Criminalità organizzata
Molti studiosi oggi concordano nel definire la criminalità organizzata come un insieme stabile di imprese insediate nei maggiori mercati illeciti come venditrici di beni e servizi e operanti con lo scopo di allargare le proprie quote di mercato.Sull'analogia tra il comportamento di mercato delle imprese illecite, la loro struttura organizzativa e i loro rapporti con entità istituzionali esterne da un lato, e le caratteristiche delle imprese legali dall'altro, esistono invece orientamenti divergenti. Alcuni autori, come Dwight Smith (v., 1980, p. 370), sostengono che la criminalità organizzata può essere collocata entro un continuum di forme di imprese che svolgono attività legali a un estremo e attività illecite all'altro. Le differenze tra imprese lecite e illecite, secondo tale prospettiva, sono di ordine solo quantitativo, essendo le une e le altre organizzate secondo gli stessi principî e formule. Nei rami più importanti dei mercati illeciti, secondo alcuni economisti, si riscontra una stratificazione delle forme di impresa del tutto analoga a quella dei contesti legali. Esistono due settori: uno competitivo, nel quale agiscono una serie di unità semi-indipendenti di piccole e medie dimensioni, la cui attività consiste nel fornire beni e servizi illeciti a un pubblico di consumatori finali, e uno oligopolistico, costituito da un numero limitato di imprese di varia nazionalità e conformazione, il cui compito consiste nel rifornimento del settore precedente.
Altri studiosi, invece, pur concordando sull'esistenza di fondamentali punti di contatto tra la struttura e il modus operandi delle imprese criminali e quelli tipici delle imprese legali, insistono sulla natura peculiare delle formazioni criminali, derivante in buona misura dal contesto operativo e dalle particolari risorse e dai metodi di intervento da esse impiegati.
Una messa a fuoco ravvicinata dei mercati criminali mostra in effetti l'esistenza di una serie di peculiarità e di anomalie rispetto ai moderni sistemi dello scambio economico legale. Tra queste, una delle più rilevanti consiste nella frequente presenza nella sezione oligopolistica dei mercati illeciti di unità organizzative 'polivalenti' dal punto di vista della composizione sociologica e dell'uso delle risorse.
La polivalenza delle imprese che controllano oggi lo strato più elevato dei mercati illegali si riferisce alla loro capacità di combinare risorse di natura economica, politica e militare. I maggiori gruppi criminali organizzati costituiscono aggregati di potere economico e finanziario capaci di agire come gruppi di pressione in campo politico e in grado di ricorrere, a differenza delle loro controparti legali, all'uso specializzato della violenza e del terrore nei confronti di competitori e avversari.
La quantificazione delle grandezze essenziali in gioco nei mercati criminali costituisce un'operazione estremamente ardua. La consistenza dei profitti e del giro d'affari della criminalità organizzata, il numero degli individui e dei gruppi e sottogruppi che ne sostanziano le imprese, pur rappresentando valori frequentemente citati nei rapporti governativi e nella stampa, non sono individuabili per mezzo dei metodi usuali di misurazione e di stima dei fenomeni socioeconomici. La natura illegale della maggior parte delle attività sottoposte al controllo della criminalità organizzata e la valenza penale dell'appartenenza alle imprese illecite scoraggiano l'uso di documenti contabili, liste di aderenti e contratti scritti.
L'unico esempio finora conosciuto di formazione criminale organizzata che fa largo ricorso a criteri e documenti formali di identificazione, e possiede un profilo pubblico definito che si manifesta attraverso sedi ufficiali, assemblee, organi di informazione, conferenze stampa e interventi televisivi, nonché riconoscimenti ufficiali o semiufficiali quali la tassazione dei profitti illeciti e le richieste di intervento in qualità di forza ausiliaria di polizia, è costituito dalla Yakuza giapponese. I periodici sequestri da parte della polizia nipponica delle liste di affiliati alle gangs che compongono le grandi federazioni della Yakuza permettono una quantificazione precisa del numero totale dei membri (circa 110.000, contro i 15.000 individui schedati come mafiosi dalla polizia italiana, i 2.000 membri di Cosa Nostra americana schedati dall'FBI, e i 130.000 membri dei 4 odierni grandi raggruppamenti criminali che si richiamano alle Triadi cinesi, individuati dalla polizia di Hong Kong).
Dopo un lungo periodo di crescita lenta e di concentrazione su un numero ristretto di casi nazionali, la letteratura sul fenomeno della criminalità organizzata ha cominciato a espandersi sia in termini quantitativi sia per l'ampiezza della gamma dei fenomeni presi in esame. A partire dall'inizio degli anni settanta abbiamo assistito a uno sforzo di ricerca sul campo e di riflessione generalizzante, che ha comportato un rinnovamento dei paradigmi e la nascita di tentativi di definizione concettuale più precisi e meno controversi che in passato.
Le odierne interpretazioni della criminalità organizzata si sono formate dopo un lungo dibattito - svoltosi negli Stati Uniti a partire dagli anni trenta - che ha visto competere due spiegazioni alternative dello sviluppo dei rackets urbani, della corruzione e dei mercati illeciti degli stupefacenti, del gioco d'azzardo e della prostituzione.Una parte consistente delle ricerche intraprese negli Stati Uniti si è sviluppata nell'ambito di un paradigma struttural-funzionalista nato come reazione della comunità degli scienziati sociali all'interpretazione cospirativo-diffusionista del fenomeno della criminalità organizzata, radicata fin dall'inizio del secolo nei circoli politici, giornalistici e dell'establishment della giustizia penale. Secondo tale interpretazione il problema criminale costituiva il prodotto del trapianto negli Stati Uniti di imprese criminali, società segrete, forme culturali e perfino tipi biologici provenienti da alcune particolari zone del mondo (v. Moore, 1974, cap. 1).
La tradizione di ricerca sviluppatasi in contrasto con questa visione del problema sottolinea invece questi due elementi.
1. L'origine interna delle organizzazioni e delle imprese criminali. J. Landesco e altri sociologi hanno sostenuto che sono state le condizioni sociali e i valori culturali prevalenti nella società americana a trasformare in criminali una parte dei giovani immigrati (v. Landesco, 1929; v. Bell, 1960; v. Haller, 1929). Nel 1938 Robert K. Merton elaborò una spiegazione socioculturale del comportamento deviante secondo la quale la criminalità di professione costituisce una normale risposta da parte di alcuni individui e gruppi alle pressioni esercitate su di loro dalla struttura sociale. La preoccupazione americana per il successo economico, unita alle imperfezioni della mobilità ascendente, fa passare in secondo piano, rispetto ai fini, i mezzi di acquisizione della ricchezza, trasformandosi così in una sorgente permanente di illegalità e di devianza.
2. L'inesistenza della 'mafia' intesa come un'associazione segreta, gerarchica e centralizzata, diffusa su scala nazionale, in grado di controllare tutti i più importanti mercati illegali americani. Numerosi studi hanno sottoposto a critica radicale sia l'immagine popolare della mafia come organizzazione clandestina e onnipotente, che le fonti su cui tale immagine si basa, e in primo luogo le dichiarazioni sulla struttura di Cosa Nostra fatte dal mafioso italoamericano Joe Valachi nel 1963, davanti al McClennan Committee.
Gli studiosi che si sono occupati della mafia italo-americano tra la fine degli anni sessanta e la metà degli anni settanta sono arrivati a costruire un diverso modello organizzativo, sostenendo che l'analogia con la gerarchia burocratica adottata per spiegare ruoli e livelli di Cosa Nostra - la 'commissione nazionale' dei capi dei 24 gruppi principali come 'consiglio di amministrazione', e la stratificazione di boss, underboss, consiglieri, capitani e soldati come ossatura burocratico-razionale dell'organizzazione - implica un grado di rigidità e di formalizzazione che non trova riscontro nella realtà operativa delle singole unità e delle dinamiche economiche, politiche e sociali di cui esse sono parte.
Tali dinamiche possono essere meglio comprese se si guarda ai reticoli familiari e di parentela che uniscono i membri delle unità elementari di Cosa Nostra, chiamate appunto 'famiglie', nonché alle relazioni di clientela e di patronaggio stabilite verticalmente all'interno di queste ultime (v. Albini, 1971).
La criminalità organizzata statunitense di origine italiana, secondo tale prospettiva, consiste di un insieme non rigidamente strutturato di relazioni di potere e di parentela, piuttosto che di una società segreta modellata sulle forme della grande organizzazione burocratica.Il punto di vista degli scienziati sociali americani, secondo i quali il sistema delle imprese illecite ha origini interne piuttosto che esterne, si basa su due serie di prove alquanto convincenti. La prima serie nasce dall'osservazione che l'impresa illegale soddisfa la domanda di prodotti e servizi illeciti da parte del pubblico americano. I consumatori acquistano beni illegali perché li vogliono, e li vogliono nonostante gli alti prezzi a cui questi beni sono venduti. Se il cartello delle imprese illecite scomparisse improvvisamente per qualche ragione, esso verrebbe - secondo Sutherland e Cressey (v., 1924) - "intensamente rimpianto", perché svolge una funzione per la quale esiste una vasta domanda. Secondo tale filone interpretativo l'esistenza della criminalità organizzata è dovuta, in ultima analisi, alla domanda di beni e servizi illegali che caratterizza la società legale. È la domanda che genera l'offerta.La teoria della successione etnica nella criminalità fornisce la seconda serie di prove per il paradigma struttural-funzionalista.
Secondo tale teoria la partecipazione ai networks illegali nonché l'organizzazione degli stessi hanno rappresentato una "insolita strada della mobilità sociale" (v. Bell, 1960) per generazioni successive di immigrati di origine italiana, ebrea e irlandese che hanno trovato chiuse le strade legali dell'ascesa sociale. F. Ianni ha sostenuto inoltre che minoranze nere e di lingua spagnola stanno sostituendo gli italiani nel controllo di alcuni settori del mercato criminale (v. Ianni, 1974, pp. 13-14).Le tendenze più recenti della ricerca sulla criminalità organizzata sottolineano, tuttavia, come l'incompatibilità tra l'approccio funzionalista e quello cospirativo non sia in realtà molto marcata. Una serie di documenti provenienti da importanti inchieste giudiziarie sviluppatesi in Italia e negli Stati Uniti tra la seconda metà degli anni settanta e la fine degli anni ottanta, nonché memoriali, confessioni-testimonianze e autobiografie di capimafia, hanno messo in rilievo l'effettiva esistenza di istituzioni formali di coordinamento e di decisione a vasto raggio all'interno dei principali raggruppamenti mafiosi siciliani e italo-americano, anche se le 'deliberazioni' prese dai vertici di tali istituzioni non sembrano avere un'efficacia sufficiente a limitare in modo sostanziale l'autonomia operativa di ciascuna singola famiglia criminale.
Secondo altre interpretazioni, inoltre, entrambi gli approcci contribuiscono a spiegare aspetti rilevanti del processo di formazione della criminalità organizzata, sottolineando l'uno i fattori socioeconomici che influenzano la domanda dei beni illeciti, l'altro gli elementi socioculturali di condizionamento dell'offerta (v. Light, 1977).Altri studi rilevano come il ruolo preminente della domanda di beni e servizi illegali e dei processi di immigrazione e di mobilità sociale in quanto chiave esplicativa dello sviluppo delle economie e dei soggetti criminali sia circoscritto al caso statunitense. In altri contesti nazionali e in altri processi di cambiamento socioeconomico - come ad esempio nell'Italia degli anni settanta e ottanta - la crescita della criminalità organizzata si è svolta più per l'espansione dell'offerta, avvenuta sotto forma di un'autonoma moltiplicazione e di un ampliamento della scala di attività delle imprese illecite, che per un incremento della domanda. Nel medesimo contesto italiano, inoltre, l'impiego in imprese illegali di gruppi della popolazione giovanile non mostra alcuna correlazione con processi di immigrazione (v. Arlacchi, 1986).
Una rete di imprese che offrono beni illeciti, una volta insediatasi in un dato contesto, è capace di produrre dinamiche di conservazione del potere che finiscono col renderla indipendente dai processi sociali o dalle necessità funzionali che possono averla generata. In alcuni casi molto importanti, quali le 'narcocrazie' di alcuni paesi latino-americani o le élites mafiose di alcune aree dell'Italia meridionale, si sono costituiti reticoli di potere criminale così pervasivi e influenti da essere in grado di creare una società a loro immagine e somiglianza.I leaders delle formazioni mafiose provengono in genere dalla classe dominante locale o da un insieme composito di strati sociali piuttosto che dai ceti meno abbienti, e il loro livello di istruzione si è nettamente accresciuto. La diffusione di coalizioni di potere aventi per protagonisti capi di imprese criminali, esponenti politici e dirigenti delle amministrazioni pubbliche ha provocato - nei medesimi contesti - un monopolio di risorse collettive (posti di lavoro, appalti, concessioni, sussidi, impieghi pubblici, ecc.) che comporta l'esclusione di migliaia di giovani non appartenenti a - o non collegati con - tali coalizioni illecite. Questi giovani, perciò, trovano chiuse sia le strade legali che quelle illecite dell'ascesa sociale. La presenza del potere criminale agisce in questo caso nella direzione opposta al 'caso' americano, costituendo più una 'causa' che un 'effetto' delle barriere all'avanzamento sociale.
Anche per ciò che riguarda il tema della struttura interna delle formazioni criminali organizzate i risultati delle ricerche svolte nei tempi più recenti mostrano come la contrapposizione tra le analisi in chiave cospirativo-organizzativa e quelle in chiave parentale-clientelare non rivesta in realtà quell'utilità euristica che sembrava detenere in un primo momento. Il grado di formalizzazione delle gerarchie, delle istituzioni e dei ruoli interni ai gruppi criminali sembra variare grandemente, infatti, da un sistema sociale all'altro. Significativi cambiamenti possono essere rinvenuti anche all'interno del medesimo contesto, e modelli contrastanti di strutturazione dei rapporti interni possono inoltre coesistere nell'ambito di una stessa costellazione criminale.
Esistono pochi dubbi, per esempio, circa il carattere di organizzazione formale non familiare-parentale - con elenchi dei soci, riti di iniziazione, segni di riconoscimento, distintivi, giornali, obblighi definiti dei membri nei confronti dei superiori - rivestito dalla Yakuza contemporanea (v. Kaplan e Dubro, 1986, parte III), così come sembra accertata la schiacciante preponderanza delle relazioni di parentela naturale di primo grado su ogni altro tipo di rapporto nell'ambito dell'odierna mafia siciliana e calabrese. A differenza della mafia tradizionale dei tempi precedenti la seconda guerra mondiale, nella quale il potere del capo dipendeva anche dalla sua capacità di crearsi un seguito più o meno permanente di persone a lui legate da una gamma eterogenea di rapporti, e che non oltrepassava quasi mai le 15-20 unità, l'odierna mafia imprenditrice consiste in una serie di vasti raggruppamenti di individui - che possono arrivare a includere 70-80 elementi maschili per ciascuna unità - con al centro un nucleo formato da una o più famiglie biologiche di dimensioni insolitamente elevate.
Avere una propria famiglia di notevole ampiezza e appartenere a un vasto aggregato di parentele naturali costituiscono prerequisiti indispensabili per l'attuale leader mafioso calabrese e siciliano. Attorno al nucleo fondamentale della cosca potranno poi svilupparsi le più diverse relazioni di parentela artificiale e di amicizia strumentale, ma la relazione interna di base è costituita dalla parentela naturale di primo grado. Un'apposita indagine effettuata sulle 14 più potenti cosche mafiose calabresi del 1979-1980 ha mostrato come nessuna di esse risultasse composta, nel suo nucleo fondamentale, da meno di tre fratelli. Ben 7 di esse avevano al proprio centro 4 famiglie di 4 fratelli, e 3 risultavano basate su 6 nuclei familiari con a capo 6 fratelli (v. Arlacchi, 1983, pp. 154-164).Il progressivo sopravvento dei rapporti di parentela naturale in seno alla criminalità organizzata italiana non ha comunque impedito che essa iniziasse a sviluppare istituzioni semiformali di prevenzione e di controllo dei conflitti interni, come nel caso della cosiddetta 'commissione provinciale' messa in piedi - secondo la deposizione del capomafia Tommaso Buscetta - dalla mafia siciliana verso la fine degli anni cinquanta, e della 'commissione interprovinciale' creata verso la fine degli anni settanta. Una certa pratica di 'incontri al vertice' sembra essere stata presente nella mafia calabrese degli anni sessanta e settanta. Nel 1968 un'irruzione della polizia interruppe un'assemblea di oltre 50 capimafia riuniti in una zona impervia dell'Aspromonte.Allo stesso modo, la rigidità dei ruoli tipica dei gruppi Yakuza e l'assenza al loro interno di un tessuto di rapporti di parentela non hanno impedito lo sviluppo di intensissime relazioni di lealtà e di fiducia personali tra i loro membri, basate su alcuni concetti centrali dell'etica giapponese tradizionale, come il legame Oyabun-Kobun ('padrinaggio spirituale totale') e i comportamenti ispirati ai valori di senso del dovere e compassione del binomio giri-ninjo.
L'attuale fisionomia imprenditoriale della criminalità organizzata costituisce lo sbocco di un processo di sviluppo che si è svolto secondo caratteri storicamente differenti per ciascuna grande componente dell'economia illecita mondiale. Nel caso delle formazioni mafiose dell'Italia meridionale, un ruolo importante è stato svolto dalle necessità di mediazione dei rapporti tra il centro e la periferia emerse nella seconda metà del secolo passato, nel corso della formazione nella penisola italiana di uno Stato e di un mercato nazionali. Una serie di personaggi che svolgevano funzioni di protezione di interessi costituiti, di estorsione organizzata nei confronti della classe agiata e, soprattutto, di mediazione dei conflitti interni alla società locale e delle relazioni tra questa e le agenzie esterne della politica e dell'economia - i mafiosi appunto - sono gradualmente emersi come figure-chiave.La criminalità organizzata giapponese - o Yakuza - rappresenta invece il prodotto di una serie di fenomeni di disgregazione e di mutamento, all'interno di un sistema sociale e politico tradizionale, che cominciarono a verificarsi verso gli inizi del XVII secolo, durante il lungo periodo di pace assicurata dal governo Tokugawa. Si svilupparono allora attività di estorsione, sotto forma di 'protezione' di zone di mercato, svolte da membri di gruppi sociali declassati o marginali, ispirati a un'etica onorifica e tradizionalista: samurai sbandati e senza padrone (hatamoto-yakko) e membri di compagnie urbane di autodifesa (machi-yakko) in un primo tempo, bakuto ('uomini delle bische e delle strade') e tekiya ('uomini delle fiere e dei mercati') in un momento successivo.Anche l'origine delle Triadi cinesi è collegata alla crescita della 'popolazione fluttuante' e marginale, priva di un'integrazione nei reticoli familiari, parentali e di villaggio di un ordine agrario in dissoluzione. A partire dal XVII secolo, ma con un'intensa accelerazione nel corso dell'Ottocento, l'associazionismo segreto delle Triadi ha canalizzato il malcontento di una gamma sempre più numerosa di poveri e di esclusi: giovani, donne, senza famiglia, sbandati e sopravvissuti a catastrofi naturali, ex soldati, contadini e così via.
A differenza dei gruppi Yakuza giapponesi del XVII-XIX secolo e delle cosche mafiose dell'Italia meridionale, però, le società segrete cinesi assunsero fino ai primi decenni del Novecento anche un profilo politico nettamente definito. Esse diedero un contributo sostanziale allo sviluppo delle rivolte contadine e dei movimenti nazionalisti che condussero al rovesciamento della monarchia e all'instaurazione di un regime repubblicano.
Nel corso del Novecento una serie di cambiamenti ha favorito la convergenza entro un modello tendenzialmente unitario delle diverse forme nazionali o regionali di criminalità organizzata. Il processo attraverso il quale le diverse formazioni illecite sono venute ad assumere la fisionomia odierna può essere configurato nei termini di una progressiva perdita di centralità e di pervasività delle funzioni da esse svolte negli universi socioeconomici di riferimento, in favore di una crescente specializzazione entro ruoli specifici dei mercati criminali.
L'emergere dei moderni partiti politici ha determinato l'esaurimento delle funzioni di mobilitazione politico-sociale svolte dalle sette segrete cinesi e di quelle di mediazione dei rapporti centro-periferia svolte dalle coalizioni politico-mafiose dell'Italia meridionale, in favore di uno sviluppo delle attività di promozione diretta e del monopolio delle attività illegali. Tali attività si sono accresciute ulteriormente e si sono diversificate dagli anni cinquanta fino a oggi negli ambienti delle sette segrete e delle famiglie mafiose operanti fuori dalla madrepatria.
Secondo Mak Lau Fong le società segrete cinesi operanti nella penisola malese sono passate attraverso tre fasi di trasformazione. In un primo periodo, che va dai tempi della conquista portoghese alla seconda metà dell'Ottocento, le società segrete erano organizzazioni di tipo 'conformistico' che agivano come intermediari tra il governo coloniale e la popolazione degli emigrati dalla Cina. Con l'afflusso massiccio di immigrati cinesi in cerca di occupazione nella penisola malese e nel Pinang, le società segrete modificarono la direzione della loro attività dal governo indiretto degli immigrati alla monopolizzazione delle occupazioni.
Nel corso di questo secolo, con la rapida modernizzazione della Malesia dopo l'indipendenza (1957), con l'instaurazione di una moderna burocrazia statale reclutata su basi universalistiche, con l'arrivo di capitali europei in alcuni settori economici prima controllati dagli uomini d'affari di origine cinese appartenenti o collegati alle Triadi, e con la progressiva messa al bando di queste ultime da parte dello Stato, le società segrete cambiarono ancora una volta la direzione delle loro attività, passando dalla 'protezione' monopolistica delle occupazioni al sistema di 'protezione' a scopo di estorsione su base territoriale che contraddistingue oggi la loro presenza (v. Mak Lau Fong, 1981, pp. 62-63).
L'espansione dei mercati illeciti da un lato, e dei monopoli statali della violenza dall'altro, ha stimolato nei raggruppamenti criminali giapponesi, cinesi e italiani dopo la seconda guerra mondiale un fenomeno di identificazione progressiva con le forze dell'accumulazione e del mercato. Tale fenomeno non ha preso, però, la forma di un astratto processo di 'modernizzazione'. Il retaggio tradizionale dei gruppi Yakuza, delle Triadi e delle cosche mafiose non è stato semplicemente abbandonato in favore di una conversione alla religione capitalistica del profitto. La convergenza entro un comune modello non ha implicato l'annullamento della storia e dell'identità specifiche delle varie formazioni criminali.
Alcuni aspetti significativi della cultura tradizionale (come, per esempio, i rituali di iniziazione) sono stati ridotti al minimo; altri sono gradualmente caduti in disuso; altri ancora sono stati, invece, conservati e sviluppati. L'integrazione nelle economie illegali delle formazioni criminali è avvenuta nel corso di un complicato processo di adattamento selettivo di valori, istituzioni e comportamenti arcaici alla competizione di mercato: le relazioni di amicizia e di parentela, naturali e fittizie, l'incentivo al confronto antagonistico tipico dell'etica dell'onore, il sistema della 'doppia morale' - quella valida all'interno del proprio gruppo di riferimento primario, e quella di segno opposto valida per le relazioni con il mondo esterno -, la propensione per le imprese rischiose e per l'uso della forza continuano a svolgere un ruolo fondamentale nell'uno o nell'altro dei maggiori raggruppamenti criminali. Lo stesso successo di mercato di alcuni di essi si basa proprio sul riadattamento entro nuovi scenari - e talvolta addirittura sull'esaltazione - di abitudini e istituzioni arcaiche.
Pur trattandosi di gruppi orientati verso l'acquisizione di profitti e/o di potere politico, le imprese che costituiscono la criminalità organizzata non possono essere definite nei termini di formazioni esclusivamente politiche o economiche, ma come entità polimorfe dotate di una grande flessibilità e capacità di riconversione da una sfera d'azione privilegiata a un'altra. I rapporti interni a tali entità, nonché le relazioni che queste intrattengono con soggetti e istituzioni del mondo legale, raramente si configurano quindi come puri e semplici atti di scambio mercantile o di alleanza politica o militare e tendono invece ad assumere l'aspetto di azioni la cui valenza è molteplice.Il carattere polivalente delle imprese illegali che costituiscono l'odierna criminalità organizzata è largamente dettato dalla natura peculiare dei fattori e delle condizioni della produzione illecita. Perché questa possa svolgersi, occorre la disponibilità di tre beni e servizi fondamentali: il capitale, la violenza, la non azione della polizia e della magistratura. La quota di mercato detenuta da ciascuna impresa, la durata della sua permanenza nel segmento oligopolistico e il volume della sua produzione si trovano in stretta relazione con la quantità di tali risorse a sua disposizione e con la sua capacità di combinarle secondo criteri di efficienza.
La disponibilità di capitale è l'unico bene che l'impresa illecita abbia in comune con l'impresa legale e ha rilevanza sotto due aspetti principali: a) la presenza di uno stock di risorse, necessarie per l'esercizio delle operazioni di routine e per gli investimenti nella sfera illegale; b) l'integrazione entro un flusso di scambi finanziari leciti, nel quale far confluire, riciclare e valorizzare i profitti.
Il capitale di gestione è importante per il superamento delle barriere d'ingresso dei mercati illeciti più 'ricchi'. Gli alti prezzi di alcune materie prime illegali e i costi della tecnologia necessaria per la loro produzione su vasta scala, infatti, hanno storicamente escluso gruppi della criminalità organizzata di alcuni paesi produttori del Terzo Mondo dalla possibilità di appropriarsi dei profitti della lavorazione dell'oppio e della morfina base.
Solo all'inizio degli anni ottanta hanno cominciato a verificarsi nel Terzo Mondo alcuni episodi che suggeriscono l'esistenza di un fenomeno di decentramento tecnologico in grado di determinare conseguenze di vasta portata sui flussi commerciali illeciti mondiali. Gruppi della criminalità organizzata dell'Asia sudorientale sembrano essersi impadroniti della tecnologia necessaria per produrre l'eroina nelle stesse aree di coltivazione del papavero da oppio. Il governo pakistano ha comunicato alle Nazioni Unite di aver sequestrato, tra l'inizio del 1982 e l'inizio del 1983, oltre due tonnellate di eroina pronta per la vendita e di aver chiuso 41 laboratori clandestini scoperti nel proprio territorio.
Lo stesso fattore ha impedito ai gruppi mafiosi siciliani di conquistare una posizione di preminenza nel commercio transatlantico dell'eroina fino all'inizio degli anni settanta, mentre la presenza di un vero e proprio sistema finanziario clandestino a disposizione delle imprese della cosiddetta 'mafia cinese' ha contribuito a renderle competitive nel commercio internazionale della manodopera e nel traffico delle donne fin dagli ultimi decenni del secolo scorso, e in quello dell'eroina proveniente dal Sudest asiatico dagli anni quaranta di questo secolo in poi.
La finanza clandestina delle Triadi costituisce un esempio molto eloquente di adattamento di istituzioni tradizionali a obiettivi di accumulazione illecita. Essa si basa sugli stessi fondamenti istituzionali delle 'associazioni di credito a rotazione' studiate dagli antropologi in varie comunità asiatiche e africane. Lo sviluppo di un sistema finanziario informale tra le comunità dei 'cinesi d'oltremare' è stato incoraggiato dalla scarsità di rapporti con le istituzioni locali nei paesi d'immigrazione, dovuta alla condizione di marginalità dei membri di tali comunità.
Tra la fine degli anni sessanta e l'inizio degli anni settanta l'integrazione dei profitti illeciti entro i flussi finanziari legali è cominciata a diventare molto più agevole. Il collegamento del mercato dei capitali criminali con quello legale è stato gradualmente assicurato dallo sviluppo di un'area non regolata della finanza internazionale, manifestatosi nella moltiplicazione dei centri finanziari offshore e nella crescita del mercato dell'eurodollaro.
Per avere un'idea delle proporzioni quantitative globali dei flussi monetari illeciti basti pensare che alcuni studiosi e operatori finanziari attribuiscono a essi una parte significativa nella crescente discrepanza creatasi dall'inizio degli anni settanta nella bilancia mondiale dei pagamenti: invece del consueto saldo zero, ci troviamo di fronte a un passivo di circa 100 miliardi di dollari tra importazioni ed esportazioni, pari al 10% del valore dell'intero commercio internazionale. Già verso la metà degli anni sessanta, gli economisti della Chase Manhattan Bank stimavano che il 30-50% dei depositi che affluivano al sistema bancario di Hong Kong da fonti estere fosse costituito da capitali 'in fuga'.Ciò ha significato la disponibilità - per le imprese collegate alla criminalità organizzata, oltre che per quelle collegate alla criminalità economica e alle altre forme di illegalità su vasta scala - di uno sbocco privilegiato e talvolta anche di una riserva di liquidità, che hanno funzionato da propulsori per l'ulteriore crescita delle attività criminali.
La risorsa 'violenza' consiste nella disponibilità di personale specializzato e di armamenti adeguati per la protezione delle persone fisiche, dei beni e dei mercati di pertinenza delle imprese criminali, nonché per eliminare gli ostacoli all'ordinaria conduzione degli affari: testimoni scomodi, membri del gruppo criminale che diventano informatori o collaboratori delle autorità, talvolta anche poliziotti e magistrati che deviano dallo standard investigativo vigente in loco.La forza 'militare' di un raggruppamento criminale organizzato si misura in base al numero dei soggetti disponibili allo scontro violento che esso è in grado di mobilitare. Questo fattore riveste una notevole importanza nella valutazione della potenza di un gruppo mafioso. La sua consistenza varia grandemente non solo da un'impresa illecita all'altra, ma anche da un tipo di società a un altro e dipende in particolare da alcune variabili socioeconomiche di base.La presenza di una riserva di individui pronti a mettere in pericolo la vita propria e altrui nell'esecuzione di compiti particolarmente rischiosi, infatti, può essere fatta dipendere dalle dimensioni dell'offerta di lavoro criminale esistente in un dato contesto. Questa è collegata, a sua volta, a due fattori.
1. L'estensione delle aree di devianza e di marginalità presenti in loco. In una società industriale avanzata dai ruoli rigidamente formalizzati come quella giapponese, per esempio, esiste una quota di marginalità 'frizionale' rappresentata dai gruppi-paria, come i burakumin (uomini che lavorano con i cadaveri di uomini o di animali) o i coreani immigrati, che costituisce una riserva di manodopera criminale per alcuni gruppi Yakuza. Secondo stime non ufficiali della polizia giapponese, il più potente raggruppamento Yakuza odierno, lo Yamaguchi-gumi, è costituito per il 70% da burakumin e per un altro 10% da coreani.
2. Il grado di avanzamento dei processi di 'deculturazione', e cioè di rottura dei meccanismi di controllo sociale secondario che servono a tenere a freno l'anarchia distruttiva, cui è sottoposta la popolazione giovanile di una data area territoriale.Questo stato di deculturazione si verificava in passato nei momenti più acuti di disorganizzazione sociale, come le guerre, le invasioni, le catastrofi naturali. Oggi comincia a essere frequente nelle situazioni urbane disastrate, quali si riscontrano in certi quartieri della periferia di Napoli, Bogotá, Rio de Janeiro, per citare solo qualche caso.
L'importanza della disgregazione socioculturale come fattore di produzione della forza lavoro criminale assegna alle imprese illecite aventi sede nel Terzo Mondo o nelle aree marginali all'interno delle nazioni sviluppate un evidente privilegio rispetto a quelle delle aree più ricche dell'Occidente, che si trovano spesso a dover disporre di un'offerta di lavoro criminale meno regolare e meno abbondante. L'attuale declino della vecchia criminalità organizzata americana di origine italiana - le famose '5 famiglie' di Cosa Nostra a New York e le 24 di tutti gli Stati Uniti - è legato proprio alle difficoltà di reclutamento di giovani gangsters italo-americani alla ricerca di una promozione sociale attraverso l'attività criminale.Tali difficoltà si sono manifestate dalla fine degli anni cinquanta in poi, e cioè dopo la 'riapertura' dei ranghi seguita alla 'chiusura' degli ingressi di nuove leve durante gli anni trenta e quaranta, segnalata dal mafioso Valachi nella sua deposizione. La rapida ascesa economica delle generazioni italo-americane successive all'immigrazione dell'inizio del secolo ha reso difficoltosa la riproduzione dei gruppi criminali di Cosa Nostra.
La maggior parte delle 'famiglie' italo-americane si è formata negli anni venti e trenta, e i loro membri hanno attualmente un'età media sorprendentemente elevata, superiore ai 60 anni.
La parte più cospicua del traffico della droga tra la Sicilia e il Nordamerica è così finita nelle mani di famiglie composte da elementi di recente immigrazione (degli anni sessanta e settanta), i quali - data la scarsità dell'offerta di lavoro criminale italo-americano - sono stati costretti a organizzare l'importazione clandestina di manodopera criminale dalle zone sottosviluppate dell'Italia.
In queste stesse aree, inoltre, l'uso da parte dei gruppi criminali delle forme più estreme di violenza fisica tende a essere progressivamente limitato dallo sviluppo di forme meno cruente di prevenzione e di risoluzione delle controversie interne. Le unità che confluiscono nei grandi raggruppamenti della Yakuza hanno messo in piedi fin dal 1919 strumenti formali di arbitraggio dei conflitti, mentre, secondo le indagini più recenti, anche le Triadi operanti negli Stati Uniti si sono date una forma di coordinamento e di prevenzione-regolazione dei conflitti tramite una 'commissione' simile a quella dei gruppi italo-americani. La diminuzione dell'uso della violenza professionale può essere imputabile anche alla sempre minore tolleranza degli Stati e dell'opinione pubblica nei confronti dei conflitti cruenti e degli omicidi che hanno la loro origine nella criminalità organizzata: "È diventato ormai quasi un cliché il fatto che i criminali di professione tendano oggi a usare sempre meno violenza nel perseguimento dei loro scopi.
I dati che provengono dalla Chicago Crime Commission mostrano che dal 1919 al 1971 si sono verificati 1.008 omicidi attribuiti alla criminalità organizzata di quella città; 599 dal 1919 al 1930, e 226 dal 1931 al 1940. Nei tre decenni successivi gli omicidi sono stati, rispettivamente, solo 70, 52 e 61" (v. Homer, 1974, pp. 139-140).Diminuzione della conflittualità cruenta tra i raggruppamenti illegali nei contesti industriali avanzati non significa che l'elemento 'minaccia o uso della violenza' rivesta oggi un ruolo secondario o marginale nella competizione sul mercato illecito. Al contrario, il valore della risorsa 'violenza' può aumentare proprio a causa della sua maggiore scarsità e difficoltà d'uso.Il permanente svantaggio che i soggetti della criminalità economica (speculatori, truffatori, avventurieri della finanza, ecc.) sembrano mostrare nei confronti degli appartenenti alla criminalità organizzata e al 'lobbying illecito' - l'insieme, cioè, dei gruppi di potere e di pressione, sia leciti che clandestini, che fanno uso regolare di metodi illegali e violenti di competizione e di influenza - si fonda proprio sull'impossibilità di disporre direttamente di una forza militare e sulla necessità di 'acquistare' di volta in volta servizi di violenza, di minaccia o di provocazione.
Non azione della polizia e della magistratura significa neutralizzazione dell'azione di contrasto messa in atto dai pubblici poteri e conseguente instaurazione di uno standard soddisfacente di segretezza circa l'identità delle imprese, dei soggetti e delle attività criminali.I metodi classici adoperati dalle formazioni illegali per manipolare il sistema della giustizia penale consistono nella corruzione dei funzionari pubblici e degli apparati investigativi e nella conquista di consenso popolare da usare come risorsa di scambio politico nei confronti dei partecipanti alle competizioni elettorali.Il fenomeno del bossismo e delle 'macchine politiche' nei centri urbani degli Stati Uniti, tra l'inizio e la metà di questo secolo, e l'endemica corruzione delle amministrazioni pubbliche dell'America Latina (di cui vi sono però frequenti casi anche nell'Italia contemporanea), costituiscono esempi molto noti dell'instaurazione di relazioni privilegiate tra politica e criminalità, che hanno garantito impunità agli attori illegali e potere ai 'rappresentanti del popolo'.
Nel corso dell'espansione post-bellica dei mercati illeciti interni e internazionali, però, alle forme tradizionali di manipolazione si sono gradualmente affiancate istituzioni dotate di un ampio raggio d'azione, che garantiscono l'impunità e la clandestinità delle operazioni e dei soggetti criminali. Alcune tra le funzioni svolte dall'uso illecito dei moderni 'networks di potere' e dal lobbying illegale rispondono proprio all'esigenza di superare i limiti dell'episodicità e della ristrettezza territoriale tipici delle macchine politiche e dei rapporti di corruzione.
Uno dei compiti più importanti della loggia massonica P2, attiva in Europa e in America Latina tra gli anni settanta e gli ottanta, è consistito appunto nella protezione delle attività di commercio di armamenti, di provocazione politica, di estorsione, di ricatto e di speculazione finanziaria illecita messe in atto da alcuni dei suoi membri tramite la manipolazione di interi settori degli apparati statali centrali di almeno tre paesi: Italia, Argentina, Uruguay.Capitale, violenza e inazione delle autorità costituiscono risorse di natura eterogenea, che affluiscono in quantità oscillanti entro il bilancio di ciascuna impresa o di ciascun gruppo di imprese criminali.Una rapida accumulazione di potere economico causata dall'apertura di un nuovo canale commerciale o di una nuova fonte di ricchezza illecita può modificare la posizione di una famiglia-azienda criminale rispetto alle altre, e portarla a pretendere una ridefinizione dei rapporti di forza e della divisione dei territori conseguente alla mutata situazione. Poiché la ricerca di nuove fonti di attività illecite è tipica delle coalizioni criminali più giovani e meno consolidate, ne deriva una dinamica di potere che si confonde talvolta con stratificazioni di tipo generazionale, e che viene perciò descritta spesso, e talvolta del tutto erroneamente, in termini di 'conflitto tra vecchia e nuova criminalità', 'guerra tra vecchia e nuova mafia', ecc. Nel caso della mafia siciliana degli anni ottanta, per esempio, sono stati i 'vecchi' gruppi mafiosi della periferia e dell'hinterland agricolo palermitano a prevalere sulle coalizioni radicate nel centro cittadino e nella periferia orientale.
Un accrescimento dell'offerta di manodopera criminale in un dato mercato può avvantaggiare considerevolmente i gruppi in grado di assorbire tale incremento. In alcune situazioni urbane disastrate, come quella della città di Napoli verso la fine degli anni settanta, l'espansione del mercato del lavoro criminale è stata così rapida da far nascere formazioni criminali di dimensioni senza precedenti. La cosiddetta 'nuova camorra organizzata' era arrivata a raccogliere, tra il 1978 e il 1984, oltre 2.000 giovani inquadrati in una cinquantina di bande e diretti da una ristretta élite di criminali professionisti più anziani. L'aumento della forza militare conseguente all'accresciuta disponibilità di killers, spacciatori, 'esattori' del gioco d'azzardo clandestino, ecc. significa possibilità di espansione del volume delle attività illegali e capacità di 'tassazione' nei confronti dei gruppi più deboli.
La formazione di un rapporto di cointeressenza economica con esponenti del potere politico, allo scopo di monopolizzare una risorsa di natura legale (spesa statale per acquisto di armamenti, lavori pubblici, servizi sociali, ecc.), o l'ingresso entro coalizioni di potere illecito più vaste, che prevedono uno stretto collegamento con le altre componenti della grande criminalità e con istituzioni del mondo legale quali servizi di sicurezza, corpi di polizia, apparati governativi, ecc., possono garantire a una formazione illecita un livello molto elevato di impunità.
La disuguaglianza nelle possibilità di manipolare sezioni del sistema della giustizia penale e dell'apparato statale è cruciale per la definizione della gerarchia in contesti illeciti caratterizzati da un'alta competitività tra soggetti con potere economico e militare pressappoco equivalente. L'accesso e la disponibilità disuguali delle risorse fondamentali crea una condizione di endemico squilibrio tra le imprese illecite, che ne accresce la conflittualità interna e fa nascere la tendenza a una continua ristrutturazione delle alleanze e a un'incessante riscrittura della mappa del potere.
Le imprese illecite che compongono la criminalità organizzata si distinguono da quelle legali anche per l'impossibilità di adottare forme impersonali di comunicazione, e di commercio e distribuzione dei beni e dei servizi. La condizione di illegalità degli scambi comporta un permanente rischio di intercettazione dei carichi e di individuazione dell'identità dei titolari delle transazioni che impongono una conoscenza dettagliata del curriculum di ogni controparte commerciale. L'accumulo delle informazioni sull'affidabilità degli attori illeciti è però pressoché impossibile da realizzare in un contesto di scambio teoricamente aperto a chiunque possegga alcuni requisiti di base (oppure è realizzabile a un costo delle informazioni talmente alto da risultare proibitivo anche per le unità illecite di più grandi dimensioni). Risulta perciò molto più economico e sicuro fare affidamento, per le relazioni esterne delle imprese criminali, su canali privilegiati di comunicazione e di scambio capaci di garantire alcune condizioni cruciali per il buon esito delle transazioni illegali, e in primo luogo uno 'standard di affidabilità illecita' di tutti i membri del circuito clandestino.
Tali canali possono essere chiamati 'networks illeciti' e possono essere classificati come una forma di relazione intermedia tra un clan e una burocrazia. Essi sono in grado di combinare, infatti, caratteri tipici sia delle organizzazioni formali che dei gruppi primari 'faccia a faccia'.Un membro di una famiglia-impresa mafiosa, di una setta segreta o di un qualunque altro raggruppamento illecito oggi può fare spesso affidamento su un intreccio di 'punti' di solidarietà e protezione di estensione geografica multinazionale e multiculturale, dotato delle qualità di permanenza e di standardizzazione tipiche delle burocrazie, e dell'elasticità e affidabilità caratteristiche del gruppo informale.
All'interno di questi reticoli possono circolare beni, servizi, prestazioni e controprestazioni di natura illecita a costi e rischi molto bassi: la stessa partecipazione al network è garanzia della reputazione dei partecipanti.L'uso dei networks illeciti conferisce alle attività degli operatori illegali una dose supplementare di mimetizzazione, data la tendenza dei primi a immergersi, a loro volta, entro più vasti sistemi di rapporti di tipo reticolare. Tali sistemi di rapporti consistono: a) nelle 'diaspore commerciali'; b) nelle reti di comunicazione create dai grandi movimenti migratori; c) nei 'networks di potere'.Il termine 'diaspora commerciale' è stato creato dall'antropologo Abner Cohen (v., 1971) per definire "una nazione composta di comunità socialmente interdipendenti ma disperse sotto il profilo spaziale". Tipiche diaspore commerciali (chiamate da altri antropologi trade networks) sono costituite dalle comunità di Ebrei in Europa, Asia e America; dagli Indiani in Africa orientale, dagli Armeni nell'Europa orientale, in Asia e nell'America del Nord.
Un esempio di diaspora commerciale entro la quale si ramifica un network clandestino di scala mondiale è costituito dalle comunità di lavoratori e di uomini d'affari di origine cinese (i cosiddetti 'cinesi d'oltremare'), residenti in forma permanente nel Sudest asiatico e nel resto del mondo. All'interno di tali comunità agiscono le Triadi di Hong Kong attive nell'esportazione dell'eroina.Nel caso dei gruppi mafiosi siciliani e calabresi impegnati nel commercio internazionale delle droghe, invece, il reticolo di riferimento è formato dalle relazioni tra le numerose comunità di emigrati dall'Italia del Sud costituitesi in Europa, America e Australia tra l'inizio e gli anni settanta di questo secolo. Il fatto che i networks criminali rappresentino in questo caso una quota numericamente trascurabile di quelli legali, coinvolgendo poche migliaia di elementi su oltre 10 milioni di espatriati, contribuisce ad accrescere il livello di segretezza, la diversificazione e la scala degli scambi illeciti.
Lo sfruttamento dei reticoli dell'emigrazione da parte dei gruppi della criminalità organizzata italiana esemplifica una caratteristica importante dei moderni mercati illegali. L'ampiezza del network a disposizione di un raggruppamento illecito costituisce uno degli elementi che ne determinano la posizione nella gerarchia mondiale del potere criminale.
Costellazioni illecite anche molto potenti dal punto di vista del potere economico e della capacità di manipolazione degli apparati pubblici - come quelle appartenenti alla Yakuza giapponese o al 'Medellín cartel' colombiano - si trovano a essere svantaggiate, quanto ad ampiezza del ventaglio delle operazioni, rispetto alle formazioni della mafia italiana e dei cinesi d'oltremare, proprio perché non dispongono di un network pluricontinentale, radicato entro enclaves etniche o comunità di emigrazione, entro cui mimetizzare gli scambi illeciti.I networks di potere consistono nei rapporti tra i membri di associazioni volontarie con scopi dichiarati di natura molto varia e del tutto legale (scambi di conoscenze e di contatti, beneficenza, lobbying lecito, promozione di valori culturali e religiosi, ecc.), che però accentuano il carattere riservato e semisegreto delle loro attività e dell'identità dei loro iscritti.
Nell'ambito di tali reticoli si vengono spesso a radicare - talvolta all'insaputa di molti dei membri delle associazioni stesse - sottoreticoli criminali aventi per scopo il lobbying illecito. Essi hanno contribuito nel corso degli ultimi due decenni ad accelerare il processo di collegamento tra le varie componenti della grande criminalità e tra quest'ultima e l'universo del potere legittimo.
All'interno dei mercati criminali la prevalenza dei networks rispetto alle forme burocratico-impersonali di strutturazione delle relazioni di scambio non nasce solo dalla capacità dei primi di garantire la qualità dei curricula dei titolari delle transazioni illecite, e di abbassare perciò drasticamente i costi delle informazioni, ma anche dalla loro possibilità di funzionare in presenza di una forte variabilità della natura degli scambi.
I reticoli illegali manifestano un carattere multifunzionale che compensa in parte la loro scarsa 'capienza' quanto a numero di transazioni rispetto alle forme legali e impersonali dello scambio. Raramente un dato reticolo viene usato per un'unica operazione o per un unico flusso di transazioni. Il processo per l'attentato al papa Giovanni Paolo II - iniziato con l'ipotesi della Bulgarian connection, e cioè della committenza dell'assassinio da parte del servizio segreto sovietico a quello bulgaro, il quale a sua volta avrebbe dato l'incarico ai gruppi neofascisti e alla mafia turchi - ha finito con l'avere per protagonista una complessa ragnatela di canali estesa in due continenti e in una mezza dozzina di paesi, costituita dal movimento turco di matrice islamico-fondamentalista dei Lupi Grigi.
Tale ragnatela serviva: a) per esportare morfina base ed eroina dalla Turchia e dall'Asia sudoccidentale verso l'Occidente; b) per inviare armi da guerra e capitali illeciti nella direzione opposta; c) come rete di spionaggio e centro di provocazione politica e terroristica.Nel caso dei Lupi Grigi, la loro ramificazione all'interno del milione di emigrati turchi nella Germania Occidentale ha permesso loro di impiantare un network distributivo della droga pesante nelle principali città industriali tedesche, di stabilire contatti con i gruppi paramilitari neonazisti e con i commercianti privati di armamenti leggeri e di sfruttare i vantaggi offerti dall'accesso al circuito degli avventurieri della finanza europei.
Le imprese che compongono le formazioni criminali organizzate si trovano a dover fronteggiare un problema basilare nella sfera delle relazioni di mercato: l'assenza di un ordinamento giuridico formale, inteso come un insieme coerente di norme sostenute da sanzioni e da apparati di enforcement espressi da un'autorità super partes in grado di assicurare il rispetto dei termini delle transazioni. La comunità delle imprese illegali non conosce codici scritti, polizie e tribunali cui una parte possa ricorrere qualora ritenga leso un suo diritto. E non conosce neppure, a differenza di alcune importanti sezioni dei mercati legali (come ad esempio l'alta finanza internazionale fino a tempi recenti), un meccanismo consolidato di controllo e di garanzia a carattere informale, basato su processi di inclusione-esclusione operanti all'interno di un ristretto club di operatori.In assenza di un efficace dispositivo di garanzia del buon esito degli scambi, le tendenze verso l'opportunismo e verso la frode generalizzata hanno campo libero. L'incertezza dei contratti e la sfiducia regnano sovrane. Il calcolo dei costi e dei rischi delle transazioni diventa, per ogni impresa criminale, intollerabilmente incerto.
Manca a tutt'oggi uno sforzo sistematico di riflessione su questa problematica fondamentale. Uno dei compiti primari di una sociologia delle imprese e dei mercati illegali dovrebbe consistere, allora, nell'individuazione e classificazione dei modi attraverso cui essi cercano di risolvere il perdurante problema dell'ordine e del conflitto nello svolgimento delle transazioni.
Da un'analisi delle realtà di alcuni mercati illeciti particolarmente sviluppati è possibile tuttavia delineare i contorni di alcune soluzioni 'tipiche' del problema hobbesiano che le imprese criminali organizzate si trovano costrette ad affrontare.
Appare innanzitutto evidente, in ogni transazione delle imprese criminali, la presenza di una permanente alternativa tra fiducia e violenza. Fiducia intesa in senso molto ampio, come apertura di credito verso la controparte e come valutazione positiva delle intenzioni presenti e soprattutto future della stessa. Violenza come sanzione per il mancato rispetto delle norme dei contratti e come strumento di risoluzione delle controversie e di disciplinamento delle azioni di mercato. In ogni data situazione empirica, in ogni ramo delle economie e dei mercati clandestini, esiste una determinata proporzione tra il quantum di fiducia e il quantum di violenza caratteristici della maggior parte degli scambi.
Esistono contesti economici illegali nei quali la diffusione di un largo numero di relazioni primarie di natura parentale, etnica, familiare, nazionale e territoriale tra i membri delle imprese garantisce la continuità e la sicurezza delle transazioni riducendo al minimo la necessità del ricorso alla forza o alla minaccia di essa. Importanti esempi in proposito sono la struttura di relazioni esistente tra le quattro famiglie della mafia siciliana che pare abbiano monopolizzato, tra la metà degli anni settanta e l'inizio degli anni ottanta, lo strato superiore del commercio di eroina con gli Stati Uniti; i rapporti interni alle reti di controllo del lotto clandestino a New York; l'intero network di scambi economici e finanziari illeciti operante entro le enclaves plurinazionali della mafia cinese.
È tipico, comunque, dei mercati illeciti di lunga distanza il ricorso alle relazioni di fiducia piuttosto che alla violenza. L'uso di quest'ultima tende a incontrare inoltre, come abbiamo già osservato, ostacoli crescenti nei paesi sviluppati che hanno stabilito un saldo monopolio territoriale della forza.
Ma esistono altre sfere di attività della criminalità organizzata in cui non si riescono a evitare i costi di un uso sistematico della coercizione fisica o psicologica (sotto forma di ricatto, intimidazione, provocazione). Le attività di racket, i casi di corruzione politica e di finanza illegale, le catene di distribuzione dell'eroina nei mercati metropolitani costituiscono esempi di contesti il cui ordinato funzionamento riposa sul timore, nutrito dalla maggioranza dei suoi attori, di subire una violenza o un danno personale certo e grave in caso di trasgressione dei protocolli delle transazioni.
Dalle ricerche negli ambienti della vendita al dettaglio dell'eroina a New York, effettuate da Bruce Johnson e altri, risulta come gli atti di violenza conseguenti al mancato rispetto dei contratti, al furto e alla frode commerciale siano più frequenti di quelli originati dalle classiche dispute tra gangs e tra gruppi etnici per il controllo dei territori. I ricercatori in questione hanno posto l'accento sulle funzioni della violenza sistematica subita e praticata reciprocamente da tutti i personaggi di questo ambiente, arrivando a concludere che "la violenza e la minaccia della violenza costituiscono i principali strumenti di mantenimento dell'ordine nel business illecito della droga" (v. Johnson e altri, 1985, p. 174).
Fiducia e violenza possono essere presenti 'allo stato fluido', sotto forma di principî organizzativi la cui cogenza può esprimersi in forme di volta in volta differenti, oppure possono essere fissate in norme e istituzioni definite.Sono gradualmente emersi negli ultimi anni ruoli di mediazione professionalizzata delle transazioni illecite, basati sulla convenienza delle parti a trasferire su di una terza entità i rischi dello scambio. In alcuni mercati particolarmente complessi la criminalità organizzata ha cominciato a fare ricorso ad apposite figure di mediatori per la garanzia del rispetto dei contratti. I mediatori hanno il compito di supplire alla carenza di fiducia dei titolari degli scambi, rendendo possibili transazioni auspicate dagli interessi dei potenziali contraenti, ma inattuabili senza l'intervento di una terza parte.
Ma l'espressione più vasta e articolata della necessità di una protezione globale della sfera delle transazioni illecite, basata sull'istituzionalizzazione sia della fiducia che della violenza, è probabilmente costituita dalla loggia massonica P2. Nel periodo che va dall'inizio degli anni settanta al 1981, una loggia della massoneria internazionale chiamata Propaganda 2 operò come rete di copertura e come soggetto titolare di molte operazioni economiche e politiche illegali. Uno dei suoi centri principali fu l'Italia, dove molti la scambiarono per un vero e proprio partito politico clandestino.
Alla luce della nostra analisi la P2 appare invece come qualcosa di molto più complesso, come un'entità, cioè, in grado di effettuare una serie simultanea di operazioni tra cui: a) internalizzare dinamiche e caratteri specifici dei mercati illegali odierni, come i networks segreti polivalenti e l'uso professionale della violenza; b) trasferire queste stesse dinamiche nell'arena del confronto politico-economico legale, massimizzandone i vantaggi competitivi; c) svolgere un ruolo di agenzia di certificazione della disponibilità allo scambio illecito e della regolare esecuzione di esso da parte dei suoi iscritti, nonché di sede di risoluzione delle controversie scaturite sia nell'ambito delle transazioni clandestine che in quello dello scontro tra grandi gruppi di interesse legali.
Far parte della loggia non implicava, perciò, ai livelli superiori, l'adesione a un singolo progetto politico o a una singola operazione di mercato, come accade nelle tradizionali organizzazioni che perseguono scopi e programmi predefiniti. Voleva dire, per i suoi membri, rendersi disponibili a usare i propri poteri al di fuori dei confini della legge, non in una soltanto, ma in una serie non predeterminata di operazioni.
L'esempio della loggia P2, unito alla considerazione delle ragioni del crollo di tale organizzazione illecita, induce a chiedersi quale sia la direzione verso cui sembrano muoversi le dinamiche di medio-lungo periodo della criminalità organizzata e dei mercati illegali nei quali essa opera.È difficile dare una risposta univoca a questo interrogativo. All'interno di alcuni mercati criminali, infatti, sembrano operare delle forze che incoraggiano la formazione di apparati per la regolazione degli scambi a carattere generale, fondati sull'istituzione di forme stabili di amministrazione della fiducia e della violenza. Tali apparati 'di governo' nascono sul terreno del processo di unificazione e di sviluppo degli stessi mercati, e come effetto: a) della formazione di sempre più strette interdipendenze economiche tra le imprese illecite; b) dell'accresciuta capacità di intercettare le attività e di individuare i networks e i soggetti criminali mostrata in diversi contesti dalle forze di polizia.La propensione delle imprese criminali a immaginare e talvolta a costruire - come nel caso del processo di centralizzazione organizzativa attualmente in corso nel raggruppamento Yakuza dello Yamaguchi-gumi - istituzioni semiformali di prevenzione e di controllo dei conflitti è sempre più diffusa.
Ci troviamo allora in presenza di una trasformazione fondamentale della criminalità organizzata da un caleidoscopio di famiglie-imprese criminali in potenziale guerra reciproca a una rete di vincoli e di regole che 'attraversano' il diritto interno delle singole formazioni criminali riducendo la loro sovranità da assoluta a relativa?
La risposta è che si tratta di una direzione evolutiva possibile, ma in via ancora molto ipotetica. L'insuccesso molto frequente dei progetti più ambiziosi di governo dell'economia illecita porta infatti a considerare in tutto il loro peso i limiti costituiti dal carattere tuttora giuridicamente 'primitivo' delle tecniche di arbitraggio e di tutela delle transazioni clandestine. Ciò rappresenta uno dei maggiori impedimenti interni a un ulteriore sviluppo dei mercati e delle imprese illegali su scala interna e internazionale.
L'accresciuta sensibilità dell'opinione pubblica di diverse parti del mondo nei confronti di temi quali la violenza extra-legale o il traffico delle armi e della droga, unita alla nascita - in alcuni contesti particolarmente colpiti - di veri e propri movimenti popolari di protesta contro alcune forme pericolose di criminalità organizzata e di corruzione politica, costituisce un'altra potente limitazione esterna.La capacità di riproduzione mostrata dai soggetti e dalle istituzioni della grande criminalità e le loro estese complicità e alleanze nell'establishment politico e finanziario di molti paesi costituiscono però dei fatti che impongono di mantenere un orientamento interlocutorio.
Risulta evidente da quanto esposto finora come un'efficace strategia di contrasto delle imprese illegali debba proporsi come obiettivo di fondo la drastica riduzione delle risorse che affluiscono loro dalle diverse sfere della vita socioeconomica e istituzionale. Solo negli ultimi anni la riflessione della comunità internazionale degli studiosi e degli organi di ricerca e di proposta ha iniziato a orientarsi in modo più sistematico in questa direzione.
Per ciò che riguarda il problema dei metodi di individuazione e di attacco delle risorse di natura finanziaria a disposizione di tali gruppi, l'intervento di alcuni organi delle Nazioni Unite si è rivelato molto efficace nel corso degli ultimi anni. La Divisione Narcotici ha fatto da tramite per la sensibilizzazione della comunità internazionale nei confronti delle misure di legge sulla confisca dei proventi delle attività illecite. La legge americana RICO e la legge italiana Rognoni-La Torre sono state prese a modello e introdotte nelle legislazioni di numerosi Stati. La recente Convenzione sui narcotici del dicembre 1988 - adottata da 106 Stati dopo 4 anni di discussioni preparatorie - prevede, inoltre, l'impegno dei firmatari a rimuovere il segreto bancario nel caso di indagini connesse al commercio della droga.
Nelle riunioni preparatorie dell'VIII Congresso mondiale delle Nazioni Unite per la prevenzione del crimine sono state formulate proposte incisive, che costituiscono lo sbocco di analisi arrivate già a un discreto grado di elaborazione. Ci si riferisce all'individuazione del momento del riciclaggio dei capitali 'sporchi' e del collegamento con la criminalità economica come uno dei punti più vulnerabili della criminalità organizzata, e alla conseguente necessità di un'azione internazionale rivolta a unificare e rendere più trasparenti le condizioni di funzionamento del sistema finanziario internazionale.Le analisi sul ruolo dei 'paradisi fiscali' nella facilitazione degli scambi finanziari 'neri' e 'grigi' sono state recepite da vari organismi statali e da numerosi governi, al punto che alcuni di essi hanno iniziato ad attuare alcune modifiche della propria politica estera rivolte a limitare le prerogative di tali giurisdizioni.
Nel campo delle politiche dirette a contrastare l'offerta di lavoro criminale che alimenta il potere militare della criminalità organizzata, la riflessione e la ricerca si trovano in uno stadio ancora preliminare. La continua crescita della 'dimensione demografica' di alcune formazioni illegali e il dilagare dei processi di disorganizzazione socioculturale in vari paesi del Terzo Mondo impongono, tuttavia, un salto di qualità rispetto alle tradizionali raccomandazioni circa la necessità di avviare processi di sviluppo socioeconomico che riducano la produzione di devianza e di marginalità urbana e giovanile.
Esistono invece elaborazioni e proposte molto stimolanti a proposito della riduzione della terza risorsa strategica dell'impresa criminale, e cioè della sua capacità di manipolazione e neutralizzazione dei centri della giustizia penale. Tale capacità verrebbe drasticamente ridotta nel caso in cui si intraprendesse davvero la realizzazione di un sistema giuridico globale, che parta dall'estensione alle forme più gravi di criminalità transnazionale del principio di giurisdizione universale tradizionalmente applicato ai casi di pirateria.Tale estensione - se accompagnata dalla costituzione di una forza di polizia internazionale - renderebbe estremamente difficile per qualunque raggruppamento di potere criminale la manipolazione di un'azione di contrasto proveniente da più centri di iniziativa o da un centro sovranazionale posto sotto l'egida delle Nazioni Unite.
(V. anche Droga; Mafia; Violenza).
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