CRIMEA
In epoca presovietica simbolo del valore militare russo nello scontro con l’Impero ottomano e con le potenze europee, la C. venne trasferita da Nikita Chruščëv nel 1954 dalla Repubblica russa alla Repubblica ucraina, con l’obiettivo di accrescere l’integrazione di quest’ultima nella compagine statuale dell’Unione Sovietica. Chruščëv compì questo passo nel tentativo di recuperare una credibilità personale in Ucraina, dove per molti anni aveva governato nel segno della politica di russificazione staliniana. Ma quel singolare trasferimento amministrativo segnalava il problema più significativo di stabilizzare il rapporto tra Russia e Ucraina, quale asse centrale dell’Unione Sovietica, senza concedere nulla al nazionalismo ucraino e anzi intensificando il peso della componente russa, che costituiva la stragrande maggioranza della popolazione nella penisola. Tale significato era sottolineato dalla rilevanza strategico-militare della C. e dalla presenza della flotta sovietica a Sebastopoli, autentico luogo evocativo della grande potenza russa e sovietica.
Al momento della dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991, la C. si trovò a far parte dell’Ucraina indipendente. Il problema della flotta venne risolto in modo consensuale con un accordo tra Kyjiv (Kiev) e Mosca che assicurava la sua integrità sotto il controllo della Federazione russa. Disinnescata la fonte più immediata di conflitto tra i due Stati, la C. si costituì quale Repubblica autonoma nell’ambito dello Stato ucraino, restando un’entità largamente separata dalla vita politica e culturale del resto del Paese.
La penisola si trovò al centro dell’attenzione nazionale e internazionale quando si aprì la crisi tra Russia e Ucraina nel 2014 (v. ucraina). Subito dopo la turbolenza politica che portò alla caduta del presidente Viktor Janukovič e all’insediamento di un governo provvisorio filo-occidentale a Kyjiv, la C. divenne l’epicentro della crisi. In una rapida successione, nel mese di marzo, le autorità locali dichiararono l’indipendenza della Repubblica avvalendosi di una massiccia presenza militare russa, ancorché esercitata da forze non ufficiali, e indissero un referendum che a maggioranza schiacciante sancì il distacco dall’Ucraina e la richiesta di annessione alla Russia. Il presidente russo Vladimir Putin appoggiò formalmente la secessione invocando gli interessi di Mosca e la difesa delle popolazioni russe contro le azioni del governo di Kyjiv, ritenuto illegittimo. Il 18 marzo 2014 venne firmato dal governo di C. e dal governo russo un trattato che prevedeva l’annessione della penisola quale ventiduesima Repubblica della Federazione russa.
Appoggiato dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti, che ritennero invalida una consultazione svoltasi sotto un’aperta intimidazione militare russa e giudicarono gli argomenti e gli atti di Putin contrari a ogni principio di legalità internazionale, il governo di Kyjiv rifiutò di riconoscere l’esito del referendum. È probabile che il voto riflettesse comunque una volontà di separazione da parte della larga maggioranza della popolazione locale, le cui identità e appartenenze gravitavano in netta prevalenza verso la Russia (salvo la minoranza etnica tatara, circa il 12% degli abitanti che, memore delle repressioni staliniane, non prese parte al referendum). La secessione della
C. costituì però anche la miccia di un allargamento e spostamento della crisi ucraina nelle regioni orientali del Paese, con conseguenze cruente e destabilizzanti per lo Stato ucraino. La transizione e l’incorporazione della C. nella compagine della Federazione russa furono completate all’inizio del 2015.
Bibliografia: Crimea. Dynamics, challenges and prospects, ed. M. Drohobycky, Boston-London 1995; P. D’Anieri, Understanding Ukrainian politics. Power, politics, and institutional design, Armonk (N.Y.) 2007; A. Wilson, Ukraine crisis. What it means for the West, New Haven-London 2014.