Abstract
I crimini internazionali sono atti gravemente lesivi dei valori sui cui si fonda la comunità internazionale, comportanti la responsabilità penale degli individui che ne sono autori secondo il diritto internazionale. Rientrano in tale definizione i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità, il crimine di genocidio e il crimine di aggressione. Negli ultimi decenni, gli Statuti e la giurisprudenza dei Tribunali per la Iugoslavia e per il Ruanda, della Corte Penale Internazionale e dei cd. tribunali ibridi hanno contribuito in maniera rilevante ad una più precisa determinazione dei loro elementi costitutivi.
I crimini internazionali sono atti ai quali il diritto internazionale connette la responsabilità penale degli individui che ne sono autori. Si tratta di atti che ledono gravemente i valori su cui si fonda la comunità internazionale. Tali valori, a tutela dei quali sono poste norme cogenti, consuetudinarie e pattizie, possono essere identificati con la pace, la sicurezza e il benessere dell’umanità, menzionati nel preambolo dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale (CPI).
In molti casi, i crimini internazionali sono commessi da individui che agiscono in qualità di organi di uno Stato. Tale circostanza non vale tuttavia ad esimere detti individui dalla responsabilità penale. In questi casi, gli atti costituenti crimini internazionali sono sì imputabili allo Stato di cui gli individui in questione sono organi, ma «restano in qualche modo propri degli individui che li hanno commessi, e il diritto internazionale autorizza la loro repressione senza tener conto della qualità di organi statali» (Ronzitti, N., Introduzione al diritto internazionale, V ed., Torino, 2016, 354).
D'altra parte, quando un atto costituente un crimine internazionale è imputabile ad uno Stato, esso costituisce anche un illecito internazionale dello Stato in questione, in quanto violazione di una norma cogente, consuetudinaria e/o pattizia, e comporta la sua responsabilità internazionale, secondo quanto previsto dal diritto internazionale (v. Draft Articles on Responsibility of States for Internationally Wrongful Acts, in YBILC, 2001, Vol. II, Part 2, 26 ss.).
Come si vedrà, costituiscono certamente crimini internazionali secondo il diritto internazionale contemporaneo: i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità, il crimine di genocidio e il crimine di aggressione. È controverso, invece, se possano essere considerati tali la pirateria e il terrorismo.
I crimini internazionali non devono essere confusi con i reati a carattere transnazionale, come il traffico internazionale di stupefacenti o il riciclaggio internazionale di denaro, ai quali il diritto internazionale di per sé non connette la responsabilità penale degli individui che ne sono autori. A ciò provvede il diritto interno. Invero, gli Stati stipulano sovente appositi trattati, mediante i quali si obbligano a prevedere detti reati nel rispettivo ordinamento interno, a punirli con pene adeguate e a cooperare ed assistersi reciprocamente nell’azione repressiva. Il più delle volte, tali trattati recepiscono il principio ‘aut dedere aut iudicare’. Una responsabilità penale, tuttavia, sussiste per gli autori dei reati in questione solo se e nella misura in cui sia prevista dal diritto interno.
La repressione dei crimini internazionali è tutt’oggi in massima parte rimessa ai tribunali interni. È pertanto essenziale che le pertinenti norme internazionali siano rese pienamente applicabili negli ordinamenti statali, mediante l’adozione degli eventuali atti interni necessari a tal fine.
Quanto ai tribunali penali internazionali, il primo tribunale internazionale competente in materia di crimini internazionali è stato il Tribunale militare internazionale, noto come Tribunale di Norimberga, istituito in base all’Accordo di Londra dell’8.8.1945 tra Stati Uniti, Unione Sovietica, Regno Unito e Francia. Dinanzi al Tribunale di Norimberga furono processati i maggiori responsabili di crimini contro la pace, crimini di guerra e crimini contro l’umanità della Germania nazista. Sul modello di detto Tribunale, il 19.1.1946 fu istituito con un proclama del Comandante Supremo per le Potenze Alleate nel Giappone occupato, Gen. D. MacArthur, il Tribunale militare internazionale per l’Estremo Oriente, noto come Tribunale di Tokyo. Davanti a quest’ultimo, furono processati i maggiori responsabili di crimini contro la pace, crimini di guerra e crimini contro l’umanità dell’Impero giapponese.
Nella prima metà degli anni Novanta, furono istituiti dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (NU) il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia (TPIJ) e il Tribunale penale internazionale per il Ruanda (TPIR), entrambi oggi chiusi (v. però il Meccanismo Residuale Internazionale per i Tribunali Penali, creato con la risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1966 del 2010). Il TPIJ, con sede a L’Aja, aveva giurisdizione sui crimini di guerra, il crimine di genocidio e i crimini contro l’umanità, commessi da chiunque sul territorio dell’ex Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia a partire dall’1.1.1991. La giurisdizione del TPIR, che aveva sede ad Arusha, comprendeva invece il crimine di genocidio, i crimini contro l’umanità e le violazioni gravi dell’art. 3 comune alle Convenzioni di Ginevra del 1949 e del II Protocollo Addizionale del 1977, compiuti da chiunque sul territorio del Ruanda e da cittadini ruandesi sul territorio degli Stati confinanti tra l’1.1.1994 e il 31.12.1994. A ciascun Tribunale il rispettivo Statuto riconosceva la primazia sui tribunali interni, con conseguente possibilità di avocare a sé qualsiasi caso concernente i suddetti crimini, pendente davanti ad un tribunale nazionale.
Soltanto con lo Statuto della CPI, concluso il 17.7.1998 ed entrato in vigore il 1.7.2002, è stato creato un tribunale internazionale competente in materia di crimini internazionali a carattere permanente. La CPI ha sede a L’Aja e ha giurisdizione sul crimine di genocidio, i crimini contro l’umanità, i crimini di guerra e il crimine di aggressione, così come definiti nello Statuto e nei limiti da questo previsti. La Corte è tuttavia complementare ai tribunali nazionali: può giudicare i responsabili dei suddetti crimini solo se lo Stato che ha giurisdizione su di essi non ha intenzione o non è in grado effettivamente di condurre l’indagine o celebrare il processo (v. art. 17, par. 1, lett. a) e b) dello Statuto).
Infine, a partire dall’inizio del XXI secolo, sono stati istituiti diversi tribunali cosiddetti ‘ibridi’ o ‘misti’, competenti a giudicare sia crimini internazionali che gravi reati previsti dal diritto interno, commessi in contesti definiti dal punto di vista geografico e temporale. Possono citarsi come esempi la Corte Speciale per la Sierra Leone e le Camere Straordinarie nelle Corti della Cambogia. La Corte Speciale per la Sierra Leone, istituita nel 2002 sulla base di un accordo tra le NU e il Governo di Freetown, ha processato i maggiori responsabili di crimini di guerra, crimini contro l’umanità e alcuni gravi reati previsti dal diritto sierraleonese, compiuti durante la sanguinosa guerra civile in Sierra Leone, precisamente a partire dal 30.11.1996. La Corte, che aveva sede a Freetown, ha chiuso i battenti nel 2013. Le Camere Straordinarie nelle Corti della Cambogia sono state istituite sulla base di un accordo tra le NU e il Governo cambogiano del 2003 e sono tuttora in funzione. Le Camere hanno sede a Phnom Penh e sono competenti a processare i maggiori responsabili del crimine di genocidio e di crimini di guerra, crimini contro l’umanità e alcuni gravi reati previsti dal diritto cambogiano, commessi nel Paese tra il 17.4.1975 e il 6.1.1979, durante il regime dei Khmer Rossi.
I crimini di guerra sono violazioni gravi del diritto internazionale dei conflitti armati. La Carta del Tribunale di Norimberga definiva i crimini di guerra come «le violazioni delle leggi e consuetudini di guerra» e ne conteneva un elenco non esaustivo. A ben vedere, solo una violazione grave delle norme internazionali che disciplinano la conduzione delle ostilità e la protezione delle vittime dei conflitti armati determina la responsabilità penale dell’individuo che ne è autore. È tale la violazione di una norma che tuteli valori essenziali e comporti serie conseguenze per le vittime (TPIJ, Cam. App., 2.10.1995, IT-94-1, Procuratore c. Duško Tadić, par. 94). La responsabilità penale individuale può essere riconnessa ad una siffatta violazione dal diritto consuetudinario o dal diritto pattizio applicabile al caso concreto (ibidem).
Le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949, che dettano disposizioni per la protezione delle vittime dei conflitti internazionali (ad eccezione dell’art. 3 comune, applicabile nei conflitti interni) e sono oggi considerate largamente corrispondenti al diritto consuetudinario, contengono un elenco di «infrazioni gravi», la cui commissione comporta la responsabilità penale individuale. Esse impongono a tutti gli Stati parti di ricercare gli autori delle infrazioni gravi e di sottoporli a processo, indipendentemente dalla loro nazionalità, o in alternativa consegnarli allo Stato parte che ne faccia richiesta e dimostri di avere prove sufficienti a loro carico, accogliendo dunque per tali infrazioni sia il principio della giurisdizione universale che il principio «aut dedere aut iudicare» (artt. 49, 50 della I Convenzione; artt. 50, 51 della II Convenzione; artt. 129, 130 della III Convenzione; artt. 146, 147 della IV Convenzione). Ulteriori infrazioni gravi sono previste e assoggettate allo stesso regime dal I Protocollo Addizionale del 1977 relativo alla protezione delle vittime dei conflitti internazionali (artt. 11, 85).
Sono crimini di guerra sia le violazioni gravi delle norme riguardanti i conflitti internazionali che quelle delle norme concernenti i conflitti interni. È questo uno sviluppo recente. Fino all’inizio degli anni Novanta solo dalle prime era fatta discendere la responsabilità penale individuale. Nel 1994, lo Statuto del TPIR, attribuendo a quest’ultimo giurisdizione sulle violazioni gravi dell’art. 3 comune alle Convenzioni di Ginevra del 1949 e del II Protocollo Addizionale del 1977 relativo alla protezione delle vittime dei conflitti interni, per primo ha riconosciuto la responsabilità penale individuale per violazioni di norme riguardanti i conflitti non internazionali. Nel 1995, poi, il TPIJ ha accertato che il diritto consuetudinario connette alla violazione grave delle norme in questione la responsabilità penale degli individui che ne sono autori (TPIJ, Cam. App., 2.10.1995, IT-94-I, Procuratore c. Duško Tadić, par. 128-134). Ciò gli ha consentito di processare e punire i responsabili di gravi violazioni del diritto dei conflitti interni, ai sensi dell’art. 3 dello Statuto, intitolato «Violazioni delle leggi e consuetudini di guerra».
Lo Statuto della CPI ha recepito questo sviluppo, indicando quali crimini di guerra su cui la Corte ha giurisdizione non solo le infrazioni gravi delle Convenzioni di Ginevra del 1949 (art. 8, par. 2, lett. a) e altre violazioni gravi delle norme applicabili nei conflitti internazionali (art. 8, par. 2, lett. b), ma anche violazioni gravi dell’art. 3 comune alle Convenzioni di Ginevra del 1949 (art. 8, par. 2, lett. c) e, limitatamente ai casi in cui il conflitto tra forze governative e gruppi armati organizzati o tra questi ultimi si protragga nel tempo, altre violazioni gravi delle norme relative ai conflitti interni (art. 8, par. 2, lett. e). Quantunque sia stato ampliato per effetto degli emendamenti all’art. 8 adottati nel 2010 e nel 2017, il numero delle fattispecie criminose riguardanti i conflitti interni è tuttavia inferiore a quello dei crimini relativi ai conflitti internazionali.
In linea di principio, crimini di guerra possono essere commessi sia da combattenti che da civili. È in ogni caso indispensabile una connessione tra l’atto da questi compiuto e il conflitto armato, affinché possa configurarsi un crimine di guerra. Tale connessione deve essere accertata volta per volta.
I crimini di guerra possono essere distinti in quattro gruppi: crimini contro persone protette; crimini contro beni protetti; crimini connessi all’impiego di metodi di combattimento vietati; crimini relativi all’uso di mezzi di combattimento proibiti. I crimini contro persone protette, sia nei conflitti internazionali che nei conflitti interni, comprendono tra l’altro: l’attacco deliberato contro la popolazione civile o singoli civili che non partecipino direttamente alle ostilità; l’uccisione e la tortura di prigionieri di guerra; il reclutamento di bambini soldato; l’attacco deliberato contro il personale di una missione di assistenza umanitaria o di peacekeeping, a cui sia riconosciuta la protezione spettante ai civili.
Come esempi di crimini contro beni protetti, quale che sia la natura del conflitto, possono citarsi: l’attacco deliberato contro beni civili, ovvero beni che non costituiscano obiettivo militare (lo Statuto della CPI limita questa fattispecie ai conflitti internazionali, v. però Henckaerts, J.-M.-Doswald-Beck, L., a cura di, Customary International Humanitarian Law, vol. I, Cambridge, 2005, 597 s.; Werle, G.-Jessberger, F., Principles of International Criminal Law, III ed., Oxford, 2014, 487 s.); la distruzione e il sequestro di beni dell’avversario che non siano imperativamente richiesti dalla necessità militare; l’attacco deliberato contro edifici religiosi, monumenti storici, musei e ospedali, che non costituiscano obiettivo militare; il saccheggio di paesi e luoghi; l’attacco deliberato nei confronti di edifici, materiali e mezzi di trasporto che espongano gli emblemi distintivi delle Convenzioni di Ginevra.
Quanto ai crimini connessi all’impiego di metodi di combattimento vietati, sia nei conflitti internazionali che nei conflitti interni, possono citarsi ad esempio: l’uccisione e il ferimento di combattenti avversari mediante il ricorso alla perfidia; la dichiarazione che non sarà dato quartiere; la deliberata riduzione alla fame dei civili, privandoli dei beni indispensabili per la sopravvivenza; l’impiego di civili come scudi umani (lo Statuto della CPI limita le ultime due fattispecie ai conflitti internazionali, v. però Henckaerts, J.-M.-Doswald-Beck, L., op. cit., 599 s., 602 s.; Werle, G.-Jessberger, F., op. cit., 507, 509).
Infine, come esempi di crimini relativi al ricorso a mezzi di combattimento proibiti, in qualsiasi conflitto armato, possono menzionarsi: l’uso di armi chimiche; l’impiego di armi batteriologiche; l’utilizzo di armi che abbiano come principale effetto quello di produrre il ferimento mediante schegge nel corpo non individuabili con i raggi X; l’uso di armi laser specificamente concepite per provocare una cecità permanente.
I crimini contro l’umanità sono atti inumani compiuti nell’ambito di una prassi estesa o sistematica di violenze nei confronti di una popolazione civile. La Carta del Tribunale di Norimberga, che per prima ha fornito un elenco di tali crimini, richiedeva che gli atti elencati fossero commessi in esecuzione di o in connessione con crimini di guerra o crimini contro la pace. Un siffatto nesso, richiesto anche dalla Carta del Tribunale di Tokyo, non è tuttavia necessario secondo il diritto internazionale contemporaneo (v. però l’art. 7, par. 1, lett. h) dello Statuto della CPI, che per la sola persecuzione richiede un nesso con altri crimini contro l’umanità o con altre categorie di crimini rientranti nella giurisdizione della CPI).
Diversamente dai crimini di guerra, i crimini contro l’umanità possono essere compiuti sia durante un conflitto armato che al di fuori di esso, in tempo di pace. Inoltre, mentre i crimini di guerra sono diretti contro combattenti o civili di nazionalità nemica o comunque legati da un vincolo di fedeltà all’avversario, per i crimini contro l’umanità è irrilevante la nazionalità della vittima e, nel caso sia in corso un conflitto armato, la sua fedeltà all’una o all’altra parte del conflitto. Occorre pure rilevare che mentre i crimini di guerra possono essere atti isolati, i crimini contro l’umanità richiedono l’esistenza di una molteplicità di condotte lesive.
Lo Statuto della CPI qualifica come crimini contro l’umanità gli atti di seguito elencati, «quando commessi come parte di un attacco esteso o sistematico diretto contro qualsiasi popolazione civile, con la consapevolezza dell’attacco»: l’omicidio volontario; lo sterminio; la riduzione in schiavitù; la deportazione e il trasferimento forzato di popolazione; la detenzione e ogni altra grave privazione della libertà personale in violazione del diritto internazionale; la tortura; lo stupro, la schiavitù sessuale, la prostituzione forzata, la sterilizzazione forzata e altre forme di violenza sessuale di analoga gravità; la persecuzione per motivi politici, razziali, nazionali, etnici, culturali, religiosi, di genere o altri motivi non ammessi dal diritto internazionale; la sparizione forzata di persone; l’apartheid; e altri atti inumani di carattere analogo comportanti grandi sofferenze o gravi lesioni fisiche o psichiche (art. 7, par. 1).
Lo Statuto della CPI dà anche una definizione di «attacco diretto contro qualsiasi popolazione civile», richiedendo la reiterata commissione degli atti sopra elencati in attuazione di o in base a una politica dello Stato o di un’organizzazione (art. 7, par. 2, lett. a). Quanto a quest’ultima, è da ritenere che possa trattarsi non solo di un’organizzazione che abbia il controllo del territorio, ma di qualsiasi gruppo di individui strutturato dotato della capacità di condurre un attacco siffatto, inclusa un’organizzazione terroristica (Werle, G.-Jessberger, F., op. cit., 342 ss.).
Il crimine di genocidio è stato definito per la prima volta dalla Convenzione delle NU del 1948 sulla prevenzione e repressione del crimine di genocidio. Questa elenca cinque condotte che configurano un genocidio in quanto siano sorrette dall’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, in quanto tale. Si tratta delle condotte seguenti: l’uccisione di membri del gruppo; l’inflizione di gravi lesioni fisiche o psichiche a membri del gruppo; la deliberata sottoposizione del gruppo a condizioni di vita dirette a causarne la distruzione fisica, in tutto o in parte; l’imposizione di misure volte a impedire le nascite all’interno del gruppo; il trasferimento forzato di bambini del gruppo ad un altro gruppo (art. 2). La definizione di genocidio contenuta nella Convenzione delle NU è stata in seguito integralmente riprodotta negli Statuti del TPIJ e del TPIR e nello Statuto della CPI ed è stata considerata dalla Corte internazionale di giustizia appartenente al diritto consuetudinario (CIG, 26.02.2007, Bosnia Erzegovina c. Serbia Montenegro, par. 161).
Per quanto concerne i tribunali penali internazionali, la prima condanna in assoluto per il crimine di genocidio è stata emessa dal TPIR nel 1998: J.-P. Akayesu, borgomastro del comune ruandese di Taba, è stato ritenuto colpevole di detto crimine in relazione al genocidio commesso in Ruanda nel 1994 nei confronti del gruppo etnico dei tutsi (TPIR, Cam. I gr., 2.10.1998, ICTR-96-4-T, Procuratore c. Jean-Paul Akayesu). Quanto al TPIJ, la prima condanna per il crimine di genocidio risale al 2001: R. Krstić, generale dell’esercito serbo-bosniaco, è stato ritenuto colpevole del genocidio perpetrato nel 1995, a Srebrenica, nei confronti del gruppo nazionale dei bosniaci musulmani (TPIJ, Cam. I gr., 2.8.2001, IT-98-33-T, Procuratore c. Radislav Krstić). La CPI non ha ancora emesso alcuna condanna per il crimine di genocidio.
La giurisprudenza del TPIR e del TPIJ ha contribuito in maniera significativa a chiarire gli elementi del crimine de quo. Riguardo all’elemento soggettivo, è necessaria la volontà di eliminare in senso fisico o biologico un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso o una parte sostanziale di esso, a causa della sua specifica identità (dolo specifico). Circa la nozione di gruppo protetto, l’interpretazione proposta dal TPIR nel caso Akayesu, diretta a includervi qualsiasi gruppo stabile e permanente (TPIR, Cam. I gr., 2.10.1998, ICTR-96-4-T, Procuratore c. Jean-Paul Akayesu, par. 516) non è stata seguita dalla giurisprudenza successiva (v. ad esempio TPIJ, Cam. I gr., 2.8.2001, IT-98-33-T, Procuratore c. Radislav Krstić, par. 554). Infine, quanto all’elemento oggettivo del crimine di genocidio, è da sottolineare che lo stupro e altre forme di violenza sessuale, oltre a costituire crimini di guerra e crimini contro l’umanità, possono integrare l’elemento in questione, quando siano commessi nei confronti dei membri di un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. Precisamente, essi possono configurarsi come inflizione di gravi lesioni fisiche o psichiche a membri del gruppo, ma anche come imposizione di misure dirette a impedire le nascite all’interno del gruppo, qualora provochino traumi psicologici tali da indurre i membri del gruppo a non procreare più.
Il crimine di aggressione è elencato nello Statuto della CPI tra i crimini internazionali su cui questa ha giurisdizione (art. 5). La criminalizzazione della guerra di aggressione risale al periodo immediatamente successivo alla seconda guerra mondiale. La pianificazione, la preparazione, l’avvio e la conduzione di una guerra di aggressione furono qualificati come crimini contro la pace nella Carta del Tribunale di Norimberga (art. 6, lett. a) e in quella del Tribunale di Tokyo (art. 5, lett. a). Il crimine di aggressione, come definito dallo Statuto di Roma, non è tuttavia limitato alla guerra di aggressione.
La definizione del crimine in questione è contenuta nell’art. 8 bis, introdotto nello Statuto della CPI con un emendamento adottato dalla Conferenza di revisione di Kampala del 2010 (Resolution RC/Res.6, 11.6.2010, Annex I). L’art. 8 bis, par. 1, definisce il crimine di aggressione come «la pianificazione, preparazione, avvio o esecuzione … di un atto di aggressione che, per la sua natura, gravità e magnitudine, costituisce una violazione manifesta della Carta delle NU»; e chiarisce che di esso possono rendersi responsabili gli individui che si trovino «in una posizione tale da controllare o dirigere effettivamente l’azione politica o militare di uno Stato». In pratica, per il crimine di aggressione possono essere processati solo i vertici politici e militari dello Stato.
L’art. 8 bis, par. 2, dà inoltre una definizione estremamente ampia di atto di aggressione, che coincide con quella di aggressione adottata dall’Assemblea Generale delle NU con la risoluzione 3314-XXIX del 1974. Per atto di aggressione deve intendersi «l’uso della forza armata da parte di uno Stato contro la sovranità, l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di un altro Stato, o in ogni altro modo incompatibile con la Carta delle NU». L'art. 8 bis, par. 2, riproduce anche l’elenco degli atti di aggressione contenuto nella suddetta risoluzione.
Tuttavia, come detto sopra, solo un atto di aggressione che costituisca una violazione manifesta della Carta delle NU integra il crimine di aggressione. I criteri della natura, della gravità e delle dimensioni dell’atto consentono di circoscrivere le ipotesi in cui ciò si verifica. Mentre gli ultimi due criteri valgono certamente ad escludere il crimine di aggressione nel caso di incursioni di frontiera e altri incidenti simili, è dubbio se il criterio della natura dell’atto sia sufficiente ad escludere il crimine de quo in ipotesi di uso della forza la cui liceità è controversa, come la legittima difesa preventiva, il ricorso alla forza contro gruppi terroristici transnazionali e l’intervento d’umanità.
La CPI potrà contribuire a sciogliere questo e altri dubbi se e quando giudicherà individui accusati del crimine di aggressione. Conformemente agli artt. 15 bis e 15 ter dello Statuto, anch’essi introdotti con un emendamento adottato dalla Conferenza di Kampala (Resolution RC/Res.6, 11.6.2010, Annex I), l'Assemblea degli Stati Parti ha deciso l’attivazione della giurisdizione della CPI sul crimine in parola a partire dal 17.7.2018 (Resolution ICC-ASP/16/Res.5, 14.12.2017).
La pirateria consiste in atti di violenza, sequestro o rapina commessi per fini privati dall’equipaggio o dai passeggeri di una nave o un aeromobile privato contro un’altra nave o aeromobile o persone o beni a bordo di essi, in alto mare o nello spazio aereo sovrastante (v. art. 101 della Convenzione delle NU sul diritto del mare del 1982). In tali luoghi, qualsiasi Stato può sequestrare una nave o un aeromobile pirata, quella/o di cui i pirati abbiano preso il controllo e i beni all’interno di essi, nonché arrestare i pirati e processarli dinanzi ai propri tribunali (v. art. 105 della sopra citata Convenzione delle NU sul diritto del mare). Una consuetudine di antica formazione assoggetta infatti i pirati, definiti hostes humani generis, alla giurisdizione universale.
Secondo alcuni, la pirateria costituirebbe un crimine internazionale, precisamente un crimine contro l’umanità (v. Ronzitti, N., Introduzione, cit., 358). Secondo altri, invece, essa non potrebbe essere annoverata tra i crimini internazionali, in quanto non sarebbe il diritto internazionale, ma soltanto il diritto interno dei singoli Stati a riconnettere agli atti di pirateria la responsabilità penale degli individui che ne sono autori (v. Werle, G.-Jessberger, F., op. cit., 49; O'Keefe, R., International Criminal Law, Oxford, 2015, 51). In questo senso, non è priva di rilievo la circostanza che la pirateria non sia ricompresa tra i crimini internazionali su cui ha giurisdizione la CPI.
La commissione di atti terroristici integra un crimine di guerra e/o un crimine contro l’umanità, quando soddisfi gli elementi tipici dell’uno e/o dell’altro. Il compimento di atti di violenza il cui principale scopo sia diffondere il terrore tra la popolazione civile in un conflitto armato è stato riconosciuto per la prima volta come un crimine di guerra, denominato crimine di terrore, dal TPIJ nel caso Galić (TPIJ, Cam. I gr., IT-98-29-T, Procuratore c. Stanislav Galić, par. 133). Tale crimine non è incluso nell’elenco dei crimini di guerra su cui ha giurisdizione la CPI. Tuttavia, atti diretti a terrorizzare la popolazione civile nei conflitti armati possono essere puniti dalla Corte in quanto configuranti un attacco deliberato contro la popolazione civile (art. 8, par. 2, lett. b (i) ed e (i) dello Statuto).
Inoltre, atti di violenza volti a diffondere il terrore tra la popolazione civile, sia durante un conflitto armato che in tempo di pace, possono costituire crimini contro l’umanità, quando siano commessi nell’ambito di una prassi estesa o sistematica di violenze nei confronti della popolazione civile. Il TPIJ, ad esempio, ha ritenuto il generale serbo-bosniaco Stanislav Galić colpevole non solo del crimine di guerra di terrore, ma anche dei crimini contro l’umanità di omicidio volontario e altri atti inumani, per la campagna di bombardamenti e tiri di cecchini condotta a Sarajevo, tra il settembre 1992 e l’agosto 1994, con lo scopo primario di terrorizzare la popolazione civile (TPIJ, Cam. I gr., IT-98-29-T, Procuratore c. Stanislav Galić, par. 751-752).
È invece controverso se il diritto internazionale contemporaneo riconosca il terrorismo in tempo di pace come un autonomo crimine internazionale. In questo senso, si è espresso il Tribunale Speciale per il Libano (TSL), tribunale ibrido istituito per processare i responsabili dell’attentato terroristico che nel 2005 costò la vita all’ex Primo Ministro libanese Rafiq Hariri e ad altri individui. Secondo il TSL, il crimine internazionale di terrorismo sarebbe caratterizzato dai seguenti tre elementi: il compimento di un atto criminale (ad es. omicidio, rapimento, presa di ostaggi, incendio doloso) o la minaccia di compierlo, in tempo di pace; la volontà di diffondere il terrore tra la popolazione o di costringere, direttamente o indirettamente, un’autorità nazionale o internazionale ad agire in un certo modo o ad astenersi dal farlo; il cd. elemento transnazionale, ossia una connessione con due o più Stati in ragione degli autori o delle vittime dell’atto, dei mezzi usati per compierlo o dell’impatto dell’atto su uno Stato diverso da quello in cui è commesso (TSL, Cam. App., 16.2.2011, STL-11-01/I, Decisione interlocutoria sulla legge applicabile, par. 85, 90). La tesi accolta dal TSL è stata tuttavia criticata da diversi studiosi, che hanno sottolineato, tra l’altro, l’incerta definizione dell’elemento oggettivo del crimine e la vaghezza del cd. elemento transnazionale (v. in particolare Werle, G.-Jessberger, F., op. cit., 48 s.). Di fatto, nessun tribunale internazionale ha mai avuto giurisdizione sul presunto crimine internazionale di terrorismo. Lo stesso TSL è chiamato a pronunciarsi sugli atti di terrorismo commessi in Libano, come definiti dal codice penale libanese (art. 2, lett. a dello Statuto).
Fonti normative
Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of Genocide, 9.12.1948; Convention (I) for the Amelioration of the Condition of the Wounded and Sick in Armed Forces in the Field, Geneva, 12.8.1949; Convention (II) for the Amelioration of the Condition of Wounded, Sick and Shipwrecked Members of Armed Forces at Sea, Geneva, 12.8.1949; Convention (III) relative to the Treatment of Prisoners of War, Geneva, 12.8.1949; Convention (IV) relative to the Protection of Civilian Persons in Time of War, Geneva, 12.8.1949; Protocol Additional (I) to the Geneva Conventions of 12.8.1949, and relating to the Protection of Victims of International Armed Conflicts, 8.6.1977; Protocol Additional (II) to the Geneva Conventions of 12.8.1949, and relating to the Protection of Victims of Non-International Armed Conflicts, 8.6.1977; Statute of the International Criminal Tribunal for the Former Yugoslavia, adopted by UN Security Council Resolution 827 (1993); Statute of the International Criminal Tribunal for Rwanda, adopted by UN Security Council Resolution 955 (1994); Rome Statute of the International Criminal Court, 17.07.1998; Review Conference, Resolution 5, Amendments to Article 8 of the Rome Statute, 10.6.2010; Review Conference, Resolution 6, The Crime of Aggression, 11.6.2010; Assembly of the States Parties, 16th Session, Resolution 4, Amendments to Article 8 of the Rome Statute, 14.12.2017.
Bibliografia essenziale
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Immagine: Michael Büker [CC BY-SA 3.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0)]