CRESPI, Giuseppe Maria, detto lo Spagnolo
Pittore e incisore. Nacque a Bologna nel 1665, e vi morì nel 1747. Giovanissimo rifiutò di andar a Roma alla scuola del Maratta e si allogò invece a Bologna con Angelo Michele Doni, abile disegnatore, con Domenico Maria Canuti che lo ebbe carissimo e lo avviò allo studio degli affreschi caracceschi di S. Michele in Bosco (Bologna), e con Domenico Cignani. Quando il Cignani, che può considerarsi come il suo primo maestro, si stabili a Forlì, il C. si allogò con Antonio Burrini, vivace e spiritoso pittore, la cui influenza non fu infeconda sul giovane che andava intanto compiendo la sua educazione con le opere dei Carracci e del Guercino, e più tardi si recò a Venezia, a Modena, a Parma, a Urbino, intento allo studio del Baroccio.
La prima grande opera del C. è del 1691; la decorazione di due soffitti di casa Pepoli a Bologna, raffiguranti Ercole e le stagioni, e l'assemblea degli Dei, di stile personale già formato, tutto spirito e vivacità di forme e di colore. Contemporanee sono due grandi tele: Chirone ammaestra Achille nel maneggio dell'arco, ora nel museo di Vienna e le Troiane che accecano Polimnestore nel museo di Bruxelles. Intorno al 1702 il C. venne a Firenze, per presentare al principe Ferdinando una delle sue opere più complete: la Strage degli Innocenti, ora agli Uffizî, in cui il colore domina con la sua nota personale, tutta raffinatezza, luci e trasparenze. Di poco posteriore è la Fiera del Poggio a Caiano, ritrovata insieme alla precedente nella villa del Poggio Imperiale, oggi agli Uffizî, dove per la prima volta appaiono quelle tonalità argentine che saranno la nota caratteristica del pittore, e ogni episodio è colto con senso acuto e burlesco e con una vena sottile di schietto umorismo. Spirito e arguzia che si ritrovano in alcuni quadretti di genere, ora in collezioni italiane e straniere (La pulce della Galleria degli Uffizî, altro di egual soggetto nella collezione Crespi di Milano e nel Museo civico di Pisa, La famiglia del pittore agli Uffizî, ecc.), nei quali il C. profuse la succosa e smagliante ricchezza del suo colore. Nel 1708 il pittore ritornò a Bologna nel periodo del più alto splendore della sua arte, e vi dipinse per il cardinale Ottoboni la serie dei Sette Sacramenti, oggi nella galleria di Dresda, l'opera sua più alta, dopo la quale poco restava da aggiungere al Piazzetta e al Tiepolo, per ottenere le loro ariose luminosità. La Cresima e la Comunione sono fra le migliori tele della serie: l'Ordine sacro rappresenta uno stadio successivo, tanto la composizione è sorprendente nella sua compendiosità, e il partito luministico più serrato e unitario.
Numerosi sono i dipinti che il C. compì per chiese di Bologna e dell'Emilia: ma egli spesso vi appare freddo e manierato; il che era logico, se pensiamo al suo temperamento vivace e burlesco. Il C. fu operoso ritrattista; lo dimostrano i suoi autoritratti degli Uffizî, della Pinacoteca di Brera, dell'Ermitage di Leningrado, raggianti di luce e vivacità; il ritratto del generale Pálffy della galleria di Dresda, ecc. Fu anche eccellente incisore, e giustamente famose sono le venti illustrazioni delle storie di Bertoldo e Bertoldino. Molte composizioni per cui egli fornì i disegni furono incise da Lorenzo Mattioli, suo amico, e ne portano il nome; figurano soggetti sacri o mitologici.
Artista originalissimo, vivo, plastico, vibrante, il C. è ben diverso da Rembrandt, del quale si è detto egli siasi giovato. Le sue qualità d'impasto e di luminosità passarono al Piazzetta e a Pietro Longhi suoi allievi: titolo non piccolo di gloria per la sua scuola.
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