CRESTI, Domenico, detto il Passignano
Figlio di Michele, nacque a Passignano fraz. di Tavarnelle Val di Pesa, presso Firenze nel gennaio 1559 (Nissman, Disegni..., 1979, p. 83). A detta del Baldinucci (1681-1728), primi maestri furono a Firenze, dove venne inviato a fare il suo tirocinio, G. Macchietti e G. B. Naldini esponenti della cultura vasariana dell'ultimo manierismo, presso la bottega dei quali egli dovette apprendere il fondamento della tecnica disegnativa tipicamente toscana. L'arrivo a Firenze di Federico Zuccari nel 1575, dove questi era stato chiamato a portare a termine gli affreschi iniziati dal Vasari nella cupola di S. Maria del Fiore, segnò una tappa fondamentale per l'evoluzione artistica del Cresti. Tutte le fonti sono concordi nell'affermare che il giovane C. aiutò lo Zuccari nell'impresa fiorentina, conclusasi nel 1579 (Baldinucci [1681-1728], III, p. 431 Baglione, 1649, p. 331) e che poi seguì il maestro a Roma dove questi era stato chiamato da Gregorio XII. Non si ha notizia di opere eseguite nella città pontificia dal C. in questi primi anni, eccezion fatta degli affreschi nella villa Montalto (distrutta nel sec. XIX), commissionatigli dal cardinal Felice Peretti, poi Sisto V. Come numerosi altri pittori presenti a Roma in quel periodo, anche il C. si sarà esercitato nello studio e nella copia degli esempi classici dell'arte antica e moderna, come affermò più tardi egli stesso (Bertolotti, 1876, pp. 139, 142 ss.). Nel novembre del 1581 venne coinvolto nel processo intentato a Federico Zuccari per aver dipinto il quadro polemico detto Porta virtutis e condannato con il maestro a lasciare Roma (Bertolotti, 1876, pp. 129 ss.).
Sempre al seguito dello Zuccari il C. si recò a Venezia dove si trattenne dal 1582 al 1589.
Questo periodo risulterà fondamentale per la sua formazione: sulla base di una cultura disegnativa toscana, approfondita e ampliata dall'esperienza romana del tardo manierismo internazionale dell'eclettico Zuccari, il C. innesca un cromatismo intenso e il senso atmosferico caratteristici della pittura veneziana del tardo Cinquecento, desunti in particolare da Tiziano, Tintoretto, Palma il Giovane e Veronese. Il tentativo di "adattare il colore veneto al disegno della maniera toscana" (F. Zeri, Pittura e Controriforma, Torino 1971, p. 109) diventa la preoccupazione costante del C. a partire da questi anni e la novità più rilevante introdotta nella pittura fiorentina dell'ultimo decennio del secolo. Le opere che il C. realizzò a Venezia in questo periodo - una macchinosa Crocifissione in S. Marziale, un S. Felice che presenta a Cristo due devoti in S. Felice, un Banchetto di Assuero nel Kunsthistorisches Museum di Vienna (Petrioli Tofani, 1980, n. 341) e una Annunciazione spedita a Roma in S. Maria in Vallicella - tradiscono chiaramente i prototipi palmeschi e tintoretteschi, per l'uso di una tavolozza con toni cupi, densi e fumosi.
Quando nel 1589 il C. ritornò a Firenze per partecipare alla realizzazione degli apparati per le nozze del granduca Ferdinando I con Cristina di Lorena - impresa che vedeva impegnati tutti gli artisti allora attivi nella città - la sua fortunata fusione fra colore veneto e disegno toscano segnò un apporto notevole nella situazione artistica fiorentina dominata allora dalla pittura riformata in senso antimanieristico di Santi di Tito, che nel suo tentativo arcaizzante di semplificazione formale usava un colore uniforme e brillante chiuso entro i rigidi schemi dei disegno.
Le innovazioni del C. si colgono, ancor più che negli addobbi effimeri per le nozze del granduca il C. dipinse nell'arco a ponte alla Carraia l'Allegoria della Lorena e quella della Toscana, nella facciata posticcia del duomo l'Elezione di papa Stefano IX a Firenze e Re, Profeti e Santi sempre nel duomo, opere oggi perdute ma tramandateci da disegni e dalle incisioni di R. Gualtierotti (Descrizione del regale apparato per le nozze ..., Firenze 1589, II, pp. 67 ss., 177) -, nella prima opera da lui realizzata a Firenze su commissione della famiglia Salviati, gli affreschi della cappella di S. Antonino in S. Marco (1589).
Il gusto narrativo fiorentino si evidenzia nelle due scene della Traslazione del corpo del santo e nei Funerali del santo, attualizzate dai ritratti di personaggi dell'epoca che contribuiscono a rendere più accostante l'intera composizione. Su tutto domina un colore caldo di ascendenza veneta ed un senso atmosferico - sconosciuto alla coeva pittura toscana ugualmente tratte dal repertorio veneziano appaiono le figure di nudi tintoretteschi in primo piano, che tanto scalpore e ammirazione suscitarono al momento della loro scopertura (Baldinucci [1681-1728], III, p. 436). Diqueste figure si conservano studi preparatori agli Uffizi e al Gabinetto naz. delle stampe di Roma (Prosperi Valenti Rodinò, 1977, n. 42 Petrioli Tofani, 1980, n. 344).
Il C. compare in quegli stessi anni anche fra i decoratori del chiostrino di S. Pier Maggiore, che si stava riattando per renderlo più rispondente alle esigenze di chiarezza rappresentativa e di ammaestramento al popolo richieste dalla Chiesa controriformata. Nell'ampio ciclo decorativo, affrescato per la maggior parte dal Poccetti, il C. dipinse una lunetta con la Crocifissione, dove gli spunti zuccareschi dell'armigero in primo piano si fondono con i ricordi veneti nel tono patetico alla Veronese nella Maddalena. Nello stesso 1589 il C. era entrato a far parte dell'Accademia del disegno, dove rivestì cariche amministrative - nel 1596 è camerlengo, nel 1598 insegna ad artisti più giovani (Coinaghi, 1928) - e dove ricevette incarichi e commissioni: nel 1592 partecipò ad un concorso per dipingere la sala dell'Accademia, ma fu superato dal Ligozzi nel 1595 stimò un quadro del Poppi per Cortona nel 1596 ricevette l'incarico di dipingere un Ritratto di Francesco de' Medici, oggi disperso (ibid.). Questi riconoscimenti ufficiali fecero sì che ben presto al C. e a Santi di Tito facessero capo tutte le commissioni più rappresentative intraprese in Toscana in quegli anni, in particolare quelle di carattere religioso: iniziò così una vasta attività protrattasi ininterrottamente sino alla morte dell'artista, che vedrà il C. sempre più affermato nell'ambito della pittura fiorentina del primo Seicento. La sua bottega inoltre, sorta in questo periodo, fu tra le più considerate e tra i suoi allievi si contano Alessandro Tiarini, Anastagio Fontebuoni, Fabrizio Boschi, Pietro Sorri, Ottavio Vannini, Mario Balassi, Nicodemo Ferrucci, Bartolomeo Salvestrini e Simone Pignoni (Baldinucci [1681-1728], III, pp. 450 s.).
Tra le numerose opere realizzate nell'ultimo decennio del sec. XVI vanno ricordati gli affreschi nella cappella di S. Giovanni Gualberto in S. Trinità (1593-94), dove il C. eseguì, su commissione dei monaci vallombrosani, la decorazione della volta illustrando scene della Vita del santo la Crocifissione e l'Adorazione dei pastori (1594) nel duomo di Lucca la Predica del Battista in S. Michelino Visdomini, dove l'artista si attenne allo schema compositivo già ideato dal Titi e dall'Empoli nei dipinti di soggetto analogo il Miracolo di s. Vincenzo Ferrer (firmato e datato 1593) e la Caduta della manna in S. Marco la Discesa dello Spirito Santo (1596) già in S. Maria Maggiore, oggi dispersa la Consegna delle chiavi a s. Pietro 1597 c.) in S. Francesco a Pisa. Intorno al 1598 Neri de Neri gli affidò l'incarico di dipingere il quadro d'altare raffigurante il Martirio dei ss. Nereo e Achilleo nella sua cappella annessa alla chiesa di S. Maria Maddalena de' Pazzi, tutta affrescata dal Poccetti, in cui l'artista indulge verso una sensibilità pietistica più marcata, che risente della contemporanea pittura del Cigoli.
Per incarico mediceo dipinse intorno al 1597-98 (Nissman, 1979, pp. 259-60) ad olio su lavagna due scene di storia fiorentina, Cosimo I istituisce l'Ordine di S. Stefano e il Senato elegge Cosimo I granduca di Firenze, che dovevano decorare, insieme ad altri dipinti, le pareti lunghe della sala dei Cinquecento in Palazzo Vecchio nel 1598 fu anche cooptato per eseguire uno dei chiaroscuri della decorazione effimera organizzata in S. Lorenzo in occasione della morte di Filippo II di Spagna (Assedio di Lisbona, oggi nei depositi degli Uffizi: Borsook, 1969, p. 249), incarico di scarso impegno artistico e di cui probabilmente eseguì solo i disegni lasciando agli allievi l'esecuzione materiale, ma che dà chiara misura dell'affermazione ormai consolidata dell'artista a Firenze.
È a lui, infatti, che si rivolse Ferdinando de' Medici quando volle affrescare la villa medicea di Artimino. Nel 1599 il C. si accinse all'opera decorando con raffigurazioni allegoriche profane la loggia, il salone, gli appartamenti ducali e la cappella, riuscendo a realizzare alcune delle più libere e fresche composizioni della sua lunga carriera, che sembrano risentire ancora della grazia tardomanieristica dello Zuccari. Tra i dipinti di soggetto profano realizzati dall'artista, il più singolare per libertà d'inventiva e di realizzazione e una scena di nudi Bagnanti a S. Niccolò (firmato e datato 1600), citato dal Baldinucci e rintracciato dal Martini (1959) in una collezione privata a Londra.
All'inizio del secolo si nota nel linguaggio artistico del C. una forte influenza dei contemporanei pittori fiorentini, non tanto di Santi di Tito, che proponeva ancora soluzioni riformate arcaizzanti, quanto soprattutto di Iacopo da Empoli, volto verso la riscoperta di verità più oggettive, e in particolare di Ludovico Cigoli, il più moderno e avviato verso soluzioni seicentesche, nell'uso di un colore fuso tizianesco, e verso un approfondimento di situazioni sentimentali. L'influenza del Cigoli si coglie evidente nel Martirio di s. Stefano dipinto dal C. in S. Spirito entro il 1602 - data apposta nella lapide della cappella -, che si rifà alla celebre composizione del Cardi del 1597, oggi a Pitti, dello stesso soggetto, in una adesione che si spinge assai oltre la corrispondenza iconografica.
La notorietà dell'artista crebbe a dismisura in questi anni, e giunse sino a Roma, da dove cominciarono a pervenire al C. sul finire del secolo richieste di dipinti.
Nel 1599 firmò S. Gerolamo dirige la costruzione di un monastero per la chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini a Roma, una commissione avuta dai toscani Duccio e Girolamo Mancini che si erano rivolti anche a Santi di Tito e al Cigoli per altri due quadri della stessa cappella. L'importanza di queste tre opere, eseguite dai capiscuola della pittura fiorentina del momento, è attestata da quanto scritto da G. B. Cardi nella vita del Cigoli ([1628], 1913, pp. 25 ss.): prima di essere inviate a Roma le tre tavole furono esposte alla SS. Annunziata a Firenze, e numerosi giovani artisti si esercitarono a copiarle. L'elaborazione di questo quadro si può seguire sugli studi preparatori conservati agli Uffizi (Nissman, Disegni..., 1979, nn. 52-55). A Roma il C. aveva inviato anche il Battesimo di s. Prisca, per la chiesa dedicata alla santa sull'Aventino commissionatogli dal noto collezionista d'arte romano Vincenzo Giustiniani, che attesta, nella gamma cromatica più schiarita e nell'impianto compositivo semplificato, una adesione da parte del C. alla poetica riformata attuata da Santi di Tito nella pittura devota.
La fama del C. era ormai consolidata e lo attestano le numerose commissioni che lo tennero occupato nei primi anni del nuovo secolo in Toscana e fuori: eseguì una Madonna e santi per S. Mercuriale di Forlì, la Coronazione di spine per la certosa di Pavia e l'intera decorazione della cappella dell'Arcangelo Michele nella badia dedicata al santo a Passignano, suo paese natio, con Storie della vita del santo. Dal luglio al novembre del 1602 fu impegnato a Pistoia nella decorazione a fresco della tribuna del coro del duomo, un'opera non troppo felice che risente della ampia partecipazione degli allievi Vannini, Ferrucci e Sorri. Nello stesso anno eseguì alcune fra le sue opere più riuscite, caratterizzate da un luminismo più vibrante, che sembrano accogliere suggestioni caravaggesche, orientando le composizioni verso una maggior approssimazione al vero e un approfondimento degli affetti in senso intimistico: la Natività della Vergine (datata e firmata 1602) nella chiesa dell'Impruneta, dove l'artista fornisce una interpretazione poetica in chiave domestica di questo soggetto tanto caro alla pittura della Controriforma l'Elezione del beato Manetto al generalato dell'Ordine, una deliziosa narrazione di un fatto sacro e infine il Seppellimento di s. Sebastiano, oggi nel Museo di Capodimonte a Napoli, una delle interpretazioni più sottili e approfondite della pietas controriformata che si mantiene su un alto livello morale senza scadere in facili patetismi da arte devota.
Nello stesso 1602 il C. ricevette uno degli incarichi più prestigiosi della sua carriera: Clemente VIII, che voleva completare la decorazione della basilica di S. Pietro, gli affidò la commissione di una delle pale d'altare da porre nei pilastri sotto la cupola, che dovevano raffigurare scene tratte dalla vita del santo, secondo un programma dettato probabilmente dal cardinal Baronio (Chappell-Kirwin, 1974, pp. 131 ss.). Al C. toccò il tema della Crocifissione del santo le altre pale furono commissionate ad artisti toscani, prescelti dal pontefice anche egli toscano: Roncalli, Fr. Vanni e Cigoli. Furono probabilmente le numerose commissioni nelle quali era impegnato l'artista a Firenze a far ritardare la sua partenza per Roma - il primo pagamento per l'opera fu inviato infatti a Firenze nell'ottobre del 1602, mentre il secondo avvenne a Roma nel 1603 (ibid., p. 162 nn. 1-2) -, ma è certo che verso la fine del 1602 il pittore si trovava a Roma.
A fare il nome del C. per l'ambita commissione vaticana furono certamente il cardinal Pompeo Arrigoni e monsignor Paolucci (Baldinucci [1681-1728], III, p. 438), protettori dei toscani a Roma, che gravitavano nell'orbita del pontefice. La decisione di eseguire tutte le opere del ciclo petriano su lavagna fece sì che già nel corso del sec. XVII esse risultassero danneggiate dall'umidità e si rendesse necessario sostituirle. Della pala del C. non rimangono oggi che tre frammenti conservati nell'ex Museo Petriano (Chappell-Kirwin, 1974, p. 136, figg. 23-25) per fortuna l'opera è documentata da un'incisione del Callot e da numerosi disegni conservati agli Uffizi (Nissman, Disegni..., 1979, nn. 56 s.) e in collezione privata a Londra (Thiem, 1977, n. 28). Rispetto alle contemporanee realizzazioni fiorentine, la pala del C. presenta però uno schema compositivo più antiquato, ancora manieristico, con la scena principale relegata nello sfondo e le figure secondarie che ingombrano in modo confuso il primo piano. Nonostante ciò l'opera piacque al pontefice - il C. e il Cigoli vennero pagati più di tutti gli altri, per l'ammontare di 1.000 scudi ciascuno - e procurò all'artista l'onorificenza di cavaliere di Cristo (Mancini, 1617-30, ed. 1956, I, p. 240).
Sono forse da riportare a questi anni le tre tele della Galleria Borghese: Annunciazione, restituitagli da Longhi nel 1928 e di cui si conosce una versione presso la Cassa depositi e prestiti di Roma (v. I. Faldi, La Quadreria..., Roma 1956, pp. 38 s.) Cristo nel sepolcro e il Martirio di s. Sebastiano.
L'affermazione ufficiale dei pittori fiorentini a Roma, anche nell'ambito della committenza privata, è attestata da un episodio narrato dal Cardi nella vita del Cigoli ([1628], 1913, p. 38): mons. Massimi commissionò un Ecce Homo al C., al Cigoli e al Caravaggio separatamente. L'opera prescelta in questa specie di gara fu quella del Cigoli, che si conserva oggi a Pitti una copia del dipinto del Caravaggio fu rintracciata dal Longhi nel 1954 a Genova, mentre quella del C. andò purtroppo dispersa, anche se un'opera di questo soggetto è registrata negli inventari della collezione Barberini del sec. XVII (cfr. Aronberg Lavin, 1975, p. 307).
Sull'onda favorevole del successo della decorazione petriana, inizia ora a Roma un periodo di grande affermazione degli artisti fiorentini - Cigoli, Roncalli, Vanni, Ciampelli e il C. - aiutati fortemente in questa ascesa dal fatto che il pontefice toscano Clemente VIII amava servirsi di consiglieri e di artisti conterranei. Il successo dei fiorentini a Roma presso committenti ecclesiastici e la corte pontificia è da inquadrare nella grande capacità di questi artisti di esprimersi con un linguaggio pittorico di grande semplicità e chiarezza narrativa, che coincideva con le finalità di comunicazione e divulgazione propagandistica promosse dalla Chiesa cattolica dopo il concilio di Trento.
Nel novembre del 1604 il C. firmò il contratto con Maffeo Barberini che lo impegnava a decorare la cappella di famiglia nella chiesa di S. Andrea della Valle a Roma (D'Onofrio, 1967). L'impresa tenne occupato l'artista sino al 1616. Il C. rivestì il ruolo di decoratore e soprintendente alla sistemazione della cappella, come attesta una lettera inviata dall'artista a Maffeo Barberini a Parigi, dove questi era nunzio, con i progetti per la sistemazione della cupola della cappella ad opera di mosaicisti (Pollak, II, 1931, p. 33). L'opera è senz'altro da annoverare fra le realizzazioni più riuscite del C., che dipinse la pala dell'Assunta sull'altare, la Nascita della Vergine e la Visitazione nella parete di destra, l'Annunciazione e la Presentazione al tempio in quella di sinistra, quattro Profeti nei pennacchi, le Virtù, e Dio Padre nella volta. I numerosi studi preparatori pervenutici, conservati agli Uffizi (Nissman, Disegni, 1979, pp. 94-100), documentano l'impegno del pittore in questo lavoro, che doveva portarlo ad affermarsi definitivamente nell'ambiente romano, e l'importanza della commissione che gli procurò incarichi successivi, quando il suo protettore Maffeo Barberini divenne papa con il nome di Urbano VIII. In queste scene, realizzate con la tecnica nuova dell'olio su muro, il C. si rivela ormai nella piena maturità espressiva: accanto ai noti elementi della sua arte - disegno toscano e colore veneto - appaiono in queste figure un forte senso plastico ed un impianto solenne, che riflettono le acquisizioni desunte dal pittore dall'incontro con la pittura romana, in particolare con il classicismo maestoso di Annibale Carracci, in analogia con il processo che stava subendo la poetica artistica del Cigoli proprio in quegli stessi anni.La sola interruzione del lungo soggiorno romano del C., durato sino al 1616, si ebbe intorno al 1605, quando il granduca Ferdinando de' Medici richiamò a Firenze il Cigoli e il C. per affidare loro e a Cristofano Allori la decorazione pittorica con le Virtù in alcuni soffitti di palazzo Pitti (cfr. Chiarini, 1977). Al C. toccò di dipingere, fra le virtù teologali, l'allegoria della Fede (perduta) e, fra quelle cardinali, in altre stanze, la Prudenza e la Temperanza. Della Prudenza ci rimane un interessante disegno preparatorio agli Uffizi (Nissman, Disegni ..., 1979, n. 68), che nella pesantezza soda della figura muscolosa campita nello spazio documenta lo stile più monumentale acquisito dal C. a Roma. Il soggiorno fiorentino dovette essere di breve durata, perché già nel 1608troviamo il C. impegnato nella decorazione della basilica romana di S. Maria Maggiore per incarico del papa Paolo V (Camillo Borghese). Questi aveva affidato all'architetto Flaminio Ponzio l'incarico di eseguire una nuova sacrestia per la basilica, costituita da vari ambienti, perché la vecchia fu utilizzata per costruirci la celebre cappella Paolina con il monumento funebre del pontefice.
Il C. iniziò dunque a lavorare nella decorazione della sacrestia nuova: la prima realizzazione fu il soffitto dell'ex coro dei canonici, oggi battistero, suddiviso da varie riquadrature in stucco, dove quella centrale racchiude l'Immacolata Concezione. Le altre scene, che rivelano chiaramente l'ideazione del C., sembrano invece eseguite da un suo collaboratore, che la Nissman (ibid., p. 103) identifica con Giuseppe Puglia detto il Bastaro anche in base ad una indicazione del Baglione (1649, p. 351) nella vita di questo.
Nei vani della sacrestia nuova l'artista dipinse nelle lunette e nei soffitti una ampia serie di scene tratte dalla Vita della Vergine: i documenti attestano che egli fu ampiamente pagato per questa fatica, che lo tenne occupato sino al dicembre del 1610 (Corbo, 1968, pp. 321 ss.), costringendolo ad interrompere l'esecuzione della cappella Barberini in S. Andrea della Valle.
Subito dopo l'artista ebbe l'incarico di realizzare l'intera decorazione della piccola sacrestia adiacente alla cappella Paolina, dove affrescò il soffitto (la Vergine raccoglie fiori dal grembo del Cristo e scene del Vecchio Testamento), le pareti laterali (il Re Emanuele di Lusitania erige in India una chiesa consacrata alla Vergine e i Cavalieri teutonicifondano una fortezza dedicata alla Vergine) e Cristo risorto appare alla Vergine nella pala d'altare. Contemporaneamente a queste prestigiose commissioni, il C. eseguiva altri dipinti di soggetto religioso nelle "chiese romane, in cui ripropone il clima intimistico e raccolto, di austera dignità di rappresentazione, richiesto dalla Chiesa controriformata: tale atmosfera un po' cupa alla veneta e profondamente interiorizzata avvolge il Battesimo di Cristo in S. Giacomo in Augusta, l'Annunciazione e la Nascita della Vergine in S. Maria della Pace, la Pietà della Galleria Borghese, dipinta per commissione del cardinale Scipione Borghese nel 1611-12 (Della Pergola, 1959, n. 57), il trittico con Cristo e santi nel duomo di Nepi, fortemente arcaizzante, e infine la sommessa e intensa Morte di s. Francesco recentemente scoperta nel duomo di Montecompatri (Tantillo, 1982).
Assai significativa negli ultimi anni romani è la partecipazione del C. alla decorazione di ville di nobili e prelati alle porte della città, che se non tratta sempre soggetto profano, presenta comunque una maggiore libertà inventiva ed una scioltezza nella composizione sconosciuta alle contemporanee opere per le chiese.
La prima in ordine cronologico di queste commissioni fu la decorazione del casino dell'Aurora al Quirinale (oggi Pallavicini Rospigliosi) per Scipione Borghese, cardinal nepote di Paolo V, noto mecenate di artisti. Qui il C. si trovò impegnato insieme a Guido Reni e al Baglione, già suoi compagni nell'impresa paolina in S. Maria Maggiore, ed eseguì in uno dei soffitti adiacenti alla stanza dell'Aurora la Battaglia di Rinaldo e Armida, tratta dalla Gerusalemme liberata (1613-14) e si ha notizia dai documenti anche di una Cacciata dal Paradiso terrestre, perduta, eseguita dal C. per il Borghese, di cui resta un disegno (Nissman, Disegni.... 1979, n. 72). Dal novembre 1614 al maggio 1616 il C. fu impegnato nella decorazione, oggi perduta, della cappella di S. Sebastiano nella villa Aldobrandini a Frascati e della volta della sala di Apollo nella stessa villa, dove fu attivo anche il Domenichino (D'Onofrio, 1963, pp. 126, 137 s.). La perdita di questi affreschi è particolarmente grave, perché essi avrebbero consentito l'analisi dello stile del C. a questa data soprattutto in rapporto al forte influsso esercitato sulla sua pittura da artisti bolognesi esponenti del classicismo, quali Albani e Domenichino, influsso che determinò, oltre ad un impianto più maestoso delle figure nello spazio, anche un alleggerimento dei toni fumosi alla veneta della sua tavolozza giovanile. Questi caratteri, che dovevano essere presenti a villa Aldobrandini, si colgono chiaramente nell'interessante ciclo pittorico di villa Arrigoni Muti, sempre a Frascati, dove è probabile che il C. succedesse nella commissione al Cigoli, morto nel 1613. Il cardinal Pompeo Arrigoni, primo protettore dei toscani a Roma, si rivolse ad artisti conterranei per decorare la sua villa: primo fra tutti ad essere chiamato dovette essere il Cigoli, allora l'artista fiorentino più affermato a Roma, che fece in tempo ad affrescare solo Agar nel deserto poi subentrò il C. ed infine il giovane Pietro da Cortona alla sua prima impresa pubblica (Briganti, 1962, pp. 153 s.). Dopo lunghe controversie attributive e cronologiche, la critica è ora abbastanza concorde nel ritenere opera del C. i soffitti raffiguranti Mosè sul monte Sinai, il Sogno di Giacobbe, le due allegorie dell'Immortalità e dell'Eternità sebbene molto ridipinte, la Creazione di Eva, Tobia ridà la vista al padre e il Sacrificio di Isacco (Negro, 1980, pp. 182 ss.), sebbene quest'ultime due scene siano state attribuite dalla Nissman (1979, p. 170) al Ciampelli senza troppa convinzione.
Nel 1616 infine il C., esaurite le commissioni romane, fece ritorno a Firenze. L'artista non sembra aver mai tagliato i legami con la sua città, dove l'abbiamo visto tornare a dipingere in palazzo Pitti per il granduca: intorno al 1604 inoltre egli dovette fornire il disegno per la cappella Brunaccini per la SS. Annunziata - uno dei suoi rari esempi architettonici - decorata ad affresco dai suoi allievi Sorri e Vannini, mentre il dipinto per l'altare raffigurante Cristo che risana un cieco nato fu spedito dal C. da Roma sempre i suoi allievi dovettero terminare la Presentazione al tempio della Vergine per la chiesa dell'Immacolata a Pistoia. A questo periodo, in cui era fortemente oberato di lavoro a Roma, risale anche l'Assunta della cattedrale di Reggio Emilia commissionatagli dal cardinal Tosco, che affidò la decorazione della cappella al C., al Roncalli e al Cavalier d'Arpino, e la Madonna della Ghiara in S. Maria dei servi a Forlì (Colombi Ferretti, 1982).
Il C. si era anche impegnato sin dal 1606 a fornire i dipinti per il duomo di Pisa, ma le troppe incombenze romane gli impedirono di soddisfare questa richiesta: tornato a Firenze, eseguì verso la fine del secondo decennio la Madonna in gloria con santi e Santi martiri per quella destinazione. Sin dal 1614, inoltre, l'artista aveva assicurato la sua partecipazione al vasto ciclo decorativo per glorificare Michelangelo che Michelangelo Buonarroti il Giovane aveva intrapreso nella sua casa di via Ghibellina e che vide impegnati tutti gli artisti più affermati allora attivi nella città. Dipingendo Michelangelo che presenta il modello di S. Pietro a Pio IV (1618), che figura nel soffitto come "quadro riportato", il C. conferma le sue doti di narrativa toscana, schiarendo con toni quasi arcaici la tavolozza veneteggiante. La sua presenza nel ciclo Buonarroti è da inquadrare nella schiera dei decoratori più tradizionalisti e attardati, accanto all'Empoli, al Ciampelli e al Gamberucci, mentre assai più moderni si dimostrano i pittori uscenti dalla scuola del Cigoli, come Allori, Bilivert e Coccapani. Per nulla toccato da ciò, il C. continuò la sua instancabile attività, anche se niente di nuovo sembra poter offrire in questi suoi ultimi anni fiorentini, dopo la smagliante attività romana.
In tutti i cicli decorativi più importanti eseguiti in quel periodo, il C. compare sempre con la sua folta schiera di allievi. Nel 1620, infatti, era impegnato nella decorazione della facciata del palazzo dell'Antella in piazza S. Croce, impresa diretta da Giovanni da San Giovanni, in cui il C. eseguì solo le figure dell'Età dell'oro e di Firenze, ma dove riuscì ad inserire i suoi allievi Vannini e Boschi.
Intorno al 1622 fu impegnato accanto al Ligozzi e all'Empoli - rappresentanti della tradizione pittorica più attardata - nella decorazione del soffitto del duomo di Livorno, dove eseguì l'Assunzione della Vergine, un dipinto di grande effetto scenografico e di scorcio illusionistico che richiama le decorazioni venete del tardo Cinquecento.
Accanto agli artisti fiorentini più rappresentativi del periodo - i soliti Empoli, Ligozzi, Bilivert, Fontebuoni, Rosselli e altri - partecipò al ciclo decorativo voluto da Maria de' Medici, moglie di Enrico IV di Francia, per il palazzo del Lussemburgo a Parigi, in cui si dovevano raffigurare i fatti salienti della storia della famiglia Medici (Blunt, 1967). Allontanati dalla loro sede originaria, i dipinti sono stati rintracciati dal Blunt nella collezione del conte Elgin a Fife, Broomhall, e tra di essi è l'Imbarco di Maria de' Medici da Livorno terminato dal C. nel gennaio del 1628, (Blunt, 1967, p. 566).
Le numerose opere che il C. veniva dipingendo in quegli anni per le chiese di Firenze e del contado toscano non presentano grandi novità stilistiche e inventive: Madonna e santi in S. Francesco ad Arezzo S. Giovanni Gualberto perdona un nemico in S. Giorgio alla Costa a Firenze Madonna e santi nella SS. Annunziata di Firenze S. Lorenzo distribuisce le elemosine (1620) nella cappella Riccardi in S. Croce a Firenze. Intorno al 1622 eseguì la pala d'altare con la Madonna e santi e la decorazione della cappella delle Reliquie nella SS. Annunziata, che scelse per la sua sepoltura.
Nonostante fosse così occupato, il C. si affrettò a scrivere a Francesco Barberini, che conosceva personalmente, quando nell'agosto del 1623 il cardinal Maffeo divenne papa Urbano VIII (Pollak, 1913, pp. 34-37). Forte dell'appoggio dei Barberini, anch'essi fiorentini di origine e protettori dei toscani a Roma, il C. si offrì per decorare la loggia delle benedizioni in Vaticano, commissione assai ambita da numerosi pittori del tempo, dichiarando che, se vi potevano essere artisti più qualificati di lui per eseguire quest'opera, nessuno però era più di lui devoto alla famiglia del pontefice. L'incarico non toccò al C., ma egli venne ugualmente a Roma nel 1624 per restaurare la sua Crocifissione di s. Pietro nella basilica vaticana, che già presentava segni di deterioramento. In quell'occasione riuscì a procurarsi la commissione per un dipinto destinato ad un altare del transetto della stessa chiesa, l'Incredulità di s. Tommaso, sostituito nel XIX secolo da un mosaico e oggi nella sala capitolare, per il quale fu pagato 850scudi dall'aprile del 1626 al marzo del 1627 (Pollak, II, 1931, nn. 2132-36).È probabile che questo dipinto sia stato eseguito a Firenze, dove l'artista lo portò con sé come afferma il Baglione (1649), che erra però nella data riferendo il viaggio del C. all'anno del giubileo 1625.
In quel periodo il C. dovette essere assai di frequente a Roma, dove spiravano buone possibilità di lavoro per i toscani: nel luglio del 1626 stimò la statua di S. Bibiana del Bernini (Pollak, 1913, pp. 31 s. I, 1928, pp. 157-62) nel 1627 ricevette un altro incarico per la basilica di S. Pietro, decretatogli dalla Congregazione: dipingere la Presentazione della Vergine al tempio, ad olio su muro (Pollak, II, 1931, n. 667), deterioratosi assai presto tanto da essere sostituito nel 1638 da un dipinto del Romanelli.
Negli ultimi anni di vita il C. divenne una figura carismatica a Firenze, esponente della vecchia tradizione che faceva capo all'Accademia del disegno dove fu attivo sino alla fine e dove, a detta del Baldinucci ([1681-1728], III, p. 449), dava consulenze su quadri, consigliava acquisti o raccomandava giovani pittori, dando dimostrazione di grande capacità di conoscitore.
Il C. morì a Firenze il 17 maggio 1638 e fu sepolto nella cappella della SS. Annunziata che egli aveva decorato anni prima.
Una citazione particolare meritano i disegni del C., che si esercitò sempre a lungo nel campo della grafica, secondo le regole della più ferrea tradizione fiorentina basata sul disegno. I fogli dell'artista, conservati nel nucleo più consistente nel Gabinetto dei disegni degli Uffizi di Firenze, in parti minori al Louvre a Parigi (Viatte, 1981) e al Gabinetto nazionale delle stampe di Roma (Prosperi Valenti Rodinò, 1977), e in numerose altre collezioni italiane e straniere, si caratterizzano per due componenti ben distinte: negli schizzi di composizione spesso realizzati a bistro o a penna fortemente acquerellati il C. mostra evidenti affinità con il disegno veneto, in particolare con quello di Palma il Giovane, Tintoretto e Iacopo Bassano, mentre gli studi di figure singole, realizzati per lo più a sanguigna su carta bianca o a gessetto nero su carta azzurra, si pongono nella più tipica tradizione toscana e si riallacciano alla grafica della scuola di Santi di Tito e del Cigoli.
Anche nel disegno, perciò, l'artista rivela le componenti che caratterizzarono la sua pittura: gli elementi veneti che si vengono a sovrapporre, senza annullarla, alla preesistente cultura fiorentina d'impronta accademico-disegnativa.
Di Tommaso, figlio del C., si ignorano i dati cronologici, ma è probabile che sia nato a Firenze intorno al nono decennio del sec. XVI. Non è nemmeno ricordato dal Baldinucci (1681-1728). Risulta pittore dai documenti che nel 1620-21, 1621-22 e nel 1628 attestano che pagò la matricola all'Accademia del disegno di Firenze (Colnaghi, 1928) e che decorò, sotto la soprintendenza del padre, la cappella di S. Sebastiano (perduta) e successivamente il soffitto della stanza del Parnaso nella villa Aldobrandini a Frascati negli anni 1614-16 (D'Onofrio, 1963).
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