cresima
D. non parla del sacramento della c., bensì dei suoi frutti - i doni dello Spirito Santo - enumerati (conformemente all'uso) secondo Is. 11, 2. In Cv IV XXI, fedele alla sua abitudine di cercare dapprima l'insegnamento della filosofia poi quello della teologia (prima per modo naturale, e poi per modo teologico, § 1), D. si basa dapprima su Aristotele e Cicerone per sottolineare la sublimità dell'anima umana (§§ 3-10), poi tratta per via teologica (§§ 11 ss.) l'elevazione di essa allo stato soprannaturale. Imbevuto più della recente teologia latina (e, al pari di essa, di un certo estrinsecismo) che non dei punti di vista più ontologici della tradizione greca, D. in questo passo, più che la presenza di Dio stesso nell'anima del battezzato (" donum increatum ") tende a porre in evidenza i doni di Dio, suo beneficio (§ 11, " donum creatum "). Parimenti, senza dire (come farà la teologia posteriore) che la presenza di Dio attende una migliore disposizione dell'anima per infondervisi più pienamente, D. nota che (§ 13) se questo [l'appetito dell'anima] non è bene culto... poco vale la sementa, cioè i doni dello Spirito Santo. Questi ultimi, vero settenario sacro, si ritrovano simbolicamente nei sette alberi d'oro (Pg XXIX 43), candelabri (v. 50), fiammelle (v. 73), tratti pennelli (v. 75), insegne (v. 154), settentrion del primo cielo (XXX 1), lumi tenuti da sette ninfe (XXXII 98).