all'esterno della chiesa di S. Pietro, è molto vicina al Maestro della Lunetta di S. Vito, conservata al Mus. Civ. Ala Ponzone (metà sec. 12°-1180), nella ripresa di modi niccoleschi. L'arcangelo Gabriele, già sulla cupola del battistero (oggi nella cattedrale, sala del Capitolo), è opera in bronzo, probabilmente di maestro lombardo, databile tra i secc. 12° e 13° (Toesca, 1993, pp. 312-313).Al primo decennio del Duecento è da assegnare il ciclo dei Mesi del protiro centrale della cattedrale, già ritenuto di Benedetto Antelami, ma più adeguatamente riferibile ai modi meno plastici di un collaboratore, riconosciuto nel Maestro dell'Arca di Abdon e Sennen: peculiare è qui la scelta iconografica nella combinazione diretta di Mesi e Costellazioni. La stele raffigurante il vescovo Sicardo che s'interpone tra i Mesi è degli anni successivi al 1215 e alla stessa epoca, ma come opera di un debole imitatore di Benedetto Antelami, appartengono le due sculture raffiguranti il vescovo Sicardo e s. Omobono della chiesa di S. Omobono. Notevole per i caratteri formali che la isolano dalle sculture citate è la Madonna annunciata, nella facciata del transetto meridionale, opera di un artista nella cui cultura sono presenti ricordi della romanità e influssi della ricerca post-chartriana nell'Ile-de-France; a essa fa invece riscontro un arcangelo Gabriele d'impronta nettamente antelamica.Ancora attorno alla cattedrale si sviluppò, verso il 1270, l'attività di maestri tardocampionesi; sono opera della loro bottega i leoni stilofori del portale principale e i due laterali della tribuna del protiro, attribuiti a Giambono da Bissone, nonché le protomi scolpite in caduta d'arco nelle gallerie esterne in facciata e sulle pareti della navata e dei transetti. Di Giacomo Porrata è la costruzione del rosone (1274), dove, tra i vari motivi decorativi che ne impreziosiscono la composita struttura, si distinguono il tralcio intercalato da animali simbolici e le statuette ricavate dai conci dello sguancio interno; allo stesso scultore andrebbero riferiti i simboli evangelici e la Madonna con il Bambino, murati sulla facciata del protiro principale.Nella tribuna dello stesso protiro, di eccezionale livello espressivo, sono le statue di S. Imerio, la Madonna con il Bambino, S. Omobono: le proposte che ne riferivano l'esecuzione a Giovanni di Balduccio (Venturi, 1906; Baroni, 1944, p. 84) o a Gano da Siena (Valentiner, 1947) sono state convincentemente superate con l'attribuzione a Marco Romano (Previtali, 1983). Databili ai primissimi anni del sec. 14°, in rapporto all'episcopato cremonese di Ranieri del Porrina, e quindi tra le sculture più antiche del grande artista insieme alle teste del duomo di Siena, esse testimoniano una fase della sua formazione caratterizzata dalla conoscenza della scultura monumentale delle cattedrali nordiche, che s'accompagna a uno degli elementi più tipici del suo stile, "la straordinaria capacità di resa naturalistica dei volti intensamente ritrattistici" (Previtali, 1983, p. 51). Più tardi sono due sarcofagi inseriti sotto il portico della facciata principale: il primo, raffigurante un lettore seduto, avente ai lati S. Caterina d'Alessandria e S. Tommaso, è opera di un artista ispirato ai modi campionesi (ca. 1320-1330); il secondo, il sarcofago di Folchino Schizzi, è datato 1357 e firmato da Bonino da Campione. Insieme al contemporaneo bassorilievo rappresentante la Madonna con il Bambino e santi e alla Pietà, conservati nella chiesa di S. Agostino, questo sarcofago evidenzia i contatti dell'artista con Giovanni di Balduccio e il gusto lombardo, nella fase preveronese della sua produzione; allo stesso periodo è assegnabile la Madonna del Popolo, scultura lignea del duomo.Nell'esiguo catalogo della pittura medievale cremonese ancora in situ, i frammenti dipinti con motivo a finte crustae conservati nella chiesa di S. Lorenzo, del tempo di Odelrico (inizi sec. 11°), e nella cattedrale, all'inizio del braccio nord del transetto (prima metà sec. 13°), rappresentano un esempio della continuità di questo linguaggio pittorico, di estrazione tardoantica, attraverso il protoromanico e fino al Romanico. Ai primi decenni del sec. 13° si possono attribuire le parti rimanenti di una Maiestas Domini, bordata nella parte inferiore con una fascia decorativa a girali, nel catino dell'abside settentrionale di S. Lorenzo: nel dipinto si individua il fare di un artista che, pur memore degli apporti iconografici romanici, ha assorbito elementi di cultura figurativa provenienti da Venezia, temperati da atteggiamenti caratteristici del goticismo miniatorio.All'interno della cattedrale un dipinto semicoperto raffigurante la Madonna con il Bambino presenta analogie con gli affreschi del battistero di Parma ed è databile alla seconda metà del 13° secolo. Nella cattedrale si trova anche un secondo affresco con santo kephalóphoros, che va riportato all'ultimo decennio del sec. 13°, proponendosi nel particolare della testa un'eco locale dell'influenza cimabuesca nell'Italia settentrionale. Una serie di dipinti murali del palazzo del Comune si dovrebbero assegnare alla fine del sec. 13°: un S. Cristoforo, la Madonna fra santi, i Ss. Omobono e Imerio, costruiti in base a schemi bizantini su cui s'innestano stilemi d'estrazione tardoromanica, nonché una Crocifissione più aggiornata, dove i moduli romanici sono rinnovati da un descrittivismo più nervoso di matrice goticheggiante.Allo scadere del Duecento emerge la personalità geniale del Maestro di S. Agata, anonimo artista che trae il nome dalla tavola-reliquiario conservata nell'omonima chiesa cremonese, raffigurante sulla fronte la Madonna con il Bambino e la Pentecoste e sul verso Storie della santa. Il linguaggio dell'artista, pur partendo da elementi formali di derivazione bizantina, è caratterizzato da vigoroso realismo e da accese note cromatiche. A conoscenza della più matura esperienza cimabuesca il Maestro di S. Agata elabora tuttavia una nuova lingua non in linea con quella giottesca. I pronunciamenti critici riguardanti l'icona hanno proposto due chiavi di lettura diversamente orientate, ora segnalandone la relazione con l'ambiente fiorentino, ora sottolineando nel dipinto una cultura influenzata da opere venete, anche tributaria dei moduli di goticizzazione cromatica della forma bizantina, caratteristica del gruppo di codici padovani e germanici in rapporto con l'Epistolario di Giovanni da Gaibana (1259; Padova, Bibl. Capitolare). In questo ambito le immagini miniate della Bibbia detta di Corradino (Baltimora, Walters Art Gall., Walters 152) costituirebbero l'anello mediano tra le miniature del gruppo di Giovanni da Gaibana e la tavola di S. Agata.Agli inizi del Trecento, i resti del Giudizio universale affrescato nell'abside di S. Michele si discostano dalle forme passivamente bizantineggianti, rivelando accenti francesizzanti e note ispirate a un vivo naturalismo, che hanno motivato il collegamento con le miniature di scuola bolognese. Allo stesso periodo è attribuibile il frammentario dipinto sotto il portico del palazzo del Comune, raro esempio di pittura civile a Cremona. Sempre nella chiesa di S. Michele, una Natività, già datata verso la fine del Trecento, andrebbe anticipata agli anni successivi alla metà del sec. 14°: l'affresco, strappato, s'inserisce nella tradizione figurativa del realismo lombardo per l'attenta rappresentazione della verità episodica. L'affresco della Madonna con il Bambino nella chiesa di S. Agostino, per il quale è stata proposta una datazione al terzo quarto del sec. 14°, presenta delicata cromia e ampio modellato, che hanno spinto la critica a richiamare lo stretto rapporto con la 'maniera dolce e unita' diffusa in Lombardia attraverso i cicli pittorici degli oratori viscontei di Mocchirolo, Lentate e Solaro; ad altro contesto culturale rimanda invece l'attribuzione del dipinto a Stefano da Ferrara.La pittura figurativa trecentesca della cattedrale è rappresentata anzitutto da esempi sparsi: sull'imposta della volta antistante il catino absidale, una Madonna con il Bambino e un devoto del 1370, restaurata da Boccaccio Boccaccino nel 1507, evidenzia nelle parti originali aspetti della pittura postgiottesca lombarda; un frammento d'affresco con testa di S. Michele dell'ultimo decennio del sec. 14° ricorda invece vagamente i modi di Giovanni da Milano.Non destinato alla decorazione dell'interno, ma di grande interesse per la sua rarità, è il più cospicuo tra gli schizzi architettonici (parete orientale del transetto sud, sottotetto), rappresentante un arco polilobato e un rosone; ne è stata proposta una datazione alla fine del Trecento. Tracce di pittura architettonica, con stelle rosse su fondo bianco, lungo le pareti longitudinali e sulle vele delle volte sono i resti della decorazione probabilmente eseguita dopo il 1383.Assai sensibile è la differenza qualitativa che si riscontra tra gli artisti attivi nella chiesa dei Ss. Vitale e Geroldo nell'ultimo quarto del sec. 14°: alcuni dipinti rappresentano un'eco periferica della cultura neoromanica lombarda, altri evidenziano soluzioni tardive in rapporto ai modi dei maestri giotteschi 'riformati'. L'idea di un progetto decorativo unitario è fornita dall'interessante ciclo non completo - con Storie di Abramo, Isacco, Giacobbe e Giuseppe Ebreo - eseguito sulle volte delle navate minori del transetto della cattedrale, a N e a S. Nei dipinti, collegati allo stile di Giovannino de' Grassi, si è individuata la presenza di più maestri ispirati a diversi orientamenti stilistici: gli episodi d'impronta più realistica si avvicinano alla cultura del Tacuinum sanitatis di Vienna (Öst. Nat. Bibl., Ser. nov. 2644) e alle miniature del Theatrum sanitatis (Roma, Casanat., 4182); altri interventi, per lo slancio delle figure, rimandano al Tacuinum di Parigi (BN, nouv. acq. lat. 1673) e al ciclo di S. Maria dei Ghirli a Campione, datato 1400. La datazione dei dipinti del transetto della cattedrale di C., in passato assegnati all'ultimo quarto del sec. 14°, slitterebbe così agli inizi del Quattrocento.Dei due mosaici pavimentali conservati nella sede originaria compresa nell'area della cattedrale, quello del Camposanto è stato oggetto di maggior attenzione critica e ha sempre dato luogo a divergenti opinioni circa la sua collocazione cronologica, dal 6°-7° all'8°-9°, all'11° secolo. L'individuazione di precise analogie linguistiche con i mosaici delle chiese francesi di Sorde-l'Abbaye (dip. Landes), del primo quarto del sec. 12°, e di Lescar (dip. Pyrénées-Atlantiques), del 1115-1140, ha infine suggerito una datazione al secondo quarto del 12° secolo.Quanto alla produzione miniatoria cremonese, le personificazioni dei Mesi e delle Costellazioni contenute nel Martyrologium Adonis (Cremona, Bibl. Capitolare), scritto nel 1180, sono ispirate alle miniature borgognone e cistercensi. La Bibl. Statale conserva un nucleo di codici miniati medievali tutti provenienti dalla biblioteca del convento degli Eremitani di s. Agostino. Nell'arco del periodo compreso tra il sec. 12° e la fine del Trecento, i caratteri della decorazione dei codici testimoniano diverse aree di produzione italiane e straniere.Tra i materiali d'epoca medievale conservati nel Mus. Civ. Ala Ponzone le sculture in marmo, in pietra, in stucco e in terracotta costituiscono la parte più rilevante. Due frammenti d'ambone e di pluteo del sec. 9° presentano motivi largamente diffusi nell'Alto Medioevo, come la coda di pavone o le volute a nastro strigilato; a modelli wiligelmici o niccoleschi andrebbero riportate due immagini dell'Agnus Dei, assegnate agli anni 1120-1130. Al Maestro della Lunetta si devono riferire una pila lustrale con angeli tibicini e uomini risorgenti, dove alcune figure sono analoghe al capitello con ignudi del matroneo della cattedrale, mentre alla sua officina è assegnabile un capitello con tre immagini demoniache. Per una pila lustrale con tre figure femminili e una maschile sono stati variamente ipotizzati riferimenti con la scultura comasco-veronese (fine sec. 11°; Puerari, 1971, p. 78; Museo civico, 1976, p. 51), rapporti con l'ambito del Maestro della Lunetta (1150-1160; Cochetti Pratesi, 1976a, p. 218), oppure la mano di un artista lombardo ispirato a modelli wiligelmici. Echi della scultura piacentina, nella direzione della ripresa di forme niccolesche, denuncia la lunetta con Storie della vita di s. Vito (1150 o 1180); influenze wiligelmiche (1107-1115) o riferimenti a Niccolò (seconda metà del sec. 12°) sono stati individuati nel bassorilievo con Storie di Abramo (Zanichelli, 1983).Il catalogo delle terrecotte altomedievali comprende interessanti testimonianze del sec. 8°: due formelle rappresentanti scene di ordalia; una testina altomedievale, collegabile alla tipologia stilistica delle figure nell'Adorazione dei Magi dell'altare di Ratchis; un Agnus Dei reggicroce che trova riscontri con i manoscritti altomedievali di area anglosassone e irlandese. Cospicui sono gli elementi decorativi in cotto, sempre di pertinenza architettonica (archivolti, ghiere, soprarchi), che sono il segno di una raffinata attività tra l'11° e il 14° secolo. I frammenti di stucco (inizi sec. 11°), di varia tipologia decorativa, provenienti da S. Lorenzo e il corredo plastico dell'antico edificio di Odelrico trovano analogie nelle testimonianze più significative d'ambito lombardo (per es. S. Ambrogio a Milano, S. Maria di Lomello, S. Pietro al Monte a Civate). Provenienti dalla prima chiesa romanica di S. Agata sono due resti di mosaico pavimentale cronologicamente riferiti alla fine dell'11° o alla seconda metà del 12° secolo. Non irrilevante la qualità degli avori: il dittico dei Ss. Acacio e Teodoro, già ritenuto copia medievale di modelli tardoantichi eseguita tra i secc. 10° e 12°, è stato collegato alla cultura degli avori salernitani e datato all'ultimo terzo del sec. 11°; analoga cronologia e stesso luogo di produzione sono stati individuati in una placchetta eburnea con Cristo tra un angelo e un santo martire; un gruppo di avori con vari soggetti sacri è datato al 14° secolo.Nel Mus. Civ. Ala Ponzone è conservata inoltre una serie di affreschi databili al sec. 13°, riportati su tela, un tempo appartenenti a chiese cittadine demolite o trasformate (S. Mattia, S. Francesco); è comune l'imitazione di modelli bizantini stancamente ripetuti e non sempre compresi nella loro essenza, ravvivati tuttavia in qualche caso da inserti occidentali e apporti formali d'estrazione romanica. Al secolo successivo sono poi da riferire altri affreschi riportati, fra cui una Madonna con il Bambino e s. Omobono (seconda metà del sec. 14°), di un pittore influenzato dalla miniatura lombarda del Trecento dopo Giovanni da Milano, e un frammento con due teste di santi, che volgarizza i caratteri della cultura postgiottesca settentrionale unitamente a influssi riminesi. Un S. Francesco bizantineggiante è assegnabile ai primi decenni del Trecento, così come un'intensa Madonna con il Bambino, in cui lo stile debitore della miniatura emiliana e il bizantinismo in evoluzione sono avvicinabili al maestro che decorò la fascia inferiore del battistero di Parma. Due tavolette con S. Caterina e S. Giovanni Battista, S. Antonio Abate e S. Cristoforo, provenienti da collezione privata, sono attribuite a Bartolo di Fredi.
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