crescita
Insieme degli aspetti quantitativi dello sviluppo economico (➔ anche sviluppo), misurati attraverso le principali grandezze macroeconomiche (PIL, reddito nazionale, investimenti e così via).
In economia, si studia la teoria della c. con modelli che rappresentano, a diversi livelli di aggregazione, l’andamento nel tempo di variabili cruciali, quali il reddito, il risparmio, gli investimenti. Nei modelli neoclassici di c., elaborati negli anni 1950 e 1960, a partire dal contributo di R.M. Solow (➔), il tasso di c. del prodotto lordo pro capite è spiegato da 3 variabili, esplicitate in una funzione aggregata di produzione: il tasso di c. dello stock di capitale, quello del fattore lavoro impiegato e il progresso tecnico. Quest’ultimo è considerato esogeno, cioè non spiegato da altre variabili del modello. Su tale base, ci si dovrebbe attendere che nel lungo periodo il tasso di c. di un’economia fosse determinato dal tasso di c. del progresso tecnico. Inoltre, poiché nel modello il progresso tecnico ha la natura di un bene pubblico, tutti i Paesi dovrebbero godere uniformemente dei suoi benefici e quindi crescere allo stesso ritmo nel lungo periodo. Eventuali differenze iniziali sarebbero eliminate da un processo di convergenza nel tempo: i Paesi con reddito pro capite superiore alla media dovrebbero evolvere a tassi inferiori alla media, mentre l’inverso dovrebbe avvenire per i Paesi con reddito pro capite inferiore alla media.
Il modello di Solow è stato oggetto di studio di una vasta letteratura empirica, che ha cercato di validarne le previsioni nella realtà. Le indagini hanno seguito due approcci paralleli. ● Il primo, detto di contabilità della c. (growth accounting), ha misurato il contributo alla c. di un Paese apportato da ciascuna delle principali variabili del modello (capitale, lavoro, progresso tecnico). I risultati attestano che il contributo proveniente dal progresso tecnico è di molto superiore a quelli forniti dagli altri fattori. Ciò rappresenta un limite nella capacità esplicativa del modello stesso, perché il fattore empiricamente più importante è completamente esogeno.
Il secondo filone di ricerca empirica si è invece concentrato sull’ipotesi di convergenza nei tassi di c. di Paesi diversi. L’ipotesi ha trovato scarsa conferma. I lavori della fine degli anni 1990 e dei primi anni 2000 mostrano che le differenze nei tassi di c. (e come conseguenza, anche nei livelli di reddito pro capite) si polarizzano, anziché ridursi, nel tempo. Ciò è in parte spiegato dalla ‘convergenza a gruppi’ (convergence clubs), secondo cui i Paesi all’interno di uno stesso gruppo (club) tendono a convergere al medesimo tasso di crescita, benché questo sia diverso per ogni club, e le differenze fra i Paesi dei vari gruppi persistono nel tempo.
Tali discrepanze fra teoria e realtà hanno contribuito, soprattutto a partire dalla fine degli anni 1980, allo sviluppo della cosiddetta ‘Nuova teoria della crescita’, attraverso una moderna classe di modelli, noti come modelli di crescita endogena (➔). Pur rappresentando un significativo avanzamento rispetto ai modelli neoclassici tradizionali, questi schemi seguono fedelmente la loro impostazione, basata sulla formulazione di equazioni dinamiche in un contesto di equilibrio generale e di perfetta razionalità degli agenti. I problemi di eterogeneità delle decisioni microeconomiche (per es., a livello di impresa) sono circoscritti ricorrendo all’ipotesi della presenza di un agente rappresentativo. L’ipotesi di equilibrio generale – e quindi di perfetto coordinamento dei mercati – implica anche che i vincoli alla c. possono provenire solo dal lato dell’offerta (per es., disponibilità di capitale umano, livello della tecnologia) e non anche dal lato della domanda (per es., livello di investimenti e consumi). Infine, come nei modelli neoclassici, la distribuzione del reddito è conseguenza del processo di c. ed è basata sull’idea che ogni fattore produttivo (per es., capitale o lavoro) è remunerato in base alla sua produttività.
Modelli di c. sono tuttavia presenti anche in altre impostazioni o scuole teoriche di approccio classico, postkeynesiano o evolutivo. L’approccio classico pone al centro della spiegazione del processo di c. il conflitto distributivo fra i detentori dei fattori produttivi. L’impostazione postkeynesiana si concentra sui vincoli alla c. provenienti da un insufficiente livello della domanda aggregata (➔), dando particolare importanza anche ai vincoli provenienti dalla domanda estera e/o generati da crisi nei mercati finanziari. L’approccio evolutivo concepisce la c. economica come un processo basato sull’evoluzione di differenti tecnologie e settori produttivi. Secondo tale impostazione, la c. comporta sempre un cambiamento strutturale, in cui alcuni settori produttivi si ridimensionano, mentre altri si espandono, e dove la nascita di nuovi settori si accompagna generalmente all’introduzione di nuove tecnologie. Ruolo centrale occupano quindi i processi di c. e selezione fra imprese eterogenee e i vincoli a essi associati. I contributi empirici di stampo evoluzionista confermano anche come la dinamica delle economie capitalistiche si caratterizzi per le forti e persistenti asimmetrie fra imprese e/o settori, difficilmente riconciliabili con l’ipotesi di agente rappresentativo (➔) dei modelli neoclassici.