CRESCENZIO
Figlio di Benedetto, nacque fra il 965 ed il 975 e appartenne a quel ramo della famiglia dei Crescenzi denominati Stefaniani per la diretta discendenza da Stefania, figlia di Teodora, secondogenita di Teofilatto, e di un Giovanni Crescenzio.
Stefania andò in sposa al conte Benedetto ed il loro figlio, anch'esso Benedetto, venne nominato nel 965 conte e rettore della Sabina dal pontefice Giovanni XIII, il quale gli diede, inoltre, in moglie Teodoranda, figlia di Crescenzio de Caballo marmoreo. Da questo matrimonio nacquero Giovanni e C., le cui vicende si intrecceranno continuamente nel corso degli anni. Quanto al luogo di nascita di C. si può ragionevolmente supporre, in alternativa a Roma, che possa essersi trattato del castello di Arci, in Sabina, dove il conte Benedetto si era stabilito a residenza e presidio per il controllo del territorio.
Nel novembre 970 Giovanni XIII concesse ancora a Stefania, ed ai suoi discendenti fino alla terza generazione, Palestrina e il suo territorio. La potenza di Benedetto andava, dunque, aumentando sempre più e, dove non arrivava l'influenza della famiglia, suppliva egli stesso con frodi e violenze. Vittima naturale era l'antagonista diretta in Sabina, la ricchissima abbazia di Farfa.
Con il dominio su Roma di Crescenzio (II) Nomentano, Benedetto e i suoi giovani figli rafforzarono ulteriormente la loro posizione. Giovanni fu, infatti, investito del titolo di comes et rector della Sabina nel 988, mentre C. assunse per la prima volta l'ufficio dal 991 al 994. Approfittando, poi, nel 997 della morte dell'abate di Farfa, Giovanni III, e della difficile successione, Benedetto ed i suoi figli tolsero altri territori all'abbazia, giungendo fino ad impadronirsi della città di Cere, possedimento della Chiesa di Roma.
C. e Giovanni, che si era intanto infeudato in Palestrina, spalleggiavano, dunque, il padre in questa espansione. Ma nel 998 Ottone III, dopo aver massacrato Crescenzio Nomentano ed i suoi a Castel Sant'Angelo, si occupò di ridimensionare subito dopo anche le ambizioni degli Stefaniani. Fece dunque arrestare C., che si trovava a Roma, racconta Ugo di Farfa, "levitatis causa", (Except. Relat., I, p. 64) ed il rilascio fu condizionato alla restituzione di Cere.
Appare difficile a dirsi, per inciso, il senso di quel "evitatis causa" che portò il giovane nella città ancora sconvolta, a detta degli stessi cronisti sassoni, per la morte del Nomentano. Leggerezza, arroganza, forse tradimento: fatto sta che Ottone ebbe fra le mani l'ostaggio. Benedetto accorse a Roma e promise, salvo poi fuggire precipitosamente per arroccarsi nella città contesa, senza però portare con sé l'ostaggio. Immediatamente Ottone III ed il papa Gregorio V si recarono con le truppe davanti alle mura di Cere e C. venne condotto alla forca sotto gli occhi degli assediati "ligatis post tergum manibus oculisque panniculo strictis", (Except. Relat., I, p. 65). L'esecuzione venne sospesa all'ultimo momento per l'intervento di Benedetto che abbandonò la città con i suoi.
La potenza dei Crescenzi Stefaniani in Sabina non subì, comunque, da questo episodio particolari effetti.
Quando poi nel 1002, dopo la morte di Ottone, prese il potere a Roma con il titolo di patrizio il figlio del Nomentano, Giovanni Crescenzio, C. ed il fratello godettero della sua protezione. Egli infatti li prese ad amare, ricorda ancora Ugo di Farfa, "ut dilectos consanguineos" (ibid., p. 65). Del conte Benedetto non si ha né se ne avrà più alcuna notizia, se non in un documento del 1010 in cui C. con il fratello si impegna in una donazione a favore del monastero di Subiaco in memoria del padre (Reg. Subl., p. 239). Proseguirono, allora, con il favore del patrizio, le scorrerie dei due Stefaniani ai danni di Farfa. Nel 1004 essi ripresero all'abbazia la corte di S. Getulio, sfidando l'anatema paterno per chi dei suoi se ne fosse nuovamente impadronito. Sempre in quell'anno C. assunse di nuovo la carica di conte e rettore di Sabina, mentre Giovanni aveva acquisito l'anno precedente il marchesato di Spoleto. Nell'ottobre del 1004 a C. si associò nella carica un Rainero, con il quale egli tenne l'ufficio fino al 1006, quando la carica passò nelle mani dei giovani Crescenzi Ottaviani, nipoti del patrizio Giovanni Crescenzio.
A tal punto però la storia di C. si confonde, provocando, ipotesi e dibattiti fra gli studiosi. Imprecisioni nelle fonti, frequenti omonimie, queste ed altre ragioni sono alla base di tali discordanze. Fatto accertato e documentato è questo avvicendamento in Sabina, il cui controllo passa dagli Stefaniani agli Ottaviani, così come risulta dai documenti del periodo l'esistenza in Roma dal 1006 di un prefetto di nome Crescenzio. Che si tratti dello Stefaniano, è secondo la maggioranza degli storici, più che un'ipotesi. Il Brezzi vuole che egli abbia assunto la carica di prefetto al momento della sostituzione in Sabina e che l'abbia tenuta fino al 1012, anno in cui morì Giovanni Crescenzio. Anche il Mor riconosce C. nel prefetto omonimo, ma vuole che egli abbia tenuto l'ufficio fino al 1018, salvo una breve interruzione nel 1015, in cui compare nelle fonti un prefetto di nome Giovanni. Il Bossi, invece, ritiene che non si tratti di C. e sostiene che questo ricoprì l'incarico solo molto più tardi.
Nel 1012, con la morte del patrizio e con lui dei papa Sergio IV, per gli Stefaniani iniziava la decadenza. Salì al papato Teofilatto dei conti di Tuscolo, la famiglia antagonista ai Crescenzi per il potere su Roma. Decisivo era stato l'intervento dell'imperatore Enrico II che riconobbe il Tuscolano a discapito del candidato dei Crescenzi, Gregorio. Teofilatto prese il nome di Benedetto VIII e con i suoi fratelli si impadronì della città. Giunse rapidamente ad insidiare anzi i Crescenzi nei loro feudi di Sabina, assediando il fratello di C., Giovanni, a Palestrina. C. intervenne allora presso i monaci di Farfa, promettendo in cambio della salvezza del fratello la restituzione di alcuni possedimenti. Giovanni per l'intervento dei monaci ebbe salva la vita. Benedetto VIII si adirò con loro, ma nulla poté di fronte alla potente abbazia imperiale. Lo stesso Giovanni, peraltro, si rifiutò di rispettare gli impegni stipulati da Crescenzio.
Nel febbraio 1014 entrava in Roma Enrico II. Dopo l'incoronazione egli si accinse ad amministrare la giustizia in presenza del papa in un edificio prospiciente S. Pietro. L'abate Ugo di Farfa si appellò allora al suo imperatore contro le ruberie degli Stefaniani ai danni dell'abbazia. A giudizio comparve soltanto Giovanni, che difese la legittimità di quanto egli aveva compiuto. L'imperatore condannò i Crescenzi ma, prima che si chiudesse il giudizio, nella città scoppiò una sommossa contro i Sassoni. La capeggiavano i figli di Oberto Il di Toscana, cognato di Arduino. Dunque una sommossa antimperiale legata agli schieramenti italiani più che alla fazione romana antimperiale. Della posizione degli Stefaniani, e di C. in particolare, riguardo alla sommossa, non si hanno notizie. Forse l'appoggiarono dall'esterno, forse furono anch'essi sorpresi da questa azione, che peraltro si concluse con il massacro dei rivoltosi sul ponte Adriano, che avevano preso d'assalto nell'intento di raggiungere Enrico II dall'altra parte del Tevere, e con l'arresto dei capi. Il giudizio riprese e Giovanni chiese alcuni giorni per poi accettare l'esecuzione della sentenza. Gliene vennero accordati tre ed entrambi i fratelli ne approfittarono per arroccarsi nelle città contese. Enrico II, che doveva tornare immediatamente in Germania, raccomandò al papa di provvedere all'esecuzione di quanto stabilito. Ugo di Farfa cercò ancora una volta di mediare, ben sapendo che all'abbazia non sarebbe convenuta una soluzione di forza nei confronti dei Crescenzi ancora forti in Sabina. Gli Stefaniani rifiutarono e Benedetto VIII assediò C. che si era arroccato a Bocchignano. Dopo venti giorni, privi ormai di riserve di acqua, C. e i suoi furono costretti ad arrendersi. C. rientrò a Roma, mentre il papa con le sue truppe si spostava a Tribuco, dove assediò Giovanni, che poco dopo era costretto a cedere.
Per i due fratelli la pena fu l'esilio e la confisca dei beni. Alla fine del 1014, dunque gli Stefaniani avevano perso ogni potere. Vengono citati in un documento del dicembre 1015 (Reg. Farf., III, pp. 210 ss.), atto a chiarire quale fosse stata la loro condizione. Il fratello del papa, Romano, si era infatti impadronito di alcuni casali nella convinzione che appartenessero ai due Stefaniani, ma che erano in realtà dell'abbazia di Farfa. All'immediata reazione dei monaci egli venne aspramente redarguito da Benedetto, in quanto colpevole di non averne accertato la proprietà.
L'esilio era già finito però nel 1022. Ugo di Farfa infatti racconta come "quando vero de exilio redderunt" (Quaerimonium, 13 p. 76) C. ed il fratello tornarono ad insidiare i possedimenti di Farfa e per tale ragione i monaci si appellarono, appunto nel 1022, al giudizio del loro imperatore Enrico II, Era, dunque, cambiato l'atteggiamento del pontefice nei confronti di C. e del fratello. Egli infatti non soltanto aveva permesso loro il ritorno, ma aveva lasciato che si reinsediassero in Sabina. Erano cambiati i rapporti fra Papato ed Impero e quindi il riavvicinamento con i Crescenzi Stefaniani, caratterizzati come fazione da una posizione antitedesca e, anche per questo, combattuti in precedenza, era nelle logiche conseguenze dei fatti. Tanto più che le loro presenze in Sabina ridimensionavano di fatto la potentissima abbazia imperiale. Non sono poi da escludere pressioni da parte di esponenti romani vicini al papa a favore degli Stefaniani. Le scorrerie ai danni di Farfa, comunque, ripresero e l'abate si affrettò a stringere alleanza con i Crescenzi Ottaviani, alleanza che durò fino al 1026 e che, se non riuscì nel recupero dei beni sottratti, evitò, secondo Ugo (Quaerimonium, I., p. 77), mali maggiori ai monaci che avrebbero corso il rischio di perdere la vita stessa.
Nel momento, dunque, di una tendenza politica antimperiale le fortune degli Stefaniani rimontavano. Ed a discapito proprio dei Crescenzi Ottaviani che Benedetto VIII aveva usato in precedenza per scalzarli e "che nel frattempo erano diventati molto, forse troppo, potenti. La prefettura che era stata affidata da Benedetto al Crescenzio Ottaviano, il quale aveva rilevato C., andò nel 1022, nelle mani sicure dello stesso fratello del pontefice, Romano, quando anche gli Ottaviani caddero in disgrazia. C. tornò ad essere prefetto se, come vogliono gli studiosi, è da identificarsi in lui il prefetto di tal nome che appare in un documento sublacense del 1032 (Reg. Subl., p. 75). Il Bossi lo vuole eletto intorno al 1024 quando Romano, divenuto pontefice al posto del fratello, dovette lasciare la carica.
Di C. non si hanno più notizie, se non in un documento del 1038, ancora di Subiaco (Reg. Subl., p. 72), dove compaiono i figli Regetello e Rainaldo che lo ricordano come "domno Crescentio". Se egli fosse stato già morto, altra sarebbe stata la formula. Era comunque ormai scomparso di scena e la sua morte è da ascriversi con ogni probabilità intorno alla metà del secolo.
Fonti e Bibl.: Gregorio da Catino, Il Regesto di Farfa, a cura di I. Giorgi - U. Balzani, III, Roma 1883, pp. 119 ss. n. 410 s., 167 n. 455, 199-202 n. 492, 210 ss. n. 502; Il Reg. Sublacense, a cura di L. Allodi-G. Levi, Roma 1885, pp. 72 n. 34, 75 n. 36, 239 n. 199; Hugonis Abbatis Exceptio relationum, in Il Chronicon Farfense di Gregorio da Catino, a cura di U. Balzani, I, Roma 1903, in Fonti per la storia d'Italia, XXXIII, pp. 62, 6,5, 67 ss.; Hugonis Abbatis Quaerimonium, ibid., p. 76; Thietmari Merseburgensis episcopis Chronicon, in Monum. Germ. Hist., Scriptores, n. s., IX, a cura di R. Holtzmann, Berolini 1935, pp. 396 s.; F. Gregorovius, Storia della città di Roma nel Medioevo, Roma 1900, pp. 94. 105 s. 195; G. Bossi, I Crescenzi. Contr. alla storia di Roma e dintorni dal 900 al 1012, in Atti d. Pontif. Accad. romana di archeol., Dissertazioni, s. 2, XII (1915), pp. 62-65, 96-100, 108 s.; Id., I Crescenzi di Sabina Stefaniani e Ottaviani, in Arch. della Soc. romana di storia patria, XLI (1918), pp. 111-170 passim;G. Falco, I Comuni della Campagna e della Marittima nel Medioevo, ibid., XLII (1919), p. 539; O. Gerstenberg, Die polit. Entwicklung des römischen Adels im 10. und 11. Jahrhundert, Berlin 1933, pp. 3 ss.; C. Cecchelli, Note sulle famiglie romane fra il IX e il XII secolo, in Arch. della Soc. romana di storia patria, LVIII (1935), pp. 89-91, 96; Id., I Crescenzi. I Savelli. I Cenci, Roma 1942, p. 23; P. Brezzi, Roma e l'Impero medievale, Bologna 1947, pp. 155, 171, 186, 194-197, 233; C. G. Mor, L'età feudale, Milano 1952, I, pp. 462, 514, 530, 548, 558; II, pp. 114, 118, 125; P. Toubert, Les structures du Latium médiéval, Rome 1973, pp. 1019, 1027, 1209, 1211, 1223 s., 1240 s., 1243 s., 1256, 1353; P. F. Kehr, Regesta pontificum Romanorum, I, p. 185.