Crescita cristallina
Crescita da liquidi, di Carlo Paorici
Crescita da fase vapore, di Maurizio Masi
Crescita da liquidi
SOMMARIO: 1. Introduzione. ▭ 2. Aspetti fondamentali: a) aspetti fenomenologici; b) aspetti atomistici. ▭ 3. Metodi di crescita da fuso: a) generalità; b) metodi a solidificazione normale; c) metodi a zona fusa; d) problemi di stabilità. ▭ 4. Metodi di crescita da soluzione: a) generalità b) metodi a variazione di temperatura; c) metodi a variazione isoterma di composizione; d) metodi basati su reazioni chimiche; e) problemi di stabilità. ▭ 5. Tendenze e sviluppi futuri. ▭ Bibliografia.
1. Introduzione.
Un cristallo ideale è definito come un reticolo tridimensionale infinito di atomi o molecole disposti secondo gruppi che si ripetono con spaziature reticolari periodiche, variabili tra 0,25 e 4,0 nm nelle sostanze inorganiche, e fino a oltre 100 nm nelle molecole organiche. I cristalli reali sono finiti e la loro struttura reticolare contiene difetti, mantenendo comunque un ordine a lunga distanza. Un cristallo reale costituisce un grano cristallino; se una sostanza è costituita da un unico grano è detta 'monocristallo' o cristallo singolo, se è costituita da più grani cristallograficamente disorientati tra loro è detta 'policristallo'. I monocristalli si distinguono in massivi (essenzialmente tridimensionali, con massa variabile tra 10-3 e 105 grammi, a seconda del materiale) e in strati epitassiali (essenzialmente bidimensionali, con spessori compresi tra 10-1 e 105 nm) cresciuti su substrati cristallini secondo relazioni cristallografiche specifiche del sistema strato-substrato.
Per crescita di cristalli da liquidi si intende la formazione di una fase solida monocristallina a partire da una fase liquida nutriente. Sono disponibili due gruppi di metodi di crescita che si differenziano a seconda che la crescita avvenga 'da fuso' o 'da soluzione': nei sistemi di crescita 'da fuso', prescindendo da eventuali impurezze residue o aggiunte intenzionalmente (droganti), sono presenti solo i componenti del cristallo, distribuiti tra le fasi (nel caso di composti), con conservazione dei loro rapporti atomici; i sistemi di crescita 'da soluzione' contengono invece componenti addizionali e/o eccessi di componenti del cristallo nella fase liquida. La differenza sostanziale tra i due gruppi di metodi è che i processi di crescita da fuso sono controllati dal trasporto di calore tra le fasi, mentre quelli da soluzione sono controllati dal trasporto di massa in fase liquida. Poiché la diffusività termica è molto maggiore della diffusività di massa (tipicamente, 10-1 rispetto a 10-5 cm2/s), le crescite da fuso sono molto più rapide di quelle da soluzione e su di esse si basa oggi circa l'80% della produzione industriale di cristalli massivi; tale produzione riguarda soprattutto silicio e semiconduttori composti per applicazioni elettroniche, rubino e granati per laser, LiNbO3 (niobato di litio) per dispositivi ottici non lineari, alogenuri alcalini per componenti ottici e zirconia (ZrO2) per gemme sintetiche (v. Brice, 1986). Le crescite da soluzione, che con le crescite da vapore forniscono la maggior parte dei cristalli oggi disponibili, sono industrialmente limitate alla produzione di quarzo (SiO2) per sensori piezoelettrici e acusto-ottici, ad alcuni ossidi (YIG, YAG) per applicazioni magnetiche, a fosfati (ADP, KDP) per uso ottico, a triglicinsolfato (TGS) per dispositivi piroelettrici e al diamante sintetico per abrasivi e componenti meccanici.
2. Aspetti fondamentali.
a) Aspetti fenomenologici.
La descrizione fenomenologica (termodinamica e fluidodinamica) di un processo di crescita riguarda la transizione di fase del primo ordine che porta da una fase liquida a una fase solida in condizioni di stabilità interfacciale tale per cui la fase solida risulta monocristallina (v. Parker, 1972; v. Chernov, 1984; v. Rosenberger, 1979; v. Hurle, 1993-1994). La forza motrice del processo è data dalla variazione di energia libera di Gibbs (ΔG) tra le fasi. Nella crescita da fuso, ΔG è legata al sottoraffreddamento ΔT = Tf - T (T è la temperatura a cui è sottoraffreddato il sistema, Tf è la temperatura di fusione) da:
ΔG = ΔHΔΤ/Tf (1)
dove ΔH è la variazione di entalpia associata alla transizione e corrisponde al calore latente di solidificazione. La crescita di monocristalli da fuso richiede bassi valori di ΔG, corrispondenti a ΔT ~ 0,5 ÷ 5 K (v. Müller, 1988 e 1998). Nella crescita da soluzione si preferisce esprimere la forza motrice in termini di soprasaturazione relativa σ, definita dalle relazioni:
Δμ = RTelnC/Ce = RTeσ ~ RTe (C - Ce)/Ce (2)
dove, alla temperatura Te , Δμ è la differenza tra il potenziale chimico del soluto (la specie che cristallizza) in soluzione sovrasatura alla concentrazione C, e il potenziale chimico del soluto in soluzione satura alla concentrazione Ce; C-Ce = ΔC e C/Ce sono di solito indicati rispettivamente come 'sovrasaturazione assoluta' e 'rapporto di sovrasaturazione'. Per piccoli sottoraffreddamenti T - Te, ΔC è legata al sottoraffreddamento da ΔC = (δCe/δΤe) (T-Te), dove Ce (Te) è la curva di solubilità del soluto. Per ogni temperatura esiste un valore σ* 〉 0 tale per cui, per σ 〉σ*, si ha precipitazione spontanea di fase solida. Solo per 0 〈 σ 〈 σ* (regione di Ostwald-Myers o di metastabilità; v. Klemenz e Scheel, 1998) è possibile controllare il processo di crescita tramite l'uso di semi monocristallini orientati. La curva σ*(T) è difficile da determinare, in quanto dipende da molti fattori che si sovrappongono (v. Sangwal, 1989). Un processo di crescita è riconducibile all'evoluzione spazio-temporale della velocità di crescita (υ) e della forma geometrica (A) dell'interfaccia in crescita, in stretta dipendenza dal trasporto di massa e di calore. Un modello generale della crescita deve pertanto predire l'evoluzione spazio-temporale nelle due fasi del campo termico (T) e della concentrazione (Ci) di ogni componente. Il problema fluidodinamico-cinetico di definire l'evoluzione di υ, A, T, Ci in un sistema bifasico (riconducibile matematicamente alla classe dei problemi di Stefan: v. Parker, 1972) non ha ancora una soluzione generale, ma viene affrontato con approssimazioni riconducibili a casi limite (v. Paorici e Attolini, 1991). Così, nella crescita da fuso limitata dal trasporto di calore si assume che i flussi di calore tra le fasi non modifichino nel tempo la geometria dell'interfaccia. Noto approssimativamente il campo termico (v. Müller, 1988; v. Rosenberger, 1979), la velocità di crescita, in condizioni stazionarie, si calcolerà dal bilancio dei flussi all'interfaccia, dato da:
λs ∇ Ts - λl ∇ Tl = υρs ΔHm (3)
dove λs, λl, Ts e Tl sono le conducibilità termiche e le temperature nelle fasi solida (s) e liquida (l), ∇ Ts e ∇ Tl sono i gradienti termici all'interfaccia, che nella fase fusa avanza con velocità υ, ΔHm è il calore latente di solidificazione per unità di massa e ρs è la densità del cristallo. Molte caratteristiche della crescita da fuso si evidenziano dalla (3). Tipicamente, ∇ Ts 〉 ∇ Tl, per cui υ è praticamente determinata dal prodotto di ∇ Ts per la costante λs /ρs ΔHm. Dai valori di questa costante risulta evidente che metalli e semiconduttori crescono più rapidamente di materiali isolanti (ad esempio, ossidi e alogenuri). Inoltre, benché υ aumenti con ∇ Ts e col diminuire di ∇ Tl, valori troppo elevati di ∇ Ts inducono deformazioni termoelastiche e difetti strutturali per deformazione plastica, quali ad esempio dislocazioni da sforzo (v. Völkl, 1994), mentre valori troppo bassi di ∇ Tl (soprattutto in presenza di droganti) portano a instabilità interfacciale con formazione di strutture cellulari, inclusioni ed elevata densità di dislocazioni nelle pareti intercellulari (v. Müller e Ostrogorsky, 1994; v. Coriell e McFadden, 1993; v. Hurle, 1998). In prima approssimazione tale instabilità si evita se:
∇ Tl/υ 〉 ml Clo (1 -ko) / koD (4)
dove ml, D, Clo sono, rispettivamente, la pendenza della curva di solubilità, la diffusività e la concentrazione iniziale del drogante nel fuso, e ko = Cs/Cl è la costante di segregazione del drogante con concentrazioni Cs, Cl nelle due fasi in equilibrio. La (4) è nota come 'criterio del sottoraffreddamento costituzionale', in quanto la sovrapposizione del flusso termico e del flusso di massa di drogante inducono, in prossimità dell'interfaccia, un sottoraffreddamento nel fuso che aumenta al crescere della distanza dall'interfaccia, la quale viene così destabilizzata. La (4) non è direttamente applicabile alle crescite da soluzione (v. cap. 4).
b) Aspetti atomistici.
I meccanismi atomistici con cui un cristallo cresce integrando singole unità di crescita (atomi o molecole) dalla fase liquida dipendono dalla struttura atomica delle interfacce, che si distinguono in 'vicinali' e 'non vicinali' a seconda che la loro orientazione cristallografica sia vicina a quella di una faccia ad alta densità atomica o ne sia invece lontana (v. fig. 1). Le interfacce vicinali si presentano atomicamente piatte e poco reattive, mentre le non vicinali sono atomicamente ruvide, estese su più piani reticolari e molto più reattive. Le interfacce non vicinali tendono a crescere perpendicolarmente alla loro superficie (crescita normale), mentre quelle vicinali, a bassa probabilità di attaccamento delle unità di crescita, si accrescono per crescita laterale: le unità di crescita incidenti sull'interfaccia vengono adsorbite e diffondono nello strato di adsorbimento finché o vengono riemesse nella fase liquida, oppure costituiscono uno o più nuclei critici bidimensionali, il cui bordo forma il saliente di un gradino che, essendo atomicamente ruvido, riesce a integrare con facilità le unità di crescita. La crescita laterale del nucleo porta alla formazione di uno strato cristallino sul quale può ripetersi il processo di nucleazione e crescita (v. Parker, 1972; v. Mutaftschiev, 2001).
La crescita normale richiede bassa sovrasaturazione, a differenza della crescita laterale per nucleazione bidimensionale che richiede il superamento di una soglia critica piuttosto elevata di sovrasaturazione. La crescita a bassa sovrasaturazione di interfacce vicinali è però possibile se queste sono attraversate da linee di dislocazioni (v. Burton e altri, 1951).
La deformazione dei piani reticolari indotta dall'emergenza di una dislocazione a vite costituisce naturalmente, senza spesa di energia, un gradino ruvido capace di accrescersi ruotando intorno alla linea di dislocazione (crescita a spirale; per la particolare applicazione di questo modello teorico alle crescite da liquidi, v. Chernov, 1984 e 1989; v. Bennema e Gilmer, 1973).
Un criterio semplice per stimare la struttura di un'interfaccia è dato (v. Jackson, 1958) da:
α = ξΔH/RTe (5)
dove α è il fattore di Jackson, Te è la temperatura di equilibrio tra le fasi che, per piccoli sottoraffreddamenti, approssima la temperatura di cristallizzazione, ξ è il rapporto tra il numero di primi vicini di un atomo sulla superficie e nel volume del cristallo e dipende dall'orientazione cristallografica. L'interfaccia è ruvida se α 〈 2, mentre è piatta se α 〉 2; in generale, per la (5), un'interfaccia con la stessa orientazione cristallografica può presentarsi ruvida nella crescita da fuso e piatta nella crescita da soluzione, in quanto nel secondo caso ΔΗ/Te è maggiore. Macroscopicamente, un'interfaccia piatta è spesso evidenziata come una faccia piana del cristallo, detta sfaccettatura. In generale, i cristalli da fuso non presentano sfaccettature, a differenza di quelli da soluzione. Tuttavia, nel caso di molti semiconduttori cresciuti da fuso (ad esempio, GaAs), dove ΔH/RTf ~ 2 e l'interfaccia in crescita è convessa verso il fuso, ξ può far assumere ad α valori maggiori o minori di 2 a seconda dell'orientazione cristallografica; si potranno pertanto osservare sfaccettature nelle parti di interfaccia dove α 〉 2. Per quanto riguarda la cinetica di crescita, υ è di solito lineare in σ o ΔT per le interfacce ruvide, e superlineare per le facce piatte (v. fig. 2; v. Chernov, 1984 e 1989; v. van der Eerden, 1993; v. Gilmer, 1993; v. Mutaftschiev, 2001).
3. Metodi di crescita da fuso.
a) Generalità.
La crescita da fuso è praticabile solo con elementi o composti a fusione macroscopicamente congruente; a livello microscopico, a causa del difetto di stechiometria legato alla regione di esistenza, il massimo punto di fusione è sempre spostato rispetto alla composizione stechiometrica nominale; il controllo del difetto di stechiometria, da cui dipendono molte proprietà fisiche dei cristalli, soprattutto semiconduttori, è un problema aperto della tecnologia di crescita.
I metodi di crescita da fuso si distinguono in metodi a 'solidificazione normale', nei quali la rimozione del calore latente avviene attraverso il cristallo normalmente all'interfaccia fuso/solido, e metodi a 'fusione a zona', in cui una zona fusa è fatta muovere lungo una barra policristallina in modo tale che a una delle due interfacce si abbia solidificazione normale e all'altra fusione normale (v. Paorici e Zanotti, 1984; v. Brice, 1986; v. Müller, 1998). Appartengono al primo gruppo le tecniche Bridgman (BG), Czochralski (CZ) e Kyropoulos. Le tecniche del secondo gruppo sono usate sia per crescere cristalli massivi, sia per controllare i profili di impurezze e/o droganti durante la crescita (v. Pfann, 19662).
b) Metodi a solidificazione normale.
In fig. 3 sono riportate alcune delle principali tecniche di crescita da fuso, per ognuna delle quali è indicato il profilo di temperatura tipico che, tramite forni ad hoc, rende possibile il controllo della transizione di fase. In fig. 3A è schematizzato il metodo Bridgman (BG) verticale: il fuso viene raffreddato in un crogiolo chiuso per lento spostamento (abbassamento) meccanico rispetto al profilo termico; se l'ambiente gassoso esterno non interagisce col fuso, il crogiolo può essere anche aperto. Per evitare instabilità interfacciale, il gradiente termico deve essere sufficientemente elevato alla temperatura di fusione. La parte inferiore del crogiolo è sagomata in modo tale da favorire una sola nucleazione iniziale di fase solida e quindi la crescita di un monocristallo. Nei BG moderni, il profilo termico è modificato elettronicamente in modo tale che la transizione di fase avvenga senza spostamenti meccanici del crogiolo e del forno.
In fig. 3B è illustrata una versione di BG orizzontale, adatta per cristalli che si decompongono alla temperatura di fusione (Tf); il fuso è contenuto in una navicella a un'estremità della quale è posto un alloggiamento contenente un seme cristallino orientato cristallograficamente; la decomposizione del fuso - ad esempio, GaAs(l), che si decompone in Ga(l) e As2(g) - è soppressa ponendo As(s) in una seconda navicella alla temperatura Te (〈 Tf), per cui la tensione di vapore di As(s) diventa superiore a quella di decomposizione del GaAs. Alcuni esempi di cristalli da BG sono: Ge (973; 50 ÷ 120; quarzo grafitato); GaAs (1.237; 1 ÷ 5; quarzo); Al2O3 (2.037; 2 ÷ 6; molibdeno); CdxZn1-xTe (〉 1.600; 0,4; grafite con pressione di Ar 〉 10 MPa); i valori numerici riportati tra parentesi indicano rispettivamente la temperatura di fusione (in °C) e la velocità (in mm/h), e viene indicato anche il materiale del crogiolo (v. Brice, 1986; v. Monberg, 1994).
In fig. 3C sono schematizzate le principali versioni del metodo CZ, in cui il cristallo viene tirato dal fuso. La carica policristallina è inizialmente fusa nel crogiolo. Stabilito l'opportuno ambiente (vuoto o gas particolare) nella camera di crescita, la temperatura del fuso viene fissata poco sopra Tf e un seme orientato viene immerso nel fuso. Una volta raggiunto l'equilibrio termico, il seme viene lentamente ritirato dal fuso nella direzione delle temperature decrescenti, dando così luogo alla crescita. Cristallo e crogiolo sono di solito ruotati in verso opposto (10 ÷ 50/1 ÷ 5 rotazioni/min, rispettivamente), così da uniformare il campo termico e la fluidodinamica del sistema. L'interfaccia in crescita (che prende all'incirca la forma dell'isoterma di fusione) non coincide col livello della superficie libera del fuso, ma tende a sollevarsi per capillarità al disopra di tale livello, formando una colonna liquida, detta 'regione del menisco'. Come vedremo, le proprietà di questa regione sono fondamentali per il controllo della sagoma finale del cristallo.
I metodi CZ sono oggi impiegati nell'industria e nella ricerca per crescere numerosi cristalli (v. Brice, 1973). Citiamo, ad esempio GaSb (712; 70; grafite; H2), Bi12GeO20 (BGO) (939; 5 ÷ 10; Pt; O2), Ge (937; 50 ÷ 100; grafite; N2), LiNbO3 (1.250; 3 ÷ 8; Pt; O2), Si (1.420; 100 ÷ 200; quarzo; Ar), Y3Al5O12 (YAG) (1.950; 1 ÷ 3; Ir; N2), Al2O3 (2.037; 1 ÷ 3; Ir; Ar); tra parentesi vengono indicati, rispettivamente, la temperatura di fusione (in °C), la velocità di tiraggio (in mm/h), il materiale del crogiolo e l'ambiente.
La domanda crescente ha promosso lo sviluppo di numerose varianti del metodo CZ per ottenere sia cristalli di dimensioni sempre maggiori (cristalli 'scalati', dall'inglese scaled-up) come, ad esempio, lingotti cilindrici di silicio (diametro: 20 cm; peso: 50 kg), sia cristalli che si decompongono al punto di fusione. È stata così messa a punto una tecnologia 'a incapsulante liquido' (LEC, Liquid Encapsulation CZ), nella quale uno strato liquido di B2O3, galleggiante sul fuso e sottoposto a sovrapressione di gas inerte, impedisce al fuso di decomporsi. Il metodo LEC è oggi utilizzato per semiconduttori come GaAs, InP, GaP, InAs, PbTe e altri (v. Chernov, 1984; v. Paorici e Zanotti, 1984; v. Hurle e Cockayne, 1994; v. Müller, 1998).
Le moderne versioni CZ prevedono un notevole livello di automatizzazione, soprattutto per mantenere costante il diametro dei cristalli tirati con sagoma cilindrica. Durante la crescita CZ e LEC, infatti, tale sagoma è intrinsecamente instabile (v. Mika e Uelhoff, 1975) a causa delle modalità di interazione del campo termico con le forze di capillarità nella regione del menisco. Lo studio del problema termocapillare ha portato allo sviluppo di tecnologie (Stepanov; Web; EFG, Edge-defined Film-fed Growth) capaci di portare a cristalli a sagoma prefissata - come fili (ad esempio, Al, Cd, Zn, Bi), nastri (ad esempio, Ge, Si, GaAs, InSb), tubi (Al2O3) - utilizzando il tiraggio da fuso attraverso opportune guide (v. Ciszek, 1981; v. Dietl e altri, 1981; v. Tatarchenko, 1993 e 1994).
Il metodo Kyropoulos, sviluppato soprattutto per la crescita di alogenuri alcalini, si differenzia dai metodi CZ in quanto il cristallo non viene tirato dal fuso, ma si forma nel fuso stesso (sulla cui superficie libera si pone in contatto un seme cristallino) per progressiva estrazione del calore latente tramite raffreddamento. Durante la crescita, l'asta che sostiene il cristallo è fatta ruotare come nel CZ (v. Brice, 1986). Metodi simili, detti 'a scambio termico' e utilizzati per crescere zaffiro e BGO (germanato di bismuto), posizionano il seme sul fondo del crogiolo al di sotto della massa fusa; il calore latente viene estratto attraverso il cristallo utilizzando scambiatori termici a flusso di elio e riducendo la temperatura. La crescita a temperature molto elevate di materiali refrattari è limitata dalla disponibilità di crogioli adatti. Un metodo, detto della 'fusione a calotta' (skull melting), utilizza come contenitore lo stesso materiale del fuso. Il materiale è fuso con radiofrequenza in un contenitore con pareti raffreddate ad acqua, per cui si forma esternamente una calotta solida fredda che agisce da crogiolo per la parte interna fusa. Con questo metodo, in configurazioni sia BG che CZ, sono stati cresciuti cristalli di zirconia (ZrO2) e di altri ossidi (Al2O3, Y2O3, MgO, CaO, BaO; v. Christensen, 1988).
c) Metodi a zona fusa.
In fig. 4A è schematizzato il metodo per 'fusione a zona' (FZ, Float Zone) che rappresenta, in via di principio, l'approccio ottimale alla tecnologia di crescita da fuso in quanto l'assenza di crogioli evita contaminazioni e deformazioni da contatto. La massima lunghezza di zona, e quindi il diametro massimo del cristallo, dipendono però dal rapporto γ/ρ (dove γ è la tensione superficiale dell'interfaccia e ρ la densità del fuso) e solo in pochi materiali (tra cui il silicio) questo rapporto è sufficientemente elevato da rendere pratico il metodo (v. Brice, 1986). Il metodo FZ, quando praticabile, ha il vantaggio sia di essere intrinsecamente stabile come sagoma cristallina (v. Tatarchenko, 1993), sia di attuare un notevole controllo sui profili di drogaggio. I monocristalli di silicio FZ, esenti da dislocazioni e a basso tenore di ossigeno, rappresentano il materiale di base per dispositivi elettronici di potenza (v. Dietze e altri, 1981).
Per materiali altofondenti è utilizzato anche il metodo di Verneuil (o metodo a fiamma), che come il metodo FZ utilizza una zona molto limitata di fuso (v. fig. 4B). Una polvere composta da particelle di 2 ÷ 100 µm della sostanza da cristallizzare passa attraverso il bruciatore di una fiamma ossidrica e va a cadere su un seme monocristallino formando uno strato fuso di spessore 〈 1 mm. Poiché il seme viene abbassato lentamente a temperature minori di Tf, lo strato cristallizza, ma viene riformato dalla caduta di nuova polvere fusa, continuando così il processo di crescita. Barre cristalline di 10 × 10 × 500 mm sono state ottenute con questo metodo, che è utilizzato soprattutto per Al2O3 (tecnologia del rubino), ZrO2, Y2O3 e vari ossidi refrattari (v. Chernov, 1984; v. Brice, 1986).
d) Problemi di stabilità.
Oltre alla stabilità interfacciale e alla stabilità di sagoma, a cui si è già fatto cenno, si devono considerare altre forme di stabilità dettate dalle particolari esigenze applicative, quali la stabilità composizionale e la stabilità strutturale.
La stabilità composizionale riguarda i profili di drogaggio assiali e radiali nel cristallo. Di norma, la concentrazione Cs di un'impurezza (drogante) nel cristallo non si mantiene costante spazialmente come richiesto dall'ottimizzazione di molte applicazioni elettroniche e ottiche, in quanto la segregazione (isotropa in condizioni di equilibrio) non solo assume caratteristiche anisotrope in regime di crescita, ma viene a dipendere anche dalla velocità di crescita, υ. La costante di segregazione effettiva (ke) di un'impurezza è infatti legata alla costante di segregazione di equilibrio (ko) dalla relazione ke = ko f (υ,n), dove f (υ,n) è una funzione di υ e dell'orientazione cristallografica (n). In regime stazionario si può mostrare (v. Pfann, 19662) che:
ke = Cs/Cl = ko/[ko + (1 - ko)exp(-υδ/D)] (6)
dove Cl è la concentrazione nel fuso all'interfaccia, D è il coefficiente di diffusione dell'impurezza nel fuso e δ approssima lo spessore dello strato limite stagnante di fuso, all'interfaccia, entro cui il trasporto dell'impurezza avviene solo per diffusione (su come stimare δ, v. Müller, 1988). Se δ = 0, il trasporto è puramente convettivo e si può mostrare (v. Pfann, 19662) che:
Cs = koClo(1 - x/L)ko-1 (7)
dove Clo è la concentrazione iniziale di impurezza nel fuso, L è la lunghezza finale del cristallo e x/L la frazione cristallizzata, misurata lungo l'asse x normale alla (e con origine sulla) interfaccia. Poiché in generale ko ≠ 1, in regime di trasporto convettivo (che predomina nel fuso) Cs sarà sempre una funzione crescente o decrescente di x per ko 〈 1 (〉 1). In regime diffusivo (δ → ∞), dopo un transiente iniziale dipendente dal fatto che ko ≠ 1, Cs diventa costante con x, come dimostrato con esperimenti di crescita in microgravità (v. Parker, 1977). Ai profili Cs (x) stazionari (macroscopici) finora discussi si sovrappongono sempre oscillazioni transienti (microscopiche) di Cs, dette 'striature di crescita', le quali dipendono da fluttuazioni di υ e/o δ nella (6) (v. Müller, 1988 e 1998). Le striature di crescita, che sono una delle cause del rumore di fondo di molti dispositivi elettronici, possono venire ridotte (al limite eliminate) quando a fusi elettricamente conduttori vengano applicati campi magnetici sufficientemente intensi, come nel caso dei CZ a campo magnetico (MCZ; v. Hurle e Series, 1994).
L'espressione 'stabilità strutturale' indica il livello di perfezione strutturale richiesto per una data applicazione. L'instabilità strutturale, legata alla formazione di difetti strutturali quali dislocazioni, geminati, difetti di impilamento, ecc., dipende in larga misura dall'interazione del campo termico con il disordine puntuale reticolare. Infatti, quando il calore latente di solidificazione viene dissipato attraverso il cristallo, quest'ultimo si trova sottoposto a gradienti termici che possono indurre sforzi di natura termoelastica nel reticolo. Se, localmente, il gradiente di temperatura è sufficientemente elevato, lo sforzo si rilascia in deformazione plastica con formazione di difetti estesi, in particolare dislocazioni. Poiché la nucleazione di dislocazioni è favorita dalla presenza di difetti puntuali (vacanze, atomi interstiziali), l'instabilità strutturale si riduce non solo diminuendo i gradienti termici, ma anche controllando il disordine puntuale e, nel caso dei composti, la regione di esistenza. Il controllo della regione di esistenza, che permette di controllare non solo la perfezione strutturale ma anche molte proprietà fisiche, è uno dei problemi più difficili da risolvere per la moderna tecnologia di crescita (v. Völkl, 1994; v. Klapper, 1998).
4. Metodi di crescita da soluzione.
a) Generalità.
La crescita da soluzione utilizza tecniche nelle quali la composizione chimica del cristallo differisce da quella della fase liquida nutriente. A differenza della crescita da fuso, questo metodo può essere impiegato anche con sostanze che fondono incongruentemente, e/o si decompongono a T 〈 Tf, e/o presentano modificazioni polimorfe a T 〈 Tf. Esso rappresenta un'alternativa alla crescita da fuso quando tensione di vapore e temperatura al punto di fusione sono eccessivamente elevate (Pf 〉 50 atm; Tf 〉 1.500 °C). Nelle tecniche da soluzione, il solvente ha la funzione di abbassare la temperatura di cristallizzazione a T ≪ Tf; ad esempio, NaCl, la cui Tf = 801 °C, cresce da soluzione acquosa a T = 25 °C. Date le minori temperature in gioco, si ottengono in generale cristalli con perfezione strutturale superiore a quella dei cristalli cresciuti da fuso. La gamma di solventi utilizzati è molto ampia e comprende, alle basse temperature, acqua, soluzioni acquose acide e basiche, solventi organici e inorganici, gel. Alle alte temperature, oltre ad acqua nelle crescite idrotermali, si usano sostanze fuse quali metalli, ossidi, sali e loro miscele, dette 'flussi' (dall'inglese flux). Possono comportarsi come solventi anche eccessi di componente del cristallo, ad esempio, Te(l) nella crescita THM del CdTe.
I metodi di crescita possono distinguersi in tre gruppi, a seconda che la soprasaturazione venga indotta per variazione di temperatura, per variazione isoterma della composizione o attraverso reazioni chimiche. Conviene inoltre distinguere tra tecniche a bassa e alta temperatura (v. Elwell e Scheel, 1975; v. Chernov, 1984).
b) Metodi a variazione di temperatura.
Tecniche a raffreddamento della soluzione satura. - Un cristallizzatore a soluzione acquosa nella sua forma più semplice consiste in un'asta posta all'interno della soluzione e collegata a un supporto a cui sono appesi inizialmente alcuni semi monocristallini della sostanza da crescere (v. fig. 5A). L'asta ruota, generando così un movimento convettivo del liquido che favorisce la stabilità interfacciale e aumenta la velocità di crescita. Durante la crescita la soprasaturazione viene mantenuta per lento raffreddamento (0,005 ÷ 1 °C/24 h) del bagno termostatico. I cristalli cresciuti con questa tecnica sono molto numerosi (per una rassegna parziale, v. Buckley, 1951).
In fig. 5B è schematizzato un sistema di crescita da flusso. I cristalli crescono sul fondo di un crogiolo di materiale altofondente (ad esempio, platino), a temperature elevate (500 ÷ 1.800 °C), da soluzioni a concentrazioni di soluto tra 1 e 25% in peso (v. Tolksdorf, 1994; v. Brice, 1986). In questo modo, ad esempio, cristalli di Y3Fe5O12 (YIG) vengono cresciuti a 800 °C da una miscela (flusso) di BaO e B2O3 fusi. Tra i cristalli cresciuti da flusso ricordiamo (tra parentesi è indicata la miscela solvente): Al2O3 (PbF2 + B2O3); BaTiO3 (B2O3); Fe2O3 (Na3B4O7); TiO2 (B2O3 + Na2B4O7); ZnTe (In); Y3Al5O12 (YAG) (PbO + PbF2).
Tecniche a gradiente di temperatura. - In queste tecniche il volume della soluzione è sottoposto in parte a una temperatura T2 (dove la soluzione è sottosaturata) e in parte a una temperatura T1 (〈 T2), dove la soluzione diventa sovrasatura; se a T1 si ha σ 〈 σ*, il soluto potrà cristallizzare in condizioni di stabilità. In fig. 6 è schematizzata una tecnica a gradiente termico basata sull'uso di soluzioni sature a temperature diverse (Tn,Tc, con Tn 〉 Tc) e poste in contenitori separati ma collegati tra loro in modo tale da indurre una sovrasaturazione σ 〈 σ* a Tc (temperatura alla quale cresce il cristallo) e mantenerla per riciclaggio della soluzione esaurita. Impianti a più contenitori sono utilizzati nell'industria, ad esempio per crescere cristalli di (NH4)H2PO4 (ADP) e KH4PO4 (KDP) del peso di 100 ÷ 200 kg in periodi di qualche mese (υ ~ 0,2 ÷ 0,3 mm/h). Gli stessi cristalli sono comunque cresciuti anche con tecniche a sottoraffreddamento (v. Chernov, 1984). Tecniche a gradiente termico sono usate anche nelle tecniche da flusso, ad esempio per granati di ferro e terre rare (v. Tolksdorf, 1994).
Tecniche a gradiente termico e pressione elevata. - Sostanze altrimenti insolubili possono acquisire una limitata solubilità in alcuni solventi se sottoposte ad alte pressioni e temperature e quindi essere cristallizzate mediante tecniche a gradiente di temperatura. Un esempio è rappresentato dalla crescita industriale del diamante a T 〉 1.300 °C, P 〉 50 kbar da metalli (Ni, Co, Fe) o leghe (Fe-Ni; Fe-Al) fuse. Il diamante può anche essere fatto crescere direttamente dalla grafite a circa 3.000 °C e 130 kbar (v. Davies, 1984).
Quando il solvente a elevata pressione e temperatura è l'acqua, si parla di 'crescita idrotermale'. In fig. 7 è schematizzata la tecnica per crescere industrialmente cristalli di quarzo (α-SiO2) da una soluzione acquosa a cui è imposto un gradiente termico ad alta pressione. La crescita si realizza in autoclave, con T2 ~ 600 °C, T1 ~ 400 °C e P 〉 1.000 atm (per una rassegna delle tecniche idrotermali, v. Byrappa, 1991 e 1994).
Tecniche a zona liquida. - Nella tecnologia dei materiali elettronici sono utilizzate tecniche in cui la soluzione è limitata a una zona liquida che si sposta durante il processo di crescita. Con la tecnica TSM (Travelling Solvent Method), usata per formare contatti ohmici metallici su cristalli semiconduttori, uno strato sottile (〈 1 mm) di un metallo B (ad esempio alluminio), che funge da solvente, è posto tra un seme monocristallino e una barra policristallina di A (ad esempio silicio), dove A funge da soluto. Se la solubilità di A in B diminuisce con T e Tf(B) 〈 Tf(A), imponendo un gradiente termico al sistema, con temperature comprese tra Tf(A) e Tf(B), si formerà una zona fusa di lega A+B dove inizialmente è posizionato B. Per T crescente verso la barra policristallina, questa tenderà a dissolversi saturando la zona fusa in A. All'interfaccia più fredda si avrà invece una sovrasaturazione di A e quindi crescita del seme monocristallino. Il processo continua, con spostamento spontaneo della zona liquida, fino a completa cristallizzazione della barra di A, al cui estremo cristallizzerà infine una lega di A+B, vale a dire la 'contattatura' (cioè il contatto ohmico) richiesta. Sistemi A:B studiati sono: Si:Al; SiC:Cr; Ge:Pb; GaP:GaAs (v. Pfann, 19662; v. Chernov, 1984). Nella tecnica THM (Travelling Heater Method) è l'eccesso di componente del cristallo ad agire da solvente; il metodo consiste nel fondere una stretta zona a un capo di una barra policristallina arricchita del componente in eccesso e nel farle attraversare lentamente la barra stessa tramite spostamento di un'opportuna sorgente di calore. Rispetto alle crescite da fuso (ad esempio, FZ), il metodo ha il vantaggio di operare a T ≪ Tf (ad esempio, per CdTe, T ~ 800 °C, Tf = 1.092 °C), con conseguente miglioramento della perfezione strutturale. Data però la difficoltà sperimentale di operare con valori di ∇ Tl/υ sufficientemente elevati, il metodo può andare incontro a instabilità interfacciale (v. eq. 4). La tecnica THM è stata usata nella tecnologia dei rivelatori nucleari (CdTe) e per crescere leghe (ad esempio, GaAsP, GaInAs, InGaSb, HgCdTe) e composti (ad esempio, CuInSe2) ternari (v. Chernov, 1984).
Crescita epitassiale da fase liquida (LPE). - L'epitassia (dal greco epi, sopra, e taxis, ordine) è la crescita orientata di un cristallo su un altro, detto substrato. Se strato e substrato sono della stessa sostanza si parla di 'omoepitassia', altrimenti di 'eteroepitassia'. L'epitassia è possibile quando i piani reticolari che vengono a contatto, anche se con strutture cristallografiche diverse, hanno maglie approssimativamente uguali con spaziature reticolari non troppo diverse; si assume in generale che il disadattamento reticolare non debba superare il 15%. Esempi di eteroepitassia sono la crescita di Au su NaCl (entrambi cubici) dove i piani di contatto, espressi con la simbologia degli indici di Miller (v. Kittel, 1971; v. anche cristallografia, vol. X), sono in entrambe le strutture i piani {100}; oppure la crescita di NaNO3 su CaCO3 (calcite), entrambi trigonali, dove i piani di contatto sono in entrambe le strutture i piani {10-11}. Il fenomeno dell'epitassia è usato estensivamente per crescere strati sottili monocristallini nella preparazione di dispositivi elettronici, ottici e magnetici (v. Baldereschi e Paorici, 1988; v. Tolksdorf, 1989). Quando uno strato epitassiale è cresciuto da una fase liquida, si parla di LPE (Liquid Phase Epitaxy). I metodi LPE, usati principalmente nella deposizione di semiconduttori per fabbricare laser e di granati per dispositivi magnetici a bolle, sono oggi in parte soppiantati dai metodi da fase vapore (v. crescita cristallina: Crescita da fase vapore, vol. XII). Tra le molte versioni di tecniche LPE, le principali sono le tecniche a immersione e quelle a slitta. Le prime consistono nell'immersione del substrato in una soluzione satura (o appena soprasatura) che viene poi raffreddata in modo programmato. Lo spessore dello strato dipenderà dal tempo di immersione e dalle modalità di raffreddamento. Esempi di applicazione del metodo sono la deposizione omoepitassiale di GaAs da soluzioni di arsenico in gallio, o la deposizione eteroepitassiale di ZnTe su ZnSe da soluzioni di tellurio in zinco. Il metodo a slitta (v. fig. 8), che è impiegato soprattutto per la deposizione di strutture multiple, utilizza un reattore nel quale soluzioni diverse sono alloggiate in pozzetti ricavati in un blocco di grafite. Il substrato, posto in una sede nella slitta che scorre sotto i pozzetti, viene portato in sequenza a contatto con le diverse soluzioni, da cui deriva la deposizione di strati epitassiali diversi per composizione, drogaggio e spessore. Il reattore è in un tubo di quarzo (nel quale possono passare correnti gassose) posto a sua volta in un forno a temperatura programmabile (v. Brice, 1977).
c) Metodi a variazione isoterma di composizione.
In questi metodi la soprasaturazione è ottenuta evaporando il solvente e aumentando quindi la concentrazione del soluto al di sopra della sua solubilità all'equilibrio. Il processo di crescita è condotto a temperatura rigorosamente costante. Se la soluzione è in contatto diretto con l'atmosfera esterna, l'evaporazione avviene spontaneamente e può essere aumentata facendo fluire sulla soluzione correnti fredde di aria o gas. Il metodo, particolarmente utile per sostanze chimicamente stabili entro intervalli ridotti di temperatura, è limitato dal progressivo aumento sia della concentrazione di impurezze nella soluzione (e quindi nel cristallo), sia della soprasaturazione; quando σ 〉 σ*, la crescita non solo diventa instabile, ma si perde anche il controllo della nucleazione. Sono stati riportati metodi a σ e T costanti, ad esempio per crescere il tartrato di sodio e potassio (sale di Rochelle), dove σ è mantenuto costante tramite aggiunta controllata di soluzione insatura (v. Chernov, 1984). Il metodo è riportato anche per le alte temperature (ad esempio, cristalli di Al2O3 per evaporazione di PbF2 + B2O3 a T ~ 1.300 °C; v. Brice, 1986).
d) Metodi basati su reazioni chimiche.
Tecniche a interazione chimica tra solventi. - Queste tecniche si basano sulla reazione chimica di componenti in fase liquida in seguito alla quale si forma una fase solida. Se la cinetica di reazione è sufficientemente lenta e le condizioni di stabilità interfacciale rispettate, il risultato può essere un monocristallo. Il metodo è utilizzabile quando la solubilità della fase solida è minore di quella dei reagenti in fase liquida. In generale, le cinetiche di queste reazioni eterogenee sono veloci, per cui tendono a formarsi precipitati di cristalli molto piccoli. Si devono pertanto trovare condizioni operative che rallentino le cinetiche, ad esempio facendo reagire lentamente i solventi attraverso setti porosi (v. Chernov, 1984).
Tecniche di crescita gel. - La crescita gel è un processo intermedio tra crescita da soluzione e da fase solida che non è usato su scala industriale, ma solo in laboratorio. La cristallizzazione avviene entro i gel, che sono sistemi bifasici costituiti da un solido poroso, i cui pori sono riempiti di liquido. Un gel tipico è il gel di silice, che si prepara facendo reagire una soluzione 0,2 ÷ 0,3 M di Na2SiO3 in H2O. Si formano idrossido di sodio (NaOH) e acido silicico (H3SiO4), che perdendo acqua si polimerizza. La struttura polimerica tridimensionale è caratterizzata da pori entro cui possono diffondere sostanze in fase liquida che, interagendo, danno luogo alla formazione di cristalli. I gel non devono essere troppo rigidi, altrimenti vengono inglobati nel cristallo come impurezza; la loro struttura polimerica deve essere invece a legami deboli, che possono spezzarsi per impatto col cristallo in crescita. Il cristallo crescerà così in una sacca di liquido che si allargherà progressivamente. La soprasaturazione per la nucleazione in gel è 2 ÷ 5 volte più grande che nella corrispondente soluzione libera, il che implica velocità di crescita maggiori (υ ~ 0,5 ÷ 1 mm/h), ma in regime di trasporto di massa puramente diffusivo. Ciò fa sì che le condizioni di crescita gel siano molto vicine a quelle della crescita in microgravità. Un esempio di crescita gel è dato dalla cristallizzazione dell'oro: una soluzione 0,2N di AuCl3 è mescolata con un gel di Na2SiO3 e su questa miscela si fa percolare acido ossalico 0,2N in acqua; nella fase gel si avrà la seguente reazione:
2AuCl3 + 3(COOH)2 = 2Au + 6HCl + 6CO2
con formazione di piccoli cristalli di oro.
Questa tecnica è utilizzata sia per ottenere cristalli a elevata perfezione strutturale, sia per studiare i meccanismi di crescita in assenza di moti convettivi. Le potenzialità del metodo, soprattutto per quanto riguarda sia temperature e pressioni elevate, sia l'uso di molti solventi organici, sono ancora inesplorate (per una rassegna di tecniche e materiali, che includono cristalli inorganici - quali ADP e KDP - e organici per ottica non lineare, macromolecole e proteine, v. Lefaucheux e Robert, 1994).
Tecniche VLS. - I processi di crescita che coinvolgono anche la fase vapore sono detti VLS (vapore, liquido, solido). La crescita VLS è stata inizialmente studiata per cristalli aghiformi (whisker) di silicio. Una particella di oro è posta sulla superficie {111} di un substrato di silicio monocristallino. Portando la temperatura a 370 °C si forma una goccia liquida di una lega eutettica di Au-Si. A temperature elevate (~ 1.000 °C) e in presenza di un flusso gassoso di SiCl4 + H2, la goccia si sovrasatura in silicio per effetto della reazione:
3SiCl4 + 4Au = 4AuCl3 + 3Si
e dal substrato crescerà rapidamente (υ ~ 0,2 mm/h) un cristallo aghiforme nella direzione cristallografica {111}. Il processo di crescita continua finché la goccia liquida si mantiene sulla punta in crescita del cristallo. L'elevata velocità di crescita nei processi VLS si spiega considerando che l'interfaccia LV è molto reattiva e l'interfaccia LS si configura come atomicamente ruvida. Il metodo è stato applicato tra l'altro a Ge, GaAs e ZnSe (v. Givargizov, 1978; v. Chernov, 1984).
Elettrocristallizzazione. - Questo metodo, generalmente usato per preparare strati epitassiali metallici, è oggi in parte soppiantato dalle tecniche epitassiali da fase vapore. Si basa sulla deposizione elettrolitica dello strato desiderato su un elettrodo che funge da substrato epitassialmente compatibile. Utilizzando densità di corrente di 1 ÷ 100 mA/cm2, il metallo è rilasciato da un elettrodo e depositato sull'altro. Densità di corrente maggiori portano a strati policristallini. In alcuni casi l'elettrodo che funge da substrato è lentamente estratto dalla soluzione elettrolitica come nel metodo CZ. Per elettrocristallizzazione si sono cresciuti strati monocristallini di molti elementi (Ag, Bi, Cd, Co, Cr, Fe, Ni, Pt, Sn, Zn), leghe metalliche (Pb-Sn, Ni-Co, ecc.), nonché cristalli massivi (ad esempio, MoO2, per riduzione elettrolitica di molibdato di sodio a 670 °C). Le ricerche condotte sulla elettrocristallizzazione hanno inoltre permesso di chiarire molti aspetti dei meccanismi atomistici di crescita (v. Brice, 1986; v. Budewski, 1972; v. Ramasamy, 1993).
e) Problemi di stabilità.
Nella crescita da soluzione il calore latente di solidificazione viene generalmente dissipato attraverso la soluzione, per cui l'interfaccia in crescita è sempre più calda della soluzione circostante. Quindi, poiché all'interfaccia ∇ Tl 〈 0, il criterio di stabilità per interfacce ruvide dato dalla (4) non è mai verificato. L'instabilità viene in larga misura rimossa attraverso la crescita di facce vicinali a cinetica lenta, per la cui stabilità è però critica la scelta del solvente, in quanto solubilità troppo elevate (〉 50%) non solo abbassano eccessivamente la velocità di crescita, ma, aumentando la viscosità della soluzione, rendono il trasporto di massa prevalentemente diffusivo, con effetti destabilizzanti; infatti, in regime diffusivo, la soprasaturazione (σ) diventa non uniforme davanti a un'interfaccia vicinale. In particolare, σ (e quindi υ) decrescono dal bordo verso il centro dell'interfaccia e, per ∇σ sufficientemente elevati, l'interfaccia si destabilizza inglobando inclusioni di solvente (v. Chernov e Nishinaga, 1987).
Le interfacce vicinali possono essere stabilizzate agitando la soluzione; i moti convettivi così prodotti tendono infatti a ridurre le componenti di ∇σ parallele all'interfaccia. Anche solventi a bassa solubilità favoriscono una crescita stabile; se però la solubilità è troppo bassa (〈 5%), la velocità di crescita può ridursi eccessivamente. Anche le impurezze nella soluzione giocano un ruolo critico per la stabilità interfacciale. I loro effetti più evidenti riguardano la velocità di crescita, che viene alterata, e l'abito cristallino, che viene modificato. In generale, le impurezze agiscono sulla nucleazione, in quanto alterano i valori di σ* e la regione di metastabilità, e sui meccanismi atomistici di accrescimento delle facce vicinali. Il controllo delle impurezze è reso difficile dal fatto che i vari effetti da esse indotti tendono a sovrapporsi in modo complesso (v. Buckley, 1951; v. Chernov e Temkin, 1977; v. Chernov, 1984; v. Sarig, 1993).
5. Tendenze e sviluppi futuri.
I monocristalli massivi finora cresciuti da fase liquida in modo riproducibile riguardano un numero limitato di materiali inorganici a formula chimica semplice (elementi, composti binari e ternari e qualche 'multinario') e alcune decine di sostanze organiche. È prevedibile, nel medio e lungo termine, non solo la crescita di nuovi monocristalli di interesse applicativo, ma anche un affinamento delle tecniche e quindi della qualità dei cristalli. In ottica e ottica non lineare saranno richieste specifiche sempre più rigorose per l'omogeneità microcomposizionale e la perfezione strutturale, così da garantire una elevata uniformità spaziale degli indici di rifrazione. Per molti dispositivi elettronici aumenterà la domanda di cristalli semiconduttori composti con regioni di esistenza strettamente controllate; tenuto conto che il difetto di stechiometria in composti come GaAs o CdTe è del 10-4 ÷ 10-2 %, si dovranno sviluppare tecnologie capaci di intervenire sul disordine puntuale reticolare, sia nativo che associato a droganti.
Problemi tuttora aperti riguardano la genesi e la riduzione (eliminazione) dei difetti strutturali estesi (dislocazioni, geminati, difetti di impilamento, ecc.), la stabilità interfacciale in presenza di concentrazioni elevate di droganti, la stabilità composizionale (stazionaria e transiente) e il controllo dei profili di drogaggio in molte crescite da soluzione. A livello teorico, benché nelle linee generali siano ormai chiari i principali aspetti del processo di crescita, manca ancora un raccordo tra la scala dei modelli atomistici (1 ÷ 10 Å) e fenomenologici (〉 1 µm). L'uso dei moderni calcolatori e del calcolo numerico stanno portando allo sviluppo di modelli matematici capaci di predizioni quantitative per quanto riguarda la fenomenologia della crescita da fuso e da soluzione (v. Derby e altri, 1998).
I limiti dell'approccio modellistico stanno però nella carenza di dati sperimentali per molti parametri specifici, a cui si ovvia in parte con stime basate su calcoli da principî primi. Per la crescita da soluzione è tuttora limitante la mancanza di adeguati modelli fisici della fase liquida.
A livello microscopico, simulazioni con metodi Montecarlo vengono sempre più spesso utilizzate per verificare le teorie atomistiche attraverso confronti con dati macroscopici sperimentali (v. van der Eerden, 1993; v. Bennema, 1993; v. Gilmer, 1993). Molte informazioni su aspetti diversi della cristallizzazione sono state acquisite negli ultimi trent'anni con esperimenti di crescita in microgravità (v. Walter, 1987; v. Benz e Cröll, 1998). Nei prossimi anni la disponibilità di stazioni spaziali dove potranno condursi esperimenti di crescita di lunga durata (più mesi), fa prevedere una ulteriore espansione delle conoscenze nel settore.
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