Criminologia
Un lungo periodo prescientifico precede la nascita della criminologia e la sua organizzazione in quanto disciplina a sé stante. Anche se la storia del pensiero criminologico comincia con i filosofi e i tragici greci, è solo con la filosofia dei lumi, con Montesquieu, Voltaire, Rousseau e con l'italiano Beccaria, che si comincia a preparare un modo nuovo di studiare il fenomeno criminale attraverso il metodo sperimentale e l'osservazione. Questa rivoluzione epistemologica avviene soprattutto grazie a un medico italiano, Cesare Lombroso, che nel 1876 pubblica L'uomo delinquente, un'opera - centrata sulla descrizione del tipo criminale - che segna la nascita della criminologia scientifica. L'opera lombrosiana doveva essere completata poi da quelle di Enrico Ferri, professore di diritto e sociologo, autore di una celebre Sociologia criminale (1881), e di Raffaele Garofalo, magistrato, il cui libro, dal titolo Criminologia (1885), ha dato il nome alla nuova scienza.Le origini della criminologia sono quindi italiane e da allora non è diminuito in Italia l'interesse rivolto a questa disciplina. I congressi internazionali di antropologia criminale - Roma (1885), Parigi (1889), Bruxelles (1892), Ginevra (1896), Amsterdam (1901), Torino (1906), Colonia (1911) - hanno avuto come protagonisti gli scienziati italiani. In anni più recenti Benigno Di Tullio, medico romano, ha fondato la Società Internazionale di Criminologia (1934) che organizza regolarmente congressi internazionali (Roma 1938, Parigi 1950, Londra 1955, L'Aia 1960, Montréal 1965, Madrid 1970, Belgrado 1973, Lisbona 1978, Vienna 1983), ed è attualmente presieduta da Giacomo Canepa, medico di Genova.Il fatto che Di Tullio e Canepa siano dei medici non deve far dimenticare che la criminologia è stata, dalla sua nascita, una scienza complessa, pluridisciplinare, che si è andata elaborando a partire dall'antropologia medica, dalla sociologia e dalla pratica giudiziaria, e conserva tuttora legami assai stretti con le scienze penali e le scienze umane.
Ferri aveva sviluppato una concezione 'imperialistica' della criminologia rifiutando ogni autonomia al diritto penale e assorbendolo nella criminologia.
Oggi, invece, si riconosce che la criminologia si differenzia dalla scienza giuridica penalistica in quanto si occupa dei fatti e delle persone ai quali si riferiscono le norme giuridiche penali.Questa distinzione non esclude naturalmente l'esistenza di rapporti tra le due discipline sul terreno della politica del crimine, che si sforza di formulare delle regole preventive e repressive alla luce dei dati scientifici della criminologia e degli insegnamenti filosofici, collocandosi nella prospettiva del rispetto dei diritti umani.
Il diritto penale utilizza diverse scienze applicate nella pratica giudiziaria. In Austria sono stati particolarmente studiati le procedure, la medicina legale, i metodi della polizia scientifica, o criminalistica, e la psicologia giudiziaria. In Gran Bretagna l'accento è stato messo soprattutto sulla psichiatria medico-legale. In Francia sono state approfondite in modo particolare la scienza penitenziaria e la penalistica, discipline che negli Stati Uniti hanno finito per essere integrate nel campo della criminologia.Di fatto, in una concezione ampia ed enciclopedica, è possibile completare lo studio del fenomeno criminale mediante queste scienze applicate. Esse costituiscono campi di investigazione definiti e specifici, ma non hanno il carattere di scienza complessa che ha la criminologia rispetto alle altre scienze umane.
Durante il periodo lombrosiano, che va dal 1876 al 1914 (si conclude di fatto con la pubblicazione, nel 1913, di The English convict di Charles Goring, in cui il concetto lombrosiano del tipo criminale viene respinto), lo studio del fenomeno criminale è stato condotto attraverso un triplice approccio: biologico, psichiatrico e sociologico. Nel periodo tra le due guerre si è costituita come disciplina a sé stante, e si è inserita nel settore delle scienze criminologiche, la criminologia psicanalitica. Lo stesso è avvenuto in Italia e in Belgio per la psicologia criminale, che è stata elevata al rango di disciplina fondamentale della criminologia.
Alla vigilia del II Congresso internazionale di criminologia (Parigi 1950) si riconosceva l'esistenza di scienze criminologiche (biologia criminale, psichiatria criminale, criminologia psicanalitica, psicologia criminale, sociologia criminale), ma si manifestava un forte scetticismo sull'esistenza della criminologia in quanto tale. Il programma del Congresso di Parigi (v. Actes..., 1951, pp. 2-20) si è opposto a questa opinione prevalente e ha constatato che la criminologia, nata dall'applicazione delle scienze umane, tende a divenire una scienza autonoma, nettamente differenziata. Il punto di partenza è di tipo analitico: occorre sforzarsi di scoprire e di definire, nel quadro di ciascuna delle scienze fondamentali, i fattori specificamente criminogeni e i loro caratteri, per passare poi a un approccio di tipo sintetico, allo scopo di individuare una causalità specifica del delitto, in funzione dello sviluppo della personalità del delinquente. Ma questa sintesi eziologica non è sufficiente: dev'essere completata da uno studio dinamico. Il problema, a questo punto, diventa quello di sapere quali sono e come si possono scoprire le correlazioni tra i diversi fattori criminogeni nella genesi, nell'evoluzione e nello sviluppo dell'idea e della possibilità del crimine (problema della criminogenesi).
Come si può vedere, il programma del congresso esprimeva un'aspirazione alla sintesi. Il grande merito di Étienne de Greeff è di aver concretizzato questa aspirazione nella sua relazione, intitolata Criminogénèse (v. Actes..., 1955, pp. 267-306), dalla quale risulta che la criminologia utilizza per i suoi scopi specifici le discipline fondamentali. Con questo congresso, in cui de Greeff è stato il trionfatore, comincia un periodo di aggiustamenti e di sintesi centrati sulla personalità del delinquente. In un certo senso si trattava dell'inizio di una nuova rivoluzione epistemologica: gli approcci settoriali (biologico, psichiatrico, psicanalitico, psicologico, sociologico) si dimostravano superati; quello che diventava ormai necessario era cogliere le interazioni tra i fattori che essi mettevano in evidenza e collegare queste interazioni ai processi attraverso i quali si esprimono, vale a dire 'al vissuto' del delinquente.Da allora, certo, lo sviluppo di questa impostazione non è stato costante. Vi sono stati molti passi indietro, in quanto il carattere multidisciplinare è estraneo alla ricerca, ma ciò non impedisce che tale impostazione resti la sola strada da seguire per il progresso della criminologia.
L'epistemologia pone, sul piano della conoscenza scientifica, un certo numero di questioni preliminari. La prima consiste nel sapere se l'oggetto della criminologia sia suscettibile di un approccio scientifico. Un luogo comune duro a morire nega questa possibilità, sottolineando che il fenomeno criminale, essendo variabile nel tempo e nello spazio, è essenzialmente relativo. Nella sua relazione Psychocriminogénèse, presentata al Congresso internazionale di Parigi nel 1950 (v. Actes..., 1955, pp. 129-155), Daniel Lagache ha definitivamente respinto questo luogo comune, precisando che per crimine si intende sempre un'azione, commessa da uno o più membri di un gruppo, contraria ai valori del gruppo stesso. Ma partendo dal concetto di 'valore' non si ricade nell'incertezza? Di fatto, il concetto di valore è difficile da precisare, ma la stessa cosa avviene in medicina con il concetto di salute. Così come la medicina non può fare a meno del concetto di salute, la criminologia non può fare a meno di quello di valore. Del resto, si sa che il riconoscimento dell'altro e dei suoi diritti rappresenta il valore essenziale, senza il quale la società non potrebbe esistere.
Un altro problema è stato recentemente sollevato da Christian Debuyst, dell'Università di Lovanio. Nella linea del pensiero filosofico di Karl Popper, egli ha suggerito che la cosa importante da fare sia precisare il 'come conosciamo' piuttosto che il 'cosa conosciamo'. A suo giudizio, il fenomeno criminale viene conosciuto attraverso la reazione sociale. Ora, tale reazione determina "il fatto nel modo di viverlo, di temerlo, e nella sua stessa esistenza". Pertanto il comportamento criminale "viene così ridotto agli elementi che scatenano questa reazione, vale a dire a tutti gli elementi percepiti come socialmente negativi e inquietanti, che hanno suscitato una reazione di paura o di collera in base alla quale si è costruita tutta la situazione" (v. Debuyst, 1985, pp. 74 e 77). L'obiezione sarebbe convincente se de Greeff, che fu il maestro di Debuyst, non vi avesse già risposto, dimostrando che l'atto criminale, che si presenta oggettivamente come un mancato adattamento, è però vissuto dal criminale come un adattamento riuscito, che si colloca nell'ambito della ricerca di un suo migliore equilibrio. Proprio per questo de Greeff ha insistito sul fatto che "il criminale deve essere avvicinato come un malato, come un uomo al quale ci si interessa in uno slancio di totale simpatia, che permette a noi, senza che peraltro lo approviamo, di fargli ritrovare la sua strada, e permette a lui di stabilire con noi una certa comunione". Ma se si deve evitare di approvare il criminale, questo non dipende dal fatto che egli è oggetto di una reazione sociale, ma piuttosto dal fatto che quanto ha commesso è veramente una colpa. "L'uomo che vuole studiare il furto può farlo solo se ritiene che il furto sia realmente una colpa" (v. Actes..., 1955, p. 272). In questo modo il secondo problema epistemologico ci riconduce al primo, cioè al concetto di valore. Di qui la possibilità di una nuova critica rivolta ai processi in base ai quali si considerano crimini gli atti commessi contro un valore il cui rispetto assicura la sopravvivenza della società. Questi processi non sono forse, in definitiva, caratterizzati dall'intervento decisivo dei gruppi di pressione e del potere politico? Si tratta, in realtà, di un problema molte volte evocato in criminologia. Garofalo (v., 1885) aveva distinto i delitti naturali dai delitti convenzionali. Anche se si possono contestare le basi della sua analisi, questa distinzione è tuttavia conforme alla realtà. Le definizioni di crimini politici, amministrativi, economici e quelle connesse a comportamenti devianti o disadattati (alcolismo, tossicomania, prostituzione, vagabondaggio, delitti sessuali) dipendono da un intervento arbitrario. Al contrario, le incriminazioni connesse a omicidi, infanticidi, avvelenamenti, incendi, furti, truffe, abusi di fiducia pongono invece problemi specificamente criminologici.
Muovendo da queste constatazioni, è possibile definire l'oggetto della criminologia. Esso deve rispondere a tre condizioni: 1) essere stato considerato un delitto lungo tutta la storia del diritto penale; 2) essere riconosciuto come crimine dai gruppi che costituiscono lo Stato moderno; 3) essere stato vissuto dal suo autore come un'aggressione contro il riconoscimento dell'altro e dei suoi diritti. In questa prospettiva la criminologia sembra essere per la morale quello che la psicopatologia è per la psicologia.
In criminologia, come in ogni altra scienza, la teoria rappresenta un fattore di progresso e uno stimolo per la ricerca. In effetti una teoria deve necessariamente comportare delle ricerche destinate a verificarla: si dà così inizio a un processo scientifico, poiché i risultati delle ricerche dovranno condurre all'elaborazione di nuove teorie le quali, a loro volta, dovranno essere controllate, e così via.In criminologia una teoria viene elaborata sulla base dei dati reperiti dai suoi settori specializzati. La sua funzione consiste nel sistematizzarli colmando i vuoti tra i diversi dati. Una teoria criminologica è quindi un insieme di fatti e di ipotesi, e rappresenta soltanto uno strumento di lavoro destinato a dar vita a nuove ricerche. Ogni teoria è destinata a essere sostituita da un'altra, più vicina alla realtà, quando le conoscenze saranno progredite.
La storia della criminologia dimostra che, durante ogni grande periodo del suo sviluppo, sono emerse delle teorie secondo un processo che si svolge in due fasi. Nella prima vengono elaborate teorie specifiche nel quadro delle criminologie specialistiche. Durante il periodo lombrosiano, per esempio, Lombroso costruisce la teoria antropologica del tipo criminale facendo riferimento al principio dell'evoluzione. Nello stesso tempo, però, si vengono elaborando teorie sociologiche fondate sulle teorie di Marx ed Engels, sulle idee di Durkheim o di Gabriel Tarde, o anche facendo riferimento alle condizioni igieniche e sociali, secondo il pensiero di Alexandre Lacassagne.
Lo stesso pullulare di teorie si ritrova in periodi a noi più vicini. Così, tra le due guerre, la teoria psicanalitica insiste sulla componente nevrotica della personalità del criminale, mentre negli Stati Uniti si moltiplicano le teorie sociologiche. È la Scuola di Chicago che, con Clifford Shaw, dimostra l'esistenza di subculture criminali nelle aree di delinquenza, mentre Edwin Sutherland sottolinea l'importanza del modello culturale e Thorsten Sellin mette in evidenza il ruolo dei conflitti culturali.Ma ognuno di questi periodi è stato anche caratterizzato da una seconda fase, l'elaborazione di sintesi. Il periodo lombrosiano trova il suo coronamento nella teoria di Ferri, il quale sottolinea che il delitto è un fenomeno di origine complessa, tanto biologico quanto fisico-sociale, che si sviluppa con modalità e gradi diversi, al variare delle circostanze relative a persone, cose, tempi e luoghi (v. Ferri, 1929⁵). Questa complessità si ritrova anche a livello dei criminali, che Ferri distingue in criminali per nascita, alienati, abituali, occasionali, passionali, sottolineando che i tipi 'puri' sono rari, mentre quelli intermedi sono la maggioranza. Lo stesso processo si ripete in epoca a noi più vicina. De Greeff supera le teorie parziali, abbozza la sistematizzazione di una teoria della personalità criminale e apre la strada all'approfondimento del 'passaggio all'atto' mediante il concetto di processo criminogeno. In tal modo egli introduce il concetto di durata nello studio dell'evoluzione del soggetto verso il crimine.
Dopo il 1960 si delinea una nuova tappa. La sociologia accademica contrappone alla criminologia del passaggio all'atto la criminologia della reazione sociale. Questa ha origine nella teoria interazionista, che si è sviluppata con lo studio dei meccanismi sociali di rifiuto. Essa ha sottolineato quanta importanza assuma l''etichettamento' del delinquente operato dalla reazione sociale. Alla delinquenza primaria si sovrappone una delinquenza secondaria che finisce per dominare la personalità del soggetto. Questi utilizza il suo comportamento o un ruolo a esso collegato sia per difendersi dalle conseguenze della reazione sociale, sia per affrontare i problemi così creati, sia ancora per adattarsi alle nuove condizioni di vita che la reazione sociale implica.
Dalla teoria interazionista, che si è sviluppata in una prospettiva scientifica, doveva nascere la criminologia radicale, che si è basata su quella teoria per dar vita a una tribuna di critica sociale attiva a senso unico contro le 'agenzie di controllo' (nella terminologia della criminologia radicale esse sono tutte quelle istituzioni politiche, giudiziarie, penitenziarie e anche sociali, che collaborano al controllo del comportamento dei cittadini). Essa ha sviluppato in tal modo un'ideologia politica che giudica la società capitalistica postindustriale alienante e ingiusta: pertanto tutto ciò che si collega direttamente o indirettamente a tale società dev'essere respinto. La criminologia radicale ritiene che l'etichettamento poliziesco e giudiziario avvenga a danno delle classi lavoratrici. I rapporti tra marxismo e teoria radicale della devianza sono tuttora in discussione, ma comunque la criminologia radicale si è diffusa e ha fatto proseliti soprattutto nei paesi anglosassoni, mentre in Francia si riallaccia al pensiero dei criminologi radicali Michel Foucault.Questo snaturamento del procedimento scientifico ha determinato delle reazioni, in particolare negli Stati Uniti, dove la ricerca comincia a scoprire nuovamente il problema della personalità criminale. Vi sono quindi le condizioni per una nuova sintesi criminologica. Una possibile via per arrivare a tale sintesi può consistere nella ricerca dei legami tra personalità criminale e società criminogena. Il problema consiste nel sapere se la nostra società possa favorire lo sviluppo delle personalità criminali producendo stimoli che fanno esplodere in una parte della popolazione tendenze latenti e incerte. A questo legame tra personalità criminale e società criminogena se ne può aggiungere un altro, quello tra società criminogena e società repressiva. Certamente i fattori che danno alla nostra società un carattere criminogeno esercitano poi la loro influenza sulla reazione sociale suscitata dal fenomeno criminale. Resta da chiarire se la metodologia di cui disponiamo sia all'altezza di obiettivi così ambiziosi.
La criminologia utilizza i metodi (di carattere documentario, psicosociale, etnologico, clinico, sperimentale) e le tecniche (organizzative e di trattamento statistico dei dati) che vengono comunemente usati dalla ricerca nell'ambito delle scienze umane. Quello che invece la caratterizza specificamente è la determinazione dei concetti operativi richiesti dall'approccio al fenomeno criminale nonché delle regole fondamentali che devono guidare questo approccio.
Per determinare i concetti operativi della criminologia occorre anzitutto avere un'idea precisa dell'eziologia (fattori) e della dinamica (processi) del fenomeno criminale. A questo proposito può essere utile fare riferimento a un esempio tratto dalla geometria e suggerito da Mendes Correa (v., 1932). Immaginiamo un cono e collochiamo al vertice l'atto criminale. I fattori biologici (terreno organico) e sociali (ambiente personale) occuperanno la circonferenza di base, la personalità del delinquente sarà al centro della base e la situazione precriminale in cui egli si trova sarà situata lungo l'asse del cono. Questo cono però non si muove liberamente nell'aria, ma è immerso nell'ambiente generale (la società globale). Questa metafora geometrica permette quindi di mettere in evidenza i concetti operativi della criminologia e cioè il terreno organico, l'ambiente (personale e generale), la personalità, la situazione e l'atto, e permette anche di enumerare le diverse fasi dell'eziologia e della dinamica del crimine.
Al primo posto si trova il determinismo diretto, nei casi eccezionali in cui le generatrici del cono collegano il terreno organico e l'ambiente personale all'asse del cono stesso. Vengono poi la formazione della personalità e quella della situazione, che derivano dall'azione e dall'interazione del terreno e dell'ambiente personale. Ecco quindi, a questo punto, determinate la personalità e la situazione: il passaggio all'atto criminale dipenderà dai loro rapporti reciproci. Infine, l'ambiente generale può esercitare delle influenze durante le fasi precedenti (determinismo diretto, funzione della personalità, formazione della situazione), ma può influenzare soprattutto il passaggio all'atto, attraverso gli stimoli e le occasioni che genera. Ciò implica la possibilità che l'ambiente svolga un'azione capace di favorire o inibire il passaggio all'atto.
Dopo i concetti operativi occorre precisare le regole metodologiche fondamentali, che sono sostanzialmente quattro. La prima, quella dei livelli interpretativi, distingue nel fenomeno criminale tre entità: la criminalità, fenomeno globale che comprende l'insieme dei crimini commessi in un determinato momento e in un determinato luogo; il criminale, l'individuo particolare; il crimine, l'atto commesso da questo individuo. La regola dei livelli interpretativi richiede una cernita dei dati a disposizione in modo tale che ciascuno di essi possa essere collocato nel settore pertinente. La seconda regola, il primato della descrizione, prescrive di anteporre la criminografia all'eziologia e alla dinamica del crimine, in modo da evitare spiegazioni affrettate. La terza regola (eliminazione dei tipi psichiatricamente definiti) fa tenere ben distinto ciò che appartiene alla psichiatria da ciò che appartiene al campo della criminologia. Scopo della quarta regola, quella dell'approccio differenziale, è il raffronto: raffronto tra criminalità e altri fenomeni sociali, raffronto tra delinquenti e non delinquenti (gruppi di controllo), raffronto, infine, tra i diversi tipi di passaggio all'atto secondo i diversi delinquenti.
La criminalità è conosciuta, almeno in parte, attraverso le statistiche criminali, la cui finalità essenziale consiste nell'informare sul funzionamento della giustizia penale (attività dei pubblici ministeri, dei giudici istruttori e dei tribunali). Esse permettono di osservare la notevole differenza che esiste tra la criminalità palese e la criminalità considerata dalla legge (in Francia, nel 1983, soltanto il 15,5% dei furti sono stati puniti). Occorre anche rilevare che la criminalità palese non coincide interamente con la criminalità reale. In queste condizioni si pone il problema delle 'cifre nere' della criminalità, problema che può essere risolto solo tenendo conto che la statistica "è soltanto un geroglifico da decifrare con l'aiuto delle nostre conoscenze provenienti da altre fonti" (v. Tarde, 1903⁴, p. 359). Tra queste fonti ci sono le inchieste basate sulle autodenunce e sulle testimonianze delle vittime. Le prime, adottate a partire dal 1947, consistono nell'interrogare un gruppo di persone sulla loro delinquenza nascosta e si basano sulle confessioni degli autori, mentre le seconde, apparse in epoca successiva (1965), sono basate appunto sulle testimonianze delle vittime e vengono realizzate interrogando un certo campione di popolazione. Questi due tipi di inchieste, nati negli Stati Uniti, si sono sviluppati in seguito in Inghilterra e nei Paesi Scandinavi e sono stati adottati in una certa misura anche in Francia. Il confronto tra i risultati ottenuti non ha comunque portato elementi capaci di sconvolgere i dati tradizionali ricavati dalle statistiche criminali (anche se con alcune eccezioni, soprattutto in materia di delitti sessuali e finanziari). Ma una contabilità, per quanto esatta, può dare soltanto delle cifre. Ora, non tutti i delitti contabilizzati hanno la stessa gravità. Per arrivare quindi a valutare la realtà in modo più esatto è necessario effettuare una 'ponderazione'. Questa può essere realizzata attraverso un metodo intuitivo ed empirico (statistiche di polizia), ma anche servendosi di una valutazione rigorosa, che permetta di tradurre in termini quantitativi il grado di gravità di ciascun crimine. Thorsten Sellin e Marvin Wolfgang hanno aperto la strada in questa direzione mettendo a punto una classificazione la cui preparazione ha richiesto operazioni assai sofisticate. Resta comunque da sapere se un indice dei delitti così definito presenti differenze significative rispetto a quello risultante da una valutazione intuitiva ed empirica.
È quindi prudente, allo stato attuale delle cose, evitare di annettere un'eccessiva importanza alla descrizione statistica della criminalità, e in particolare è opportuno astenersi da ogni confronto tra la situazione criminale dei diversi paesi.
Se l'estensione della criminalità non può essere determinata con certezza, possono esserlo invece le forme del crimine. Ci sono le forme collettive, come i crimini attuati dalle folle (linciaggi, atrocità commesse durante cataclismi, epidemie e guerre, violenze durante le manifestazioni sportive e le rivolte studentesche) e come il terrorismo, che talvolta si esprime in atti collettivi, specie durante le sommosse. Ci sono poi le attività di gruppo (criminalità delle bande o banditismo di professione, che occorre distinguere dal banditismo spontaneo in continuo sviluppo; crimine organizzato, praticato da organizzazioni criminali attraverso il racket e l'offerta al pubblico di servizi illegali, come l'alcool, quando è proibito, il gioco d'azzardo, la prostituzione e la droga; crimini dei colletti bianchi, caratterizzati dalla violazione sistematica delle leggi preposte alle attività delle società commerciali e industriali). Ci sono, infine, le attività individuali che si collocano sotto il segno del comportamento primitivo (violenze, ingiurie, calunnie, rapine nei negozi, aggressioni notturne), del comportamento utilitario (omicidi per ricavarne un utile, personale di fiducia che sottrae dei fondi), della pseudo-giustizia (omicidi passionali, crimini politici) e dell'organizzazione (professionisti, non affiliati a una gang, che praticano borseggi, furti di gioielli, furti negli alberghi, truffe, falsi).
Il determinismo del crimine è dimostrato, sia nei suoi fattori che nei suoi processi, in un solo caso: quello degli atti compiuti all'improvviso e senza riflessione. Gli psicanalisti anglosassoni hanno ritenuto che si potesse in questo caso fare riferimento al concetto di 'passaggio all'atto' (acting out), in un primo tempo preso in considerazione soltanto nel quadro della cura (una scarica psicomotoria a motivazione inconscia viene a sostituirsi all'espressione ideo-affettiva propria del rapporto di transfert). Il passaggio a questi atti improvvisi e inconsulti sarebbe caratterizzato da una parte dal ricordo, evocato dalla situazione attuale, di una vecchia situazione conflittuale e, dall'altra, da una reazione emotiva intensa che provoca un blocco intellettuale e una regressione.
In generale il determinismo diretto è prodotto da fattori di ordine fisiologico (collera) o patologico (alcolismo, debolezza mentale, epilessia, psicosi), oppure da fattori sociali (stato di necessità, situazione disperata o di miseria estrema). Da questi fattori derivano reazioni esplosive, delle quali il crimine primitivo rappresenta l'esempio tipo. De Greeff si è sforzato di precisarne il processo in una prospettiva in cui le reazioni esplosive sono sottese dalla collera, e lo ha chiarito evidenziando due concetti: da un lato quello di 'zona di tolleranza', che definisce l'ampiezza del campo degli adattamenti che non obbediscono alle regole della vita sociale, e dall'altro quello di 'falsa compensazione', che indica gli atteggiamenti acquisiti (ironia, sarcasmo, certi sorrisi, certe forme di pietà, di disprezzo o perfino di umiltà) che permettono, con sforzo, di vincere la reazione primitiva.
Accanto alle reazioni esplosive occorre collocare le reazioni del tipo 'corto-circuito'. Ernst Kretschmer ha dimostrato che esse costituiscono un insieme logico e razionalmente organizzato, ma dissociato dal resto della personalità, come un frammento autonomo. L'azione è spesso, in questa ipotesi, di nessuna utilità per il suo autore; essa gli serve semplicemente di sfogo. Se ne trovano esempi in alcuni incendi dolosi e infanticidi, legati alla debolezza di mente e, talvolta, provocati da uno stato di disperazione o di panico.
Studiare la formazione della personalità significa anzitutto sforzarsi di cogliere l'azione e l'interazione dei fattori biologici (terreno organico) e sociali (ambiente personale) che l'hanno influenzata. Al primo posto tra i fattori biologici si trova il patrimonio ereditario. Lo studio dei gemelli ha mostrato che i monozigoti manifestano una maggiore analogia di comportamento, soprattutto quando si tratta di recidivi. Pertanto, più il comportamento criminale si dimostra cronico, più appare legato all'ereditarietà: è una constatazione davanti alla quale le ricerche citogenetiche sulle aberrazioni cromosomiche assumono un interesse eccezionale.
Non devono neppure essere trascurati i precedenti di carattere personale, anteriori, concomitanti o posteriori alla nascita. Non si deve trascurare alcun dettaglio, anche se non si può, ovviamente, ricondurre la formazione della personalità a un dettaglio. I fattori biologici interferiscono con i fattori dell'ambiente personale, che può essere suddiviso in: ambiente inevitabile, quello che comprende la famiglia d'origine e il luogo di residenza; ambiente occasionale, che comprende la scuola, l'apprendistato, il servizio militare; ambiente scelto, comprendente la famiglia nata dal matrimonio, il lavoro, il tempo libero; ambiente subito, costituito dalla polizia, dalla giustizia e dalle prigioni. L'importanza dell'ambiente subito è decisiva: su questo punto la teoria interazionista si ritrova d'accordo con le ricerche precedenti. Ma studiare la formazione della personalità significa anche delineare i processi attraverso cui i diversi fattori agiscono e interagiscono. Nella concezione psicanalitica il bambino è originariamente un essere istintivo dominato dal principio del piacere. È soltanto attraverso una lenta maturazione che egli tende ad adattarsi al principio di realtà. Poiché questa maturazione avviene all'interno della famiglia, i processi primari della formazione della personalità sono di ordine familiare, mentre tutti gli altri processi sono di carattere secondario. Partendo da questa concezione psicanalitica, Noël Mailloux ha insistito sulla crisi di identità che attraversa il giovane durante questa formazione. Tale crisi ha per lo più un carattere episodico, ma l'incomprensione dei genitori, collocando il fanciullo di fronte all'alternativa 'servitore della società o pecora nera', può condurlo a sentirsi rifiutato e spingerlo a un'identificazione negativa che determinerà poi il suo destino di paria. Questa nozione di identità negativa presenta delle affinità con quella del 'processo di etichettamento' elaborata dalla teoria interazionista per rendere conto dei fattori dell'ambiente subito.In una prospettiva assai diversa si collocano i processi socioculturali considerati dal punto di vista del comportamentismo e descritti da E. H. Sutherland. Il principio della sua teoria delle associazioni differenziali è che ciascuna personalità assimila la cultura che la circonda, a meno che - è il caso degli Stati Uniti - non vi siano altri modelli in conflitto con essa. Pertanto un individuo diventa un delinquente se l'apprendimento di definizioni favorevoli alla violazione della legge è superiore all'apprendimento di definizioni favorevoli all'osservanza della legge. Il condizionamento socioculturale completa la formazione della personalità delineata grazie alla psicanalisi. Di fatto, questa ha dimostrato che se il processo di socializzazione di un bambino uscito da un ambiente di criminali si è svolto normalmente, egli diventerà conseguentemente un antisociale, perché avrà fatto proprio il 'codice' dei genitori.
La formazione della situazione è importante tanto quanto quella della personalità. Olof Kinberg ha distinto le situazioni specifiche o pericolose, all'interno delle quali l'occasione non è stata ricercata, e le situazioni aspecifiche o amorfe, all'interno delle quali l'occasione deve essere ricercata. Nel primo caso la situazione può dipendere dall'istigazione di un partner (coppia criminale) o dal ruolo della vittima (coppia penale). Partendo da quest'ultimo punto di vista lo studio delle vittime ha elaborato i concetti di vittima latente, di criminale-vittima e di relazione specifica criminale-vittima (convivenza di alcolisti). Tali concetti hanno consentito di studiare i fattori biologici (età, sesso, stato psicopatologico) e sociali (professione e situazione sociale: immigrati, minoranze etniche e religiose) che favoriscono la formazione di una situazione specifica: questo processo di formazione genera tensioni psicologiche che si accumulano. Nel secondo caso, quello della situazione aspecifica, deve essere ricercata l'occasione, formulato un piano, reclutati dei complici, preparati gli strumenti. In queste situazioni non specifiche assai spesso le vittime vengono scelte a seconda delle circostanze. Quanto ai processi che entrano in gioco, essi concernono i rapporti tra criminali e pubblico (segregazione, conflitto progressivo e competizione con la polizia) e i rapporti dei criminali tra loro (modalità, organizzazione, professionalità).
La distinzione tra situazioni specifiche e non specifiche è fondamentale quando si arriva a trattare il passaggio all'atto. Nel caso della situazione non specifica è indubbio che sia la personalità a dominare. In quello della situazione specifica, invece, le cose sono più complesse. In una situazione suscettibile di condurre a un atto grave (omicidio) la personalità è ancora in primo piano. Ma se si tratta di una situazione che può sfociare in forme di delinquenza media o minore, allora l'importanza primaria spetta alle circostanze. La nostra conoscenza, tuttavia, per quanto concerne queste ultime è assai limitata, mentre l'esame del predominio della personalità ha sollecitato molto di più l'interesse dei clinici e dei ricercatori. Proprio per questo lo studio del passaggio all'atto si è orientato prevalentemente verso i fattori e i processi relativi alla personalità.
L'approccio alla personalità del soggetto, quale essa si presenta al momento del passaggio all'atto, è assai delicato. Per molto tempo si è creduto che un approccio tipologico, ispirato a quello psichiatrico, potesse essere la soluzione più adatta. Ora invece l'esperienza ha rivelato che nel nostro caso occorre un approccio più sofisticato. Pertanto si è fatto ricorso a una descrizione realizzata attraverso i tratti psicologici e le ricerche si sono orientate in questa direzione, ma il loro sviluppo è stato ostacolato da contrasti di carattere generale.
La maggior parte degli ostacoli emersi sono stati enunciati, fin dal 1892, dall'antropologo Léonce Manouvrier. Nominato, dal II Congresso internazionale di antropologia criminale svoltosi a Parigi nel 1889, membro di una commissione incaricata di condurre uno studio (auspicato da Garofalo) su cento criminali viventi e cento persone incensurate, egli pubblicò una memoria nella quale sosteneva che il confronto richiesto era impossibile. Lasciando da parte gli assassini, in quanto la statistica non potrebbe rivelare un assassino su cento uomini ritenuti onesti, egli chiamò in causa la criminalità sconosciuta e affermò che i detenuti costituiscono uno 'scarto', una categoria più facilmente afferrabile da parte della legge e della polizia, che rappresenta una specie di capro espiatorio in grado di assicurare alla legge un'indispensabile convalida. Studiando i detenuti, non si studia antropologicamente né il crimine né l'insieme dei criminali.
Sono obiezioni riprese periodicamente, che devono essere però relativizzate. Charles Andersen ha dimostrato, in effetti, che il criminale che rimane sconosciuto differisce radicalmente dal criminale conosciuto. Solo quest'ultimo è costretto a prendere coscienza di essersi collocato al di fuori o in contrapposizione rispetto alle norme sociali e morali. Questa presa di coscienza avviene nel momento in cui l'apparato di polizia, giudiziario o penitenziario si chiude su di lui, mentre prima egli aveva conservato l'integrità della sua personalità di fronte al mondo esterno. È quindi legittimo studiare i delinquenti conclamati e accettare i dati ricavati da un confronto tra loro e i non delinquenti (v. Colloque..., 1963, p. 9).
Questo confronto pone un nuovo problema: è necessario formare il gruppo di controllo in modo da assicurarne l'omogeneità e la rappresentatività. Si tratta di un compito difficile, suscettibile di introdurre una serie di distorsioni, che solo gli studi 'per coorti' consentono di evitare.
Sulla base delle ricerche effettuate, e in considerazione dei loro risultati, sono stati adottati fondamentalmente due approcci metodologici, tra loro contrapposti: il primo considera inutile tentare di costruire un modello della personalità criminale e si accontenta di far ricorso ai modelli esistenti (antropologico, psichiatrico, psicanalitico), anche a prezzo di un ritorno alla tipologia e con la conseguenza di dover abbandonare la descrizione per 'tratti'; il secondo invece considera opportuno definire un modello della personalità criminale, pur sottolineando che non vi sono differenze naturali tra criminale e non criminale, i quali sarebbero separati soltanto da differenze di grado o di struttura; inoltre il modello della personalità criminale non sarebbe statico, ma evolutivo e dinamico, soprattutto in funzione dell'età.
Vi sono formulazioni diverse del modello della personalità criminale, nonostante i suoi elementi costitutivi siano costanti. Il raggruppamento e il concatenamento di questi elementi variano secondo i diversi autori: Marc Le Blanc e Marcel Frechette ne hanno dato recentemente una nuova prova. Il modello che personalmente ritengo valido raggruppa gli elementi della personalità in un nucleo centrale (aggressività, egocentrismo, labilità, indifferenza affettiva) e in alcune variabili (temperamento, attitudini fisiche, intellettuali e professionali, bisogni legati all'alimentazione e alla vita sessuale). Naturalmente il modello completo esiste soltanto nei casi più gravi (grandi criminali e recidivi definiti come 'criminali veri'), mentre negli altri casi gli elementi del nucleo centrale si attenuano. Canepa e i suoi collaboratori, in una ricerca sui detenuti recidivi di età compresa tra i 18 e i 25 anni, hanno ottenuto i seguenti risultati: nel 7,31% dei casi si sono potuti riscontrare quattro elementi della personalità criminale; nel 16,24% tre elementi; solo due elementi nel 32,7% dei casi; un elemento nel 34,5%; nessun elemento nel 9,1%. Occorre anche rilevare che caratteri di labilità si ritrovano nel 65,5% dei casi, di aggressività nel 58,2%, di egocentrismo nel 38,2% e di indifferenza affettiva nel 26,24% (v. Canepa e altri, 1974).
Da un punto di vista oggettivo vi è passaggio all'atto quando la pulsione che spinge al crimine è superiore alla resistenza che incontra. Questa pulsione, dalla quale è determinato il passaggio all'atto, è l'aggressività, che può essere fisiologica (aggredire nel senso di andare avanti) o patologica (aggredire nel senso di attaccare). Essa viene neutralizzata nella maggior parte degli uomini da una qualche resistenza (timore della disapprovazione sociale, gravità della minaccia penale, pietà verso le vittime). Ora, i criminali di professione e i grandi criminali mancano di queste inibizioni: non riescono a giudicare un problema morale da un punto di vista diverso da quello personale, sono egocentrici, labili, incapaci di evitare ciò che può portare loro danno, indifferenti affettivamente, privi di emozioni e inclinazioni di carattere altruista. Accanto a questi fattori della personalità che determinano il passaggio all'atto, vi sono quelli che ne regolano l'esecuzione. Pertanto la direzione della condotta criminale è in funzione del temperamento, la sua riuscita dipende dalle attitudini fisiche, intellettuali e professionali, la sua motivazione sta nei bisogni alimentari e sessuali.
I processi del passaggio all'atto si sviluppano a partire dalle situazioni che ne sono alla base. Nella situazione non specifica prevale il processo di maturazione criminale, descritto da Sutherland, nel quale si combinano il possesso di tecniche criminali e una tendenza generale verso la criminalità che fa sì che il soggetto si consideri in un certo senso impegnato in una carriera criminale. Un omicidio di carattere utilitario, dal canto suo, deve essere inquadrato in una situazione specifica che determina il processo di atto grave. Questo si compone - come ha mostrato de Greeff - di fasi successive (consenso moderato, consenso manifesto, crisi) e si colloca sotto il segno dell'inibizione affettiva. Una varietà del processo di atto grave è l'omicidio passionale, che passa anch'esso attraverso i tre stadi dell'omicidio di carattere utilitario.
L'approccio al processo del passaggio all'atto è ancora oggi al livello raggiunto da Sutherland per il processo di maturazione criminale e da de Greef per il processo di atto grave. È ancora a questo punto perché gli strumenti metodologici necessari per questo tipo di approccio non sono stati perfezionati dopo i lavori di questi illustri criminologi. Si è rimasti ancora all'intervista clinica e al metodo documentario, che sono strumenti insufficienti per affrontare una nuova dimensione della ricerca: quella della microcriminologia.
Il fenomeno criminale si svolge all'interno dell'ambiente generale: si inscrive cioè in una determinata società. Occorre quindi precisare l'influenza di questa società globale. Per molto tempo essa è stata studiata in una prospettiva atomistica e sono stati messi in rilievo fattori geografici (clima e soprattutto urbanizzazione), economici (crisi, disoccupazione), culturali (istruzione, religione, stampa, cinema, radio, televisione), demografici (temperamento nazionale, età, sesso), politici (guerra, rivoluzione, insufficiente prevenzione dell'alcolismo e delle tossicodipendenze). Oggi, però, è necessario un approccio più ampio, che consiste nel ricercare se esistano fattori in scala con la società globale, di natura analoga a quella dei fattori della personalità e quindi suscettibili di stimolarli. Per esempio, il moltiplicarsi delle frustrazioni nelle città, dove la condizione di isolamento cresce in modo drammatico, è stato messo in rapporto con l'aggressività. Allo stesso modo si è sottolineato che la crescente confusione spirituale determina uno stato di anomia che favorisce la generalizzazione dell'egocentrismo; che la soddisfazione immediata, il piacere del momento, la mancanza di organizzazione in una prospettiva a lunga scadenza (legata all'assicurazione pubblica o privata) stimolano la labilità; che la fragilità della famiglia e la riduzione delle relazioni di solidarietà suscitano l'indifferenza affettiva. Da ciò si può comprendere l'attuale sfida della criminalità e l'insicurezza che essa determina. È dunque possibile parlare di società criminogena.
Diversi fattori entrano in gioco per far avanzare gli stimoli criminogeni, attraverso il corpo sociale, fino all'ambiente personale. C'è anzitutto l'indigenza economica e culturale, che è alla base della criminalità da disadattamento e ha come causa diretta le sottoculture, emanazione delle società chiuse. Da una sottocultura si può, per spostamenti impercettibili, passare a una controcultura che esprima l'ideologia criminale. C'è poi il processo di comunicazione, che permette di diffondere questa ideologia criminale (anche attraverso opere di alto valore letterario). Essa si insinua, turba, fa degli adepti, si banalizza: giustifica la criminalità ludica come quella legata alla disoccupazione. C'è inoltre la contestazione giovanile (dai teddy boys ai blousons noirs, ai Provos, ai beatniks e agli hippies), che ha diffuso le idee dei Provos in tutta la gioventù: gli avvenimenti del maggio 1968 a Parigi ne sono stati un immenso happening. La crisi economica non fa che accentuare questa opposizione larvata o attiva, che può condurre alla droga o alla violenza. C'è infine il contagio gerarchico, che può spingere i disadattati a imitare i gangsters, i delinquenti a burocratizzarsi secondo l'esempio della struttura amministrativa, i piccoli truffatori a prendere come modello i criminali in colletto bianco, i delinquenti comuni a basarsi sull'esempio dei politici, i giovani drogati a ispirarsi agli artisti e alle stars. Dopo tutto non c'è forse in atto un processo di imitazione che viene dall'America del Nord e si diffonde in Europa, nel campo della criminalità come in altri campi?
Gli studi di criminologia scientifica non possono disinteressarsi dei problemi sociali e individuali che sono implicati dalla pratica penale, ma anzi possono fornire i mezzi per una migliore individualizzazione della reazione sociale. Di fatto, la criminologia clinica (cioè l'applicazione della criminologia scientifica alla pratica penale) ha come obiettivo quello di formulare un parere sul delinquente, parere che comporta una diagnosi di pericolosità, una prognosi sociale ed eventualmente un trattamento destinato a prepararne il reinserimento sociale. La sua finalità è quindi il recupero del delinquente, ma per realizzare questa finalità nel quadro del sistema penale era necessario che quest'ultimo fosse riformato sia nei suoi orientamenti generali che nei suoi meccanismi procedurali. La criminologia clinica si è quindi presentata fin dall'inizio come una disciplina impegnata e riformista. Dopo la seconda guerra mondiale è stata sostenuta particolarmente dai giuristi vicini alle dottrine della 'difesa sociale' (Filippo Gramatica, Marc Ancel).
Alla criminologia clinica sono state rivolte diverse critiche da parte della criminologia radicale. Secondo quest'ultima la criminologia clinica sarebbe dominata da un'ottica conservatrice e le riforme che essa propone porterebbero soltanto a rafforzare la società attuale senza cambiare l'ordine esistente. Ma poiché il preteso conservatorismo della criminologia clinica non poteva essere sostenuto di fronte alle sue finalità, i criminologi radicali hanno orientato le loro critiche verso altri settori. Hanno denunciato così il mito della medicina, che servirebbe da base alla criminologia clinica, senza preoccuparsi del principio metodologico dell'eliminazione dei tipi psichiatricamente definiti. Hanno voluto credere che la criminologia clinica avesse per principio l'assimilazione dei malati mentali e dei delinquenti: cosa questa completamente falsa. La criminologia clinica non è la medicina, ma si organizza metodologicamente come la medicina. I criminologi radicali hanno insistito infine sull'idea che non è possibile prendere come obiettivo il reinserimento sociale del delinquente, poiché questo lo condurrebbe ad accettare l'ordine stabilito, fondato sull'ingiustizia sociale. Si tratta di una critica che non ha alcun fondamento: parlare di reinserimento sociale in criminologia clinica significa semplicemente riferirsi al fatto che conviene far prendere coscienza al delinquente delle cause della sua condotta, in modo che egli possa dominarle. La criminologia clinica non è una tecnica di condizionamento politico: è una scienza della libertà.
I metodi della criminologia clinica comprendono l'osservazione, l'interpretazione e la terapia. Alla base dell'osservazione c'è un esame medico-psicologico e sociale. Nei casi semplici sono sufficienti un esame medico, un esame psichiatrico, un esame psicologico (test d'intelligenza, test caratteriali di tipo oggettivo, test di orientamento professionale), e un'indagine sociale. Non vi è alcun vantaggio a trattenere il delinquente in una istituzione per gli esami: la clinica criminologica non può essere un pretesto per giustificare le detenzioni provvisorie. Vi sono tuttavia dei casi in cui è auspicabile un'osservazione diretta del soggetto all'interno dell'istituzione carceraria. Possono essere necessari anche degli esami complementari di tipo biologico (encefalogrammi, esami endocrinologici e citogenetici) e psicologico (test proiettivi, prove della sincerità).
È fondamentale, in clinica criminologica, l'interpretazione dei dati ricavati dall'esame. Fin da Garofalo, si conosce il criterio che deve presiedere a questa interpretazione. Si tratta di determinare lo stato di pericolosità del delinquente, i cui elementi sono la capacità criminale (temibilità) e l'adattabilità (capacità di adattamento sociale), ma questa determinazione è rimasta per lungo tempo allo stato intuitivo ed empirico. Oggi la valutazione dello stato di pericolosità può essere effettuata in rapporto a un modello generale o più specificamente criminologico (per esempio il modello della personalità criminale delineato a proposito del passaggio all'atto). La diagnosi attuale dello stato di pericolosità, effettuata a partire da uno di questi modelli, deve essere completata da una prognosi sociale. Quest'ultima è facilitata dalle tecniche di previsione (schemi e tavole), che tuttavia, in campo clinico, occorre utilizzare con una certa prudenza.
La terapia richiede un ambiente (all'interno dell'istituzione, libero o semilibero) e dei metodi che si ispirano alle esperienze effettuate in campo psichiatrico (azioni socioeducative di sostegno, colloqui di gruppo) e alle tecniche sociologiche (sociodramma, gruppo di lavoro). Anche in questo caso conviene essere prudenti nei confronti delle tecniche comportamentali (token economy, per esempio) che trascurano la personalità. Naturalmente i mezzi classici, che sono l'insegnamento, l'educazione e il lavoro, completano queste tecniche. È tuttavia necessario riconoscere che in materia di terapia siamo ancora, per mancanza di applicazioni, in una condizione di incertezza e senza una dottrina sicura.
Le applicazioni della criminologia clinica sono, in effetti, assai poca cosa almeno per quanto concerne i delinquenti adulti. I pionieri della criminologia clinica in campo penitenziario sono stati José Ingenieros (Argentina) e Louis Vervaeck (Belgio).
Sotto l'impulso della loro azione sono stati creati in Europa dei centri di osservazione per dividere i detenuti tra i diversi stabilimenti di pena, e in America, in particolare negli Stati Uniti, dei centri di classificazione per seguire l'applicazione della pena, ma la clinica criminologica è rimasta, per quel che riguarda gli adulti, nell'anticamera della giustizia, sempre confinata nella perizia psichiatrica tradizionale. In Francia, tuttavia, dal 1958 esiste la possibilità di un esame medico-psicologico e di un'indagine sulla personalità (quest'ultima è addirittura obbligatoria nel caso di un crimine).In definitiva, è solo la legislazione dei minori che, nella maggior parte dei paesi, ha tentato di integrare la clinica criminologica nei suoi meccanismi procedurali e nelle sue istituzioni educative.
Per quanto fragili e talvolta forzate siano le applicazioni cliniche, alcuni ricercatori hanno preteso di poterne valutare i risultati. Hanno quindi effettuato dei confronti di gruppi omogenei di delinquenti (dello stesso livello intellettuale, origine sociale, età e comportamento antisociale). Questi confronti hanno portato a buoni risultati, grazie a certe tecniche statistiche che permettono di realizzare una sperimentazione indiretta. I delinquenti sottoposti a un dato regime carcerario sono stati classificati secondo un'equazione di previsione fissata per un altro regime. Il confronto tra i risultati reali e quelli teorici ha rivelato una mancanza di differenze rispetto alle prospettive di recidività. Gli stessi risultati sono stati ottenuti sia che si trattasse di un regime lungo sia breve, di un regime aperto (condizionale) o chiuso (prigione), di una prigione di massima sicurezza o normale.
Queste ricerche sono state presentate come una condanna delle applicazioni cliniche, ma Canepa ha mostrato chiaramente che il trattamento clinico dev'essere distinto dal regime penale e penitenziario, il cui fallimento era già stato denunciato dalla criminologia positivista. "Io penso - ha scritto - che nessun sistema penale, passato o presente, abbia mai utilizzato e valutato in modo sistematico l'apporto degli orientamenti clinici della criminologia" (v. AA.VV., 1980, p. 185).
Queste pseudovalutazioni delle applicazioni cliniche conducono tuttavia a domandarsi se sia possibile modificare la personalità del delinquente nella prospettiva del suo reinserimento sociale. Per rispondere a questa domanda occorre partire dal fatto che la personalità e la situazione formano una totalità funzionale e quindi i cambiamenti intervenuti nella situazione influenzano l'insieme: si può pertanto prevedere un trattamento della situazione realizzato con un lavoro sociale idoneo. D'altra parte, l'età gioca un ruolo importante: dopo la pubertà occorre attendere i 35 anni per poter trovare nuove possibilità di evoluzione. È dunque aperta la strada a un'azione sui delinquenti vicini a quest'età, che favorisca tali possibilità. Infine, nell'evoluzione di una personalità tra la pubertà e i trentacinque anni esistono non soltanto momenti pericolosi, ma anche momenti favorevoli alle emozioni morali. Trovare questi momenti, utilizzarli e valorizzarli può essere l'obiettivo da perseguire. Entro questi limiti è possibile influenzare la personalità di un delinquente con un trattamento terapeutico adeguato.
Un'ultima precisazione sul futuro della criminologia clinica. In presenza di una politica repressiva questo futuro appare confuso: perché la criminologia clinica possa svilupparsi è necessario, anzitutto, che il legislatore sia disposto ad adattare alle sue raccomandazioni il regime giuridico e istituzionale. Ma perché le applicazioni cliniche siano efficaci, è anche necessario quanto segue: disporre di un personale addestrato e inquadrato in una carriera, il che presuppone che la criminologia clinica abbia un proprio statuto universitario; avere i mezzi necessari per condurre a buon fine esperienze che non siano del tutto irrilevanti; procedere a un numero limitato di esperienze prima di decidere riforme istituzionali e legislative di ordine generale; avere delle ambizioni 'modeste' e tenere sempre presente che è necessario non nuocere (primum non nocere). L'avvenire della criminologia clinica è subordinato a queste condizioni.
Nella prospettiva storica adottata dalla criminologia radicale la nascita della criminologia sarebbe legata a un momento particolare del capitalismo e al desiderio di legittimare, in nome della scienza, l'intervento dello Stato contro i delinquenti, il cui comportamento porterebbe danno alla vita economica. Questo punto di vista è in contraddizione col fatto che Lombroso e Ferri erano socialisti e che quest'ultimo ha anche preconizzato dei "sostitutivi penali" di ordine economico, politico, scientifico, civile, amministrativo, religioso, familiare, educativo. Tra le riforme sociali auspicate da Ferri ve ne sono molte che sono puramente e semplicemente ricavate dal programma socialista: egli ha così aperto la strada alla prevenzione generale del crimine, attraverso la quale la criminologia diventa una delle fonti della scienza politica. Essa sollecita i criminologi a riflettere sulla società postindustriale e sui suoi difetti: è qui che il concetto di società criminogena può rivelarsi utile.
Sulla base di questo concetto si possono cercare dei rimedi di carattere generale per limitare gli elementi criminogeni che la società produce. Dev'essere quindi ridotta l'inflazione legislativa e amministrativa, se si vuole eliminare l'anomia fonte di egocentrismo. Le leggi sociali (sicurezza sociale, assegni familiari, aiuto sociale) richiedono una doppia valutazione. Da un lato esse favoriscono l'imprevidenza e la mancanza di organizzazione a lungo termine e stimolano la labilità; dall'altro, la scomparsa pressoché totale del vagabondaggio e della mendicità è legata proprio al loro sviluppo. La lotta contro l'alcolismo, che rappresenta un fattore di aggressività, deve essere messa al primo posto in una politica di igiene sociale rivolta, altresì, alla prevenzione dei disturbi mentali e delle malattie veneree (il che comporta il controllo della prostituzione) e delle tossicodipendenze. Infine la protezione della famiglia, la limitazione del divorzio (almeno quando la coppia ha dei bambini), la dissuasione nei confronti dell'aborto (soprattutto attraverso l'informazione e l'educazione) sono tutti provvedimenti suscettibili di circoscrivere lo sviluppo dell'indifferenza affettiva. La cellula familiare, infatti, rappresenta il luogo privilegiato in cui si manifesta il calore affettivo. Per cessare di essere criminogena una società deve essere costruita sulla libertà, sull'amore, sul disinteresse, sull'onore.
Accanto alla prevenzione generale, negli Stati Uniti sono stati condotti dei tentativi di prevenzione specifica, che sono consistiti in esperienze terapeutiche di massa organizzate a vantaggio di aree geografiche limitate. Nonostante l'entità dei mezzi impiegati, a Chicago e a New York, i risultati ottenuti non sono stati significativi. A partire dal 1970 ci si è accontentati di una prevenzione di natura poliziesca, definita difesa dello spazio comune. In molti paesi diverse iniziative di polizia (divisione delle città in 'isole') realizzano queste aspirazioni di prevenzione.In Francia è stato istituito un Consiglio nazionale per la prevenzione della delinquenza, che ha ramificazioni dipartimentali e comunali. Circoli di prevenzione, animati da educatori e assistenti sociali, sono spesso in grado di realizzare con efficacia questa politica.
La conclusione che si può ricavare dagli sviluppi che abbiamo sopra delineato è che la criminologia si trova oggi a una svolta della sua storia. Il carattere specifico della situazione attuale si manifesta nel disordine registrabile nei fatti, nelle idee e nella reazione sociale. Il disordine nei fatti è attestato dalla sfida della criminalità; nelle idee, dall'apparizione di una anticriminologia ideologica; nella reazione sociale, dallo sviluppo di una società repressiva e dall'insufficienza della criminologia clinica.Quanto sappiamo del passato ci induce tuttavia a non cadere in un pessimismo eccessivo. Ai soprassalti della criminalità succedono periodi di calma, alla frantumazione delle ricerche seguono le sintesi, ai periodi di repressione succedono fasi dominate da un orientamento umanitario e scientifico. Già adesso alcuni indizi consentono di sperare che alla crisi attuale della criminologia si sostituirà, in futuro, una ricerca scientificamente feconda e una pratica arricchita dalla clinica. (V. anche Controllo sociale; Devianza; Pena).
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