Cremona
Quando Federico II raggiunse per la prima volta Cremona alla fine di luglio del 1212, dopo una drammatica cavalcata al guado del Lambro, la città comunale era una delle più potenti della Pianura Padana, seconda solo a Milano, con la quale da decenni competeva per controllare la grande via d'acqua del Po e i commerci dell'intera Lombardia, nonché per l'espansione politica sulle rive dell'Adda. I cremonesi, sin dal tempo di Federico I, avevano appoggiato la politica imperiale e avevano aiutato il sovrano durante l'assedio e la distruzione di Crema e di Milano. Simili fatti avevano accentuato gli odi tra le due città, ma avevano anche creato una stabile rete di amicizie con altri centri urbani, con i quali Milano e Cremona si erano alleate, scambiandosi i podestà e intervenendo militarmente in caso di guerra.
Il sistema cremonese di alleanze, potenziato da una classe dirigente politica molto accorta, si fondava sullo stabile asse d'intesa con Parma. A loro volta le due città si ponevano come mediatrici delle contese tra Modena e Reggio, le quali rimasero sempre alleate di Cremona. In secondo luogo i cremonesi strinsero a partire dal 1191 trattati di reciproco aiuto militare, in momenti di bisogno, con Pavia e Bergamo, legando così i due comuni allo schieramento antimilanese. Infine un sistema temporaneo di accordi, studiati di volta in volta dalla diplomazia cremonese, permise alla città di avere rapporti d'intesa con Verona e con Mantova, e limitatamente ai milites anche con Brescia. Entro questo sistema di alleanze occorrerà inserire le vicende politiche e sociali di Cremona tra il 1210 e il 1250, anno della morte di Federico II.
Sino al 1215 la vita politica della città fu fortemente influenzata dall'azione del vescovo Sicardo, che nel marzo 1210, intitolandosi episcopus et comes, ma anche "legato della sede apostolica per predicare e instaurare la pace in Lombardia" (Codex diplomaticus Cremonae, 1898, nr. 111, pp. 215-217), propose un lodo per evitare le guerre civili in città. Era infatti in corso una vivace lotta tra il comune, controllato dai nobili, e la Societas populi, che contava nelle sue file i cives, i mercanti, gli artigiani e gli operai, quasi tutti residenti nella 'città nuova', presso la chiesa di S. Agata. Il lodo stabiliva che da quel momento in poi al 'popolo' fosse riservato un terzo delle cariche amministrative del comune, soprattutto negli organismi che nominavano i consoli politici, il podestà e i consoli di giustizia. Infine, in rapporto al problema delle imposte, il vescovo stabilì che il carico fiscale fosse diviso in scala progressiva secondo la ricchezza di ciascuna famiglia, determinata da una commissione di cui erano chiamati a far parte nobili e popolari. Qualche mese più tardi, il 6 luglio 1210 (va corretta su indicazione di Anton Haidacher la data 1211 proposta da Lorenzo Astegiano e da Johann Friedrich Böhmer), Innocenzo III informava il fedele vescovo di Cremona Sicardo di aver scomunicato l'imperatore Ottone IV e gli notificava di aver sottratto la diocesi di Cremona alla giurisdizione del metropolita di Milano. Era una pesante punizione inflitta ai milanesi per l'appoggio che essi offrivano al sovrano, ponendosi in netto contrasto con le direttive papali. Qualche tempo più tardi (16 aprile 1212) il medesimo papa ordinava al vescovo di Parma di attribuire al collega Sicardo la parte minore di giurisdizione che la Chiesa di Piacenza possedeva sul territorio di Crema al fine di punirla per la costante adesione allo scomunicato imperatore.
Nel luglio del 1212 Federico II era accolto con grandi onori in città e incaricava l'arcivescovo di Bari, Berardo, di trattare con il vescovo di Cremona e con altri cittadini la possibilità di cedere al comune il centro di Crema e l'insula Fulcherii. Intanto i cremonesi avevano creato una lega, per combattere Milano e Piacenza, con il marchese d'Este, Ferrara, Brescia, Verona, Mantova e Pavia. Tra il 22 e il 25 agosto i plenipotenziari del re di Sicilia promisero ai consoli di Cremona che dopo l'incoronazione imperiale il giovane sovrano avrebbe concesso alla città il conteso castello di Crema e il territorio dell'insula Fulcherii. La promessa fu onorata da Federico II a Ratisbona il 15 febbraio 1213; nel documento egli riconosceva tutti i privilegi, le concessioni e le usanze che i suoi predecessori avevano dato ai cremonesi e infine attribuiva il castello di Crema, la riva d'Adda e l'insula alla giurisdizione del comune cittadino. Il giorno precedente, tramite il vescovo di Trento, Federico II aveva imposto ai cremaschi di obbedire ai consoli di Cremona. La guerra contro Milano e Crema e contro tutte le città del sistema delle alleanze milanesi era inevitabile, anche perché Cremona stava divenendo la città fulcro della politica federiciana; essa fu combattuta nei pressi di Castelleone, lungo il tracciato del fiume Serio, e i cremonesi ebbero la meglio; la croce del carroccio di Milano, strappata agli avversari, fu conservata per secoli nella cattedrale di Cremona. L'8 giugno 1215 la morte sorprese il vescovo Sicardo. La nomina del successore fu molto complessa, ma al termine di lunghe discussioni e di un ricorso alla Sede romana fu accettato come vescovo il canonico diacono Omobono, erroneamente attribuito da Savio alla famiglia dei Madelberti, eletto alla fine del 1215, ma consacrato solo nel tardo autunno del 1216.
Se sul fronte esterno continuavano le guerre contro Milano e Piacenza, sul fronte interno dovettero riprendere le lotte di fazione; ne siamo informati da una lettera del 18 febbraio 1217 di papa Onorio III, con cui il pontefice denunciava la guerra civile esistente, che impediva anche l'elezione delle magistrature comunali e imponeva l'immediata nomina di un podestà con il compito di calmare gli animi. L'azione del papa, coadiuvato dal vescovo Omobono, dovette sortire effetti positivi: la città fu pacificata e la guerra si avviò verso la conclusione. Nel dicembre 1217 i milanesi e i piacentini si accordarono con Pavia, mentre nei primi giorni del 1218 cremonesi e parmensi sottoscrivevano un patto di non belligeranza con i piacentini. Qualche mese più tardi moriva Ottone IV; la sua scomparsa favoriva la conclusione degli scontri in Lombardia e permetteva a Federico II di presentarsi come unico candidato alla corona imperiale. La guerra tra Cremona e Milano, nonostante una breve ripresa nel mese di luglio, alla fine cessò: il 3 ottobre era presente a Cremona Giacomo di Carisio, vescovo di Torino e vicario di Federico II, che espose al consiglio di credenza della città il pensiero del sovrano, il quale desiderava, per realizzare la pace, eliminare le guerre che travagliavano le città di Lombardia. Per questo egli chiedeva ai cremonesi di affidare al re la risoluzione di tutti i problemi politici; la richiesta fu ribadita il 30 ottobre dal cardinale Ugolino di Ostia, legato papale in Lombardia, il quale, dopo aver sostenuto che in quel momento vi era perfetta identità di intenti tra papato e Impero, consigliò i cittadini di sottoscrivere la pace definitiva con Milano, che egli stesso, a nome del papa e del re, avrebbe mediato. La proposta fu accettata e il 2 dicembre a Lodi cremonesi e parmensi da una parte e milanesi e piacentini dall'altra si scambiavano i prigionieri e ricevevano la benedizione di pace dal legato.
Tuttavia non tutti i problemi erano stati risolti; infatti il 20 settembre 1220 i cremonesi affidarono al presule Omobono e ai milites, che si recavano incontro a Federico per accompagnarlo a Roma, un memorandum in cui si chiedeva di imporre ai milanesi la cessione di Crema, dell'insula Fulcherii e delle terre attorno al corso dell'Adda. Le richieste furono accettate nel luglio 1226 mentre l'imperatore era a Cremona ove aveva convocato una dieta per risolvere i problemi dell'Impero (honor et reformatio imperii), aperta a tutti i rappresentanti delle città di Lombardia. Ma qualche mese prima Milano aveva stretto con altre città lombarde una seconda Lega lombarda con finalità contrarie a quelle imperiali. Alla dieta i milanesi e i loro alleati non si presentarono e Federico li mise al bando. La rottura con Milano, avvenuta in quei mesi, determinò la realizzazione di una stretta alleanza tra Cremona e l'imperatore. Ma la guerra non scoppiò, grazie alla mediazione del papa, che impose ai due gruppi nei primi giorni del 1227 l'obbligo della pace.
Morto Onorio III, gli successe Ugolino di Ostia, che assunse il nome di Gregorio IX; il nuovo papa intervenne subito contro i cremonesi e il 23 aprile 1227 scrisse all'arcivescovo di Milano Enrico di Settala di aver disposto, senza tuttavia rendere esecutivo l'ordine, che la diocesi di Cremona ritornasse a far parte del territorio ecclesiastico milanese, annullando quanto Innocenzo III aveva concesso a Sicardo. Era un'aperta minaccia contro la città, che continuava nell'alleanza con l'imperatore; l'avvertimento fu reso esecutivo il 13 luglio 1228. Qualche giorno più tardi i cremonesi rinnovarono l'alleanza con Parma contro i piacentini, alleati dei milanesi, che a loro volta nell'ottobre del medesimo anno, accampati presso Crema, distruggevano le terre e i villaggi di Soncino, Soresina, Crotta d'Adda e Castelleone. Ora la guerra aperta sembrava inevitabile e Cremona era costretta anche a combattere contro i bolognesi e i fiorentini per dare aiuto agli alleati di Modena. Intanto i rettori della Lega lombarda vietavano a tutte le città alleate di intrattenere rapporti commerciali con Cremona, Parma e Modena e impedivano ai singoli cittadini di assumervi la carica podestarile. Alla metà di aprile del 1229 a Firenze gli ambasciatori di Cremona sottoscrivevano la pace con i cittadini della città toscana; subito dopo le due parti si scambiavano i prigionieri e si impegnavano a non richiedere il pagamento dei danni di guerra. Nella tarda estate lo scontro con i bolognesi e con i loro alleati divenne più grave e culminò nella battaglia di S. Cesario in cui i cremonesi ebbero la meglio.
Con il nuovo anno la pace tra la Chiesa e l'Impero, firmata a San Germano, assicurò un breve periodo di tranquillità, mentre i due schieramenti si contrapponevano in modo ormai fisso, secondo l'asse Cremona, Parma, Modena e Reggio, a cui si opponeva l'asse Milano, Brescia, Piacenza. Nel 1233 i rapporti tra Federico II e Cremona entrarono in una nuova fase: la città, dilaniata da lotte civili interne, chiese al sovrano di inviare un podestà che la governasse a nome dell'Impero. La novità consisteva nel fatto che le istituzioni comunali continuavano a funzionare, ma la vita politica era sostanzialmente cambiata, poiché il massimo magistrato, Tommaso d'Aquino, apparteneva alla cerchia dei fideles del sovrano. Con il successore, Guglielmo di Andito, la città fu costretta nel gennaio a prestare 20.000 lire al comune di Verona per facilitare la sua permanenza in campo imperiale; Ezzelino da Romano, rettore veronese, che aveva consegnato nel 1232 al partito imperiale la città e il controllo delle strade verso la Germania, scrisse qualche mese più tardi ai cremonesi di effettuare l'ultimo versamento.
Tra il 1234 e il 1236 il vescovo di Cremona Omobono e i canonici della cattedrale erano attivi in concessioni feudali, soprattutto agli Zanebono e ai Sommi, e in processi per la difesa dei diritti di decima. Inoltre il vescovo era in lite anche con i conti di Camisano. Al contrario, il 18 marzo 1236 il priore provinciale dei Predicatori di Lombardia, per ordine di Gregorio IX, riformava il vecchio monastero di S. Giovanni di Pipia, nonostante la strenua difesa messa in atto dal canonico cantore Giovanni Buono dei Giroldi, e vi introduceva le monache cistercensi sino ad allora attive nel cenobio di S. Maria di Boschetto. Lo stesso anno i Dovara, legati al partito di Federico II, divisero tra di loro la torre in cui abitavano alcuni membri della famiglia e dal vescovo di Parma, Grazia d'Arezzo, ebbero una sentenza favorevole nella causa che essi avevano con il monastero di S. Sisto di Piacenza per il possesso di terre, corti e giurisdizioni un tempo appartenenti al cenobio, lungo il corso del Po nella zona di Viadana e di Pomponesco.
Federico II, di ritorno dall'impresa in Germania contro il figlio Enrico, incontrò le milizie cremonesi nell'agosto del 1236 sul fiume Mincio e con esse si recò in città; da questo momento e sino al 1250, Cremona svolse il ruolo di capitale imperiale per l'Italia settentrionale e l'imperatore vi soggiornò non meno di diciotto volte. La città divenne l'anno seguente il quartier generale dell'esercito imperiale prima della campagna contro i bresciani e i milanesi. All'indomani della vittoria di Cortenuova (27 novembre 1237) Federico II fece il suo ingresso trionfale in città, accompagnato dal suono delle trombe, scortato da una colonna infinita di prigionieri e seguito dal carroccio dei milanesi, la cui antenna era inclinata fino a terra e sopra il carro era legato con disonore il podestà di Milano, figlio del doge di Venezia (v. Pietro Tiepolo). Il carroccio nemico era trainato dall'elefante di Federico, che portava sul dorso un castello di legno con armati e con le bandiere recanti l'aquila imperiale. Le prigioni della città si riempirono di nemici in attesa di essere registrati e trasferiti nei castelli della Puglia e della Calabria. In seguito a Cremona si celebrò il matrimonio di Ezzelino da Romano con la figlia dell'imperatore, Selvaggia, e nel 1238 il figlio Enzo ricevette l'investitura a cavaliere. Quest'ultimo, divenuto re di Gallura, vi tenne la sua corte e gli organi di governo e con il padre predispose nel giugno del 1239 un piano di organizzazione amministrativa, che comportava la creazione di un vicariato che si estendeva su quasi tutta l'Italia del Nord e di cui Cremona era destinata a essere la capitale.
Tuttavia Federico II non era un sovrano residente, nella città si fermava per qualche settimana in un palazzo imperiale vicino al monastero di S. Lorenzo, ormai inserito entro la cinta edificata nel 1169. In questa città vecchia abitavano i rappresentanti della Societas militum, i nobili, che si contrapponevano al popolo, che era sistemato oltre la Cremonella presso la chiesa di S. Agata, ove fu edificato il Palazzo del Popolo nel 1256. La città era divisa in quattro circoscrizioni, o porte, corrispondenti alle porte delle mura antiche, ed esse erano i centri di organizzazione dell'esercito e della riscossione dei tributi. Ogni porta era formata da vicinie, i cui abitanti esprimevano dei rappresentanti nel consiglio di credenza del comune, insieme ai consoli dei mercanti, ai consoli dei paratici e ai nobili della Societas militum. Essi eleggevano i savi, o consiglio minore, e deliberavano in materia di tasse, esercito, urbanistica, annona e politica estera. Il contado, non molto ampio e stretto lungo il corso del Po, era dominato dal comune, che aveva trovato una piena collaborazione con i signori feudali dei castelli rurali e che per popolare il territorio aveva attuato tra i secc. XII e XIII una politica di erezione di borghi franchi, i cui ultimi prodotti in età federiciana furono Castelnuovo Bocca d'Adda (1226-1234) e Castelfranco d'Oglio (1243). In questo periodo, come gli studi di François Menant hanno ben dimostrato, si era sviluppata la grande sistemazione idraulica del territorio, che aveva permesso di prosciugare le terre, di metterle a coltura e di creare nuovi centri agricoli. Tra il 1218 e il 1223 fu scavata la Tagliata, un canale che usciva dal Po a valle di Guastalla e vi rientrava a monte di Ferrara, permettendo alle navi cremonesi di aggirare Mantova, città nemica. L'operazione rivolta al controllo della navigazione sul corso del grande fiume padano fu perfezionata nel 1227 con l'acquisto dei centri strategici di Guastalla e di Luzzara. Cinque anni più tardi (1231-1232) fu sistemata la Cremonella, che divenne un canale navigabile per il trasporto delle merci dal Po alla città e insieme una grande arteria d'acqua per l'irrigazione dei campi, per i mulini e per le folle. Per mettere a coltura tante terre strappate alla palude il comune facilitò l'immigrazione di contadini, che provenivano in larga misura dalle vallate bergamasche e con il loro lavoro resero la pianura cremonese una regione modello entro la Lombardia comunale, incentrata su cascine a produzione cerealicola, ma anche con allevamento del bestiame.
Meno chiara è, allo stato attuale degli studi, la conoscenza dello sviluppo dell'artigianato, delle piccole industrie e dei commerci, che sembrano prevalere sull'agricoltura entro l'economia della città. Se il populus rappresentava gli interessi in primo luogo dei mercanti, la sua costante affermazione a partire dal 1210 può essere intesa come indice dello sviluppo dei commerci lungo il Po, a cui Cremona era avvezza sin dai secoli precedenti il Mille. Ma i mercanti cremonesi erano anche attivi nelle principali piazze commerciali italiane, come Genova, Pisa e Venezia, e fondavano le loro ricchezze su tre componenti essenziali della mercatura: il controllo della navigazione sul Po, il prestito di denaro e la produzione di stoffe di tipo comune e popolare, ottenute con lana africana, con lino e con cotone. Quando Federico vi soggiornava Cremona era una città industriale, artigianale, commerciale e di banchieri, i quali nel 1240 erano in grado di anticipare forti somme di denaro all'imperatore, ottenendo in cambio privilegi per importare in Lombardia merci pregiate dal Regno di Sicilia. A livello sociale Cremona sino al 1233 fu una città travagliata da lotte civili tra i nobili e il popolo, entità che tendevano a istituzionalizzarsi in due veri partiti politici, la Societas militum e la Societas populi, con il conseguente passaggio di gruppi familiari dall'uno all'altro schieramento per la conquista del potere. Gli scontri, particolarmente intensi nel 1232, ebbero termine con l'avvento di podestà funzionari imperiali che riuscirono a mantenere un equilibrio tra i due schieramenti, coinvolgendo nelle strutture amministrative del comune e nella realizzazione di un estimo per raggiungere una maggiore giustizia fiscale sia le famiglie capitaneali, come i Dovara, i Sommi, i Gazo, i Ponzoni, gli Amati e gli Avvocati, sia le famiglie popolari, quali i Multisdenariis, i Picenardi, i Bonbeccari e i Gozzalengo. D'altra parte, anche sulla scorta di affermazioni del cronista Iacopo d'Acqui, Aldo Settia (1999) ha di recente messo in evidenza l'importanza rivestita in campo imperiale dalle fanterie popolari cremonesi, che combattevano con lunghe scuri ammanicate (chiamate manaria falcata), durante le battaglie del Duecento e in particolare in quella di Cortenuova.
In questi anni, dopo aver tentato inutilmente di conquistare Brescia nel 1238 e dopo la scomunica papale del 1239, Federico II soggiornò più volte in Cremona con il figlio Enzo, e ivi dimostrò, come ha giustamente affermato David Abulafia, che il suo potere sulle città che gli erano fedeli non era tirannico, in quanto egli confermò sempre la loro autonomia. Tra il 1241 e il 1244 i cremonesi, sotto la guida del marchese Manfredo Lancia e di re Enzo, combatterono i milanesi e i bresciani, a loro volta capeggiati da Gregorio da Montelongo, legato papale in Lombardia a cui il papa Innocenzo IV, eletto nel 1242, aveva affidato il compito, dopo la sua fuga a Lione, di coordinare la resistenza contro gli imperiali. Enzo rimunerò le fatiche dei fedeli cremonesi con la concessione nell'agosto del 1242 del castello di Roncarolo, centro importante nel territorio piacentino a sud del Po. Essi lo ripagarono nel 1245 a Gorgonzola liberandolo dalla cattura dei milanesi, mentre il padre nel luglio, dopo aver più volte soggiornato a Cremona, apprese in Piemonte che nel concilio di Lione il papa lo aveva deposto e scomunicato.
Le lotte tra i due schieramenti crebbero e nel 1246 Enzo con i cremonesi attaccò Piacenza e poi si diresse verso Torino per impedire che forze militari del pontefice penetrassero in Lombardia. In città, con il podestà Rinaldo di Machilone, erano attivi l'arcivescovo di Palermo Bartolomeo e il domenicano magister Rolando, che aveva potenziato l'insediamento cittadino dei suoi confratelli e ora favoriva la concessione di esenzioni alle monache di S. Giovanni di Pipia dal pagamento di un fodro imposto dal comune agli ecclesiastici della città e del territorio per poter pagare le spese necessarie a mantenere gli eserciti del sovrano. Nel contempo il vescovo Uguccione univa il monastero di S. Leonardo di Ponte Pietra con quello di S. Sisto nel sobborgo della città e i canonici della cattedrale redigevano nuovi statuti. L'anno terminava, secondo le corrette indicazioni di Carl Rodenberg, con una lettera papale, inviata al marchese Corrado Cavalcabò e ad Amato degli Amati, nella quale Innocenzo IV invitava quattordici famiglie nobiliari della città, che si erano schierate contro gli imperiali ed erano state bandite, a combattere contro Federico II. L'unità politica della città era finita, iniziavano le lotte tra un gruppo di guelfi, detti Cappelletti, e i ghibellini intrinseci, denominati Barbarasi. L'anno seguente alla fine di giugno Parma cadde nelle mani di un gruppo di fuorusciti aderenti al partito papale e fra Salimbene, che in quel momento abitava a Cremona, accusò re Enzo e i cremonesi di non aver provveduto in modo preventivo a difenderla, recandosi ad assediare il castello bresciano di Quinzano. Ritornato rapidamente in città, Enzo fece estrarre il carroccio e si recò a Brancanisio, a 7 miglia dalla città ribelle su di un ramo morto del Taro, per aspettare la venuta dell'esercito del padre. L'indugio fu deleterio in quanto nel frattempo i parmensi ricevettero aiuti da Gregorio da Montelongo e dai guelfi di tutta la Lombardia.
Per il medesimo cronista questi anni furono tra i più tragici del sec. XIII in quanto i villaggi venivano messi a fuoco e nelle campagne deserte gli animali selvatici e quelli feroci si moltiplicavano, mentre i lupi, radunati dinanzi alle fosse delle città, ululavano in modo sinistro nelle notti. L'assedio di Parma, condotto dall'imperatore in persona, che aveva fatto costruire di fronte al centro ribelle una nuova città chiamata Vittoria, ebbe un esito disastroso, in quanto il 18 febbraio 1248, mentre era a caccia, gli assediati attaccarono il campo imperiale e sterminarono l'esercito assediante; i cremonesi ebbero numerosi morti e persero il carroccio. L'imperatore si ritirò a Cremona, ove nell'ottobre del medesimo anno emersero in occasione della morte del vescovo Omobono i partiti avversi. Gli ordinari della cattedrale elessero subito l'arcidiacono Giovanni Buono dei Giroldi, un fervente partigiano imperiale; Innocenzo IV, che nel marzo 1248 aveva stabilito di sottrarre ai capitoli canonicali delle città favorevoli a Federico II il diritto di procedere all'elezione dei vescovi, non considerò valida la nomina, ma attese a intervenire dopo che re Enzo, podestà di Cremona, alla fine di maggio fu preso prigioniero dai bolognesi a Fossalta. Nella situazione di incertezza creatasi, i fuorusciti cremonesi, guidati da Ottolino Sommi, occuparono per qualche tempo la città nuova e il papa ordinò allora (29 luglio 1249) a Gregorio da Montelongo di nominare come vescovo Bernerio Sommi, dopo aver annullato l'elezione del Giroldi. Un mese più tardi però la città cadde sotto il controllo del marchese Uberto Pallavicini, uno dei funzionari di Federico II, che la tenne con il titolo di podestà sino al 1266. I Sommi furono nuovamente banditi e il loro vescovo, seppur consacrato, non riuscì a prendere possesso della diocesi, che fu amministrata, come se fosse stata in sede vacante, da Giovanni Buono, il quale la resse sino all'agosto del 1259 con il titolo di generalis procurator in spiritualibus et temporalibus rebus episcopii et ecclesie cremonensis. Il 18 agosto 1250 il Pallavicini riuscì a vendicare la sconfitta di Vittoria, in quanto al comando di un esercito di cremonesi e di alleati dell'imperatore raggiunse Parma e di-strusse le forze guelfe prendendo ben duemilacinquecento prigionieri e il carroccio della città rivale.
Nonostante questa resistenza imperiale in campo politico e ecclesiastico, dopo l'improvvisa morte di Federico II, a Cremona iniziava un nuovo periodo per la sua storia: gli schieramenti imperiale e antimperiale, quest'ultimo originatosi negli ultimi anni dell'età federiciana, costituivano una linea di divisione, ma non l'unica, in quanto il contrasto tra il popolo e la Societas militum appariva sempre più forte. Inoltre i populares, che ormai rappresentavano la forza più vitale dello schieramento, aderirono gradualmente al partito guelfo, mentre i nobili, in grave decadenza per i sanguinosi contrasti tra i clan, erano destinati, dopo la morte di Uberto Pallavicini, a perdere il loro tradizionale ruolo politico. In ogni caso l'età di Federico II generò sia in campo guelfo sia in campo imperiale il tempo dei tiranni, che more lombardico dominavano sulle città e si comportavano crudelmente contro gli avversari. Con la sconfitta dell'imperatore ebbe termine anche la grande ascesa politica della città padana, che nel corso del Duecento finì per essere inserita nel sistema di dominio milanese.
fonti e bibliografia
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