Creta: la civilta palaziale
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La civiltà artistica fiorita a Creta nella Tarda Età del Bronzo, anche dopo il superamento della visione romantica dello scopritore Sir Arthur Evans appare come un’esperienza straordinaria nella storia del Mediterraneo antico: essa segue la parabola del sistema politico palaziale e, attingendo liberamente al repertorio di forme e colori che la natura mette a disposizione degli artisti, esprime le esigenze di autorappresentazione da parte di una élite politica il cui potere si fonda su una concezione sacrale della regalità.
La civiltà fiorita a Creta nell’età del Bronzo viene comunemente definita minoica da quando, nei primi anni del Novecento, Sir Arthur Evans porta alla luce il palazzo di Cnosso: il mitico re Minosse diventa così il simbolo di una civiltà il cui sistema ideologico ruota attorno al principio della regalità. Vero è che, nell’interpretare le strutture del palazzo, Evans elabora un sistema che ne enfatizza il ruolo di residenza regale e, sulla base di una coincidenza forzata tra la planimetria “labirintica” degli edifici e il celebre racconto del Minotauro, crea il “mito” della talassocrazia cretese, ovvero di una supremazia economica e militare dell’isola sul Mediterraneo orientale in cui la civiltà minoica avrebbe giocato un ruolo cardine nell’acculturazione del mondo greco. Questa visione, probabilmente condizionata dalle ideologie nazionalistiche diffuse in quegli anni in Europa, è stata successivamente ridimensionata, sia a seguito dell’ampliarsi delle indagini ad altri complessi palaziali (nel secondo dopoguerra si susseguono le indagini italiane a Festo, lo scavo francese a Mallia e quelli inglesi a Palaikastro e Zakro), sia dall’affinamento delle metodologie di analisi storica.
I taccuini di scavo che Evans ha lasciato rivelano un assoluto rigore scientifico nella conduzione e nella documentazione degli scavi di Cnosso; non sfuggono invece alle critiche i suoi interventi per la conservazione delle strutture. Guidato da una concezione romantica più che scientifica, Evans fa ricostruire infatti interi ambienti, anche con materiali incongrui, sovrainterpretando resti spesso esigui per riportare il palazzo all’antico splendore: l’effetto finale tuttora osservabile, con le fughe di colonne in cemento dipinte di rosso che fanno da cornice al blu brillante e al rosso corallo delle pareti, costituisce innegabilmente un’attrazione per i turisti ma impegna anche lo studioso più scaltrito in un notevole sforzo di astrazione dal “sogno minoico” di Sir Evans.
Le stesse pitture che hanno colpito con tanta potenza la nostra immaginazione sin dai libri di scuola (la Parigina, il Principe dei Gigli, i delfini azzurri della Sala della Regina) e che non cessano di stupire per la loro modernità, sono di fatto più moderni di quanto sembri. Ciò che rimane degli originali sono infatti per lo più minuscoli frammenti: gli affreschi di Cnosso sono costituiti in gran parte da integrazioni moderne, commissionate dallo stesso Evans all’artista svizzero Émile Gilliéron e, dal 1920, all’olandese Piet de Jong, responsabile generale dei restauri. Costoro aderiscono al progetto di Evans di ridare vita alle immagini della regalità minoica, proiettando sul passato gli ideali estetici del presente: gli storici dell’arte hanno notato da tempo come l’aspetto “floreale” degli affreschi conservati nel museo di Iraklion riveli un gusto da art nouveau. Non è forse un caso che una delle più celebri pitture di Cnosso, un elegante profilo di dama che indossa uno scialle frangiato, sia stata ribattezzata la Parisienne, proprio come la statua monumentale esposta all’ingresso dell’Exposition Universelle del 1900 e considerata il simbolo dello chic parigino.
A Creta l’età del Bronzo viene convenzionalmente suddivisa in tre grandi periodi definiti Minoico Antico, Medio e Tardo, a loro volta articolati in tre fasi (I, II, III). Il Minoico Antico (3500-2000 a.C.), caratterizzato da una consistente crescita demografica, vede nascere alcuni insediamenti la cui articolazione rivela una prima, embrionale forma di organizzazione e controllo delle risorse: a Vassilikì, per esempio, sull’istmo di Ierapetra, una serie di unità abitative si organizzano attorno ad una corte centrale e si dotano di ambienti destinati all’immagazzinamento di derrate, testimoniando una forma di gestione delle risorse su scala extra-domestica e la definizione di spazi comuni di natura pubblica. A Myrtos, sulla costa meridionale, l’elemento attorno a cui si articolano le abitazioni e gli ambienti funzionali è un santuario in cui si venera una divinità femminile, come sembra suggerire un vaso plastico rinvenuto al suo interno (la cosiddetta Dea di Myrtos); adiacente al santuario si trova un magazzino in cui è stata rinvenuta una gran quantità di vasi per lo stoccaggio delle derrate: è verosimile che si venga già definendo quella connessione tra sfera del sacro e gestione dei beni comuni da parte di un nucleo ristretto di individui che poi si svilupperà, con maggiore complessità, con i grandi palazzi.
L’inizio del Medio Minoico (1900 a.C. ca.) inaugura la fase più splendida della storia dell’isola, caratterizzata dalla nascita di grandi unità amministrative su scala regionale il cui centro di potere è rappresentato dai palazzi che sorgono sulla costa, a Cnosso, Festo e Mallia; altro elemento di novità è il concentramento della popolazione proprio attorno ai palazzi, che diventano così il cuore di veri e propri insediamenti urbani.
Le architetture protopalaziali, non sempre ben leggibili a causa della sovrapposizione delle fasi edilizie successive, sembrano rispondere a criteri organizzativi ricorrenti. Elemento fisso è la grande corte di forma rettangolare e orientamento nord-sud, lastricata e circondata da colonne; attorno a essa si dispone una serie di settori con precisa destinazione d’uso: magazzini e ambienti cerimoniali organizzati attorno a cortili che fungono da disimpegni e pozzi di luce, mentre gli appartamenti residenziali e gli ambienti destinati alle funzioni domestiche occupano i piani superiori. I vari nuclei del palazzo si giustappongono l’uno all’altro ciascuno con una diversa assialità e spesso su diversi livelli, generando l’intreccio di molteplici percorsi che, in ultima analisi, collegano il palazzo alla vicina città. La funzione pubblica dell’edificio palaziale è ribadita dalle grandi piazze lastricate che ne precedono gli ingressi e che fungono probabilmente da scenario per grandi cerimonie collettive, come dimostrano anche le aree lastricate e fiancheggiate da gradinate per accogliere gli spettatori, presenti sia a Cnosso che a Festo.
Nei cortili centrali sono presenti grandi pozzi circolari detti kouloures, utilizzati probabilmente per lo stoccaggio del grano. A queste strutture possono essere riferite le numerose cretule, ovvero frammenti d’argilla recanti l’impronta di un sigillo, originariamente applicati su contenitori o porte di magazzino come marchio di controllo. Il palazzo dunque funziona come polo amministrativo in relazione alla ridistribuzione delle risorse agricole della regione.
Nel palazzo si accentrano anche produzioni artigianali di pregio ad opera di maestranze specializzate e da qui si irraggiano nel territorio circostante e oltre. Esemplare è il caso della raffinata ceramica di Kamares (così detta dalla grotta del monte Ida dove fu rinvenuta per la prima volta), prodotta a Festo nelle officine di palazzo mediante il tornio veloce: caratterizzata da pareti estremamente sottili e da una grande varietà di forme, questa produzione rivela un gusto per gli effetti di policromia ottenuti disegnando, con vernice chiara (bianco, rosso e arancio) su fondo scuro, motivi sia astratti che figurati ispirati al mondo animale e vegetale. Prodotta per far fronte alle esigenze cerimoniali e cultuali dei palazzi, essa raggiunge anche centri molto lontani dai luoghi di produzione, probabilmente mediante scambi e doni tra élite: vasi di Kamares sono stati rinvenuti in Egitto, in Siria e a Cipro, mentre la presenza di manufatti di pregio e di materiali preziosi dal Vicino Oriente attesta l’esistenza di scambi regolari.
Intorno al 1700 a.C. i palazzi subiscono una violenta distruzione, forse a seguito di eventi sismici; nella situazione di disordine e di incertezza che ne segue si generano probabilmente situazioni di conflitto tra i diversi gruppi di potere. La costruzione dei secondi palazzi, infatti, rappresenta una cesura netta nella storia politica dell’isola: da un lato il controllo del palazzo sul territorio appare più saldo e capillare, anche mediante la dislocazione nelle campagne di una serie di “ville” che riproducono in piccolo la struttura dei palazzi e che possono essere interpretate come organismi locali di controllo; dall’altro emerge nettamente il ruolo egemone di Cnosso, che diventa il centro di irradiazione di modelli culturali e ideologici in tutta l’isola. Tale supremazia si traduce in una grande uniformità nelle produzioni artistiche e nella cultura materiale cretese, che in questa fase (Tardo Minoico I) raggiunge il suo massimo splendore.
L’architettura dei nuovi palazzi porta a maturazione il modello già evidenziato nel periodo precedente, con un maggior dispiego di perizia tecnica e una più netta distribuzione delle funzioni. La tecnica edilizia predilige ora grandi blocchi di pietra squadrati, rivestimenti in pietra e intonaco per i pavimenti, ad affresco e pietre pregiate per le pareti dei vani di rappresentanza. Le facciate esterne e quelle dei grandi cortili appaiono articolate, con un andamento spezzato animato da nicchie e colonnati, e raccordate su più livelli da monumentali scalinate.
L’esempio più fastoso e compiuto della nuova architettura regale è offerto dal palazzo di Cnosso, che occupa un’area di oltre 17 mila mq. Il grande cortile lastricato antistante la facciata occidentale costituisce il luogo di adunanza della popolazione, sede dei riti e delle cerimonie previste dal sistema palatino; da qui si snoda un percorso destinato, probabilmente, ai soli dignitari ammessi al cospetto del re: oltrepassato il monumentale portico a sud ovest, si imbocca un lungo corridoio a L affrescato con un corteo di uomini e donne a grandezza naturale che recano offerte (il cosiddetto Corridoio delle Processioni). Il corridoio conduce ai piedi di una scalinata che porta al piano nobile, il quartiere di rappresentanza composto da una successione di sale ipostile, dal soffitto piano sorretto da colonne. È questo il luogo in cui il sovrano incontra i suoi funzionari e da cui, attraverso delle ampie finestre, può mostrarsi ai suoi sudditi radunati nella grande piazza lastricata occidentale.
Giungendo al palazzo da nord-ovest, invece, si accede, attraverso una sala a pilastri, alla grande corte centrale, vero asse di tutto il complesso: attorno a questo spazio aperto si dispongono infatti i vari quartieri, la cui organizzazione risponde alle esigenze di un rigido cerimoniale. Il cuore ideologico del palazzo corrisponde ad una sequenza di ambienti che si affaccia sul lato occidentale del cortile: al centro vi è la Sala del Trono, che oggi appare come il prodotto di rimaneggiamenti successivi ma che già in questa fase è dotata di un trono in pietra e, probabilmente, dell’affresco con i due grifi su fondo rosso in posizione araldica. La sala è collegata ad un complesso di piccoli vani con funzione sacra, da cui provengono preziosi arredi rituali tra cui le due celebri statuette in faïence della Dea dei Serpenti. Questa serie di ambienti, interpretato da Evans come la sala da udienze del re, viene oggi ritenuto il luogo in cui si celebrava l’epifania di una divinità – probabilmente della dea che sembra rivestire un ruolo centrale nella religione minoica – attraverso la mediazione di un sacerdote o di una sacerdotessa.
Ad est del cortile centrale sono ubicati i veri e propri quartieri residenziali, distribuiti su più piani raccordati da una scala monumentale. Al piano terra si aprono due complessi di sale detti rispettivamente Sala del Re e Sala della Regina, organizzati secondo lo schema planimetrico tipico dell’architettura di rappresentanza minoica, ovvero una sequenza assiale di vestibolo, sala vera e propria e pozzo di luce comunicanti tra loro mediante un arioso sistema di porte multiple separate da pilastri (polythyra). Al piano superiore, tracce di attività connesse alla filatura e alla tessitura (per esempio pesi da telaio) fanno supporre che qui si concentrassero le attività e la vita della popolazione femminile del palazzo.
La funzione degli spazi e la loro gerarchia è puntualizzata dalle splendide decorazioni parietali, realizzate nelle tecniche dell’affresco e dello stucco dipinto, che guidano il visitatore all’interno del palazzo, celebrando chi vi abita attraverso l’ostentazione dei segni della regalità. Uno dei temi chiave all’interno del programma decorativo di Cnosso è il toro cozzante, in posizione d’attacco, presente all’inizio e alla fine dei principali assi di percorrenza: per analogia con esempi dai palazzi mesopotamici e siriani, si è supposto che la collocazione di questa immagine in prossimità degli ingressi assolva ad una funzione tutelare della dimora regale. Quanto agli affreschi con giovani acrobati che compiono pericolose evoluzioni sulla groppa di un toro dopo averlo afferrato per le corna, le celebri tauromachie che decorano alcune sale di rappresentanza, oggi si tende a ridimensionare l’idea che si tratti di rappresentazioni realistiche di performance simili alla moderna corrida a favore di una lettura in chiave simbolica: esse sarebbero una forma di autocelebrazione da parte delle élite palatine che si riconoscono in un modello eroico idoneo a legittimarne l’autorità.
In altre pitture l’asserzione del rango si stempera in un’atmosfera sacrale, a conferma del ruolo dell’investitura divina nella strutturazione del modello della regalità. È il caso del Principe dei Gigli, una delle opere più note dell’arte minoica a dispetto della sua parziale inautenticità (l’opera che oggi si conserva al Museo di Iraklion è costituita in realtà da tre distinti frammenti di stucco dipinto, con restauri interpretativi moderni): il giovane dalle forme delicate, forse un re-sacerdote, reca insieme le insegne del divino (il copricapo con gigli e piume colorate) e quelle del potere (il bastone o la lancia che, secondo una ricostruzione recente, reggeva nella sinistra).
L’accuratezza con cui gli artisti hanno riprodotto esseri animati e vegetali, la vivacità e varietà dei colori ha generato in passato una visione “idilliaca” della società, che sarebbe stata caratterizzata da un rapporto aurorale con il mondo della natura. Oggi sappiamo che la pittura minoica è espressione di un’arte ufficiale e in quanto tale risponde a precise convenzioni, anche nell’uso dei colori: la distinzione di sesso tra le figure umane è per esempio costantemente affidata al colore dell’epidermide, bianco per le donne, rosso per gli uomini. I fondali su cui si muovono le figure sono per lo più neutri o affollati di particolari ispirati al mondo naturale ma assemblati con intento decorativo, come nel celebre affresco ribattezzato da Evans il Raccoglitore di croco, oggi correttamente restaurato come una scimmia dal pelame blu impegnata nella raccolta del fiore dello zafferano.
È comunque innegabile una predilezione degli artisti cretesi per i temi naturalistici; lo dimostrano i vasi in ceramica prodotti durante il secondo periodo palaziale, che rappresentano un vero e proprio erbario dipinto: gigli, crochi, edera e piante di papiro dipinti in bruno, ocra e rosso sul fondo chiaro si intrecciano a formare delle fantasie quasi astratte. Anche gli animali marini godono di altrettanta fortuna: murici, stelle marine e polipi si dispongono con libertà sulla superficie del vaso.
Intorno alla metà del II millennio a.C. Creta appare sconvolta da una serie di eventi distruttivi che comportano l’abbandono di alcuni palazzi e la ricostruzione in forme ridotte e impoverite di altri. Il fenomeno è stato messo in relazione con una serie di eventi sismici, in particolare con l’eruzione del vulcano di Thera. Oggi si ritiene che questi fattori abbiano solo innescato la crisi, causando il crollo del sistema produttivo centralizzato e lasciando emergere tensioni interne tra gruppi rivali.
Solo verso la fine del XV secolo a.C. a Cnosso si registrano segnali di ripresa. Il palazzo, infatti, continua a funzionare come centro amministrativo ma con alcuni radicali cambiamenti nello stile di vita degli occupanti che hanno fatto sospettare l’arrivo di genti dall’esterno: l’ipotesi tradizionale vuole che nel vuoto di potere determinato dagli scontri interni si siano inseriti gruppi armati provenienti dalla Grecia continentale, ovvero signori micenei. L’idea di una occupazione militare dell’isola tende oggi ad essere sfumata; si preferisce pensare che Creta abbia perso la propria centralità nell’Egeo, divenendo una “provincia” culturale micenea.
I manufatti (armi, vasellame, gioielli) rinvenuti a Cnosso nei livelli corrispondenti al Tardo Minoico III rivelano infatti l’assimilazione dei modelli morfologici e decorativi diffusi sul continente. Nella ceramica, in particolare, si afferma il cosiddetto Stile di Palazzo, caratterizzato da un irrigidimento dei temi naturalistici in forme sempre più lineari e organizzate secondo una sintassi rigidamente simmetrica che ne accentua il carattere ornamentale a discapito dell’organicità.
Le strutture del palazzo di Cnosso non subiscono tuttavia alterazioni radicali, almeno fino al 1370 a.C., quando viene distrutto da un violento incendio. Alcuni storici collegano l’evento ad un’azione militare intrapresa da un signore (o da una coalizione di signori) miceneo contro il monopolio che ancora Cnosso esercitava sulle rotte marittime; in ogni caso, l’incendio di Cnosso segna la fine della civiltà palaziale. In tutta l’isola emerge una nuova modalità di occupazione e gestione del territorio, basata su piccoli potentati locali che, ancora per un secolo, continuano a gestire attività economiche, agricole e commerciali, piuttosto floride.
Ad uno di costoro si può probabilmente riferire uno dei prodotti più belli dell’artigianato tardominoico: un sarcofago in pietra dipinto ad affresco rinvenuto in una tomba a camera di Hagia Triada. Esso presenta, sui quattro lati, una teoria di personaggi impegnati in operazioni rituali di non facile comprensione, ma che sembrerebbero riflettere un sistema di credenze sull’aldilà: un gruppo di donne versa del liquido in un cratere; seguono dei giovani che conducono due vitelli e un modellino di barca ad un altare, dietro il quale un uomo ammantato assiste alla scena stando in piedi davanti ad un edificio (il defunto destinatario dell’offerta?). Sul lato opposto si svolge il sacrificio di un toro e un’offerta incruenta presso un altare. Sui lati brevi, due donne guidano un carro trainato da grifoni (allusione al viaggio verso l’aldilà?).
Intorno al 1200 a.C. anche Creta sembra investita dagli stessi eventi distruttivi che interessano i palazzi micenei sul continente: gli abitati vengono abbandonati a favore di un popolamento sparso, in cui non si distinguono più centri preminenti e la cui cultura materiale appare confinata in una dimensione marcatamente regionale.