CRESPI, Giovanni Battista, detto il Cerano (anche Cerrano e Serrano)
Figlio di Raffaele, la mancanza del documento di nascita ne rende incerta, oltre che la data (di cui si tratta in seguito), anche la località d'origine: fonti manoscritte di Busto Arsizio (Crespi Castoldi, 1614; nota Negri, 1650, su copia a stampa di Vitale, 1644) lo dicono nativo di quella località, ove operarono il nonno Giovan Pietro e il padre; il soprannome riferentesi alla piccola località agricola dei Novarese in direzione della Lomellina, pertinente anch'essa come Busto Arsizio al ducato milanese, è spiegato da un testo locale (Paolo da Trecà, 1628) con il fatto che il giovane C., con il padre Raffaele, frequentava "suoi poderi" in Cerano. Quest'ultima fonte definisce il C. "Cittadino Milanese", e in effetti, a partire dal documento Borromeo del 1591 (Nova, 1983, p. 63 n. 46) la città di Milano diviene patria d'elezione e di residenza dell'artista.
Il C. morì a Milano, presumibilmente per tisi e idropisia ("asthmate et hydrope consumptus", secondo l'atto di morte steso da Ludovico o Senatore Settala; cfr. Nova, 1983, p. 60 n. 14), il 23 ott. 1632 in parrocchia di S. Eufemia fuori porta Romana, ove abitava già nel 1610 in contrada Rugabella (Besta, 1933, p. 456), e fu sepolto in S. Maria presso S. Celso. Dall'atto risulta l'età di cinquantasei anni, che porrebbe l'anno di nascita nel 1575 0 1576. L'età deducibile da due stati d'anime del 1610 (ibid.) e dei 1631 (Pevsner, 1928) non coincide con quella dell'atto di morte: dal primo risultano trentacinque anni, arretrando quindi la nascita al 1574 o 1575, dal secondo cinquant'anni, ponendo la nascita al 1580 o 1581.
A partire dal Pevsner (1928) era comunque accettata la data di nascita intorno al 1575. Ciò conferiva eccezionale precocità all'attività del pittore, che già nel dicembre 1591 riceveva dal conte Renato Borromeo un saldo per pitture presumibilmente nel palazzo Borromeo di Milano (Nova, 1983, p. 63 n. 46). D'altra parte, fra le fonti, il Torre (1664) lo dichiarava morto nel 1633 a sessantacinque anni (quindi nato nel 1567 o 1568) e l'Orlandi (1704) addirittura a settantasei anni, quindi nato nel 1556 o 1557. La recente identificazione (Askew, 1978, p. 282 n. 87) dell'incisione di frontespizio del De origine seraphicae religionis Franciscanae di fra' Francesco Gonzaga (Romae, D. Basae, 1587), per la quale il C. diede il disegno, firmato (Milano, Biblioteca Ambrosiana, cod. F 235 inf., n. 1014), e le giuste deduzioni tratte dal Nova (1983), messe a confronto con il documento del 1591 e con le prime date accertate post quem di opere del C. (Mortara, Cerano, Trecate), e d'altra parte la considerazione che assai spesso, all'epoca, gli stati d'anime e gli atti di morte presentano dati anagrafici opinabili e contraddittori, inducono oggi ad accettare di massima l'indicazione del Torre, collocando la data di nascita dell'artista tra il 1565 e il 1570.
Il fratello Ortensio fu pittore, come anche la figlia Camilla che sposò il suo allievo M. Gherardini.
Fino alla pubblicazione (Rosci, 1960)degli affreschi e delle statue modellate in conglomerato di stucco nella tribunetta della Madonna del campo presso Mortara, allora domenicana, su lascito Tornielli del 1590, a cui si connette probabilmente anche la pala dell'Adorazione dei pastori già in S. Giuseppe, poi in S. Lorenzo a Mortara (Torino, Pinacoteca Sabauda), e delle due pale con l'Ultima Cena nella parrocchiale di Cerano e con l'Incoronazione della Vergine con i ss. Agostino e Bonaventura e confratelli nell'oratorio del Gonfalone a Trecate (Novara), entrambe commissionate a seguito di visite pastorali del vescovo Carlo Bascapè dell'aprile 1594 (essendo la prima opera datata il Voto dei santi francescani del1600già all'Immacolata Nuova dei cappuccini di Milano, poi agli Staatliche Museen di Berlino e perduta nell'incendio della "Flakturm" nell'aprile 1945), l'opera più precoce del C. era ritenuta la tavola con l'Arcangelo Michele (Milano, Musei civici al Castello Sforzesco; entrata nel 1863 dalla coll. Guasconi), probabilmente corrispondente ad un'opera registrata nel '600nella collezione Mazenta (Verga, 1918).
Il dipinto presenta evidenti influssi sia del tardo manierismo romano, sia dei manieristi fiamminghi attivi a Roma e alla corte dell'imperatore Rodolfo II. Dal momento che nelle opere novaresi-lomelline sono riscontrabili, accanto a stilemi manieristici (contrapposti e avvitamenti nelle figure, gamma cromatica a giustapposizioni di dense paste di lacche e vernici), prevalenti derivazioni dalla tradizione gaudenziana, da Lanino e Della Cerva fino al parallelismo con il giovane Moncalvi, operante in Lomellina negli stessi anni (cfr. G. Romano, Casalesi del Cinquecento, Torino 1970, pp. 95-101), e anche dalla cultura bresciana, ben rappresentata a Milano, parve logico supporre - alla luce dell'accettata data di nascita intorno al 1575 - che tali opere precedessero un viaggio a Roma, al seguito del cardinale Federico Borromeo, intorno al 1596, con passaggi anche a Bologna e Firenze (nel 1598 il C. è certamente a Milano, datando a quell'anno la lettera al cardinale [G. Bottari-S. Ticozzi Raccolta di lettere…, Milano 1822, VII, pp. 519 s.] con il primo progetto di una statua colossale di S. Carlo ad Arona e la prima commissione, mai evasa, per una pala di S. Giovanni evangelista in duomo: cfr. Valsecchi, 1961). Subito susseguenti al supposto viaggio in Italia centrale erano quindi ritenute le opere più prettamente manieristiche e baroccesche dell'artista, fino alle definitive formulazioni personali del Voto del 1600 e del Battesimo di Cristo datato 1601 (Francoforte sul Meno, Städelsches Kunstinstitut, dal 1915).
L'identificazione della destinazione del disegno all'Ambrosiana per la monumentale storia dell'Ordine francescano e dei suoi conventi, scritta da Francesco Gonzaga, nipote di Ferrante Gonzaga e fratello del cardinale Scipione (nonché parente e amico di Carlo Borromeo) durante il proprio generalato (1579-87), concluso con la presentazione dell'opera al papa francescano Sisto V, induce a rivedere, nonché l'epoca di nascita del C., anche tutte le ipotesi sulla sua fase iniziale. Dal punto di vista della biografia culturale la connessione fra il C. e Francesco Gonzaga documenta già entro il 1587 legami, e probabilmente presenze a Roma e a Bologna (molte incisioni dell'opera sono certamente di Agostino Carracci) da un lato, e dall'altro rapporti con quell'Ordine francescano che sarà primario committente dell'artista soprattutto nella fase giovanile. La conduzione grafica già raffinata, a penna e seppia, lega d'altra parte il disegno ad una serie di fogli, identificati nell'ultimo ventennio, riferibili con buona sicurezza, per appoggio di opere o per analisi stilistica, al primo decennio di attività, e di forme manieristico-baroccesche: caratteristico di questi fogli è, infatti, l'abbinamento, appunto baroccesco, della matita nera e della sanguigna.
Si tratta della Fuga in Egitto (n. 542 dell'Accademia di Venezia), della Vergine e Cristo benedicente s. Francesco (cod. F 235 inf. n. 235 dell'Ambrosiana di Milano), dello Studio per la pala del gonfalone di Trecate, (n. 259 della Pinacoteca di Brera a Milano), fino allo stupendo Volto virile (cod. F 282 inf. n. 25 dell'Ambrosiana) per il S. Felice di Cantalice nella pala del Voto del 1600;ad essi vanno aggiunti i due fogli con la figurazione di Cristo deposto, con singolare eco addirittura neobramantinesca, dell'Ambrosiana (cod. F 234 inf. n. 790), da Rosci erratamente rifiutato (1960), e dello Schlossmuseum di Weirnar (KK 8888), pubblicato dallo Czère (1982) con puntuali riferimenti alla grafica e alla pittura del C. giovane. Altri fogli a matita e biacca, forse addirittura anteriori, presentano più accentuate impronte del manierismo romano e toscano: dalla Virtù che vince il vizio (n. 9043 S. degli Uffizi) e dalla Cleopatra (nel Codice Bonola del Muzeum Narodowe di Varsavia) all'Arcangelo Michele (n. Sc. B. 901 del Gabinetto dei disegni nel Castello Sforzesco di Milano), chiaramente legato alla tavola negli stessi Musei civici.
Su tale base, a partire dalla fine del nono decennio (con il giovane pittore già brillantemente coinvolto dalla grande committenza romana e milanese), è oggi di nuovo logico ipotizzare il ventenne C. in grado di fondere la cultura importata a Milano da Pellegrino Tibaldi con le sue originarie fonti romane, innovate dalla maniera zuccaresco-fiamminga e baroccesca, trionfante nei palazzi vaticani, a Caprarola, nelle grandi chiese come S. Giovanni Laterano; e preporre, e via via porre in parallelo con i lavori sacri novaresi-lomellini, una serie di piccole e medie opere "da gabinetto" sui tipici supporti di rame, lavagna, legno (così come sono su tavola la pala già a Mortara e il Voto francescano): il già citato Arcangelo Michele;le due versioni della Fuga in Egitto - quella depositata dal Prado al Museo di Alava a Vitoria (presumibilmente acquistata a Roma nel 1735 per Isabella Farnese) e quella dell'Ashmolean Museum di Oxford (forse in Austria e Germania nel XIX sec.), già attribuita a Camillo Procaccini -; la Madonna della colonna già a Genova, Balbi di Piovera (Milano, coll. Doria), già riferita allo Strozzi; lo Sposalizio mistico di s. Caterina della Fondazione Longhi; il Cristo nell'orto della coll. Borromeo all'Isola Bella. La differenza fra le morbide, talora (i "malate" preziosità manieristiche di queste opere di chiara destinazione privata, dove già appare sulle superfici plasticamente espanse - con echi del Cambiaso (Gregori, 1964) - quella sorta di perlacea essudazione che rimarrà tipica del pittore, e la più composta, devota coralità lombarda delle prime pale è prova della già adulta attenzione dell'artista al livello e tipo di committenza e al relativo "decoro": un perfetto anello di congiunzione è rappresentato dall'Adorazione dei pastori già a Mortara, con il personalissimo equilibrio fra il filone lombardo gaudenziano e tibaldesco e quello romano, baroccesco e zuccaresco; vi compare per la prima volta il "concertato cromatico" di lacche e vernici a corpo con fluide mescolanze di colori diversi cangianti e complementari, anatizzato da F. R. Pesenti (1981).
Alla stessa fase iniziale è presumibilmente da anticipare anche la pala francescana della Trinità adorata dai ss. Francesco e Gregorio Magno per i cappuccini di Pescarenico, da cui deriva il S. Francesco in preghiera del Pio Monte di Misericordia di Napoli (R. Causa, Opere d'arte nel Pio Monte di Misericordia a Napoli, Cava dei Tirreni-Napoli 1970, pp. 91 s.), e a cui appare vicina l'Incoronazione della Vergine, nel 1938 in coll. privata di Madrid (tav. 108 in A. E. Pérez Sánchez, 1965).
Da qui parte la sequenza culminante nel Voto distrutto a Berlino, al quale erano in origine connessi i quattro ovali con Opere di misericordia dei cappuccini (Milano, Musei civici al Castello Sforzesco), secondo l'ipotesi adombrata dal Pevsner (1925) e precisata da M. Gregori (1950). Il Voto risulta a tutt'oggi la prima importante e sicura commissione pubblica milanese, dopo un decennio di rapporti privati con i Borromeo (forse anche con qualche opera profana; don Diego Felipe de Guzmán, marchese di Leganés, possedeva del C., nel 1655, un Bacco con un grappolo d'uva in mano: cfr. Pérez Sánchez, 1965, p. 353; e Zeri, 1976) e di opere sacre in provincia. La pala rappresenta l'altro fondamentale volto della cultura ceranesca, di patetismo "riformato", già ben presente - con paritetico accento visionario - nella pala di Pescarenico: sulle forme baroccesche si innesta il modello bolognese di Bartolomeo Cesi e di Ludovico Carracci e in minor misura quello fiorentino del Cigoli.
Esempio ulteriore, di nuovo in provincia, è la pala dei SS. Lorenzo diacono e Lorenzo Dal Pozzo (santo locale novarese) per S. Lorenzo dei cappuccini a Novara, fra 1602 e 1604 (Oleggio Fornaci, parrocchiale). Di più accentuata e contorta struttura manieristica, ancora assai vicina all'Arcangelo Michele, è invece la pala della Resurrezione in S. Antonio abate a Milano. Una rinnovata e "lombarda" fusione fra i diversi termini culturali - con rimandi a Cesare da Sesto che sono forse la risposta, intelligente e creativa, a propensioni del cardinale Federico Borromeo -, di ampio e luminoso respiro naturalistico, caratterizza il Battesimo di Cristo di Francoforte, del 1601, in cui l'enigmatico cartiglio "Dne libera me a labiis impiis a lingua dolosa" potrebbe forse alludere, dato il soggetto del quadro, a calunnie su origini non cristiane del pittore.
L'affermazione ormai egemone a Milano del C. in questo inizio del secolo è certificata, fra il 1602 e il 1603, sia dalle commissioni sia dall'entità dei pagamenti per i quattro teleri della Vita di Carlo Borromeo nel duomo di Milano (1602-03), che segnano l'inizio del processo canonico culminante nella santificazione del 1610, e per i lavori decorativi in stucco e affresco nelle navate laterali di S. Maria presso S. Celso (1603-09), a cui si aggiungono, per la stessa chiesa, le tempere del 1606 con l'Annunciazione e la Visitazione per l'apparato trionfale della Madonna d'agosto e la pala del Martirio di s. Caterina che risulta "a buon termine" nel 1609 ma che, a quella data, appare ritardataria rispetto agli sviluppi stilistici del pittore.
I quadroni della Vita di s. Carlo (dipinti con grandi superfici a tempera e olio magro secondo una tecnica già adottata nell'ambito gaudenziano, così come le Storie di Maria per l'apparato di S. Maria presso S. Celso) e le figure di Angeli, Profeti, Sibille affrescate in S. Maria presso S. Celso, con i loro ritmi avvolgenti e la dispiegata oratoria gestuale e devozionale inscenata in strutture scalari, fanno supporre, sulla base della tradizione locale da Tibaldi al Figino, un ulteriore aggiornamento romano - con ampia rimeditazione del grande affresco da Raffaello e Michelangelo fino ai cicli oratoriali della Controriforma - e fiorentino, con i cicli narrativi in tela e ad affresco dei "riformati". L'analisi iconografica e compositiva di Ward Neilson (1969) ha evidenziato i rapporti sia con gli affreschi di Caprarola e con quelli del Poccetti alla Certosa di Val d'Ema sia con le serie di incisioni di Vite di santi del tardo '500, ad esempio di Maerten de Vos, nonché il parallelismo di ispirazione e di tempo con le Storie di s. Pedro Nolasco di Zurbarán già al convento della Mercede a Valencia. Disegni per i lavori a S. Maria presso S. Celso: tre schizzi per decorazione nell'archivio della chiesa e il grande foglio per la Visitazione, in cui maggiormente risaltano le radici gaudenziane e le anticipazioni della grafica deilTanzio da Varallo, all'Ambrosiana (cod. F 236 inf. n. 1354). Opere parallele, entro la prima metà del decennio, appaiono il S. Francesco e concerto angelico nella coll. Borromeo all'Isola Bella, fra le prime di una serie di immagini del santo a mezza figura che saranno modello per Francesco del Cairo, e le due grandi tempere dell'Adorazione dei Magi e della Presentazione al tempio già in S. Maria della pace a Milano, poi nella parrocchiale di Pusiano (distrutte, in restauro a Milano, dai bombardamenti del 1943) - della Presentazione il Pérez Sánchez (1965) ha pubblicato una replica o copia in coll. privata a Madrid -, prototipi delle grandi composizioni sacre del decennio successivo e fondamentali modelli per il Morazzone. Lungo il corso del primo decennio, e prima della straordinaria esplosione creativa del 1610, il C. elabora il tipo di composizione devozionale semplificata e caratterizzata da cromie dense e fuse, con costruttivi contrasti luministici di tipo bolognese (ne dava esempio il Garbieri in S. Antonio Abate), su cui saranno impostate le pale del secondo decennio, e di cui sono probabilmente frutto in questi anni la Fuga in Egitto dal 1959 nella City Art Gallery di Bristol e le diverse versioni, di impronta carraccesca, del Cristo e la Samaritana (duomo di Toledo, dono del cardinale Pascual de Aragón; Varsavia, Muzeum Narodowe; National Westminster Bank, Banbury, con scritta sul retro "Il Conte Santa Fede/napoli" e presumibile provenienza dalla coll. Liechtenstein di Vienna; copia non autografa, forse genovese, nella Galleria nazionale Corsini di Roma). Una replica della Fuga in Egitto in coll. privata svedese fu segnalata da Bottari (1964).
Il 1610 è l'anno straordinario delle sei tempere dei Miracoli di s. Carlo per il duomo di Milano, dipinte a gara con la nuova personalità emergente di Giulio Cesare Procaccini (del Miracolo del parto difficile, diviso a metà in epoca imprecisata, il Pevsner nel 1925 aveva identificato il frammento, intitolato alla Carità, nella Galleria Campori di Modena; cinque disegni a sanguigna sono alla Fabbrica del duomo di Milano, due disegni a penna e bistro nella Pinacoteca di Varallo Sesia), della presumibile responsabilità generale degli apparati milanesi per la canonizzazione di s. Carlo (modelli e interventi per i paramenti; tempere per la facciata posticcia del duomo, di cui sussiste il S. Ambrogio nella Pinacoteca Ambrosiana; grande ovale con S. Carlo in gloria in duomo - disegno all'Ambrosiana, cod. F 254 inf., n. 1400 -), della Deposizione di Cristo nel sepolcro per S. Lorenzo dei cappuccini a Novara (Novara, Museo civico), della Crocifissione in S. Lorenzo di Mortara, commissionata due anni prima. Mentre i lavori per la "canonizzazione rappresentano, presumibilmente anche per coerenza, la più avanzata maturazione delle forme del decennio, solo trasponendo l'enfasi della Vita di Carlo Borromeo nella devozionalità più realisticamente quotidiana dei Miracoli, le due pale "provinciali" postulano un ulteriore arricchimento e approfondimento sia del linguaggio sia della cultura del pittore, con sontuosità cromatiche neovenete e rubensiane, che fanno supporre nuovi contatti con Roma, dove il C. poté recarsi in vista della fase finale della canonizzazione (sembra alludervi, circa un decennio dopo, G. Mancini [1617-21] nelle Considerazioni sulla pittura, a cura di A. Marucchi-L. Salerno, I, Roma 1956, pp. 258, 305).
La struttura cromatica assume la sua forma definitiva, con una prima distribuzione di base di tonalità chiare, a cui si sovrappongono i rapporti chiaroscurali, talora direttamente stesa a colpi di pollice - la tecnica del vecchio Tiziano testimoniata da Palma il Giovane -, come risulta evidente nel Cristo morto adorato da santi in S. Stefano a Milano, opera pubblicata da Testori (Inediti..., 1955) e di altissima qualità, che non giustifica i dubbi sull'autografia di Arslan (1965) e di Ciardi (1965). Essa si riconnette direttamente alle due pale di Novara e di Mortara, così come il S. Carlo in meditazione notturna davanti al Cristo morto di Varallo del Prado (cfr. Archivo español..., 1949; repliche o copie nel duomo di Toledo e in coll. privata di Madrid) e il S. Carlo in gloria in S. Gottardo in Corte a Milano, con i relativi bozzetti e repliche "in piccolo - (Isola Bella, arcivescovado; e Ambrosiana a Milano).
Mentre è forse anteriore al 1610 - in probabile connessione con i lavori in S. Maria presso S. Celso - la singolare immagine, fra simulacro devozionale e visione, della Statua della Madonna di S. Celso venerata da s. Francesco e da Carlo Borromeo (Torino, Pinacoteca Sabauda; disegno della Testa di s. Francesco all'Ambrosiana, cod. F 235 inf., n. 1017; altro affine alla Pinacoteca di Parma, n. 980 - cfr. Godi, 1973 -; altro a Oxford, Christ Church, n. 1522 - cfr. Ward Neilson, 1971; e B. Toscano, Storia d. arte e forme d. vita religiosa, in Storia d. arte ital., III, Torino 1979, p. 310 nota 16 -), sulla base e sui modelli del fervido momento creativo del 1610 prosegue nel decennio successivo l'attività di pittore sacro con una rarefazione di opere, forse legata a sempre più complessi impegni (facciata della chiesa di S. Paolo alle Monache, con sculture decorative su suoi modelli di Gian Andrea Biffi e Giacomo Buono e bassorilievo della Caduta di s. Paolo di Gaspare Vismara, di cui sussiste il cartone nell'arcivescovado di Milano) e forse anche alla salute malferma di cui è cenno nella corrispondenza con il duca Ferdinando Gonzaga a Mantova in vista di una committenza di affreschi per la Villa Favorita (1616-18: Askew, 1978). Agli inizi del decennio sono riferibili il Martirio di s. Dionigi in S. Dionigi a Vigevano, capolavoro neoveneto che prelude nettamente al Del Cairo, la Visione di Gaetano da Thiene in S. Antonio abate a Milano e forse anche la Visione di Ignazio da Loyola in S. Fedele (anche se il santo è canonizzato solo nel 1622), considerando il carattere precoce del bellissimo bozzetto in coll. privata di Pavia (Peroni, 1966).
La stessa, anzi una ancor maggiore accentuazione "pietistica", caratterizza l'opera popolarmente più celebre del pittore (anche per abbondanza di riproduzioni novecentesche in testi generali, scolastici, divulgativi), la Madonna del Rosario fino al 1798 in S. Lazzaro alle Monache a Milano (Pinacoteca di Brera; ampliata in alto da cruciforme a rettangolare), modello fondamentale per gli allievi, dal genero Gherardini al Chignoli, anche per la comparsa dell'intonazione di preparazione bruno-rossastra che caratterizza la fase più matura. Di ben maggiore nobiltà è la pala della Certosa di Pavia con la Madonna e i ss. Carlo e Ugo di Grenoble (1617-18; Teste dei due santi a olio magro all'Ambrosiana, già nella donazione di Federico Borromeo nel 1618), notevole modello per Daniele Crespi, esordiente con il Moncalvo a S. Vittore al Corpo a Milano nel 1619, cui seguono nel terzo decennio del secolo la Madonna e i ss. Siro e Antonio del duomo di Pavia, con uno stupendo cestello di natura morta che rivela meditazioni sul Caravaggio dell'Ambrosiana, la Madonna e santi per la chiesa del Monte dei cappuccini a Torino, a seguito di un legato Giorgi del 1623 (Torino, Pinacoteca Sabauda) - opere a cui appare connessa, con incertezza fra il maestro e la scuola, la Madonna e s. Francesco della parrocchiale di Brea de Aragón (Pérez Sánchez, 1965), - ed infine la seconda pala della Certosa di Pavia, con la Madonna e s. Brunone, terminata dal Gherardini (Peroni, 1966). In gran parte opera della bottega appare la Madonna e santi già in palazzo Manzi a Lucca (con significativa attribuzione al Van Dyck), dal 1912 agli Uffizi.
Rispetto a questa lunga serie di variazioni su una tipologia autocodificata, che suona risposta alle coeve pale di Giulio Cesare Procaccini, nella seconda metà del secondo decennio il C. maggiormente si impegna nelle grandi composizioni visionarie della Messa di s. Gregorio per l'indulgenza delle anime del Purgatorio in S. Vittore a Varese (cfr. Puglisi, 1977-78), posteriore al 1614, a cui si riferisce uno schizzo di modesta qualità al British Museum (Fawkener 5212-86: cfr. Ward Neilson, 1971), del Battesimo di s. Agostino del 1618 in S. Marco a Milano (da cui derivano una piccola tela dell'Ambrosiana, non di mano del C. e vicina ai modi del Morazzone, e una Erodiade di ambito ceranesco dell'Accademia Carrara di Bergamo), e del Gionata rompe il digiuno comandato in S. Raffaele a Milano, a gara con il Sogno di Elia del Morazzone, anteriore al 1619. Simbolo della riconosciuta e statuita egemonia della triade C.-Morazzone-Giulio Cesare Procaccini a Milano, ed esempio unico di bizzarria amatoriale in forma di "paragone" è il Martirio delle ss. Rufina e Seconda (o Quadro delle tre mani), dal 1895 nella Pinacoteca di Brera.
Compositivamente, nel quadro è evidente una forte eco fra Rubens e Van Dyck, che evidenzia gli scambi fra il C. e Procaccini e la coeva scuola genovese, già sottolineati da R. Longhi nel 1926 nel suo saggio sull'Assereto (cfr. Saggi e ricordi..., Firenze 1967, ad Indicem). Nella parte del C., il cane trattenuto dall'angioletto e il cavallo spiegano e documentano la fama seicentesca di "animalista" (la raccolta Mazenta [Verga, 1918] possedeva nell'anno 1672 Due cagnolitti appena nati con un ratto): dal gruppo deriva il Putto con cane, pernice e gallo delI'Institute of Arts di Detroit.
Nel terzo decennio il C. giunge al vertice degli incarichi ufficiali milanesi (sul versante episcopale-umanistico del cardinale Federico Borromeo, ma anche su quello civile, essendogli affidata la parte decorativa incisoria delle "historie di Milano", commissionate nel 1622 allo stampatore regio e camerale Malatesta dal Consiglio municipale): è direttore dell'Accademia Ambrosiana fondata dal cardinale nel 1621 - e di nuovo negli atti compaiono cenni sulla sua fragile salute - e capomaestro del duomo nel 1629-1631.
Già un anno prima, nel 1628, egli dava i cartoni ancora tibaldeschi per le cinque Storie di eroine dell'Antico Testamento sopra le porte del duomo, conservati nel Museo dell'Opera assieme a quattro modelli in creta di Gaspare Vismara, Giovan Pietro Lasagna e Gian Andrea Biffi (cfr. R. Zapperi, Potere politico e cultura figurativa: la rappresentazione della nascita di Eva, in Storia dell'arte italiana, X, Torino 1981, pp. 434-36). L'opera pittorica, superstite si rarefà ulteriormente, ma si compone in compenso di assoluti capolavori; di eccezionale ricchezza cromatica il Cristo risorto e santi in S. Vittore a Meda (entro il 1626) e il Cristo con i ss. Pietro e Paolo per S. Pietro dei pellegrini a Milano (Vienna, Kunsthistorisches Museum); di cupa, sintetica severità "bolognese" il Cristo morto e Maddalena per la cappella del Monte di pietà di Milano e la Crocifissione e santi del 1628 per S. Protaso, portata nel 1930 nel seminario di Venegono. Esempi della tarda grafica del Cerano sono il Cane all'Accademia di Venezia (n. 682) e gli Studi di teste conservati all'Ambrosiana (cod. F 236 inf., n. 1381) e nella coll. Rasini di Milano.
Alle ultime grandi commissioni il C. riesce a far fronte solo ricorrendo ampiamente all'aiuto degli allievi Gherardini e Chignoli, come nel caso del lunettone in S. Maria delle Grazie a Milano, La Madonna libera Milano dalla peste (1631), mentre La Madonna guida s. Domenico alla vittoria sugli Albigesi per S. Domenico a Cremona, opera probabilmente allusiva alle vittorie imperiali del Tilly e del Wallenstein nella guerra dei Trent'anni, rimane interrotta dalla morte (Cremona, Museo civico; relazione di restauro, in Bollettino d'arte, LII [1967], II, p. 125).
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